LA “ISPIRAZIONE” DEI TESTI
BIBLICI: UN PROBLEMA NON DA POCO
L’origine dei Sacri Testi: divina
“ispirazione” o dettatura?
I
sacri testi del Cristianesimo, cioè il Vecchio e Nuovo Testamento – la Bibbia – sono tali perché - si assume - contengono la Rivelazione di Dio
all’umanità. Questo ai nostri fini si traduce nel problema di cosa porre a
oggetto del verbo “contenere”. Poiché non gli è stata data una risposta
univoca, ecco che i canoni biblici nelle singole Chiese cristiane sono
differenti, e in più si discute se la
Bibbia debba essere interpretata alla lettera (posizione
detta fondamentalista, oggi molto diffusa negli Stati Uniti) oppure se esistano
vari livelli - come l’allegoria e la narrazione
mitica - suscettibili di interpretazioni
differenziate. Sul dibattito inevitabilmente
influiscono i risultati dei progressi delle scienze (storiche, linguistiche,
fisiche, ecc.). Soprattutto in ordine alla seconda maniera di intendere la Bibbia si pone la questione
della sua divina “ispirazione”, poiché la tesi del fondamentalismo risulta
affine al concetto di “dettatura” divina; alla maniera, per intenderci, del
Corano dei Musulmani.
Nel
Vecchio Testamento esistono passaggi il cui contenuto è in qualche modo apparentabile
al concetto generalmente espresso nelle lingue moderne con “ispirazione”,
concetto reso esplicito nelle traduzioni correnti, benché l’ebraico biblico
ricorra a definizioni più poetiche, magari meno precise ma ricche di
significati. Per certe profetizzazioni si dice che “Dio era sui” Profeti (Esdra,
5, 1); oppure che c’era stato un “soffio” di Dio nell’uomo (Giobbe, 32, 8); o
che una certa iniziativa era stata presa perché Dio l’aveva “posta nel cuore”
di taluno (Neemia, 7, 5); o che certe cose “sono o non sono da Dio” (Isaia, 30,
1).
Nel
Nuovo Testamento si parla anche di “soffio” di Dio (II Epistola a Timoteo, 3,
14-16), o di persone mosse dallo Spirito Santo
a parlare da parte di Dio”(II Pietro 1, 20-21).
C’è posto, quindi, per varie speculazioni teologiche, fermo però restando il
ruolo di una intermediazione umana seppure non meglio specificata. Resta
comunque il fatto che biblicamente non risulta affatto dominante il concetto di
“dettatura”. C’è un solo caso, nel Vecchio Testamento, in cui si dice trattarsi
di cosa “scritta da Dio”: si tratta del Decalogo (Esodo, 24, 12;
31, 18; 32, 16; 31,
18; 34, 28; Deuteronomio 5, 22 e10, 4).
Nel
Cattolicesimo Dio è stato definito “autore” della Bibbia da Agostino di Ippona,
dal Concilio di Ferrara/Firenze, dal Concilio di Trento e dal Vaticano I. Anticamente
era stato introdotto il concetto della dictatio
della Bibbia: termine non pienamente coincidente con l’italiana “dettatura”,
tuttavia potenzialmente in grado di fare unire questi due significati, come
accadde con il domenicano spagnolo Domingo Báñez (1528-1604),
che presentò l’agiografo come un puro e semplice operatore su dettatura.
Con
Pio XII nell’enciclica Divino Afflante Spiritu (1943) all’agiografo
è stato visto riconosciuto un ruolo attivo nella redazione dei testi biblici,
ma come “strumento” di Dio. Quest’ultimo concetto è sparito dalla Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II, che
ha effettuato una leggera correzione facendo degli agiografi dei coautori, in
quanto anch’essi definiti “veri autori”, ma senza contribuire, in definitiva, a
una maggiore chiarezza sul tema.
Bibbia e Tradizione in
Occidente: Cattolicesimo e Protestantesimo
Nella
Cristianità occidentale con la
Riforma protestante è stato posto il problema della dicotomia
tra Bibbia e Tradizione, come era ovvio avendo la Riforma formulato il
principio sola Scriptura, facendo della
Bibbia la sola base della fede e rigettando tutto ciò che fosse privo di espresso
fondamento biblico. Di segno opposto la posizione cattolica, conforme a quella
di Agostino di Ippona, che nel suo Contro la lettera di un manicheo (5,
6) aveva scritto:
«Non crederei al vangelo, se non mi spingesse a questo
l’autorità della Chiesa cattolica»,
assumendo
quindi la Tradizione
base di autorità della Bibbia. Nel 1546 il Concilio di Trento formulò la
dottrina delle “due fonti”, per la quale la Bibbia non può essere considerata fonte unica
della Rivelazione, essendo non meno importante la Tradizione.
Si
tratta di una dottrina in sé tutt’altro che identica a quella protestante, ma
non ci si può fermare alla dissomiglianza. Tra le due concezioni esiste infatti
un tratto comune: in entrambe resta la distinzione fra Bibbia e Tradizione, quand’anche
risolta in modo diverso.
I problemi inerenti alle
concezioni occidentali
Le maggiori difficoltà presentate dalle concezioni occidentali dipendono
dalla loro maggiore esposizione ai moduli critici dell’esegesi biblica; quanto
meno di quella non controllata dalle Chiese, cattolica e protestanti. Alle
posizioni fondamentaliste (come quella dello
statunitense Moody Bible Institute) e
non fondamentaliste, sono opponibili obiezioni problematiche incentrate su meri
dati di fatto. Sostenere, cioè, la divina dettatura o ispirazione di un testo –
quand’anche ne sia ignoto l’autore, e a prescindere dalle problematiche
teologiche – implica l’esistenza del testo originale, che solo consente di
sapere cosa l’autore abbia scritto. Questo è oggettivamente implicato dalle
modalità di approccio delle due prospettive in questione: maggiormente per la prospettiva
fondamentalista, ma anche per quella “moderata”. Nell’ottica protestante, poi,
c’è il problema che la Bibbia
viene assunta nella sua autonomia in quanto testo “autoevidente”.
Tuttavia, da qualche migliaio di anni
non si dispone più dei testi originali della Bibbia, assertivamente dettati da
Dio o ispirati ai loro “autori”. Abbiamo solo – databili in tempi molto
posteriori - copie delle copie delle copie delle copie ecc. dei perduti
originali. In più va considerato un problema manifestatosi già ai primi del
XVIII secolo, quando John Mill, docente al Queen’s
College di Oxford, curò un’edizione del testo greco del Nuovo Testamento: utilizzando
un centinaio di manoscritti disponibili, egli individuò la bellezza di
trentamila varianti! Oggi, disponendo di circa 5.700 manoscritti, quante
saranno le varianti ricontrate? 30.000 x 5.700 o di più? Eppure si continua a
ragionare come se non si trattasse di “testi perduti”.
Inoltre, è possibile un’obiezione specifica per le “scuole” teologiche
non fondamentaliste secondo le quali, cioè, l’asserita ispirazione dei testi
biblici si combinerebbe con la componente umana degli autori (sostanzialmente
ignoti, e individuati solo in base a leggende e tradizioni): l’obiezione è che si
dovrebbe essere in grado di individuare cosa in essi sia ispirato e cosa invece
sia da riferire alle opinioni personali di chi li scrisse (opinioni
storicamente contingenti, influenzate o dalla cultura del tempo o da
caratterialità individuali). Magari non si tratterà della classica missione
impossibile, ma se non è una specie di probatio
diabolica poco ci manca.
L’esame contenutistico degli antichi manoscritti, poi, crea
ulteriori problemi. In essi manca la distinzione fra maiuscole e minuscole, non
ci sono i segni di interpunzione e le parole sono scritte in sequenza unica,
cioè senza spazi fra di loro. Per capire meglio ipotizziamo un testo in cui si
trovi questa frase:
«ilvaloredelleopereèindubbiorispettoallafede».
Ciò significherebbe riservare maggiore importanza della fede
rispetto alle opere, o viceversa? Vai a saperlo, se il contesto di inserimento
non fornisce elementi univoci; ma questo non capita spesso. Per non parlare
delle confusioni derivanti dall’uso di abbreviazioni.
La Bibbia
israelitica (detta Tanak, dalle
iniziali delle sue partizioni) si divide in tre parti: Torah (insegnamento, istruzione; ossia i 5 libri del Pentateuco), Nevi’im (i Profeti) e Kethuvim (gli scritti). L’esoterismo
giudaico – particolarmente con la
Kabbalah - ha
attribuito alle parole e perfino alle singole lettere della Bibbia un valore
sacrale e magico, come se si trattasse di testo dato direttamente da Dio. In
realtà il Pentateuco è frutto della redazione finale di un anonimo (o di
anonimi) risalente al 400 a.C.
circa, mettendo insieme – non si sa con quali criteri – testi precedenti e nuclei
di storie del sec. X a.C., cioè del periodo di Salomone, o di suo figlio
Roboamo Re di Giuda.
Prendiamo la Genesi. Proprio questo libro (fondamentale
soprattutto nella parte iniziale, in cui sono trattate questioni che
diventeranno di primaria importanza nel Cristianesimo, come la creazione dal
nulla, la “caduta originale”, l’origine dell’umanità, etc.), che econdo la Tradizione sarebbe
stato scritto da Mosé in persona, si è rivelato di origine complessa e
articolata, in quanto composto da ben quattro nuclei, indicati con lettere
dell’alfabeto: J= essendo definito jahvista il suo autore (dalla
grafia tedesca di Yahweh), in ragione
del nome che dà a Dio; E= l’autore è definito elohista (da Elohīm) sempre per il nome con cui si riferisce alla divinità; P=
indica l’anonimo sacerdote (dall’inglese priest)
che ha redatto quasi per intero il Levitico; D= indica il redattore del
Deuteronomio; R= indica il redattore finale del Pentateuco dopo il ritorno
dall’esilio a Babilonia. La narrazione cosiddetta jahvista (J) fu compilata
verso l’850 a.C. nel regno di Giuda; la elohista (E), risale al 750 a.C. e fu compilata nel
regno di Israele; la sacerdotale (P), probabilmente è inquadrabile tra il 716 e
il 687 a.C.
durante il regno di Ezechia; e la deuteronomica (D) è del 622 a.C. circa, attribuita a
Giosia. La fusione sarebbe stata effettuata intorno al 538 a.C. da Esdra, al ritorno
dall’esilio babilonese, e poi successivamente rimaneggiata.
Non stupisce quindi che dai testi biblici per gli studiosi (e
non solo) sia sovente ricavabile tutto e il contrario di tutto. Magari di positivo
c’è che dal Vecchio Testamento possiamo conoscere le fasi di sviluppo della
religiosità israelita fin dalle origini, e in maniera ben maggiore di quanto
non ci consenta il Nuovo Testamento per il Cristianesimo, restando tutta da
ricostruire (se non con moltissima approssimazione) la realtà teologica,
sapienziale e spirituale della comunità gerosolimitana di Giacomo il Giusto.
Lo stesso problema visto
dagli Ortodossi: una diversa prospettiva
I
Cristiani ortodossi non fanno propria né la tesi cattolica né quella
protestante, ma ne hanno una propria, alla cui base c’è l’idea del Cristianesimo
per essenza religione dell’evento cristico, dell’incontro con Dio, e non già dell’interpretazione
razionalistica di testi scritti. L’approccio, come si vedrà dai cenni sul suo
sviluppo, porta a una prospettiva diversa, dalle conseguenze particolari, e ci introduce
in un ambiente culturale pressoché ignoto, inizialmente “strano” e forse di non
facile applicazione “sul campo”, ma abbastanza semplice una volta assimilato. È
l’approccio tipico di un mondo in cui il misticismo è una specie di “pane
quotidiano”, i concetti sono scarsamente sistematizzati perché hanno il valore
di mappa mentre il territorio è altra cosa, e frequente è l’uso delle antinomie
come strumento epistemologico. Per questo la cultura occidentale non vi si
muove con agilità.
Al
centro di questa impostazione non c’è il “primato” della Sacra Scrittura o quello
della Tradizione, bensì l’unità di Scrittura e Tradizione nella vita ecclesiale,
con una concezione allargata della Tradizione come inclusiva di testi dogmatici,
liturgici e canonici, ma anche di realtà extratestuali come le azioni nella
liturgia, i canoni iconografici, i canti liturgici, le consuetudini di
preghiera, le impostazioni spirituali, insomma tutto ciò che la vita della
Chiesa contiene e implica. La
Tradizione per gli Ortodossi fa comprendere il senso della
Rivelazione (di cui è parte), ed è inerente alla Chiesa quale organismo metafisico,
locum dello Spirito Santo.
Della
Tradizione le Sacre Scritture sono parte integrante, e questo esplica i suoi
effetti sulla concezione ortodossa dell’ispirazione divina della Bibbia. Quindi
non viene accettato il presupposto della dottrina protestante della “sola
Scrittura”, cioè che la Bibbia
abbia in sé tutto quanto è necessario per la vita del cristiano e per la vera
fede, la pratica e il culto. La conseguenza è che la questione non si incentra
più nell’infallibilità letterale delle Scritture, bensì nel loro nascere,
essere trasmesse e interpretate nella Tradizione vivente della Chiesa animata
dallo Spirito, in una sinergia divino/umana. I testi biblici – vale a dire –
sono stati scritti da esseri umani che non erano in stato di trance mistica
e hanno lasciato i segni della loro individualità e dei contesti storici e culturali
in cui si sono formati e sono vissuti. Come ha scritto il teologo Boris Sove,
«l’idea letterale e meccanica di ispirazione divina
dei libri sacri, propria della teologia giudaica e protestante conservatrice,
non può essere sostenuta dai teologi ortodossi, in quanto tende a una specie di
“monofisismo"».
A
sua volta il grande teologo russo Vladimir Losskij fece
una considerazione che ben sintetizza la peculiare posizione ortodossa:
«Agli occhi di un qualunque storico della religione
l’unità dei libri vetero-testamentari – composti nel corso di molti secoli,
scritti da vari autori, che spesso combinavano e fondevano diverse tradizioni
religiose – è casuale e meccanica. La loro unità con la Scrittura del Nuovo
Testamento gli appare forzata e artificiale. Ma un figlio della Chiesa riconoscerà
l’unitaria ispirazione e l’unico contenuto di
fede in queste eterogenee scritture (..). Dio. Solo nella Chiesa possiamo
coscientemente riconoscere in tutti i libri sacri una sola ispirazione, perché la Chiesa possiede la Tradizione, che è la
conoscenza del Verbo incarnato nello Spirito Santo».
Al
riguardo è chiaro quanto formulato dal Metropolita Kallistos Ware, nel senso
che la Bibbia
è un’intera biblioteca di scritti distinti, composti in vari tempi, da persone
differenti, in situazioni ampiamente diverse, attraverso i quali Dio parla in
molti tempi e in molti modi. Ogni libro della Bibbia riflette il carattere
dell’epoca in cui fu scritto e il particolare punto di vista dell’autore, ma
l’Ortodossia ritiene che Dio non abolisca l’individualità degli autori, bensì
la esalti. A fianco dell’aspetto divino c’è anche un aspetto umano ed entrambi
vanno valorizzati. Esiste anche l’interdipendenza tra Chiesa e Bibbia, in
quanto le Scritture sono ricevute attraverso la Chiesa e nella Chiesa. La Chiesa ha deciso quali
libri formano il Canone del Nuovo Testamento. Un libro non è parte delle Sacre
Scritture a causa di qualche particolare teoria sulla sua datazione e
autorevolezza, ma poiché è la Chiesa che lo tratta come canonico.
Supponiamo provato che il Quarto Vangelo non sia stato scritto di fatto da San
Giovanni. Tuttavia, anche in tal caso, ciò non altererebbe il fatto di
considerarlo il Quarto Vangelo come parte delle Scritture. Poiché, chiunque ne sia
l’autore, tale testo è accettato dalla Chiesa e nella Chiesa. In secondo luogo,
sottolinea Ware, l’interpretazione delle Scritture nell’Ortodossia avviene attraverso
la Chiesa e
nella Chiesa, che non è controparte, ma organismo mistico di cui il Cristiano è
parte integrante.
Si
tratta, a ben vedere, di una posizione
essenzialmente religiosa, mistica, non riducibile alla cosiddetta scientificità
esegetica, così come quest’ultima niente ha a che vedere con la sfera religiosa. Si tratta di due stadi
diversi, senza unicità di criteri e principi portanti. Come nessun credente può
dimostrare more geometrico che egli
aderisce a una, o alla, Rivelazione divina, così nessun esegeta o storico delle
religioni gli potrà dimostrare di essersi sbagliato nel considerare Rivelazione
ciò in cui crede.
Nell’ottica
ortodossa la stessa questione del canone biblico assume un rilievo diverso
rispetto ai mondi cattolico e protestante. Se ciò che importa è la Tradizione ecclesiale,
e questa Tradizione pone al primo posto la realizzazione nella vita dello
Spirito che trascende ogni testo scritto, di modo che seppure per ipotesi scomparissero
tutte le Bibbie la Tradizione
della Chiesa potrebbe riscriverle, magari non nella stessa forma, ma sì nella
sostanza e salvaguardando la medesima fede. Allora si capisce cosa voleva dire
nel secolo scorso l’Archimandrita Sofronio quando scrisse:
«La
Tradizione, eterna e immutabile presenza dello Spirito santo
nella Chiesa, è il fondamento profondo della sua esistenza, la Tradizione abbraccia
tutta la vita della Chiesa, mentre la sacra Scrittura è solo una delle sue
forme (…) la scrittura non è più profonda né più importante della tradizione,
ma è una delle sue forme».
Per
cui (sempre in questa prospettiva) nemmeno appare strano che il canone biblico
delle Chiese ortodosse di lingua greca sia parzialmente diverso da quello della
Chiesa Russa (il 3° libro di Esdra manca nella Bibbia greca, e in quella russa
è presente un 4º libro dei Maccabei).
Innegabilmente
la prospettiva ortodossa va metabolizzata, poiché corrisponde a un mondo
culturale ancora poco conosciuto e del tutto peculiare. Ha la semplicità di un
radicalismo con diversa orientazione; può avere i suoi problemi, ma evita
taluni altri problemi della prospettiva cattolica e protestante la cui
risolvibilità è a dir poco ardua.
Banalizziamo un po’ per semplificare: l’Ortodosso in linea di massima
viene a dire all’esegeta e allo storico: “quello che per te, per i tuoi
parametri, è un evento “naturale”, per me, per i
parametri della mia Tradizione ha un significato metafisico e spirituale”. Che
dirgli a solida confutazione? Un po’ come quando si oppone un ateo a un
credente: due posizioni entrambe non dimostrabili, ma solo argomentabili, con
variabili possibilità di parlare al cuore e al cervello in base all’abilità dei
“duellanti”.
Ovvero:
prendiamo il passo di Paolo in Romani, 5, 12 - assunto come base scritturistica
del dogma cattolico della trasmissione del peccato originale, e tradotto in
maniera conforme, mentre lo stesso testo è suscettibile di una traduzione che
vada in senso opposto. L’Ortodosso non ha alcun dogma né un Papa che gli
imponga una delle due interpretazioni: dispone di un tradizione collettiva
vivente e vissuta da più di duemila anni da cui trae orientamento.
Purtroppo
per la pazienza del lettore, non possiamo terminare qui il discorso. La
posizione ortodossa non è focalizzabile nei giusti termini (e anche criticabile)
senza una precisazione, in mancanza della quale rischia di essere visualizzata
in modo conforme ai parametri del Cattolicesimo, la cui estraneità è rilevante.
Innanzi
tutto nell’Ortodossia non esiste la distinzione cattolica fra Chiesa “docente”
(l’ordine clericale, dal Papa in giù) e “discente” (il laicato, a cui si dice
cosa credere). Nell’Ortodossia la
Chiesa è – volendo semplificare – un grande ordine
sacerdotale, in cui ogni Cristiano è anche profeta e sacerdote. La massima
autorità di questa Chiesa, dicono i libri di divulgazione, sta nel Concilio
ecumenico, ma non sempre nei correnti libri di divulgazione si precisa che il
Concilio in realtà è ecumenico solo a
posteriori: giacché l’infallibilità e l’autorità
sono caratteristiche di cui gode solo l'intero corpo ecclesiale. Quindi, i
Concili ecumenici godono della loro autorità non perché sono conformi ad
esterne norme giuridiche,
ma perché il popolo della Chiesa, l’intera Chiesa, li ha riconosciuti come
ecumenici e genuini. Inoltre, c’è il fatto che la vita interna della
Chiesa è vista improntata a una concezione vecchia come l’Ortodossia,
quand’anche espressa oggi col moderno termine russo di sobornost, traducibile letteralmente con “conciliarità,
cattolicità, unanimità”. Un esempio illuminante di questa concezione si ha
nella celebrazione della Liturgia, che è azione sacrale della Chiesa nella sua
totalità: quindi va da sé che un prete – se gli mancassero i co-celebranti
“laici” - non potrebbe celebrarla da solo, stante l’incompletezza del corpo
sacerdotale che costituisce la
Chiesa stessa.
La
sobornost – che per i credenti esprime altresì l’attività dello Spirito Santo
nella collettività religiosa – viene anche a significare la capacità di partecipare, da parte di tutti i gradi e
le funzioni presenti nella comunità ecclesiale (dal laicato all'episcopato), alle
decisioni e funzioni della Chiesa, intesa non come organizzazione o struttura o società di fedeli, ma come
organismo religioso spirituale.
Innegabilmente la storia delle Chiese ortodosse presenta
episodi o fasi di autoritarismo ecclesiastico, che però nella sostanza sono
stati e/o sono abusi, e quindi di illegittimità, alla stregua dei principi
dell’Ortodossia.
Ancora
una volta Occidente e Oriente cristiani sono assai poco simili, proprio laddove
superficialmente gli osservatori sarebbero pronti a giurare il contrario.
Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com