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dal blog di Beppe Grillo |
I risultati delle elezioni comunali non sono affatto
inaspettati. Il dato evidente è l’ulteriore conferma della tendenza alla
crescita dell’astensione: a confronto della precedente tornata elettorale nei
comuni, la partecipazione è crollata di 15 punti di percentuale, dal 77% al 62%
degli elettori. Il crollo è particolarmente forte al Nord (Piemonte, -14 punti;
Lombardia, -18 punti), nella zona «rossa» (Emilia Romagna, -18; Toscana, -20),
nel Lazio (-19 punti); ed è meno marcato nel Mezzogiorno, ma sulla base di una
partecipazione elettorale già più bassa. Nel complesso, il crollo della
partecipazione avvicina, in questo, il Nord e il Sud. All’astensione si
dovrebbero aggiungere le schede bianche e nulle (che erano state circa 1,3
milioni nelle ultime politiche), pari a quasi il 3% dell’elettorato. Il dato
fondamentale è l’ulteriore crollo di credibilità delle elezioni come soluzione
dei problemi politici e sociali. Crollo che, ovviamente, colpisce la
legittimità dei partiti che vi partecipano.
Come si vede dal grafico, prima metà degli anni Novanta
del secolo scorso segnò un’accelerazione nella crescita dell’astensione, particolarmente
forte nelle elezioni regionali (ed europee).
Fonte: data base del Ministero
dell’interno, archivio delle elezioni. R: regionali
Con queste ultime elezioni i risultati delle comunali si
allineano a quelli delle regionali.
È importante tener conto che la crescita dell’astensione
elettorale è un fenomeno internazionale, non solo italiano, riguardante la
totalità dei paesi a capitalismo avanzato (con rilevanti differenze nazionali
nei livelli e ritmi). Si tratta di un fatto macroscopico e significativo della
trasformazione strutturale dei sistemi politici, non riducibile alla
congiuntura economica o al prevalere di partiti particolari, siano detti di
destra o di sinistra. Questa trasformazione può essere indicata come avvento
della postdemocrazia, regime liberale ma caratterizzato dalla
statalizzazione dei partiti e dalla loro convergenza nell’azione di governo. Della trasformazione
postdemocratica l’Italia è un caso di massima avanguardia, nel quale più
evidenti sono gli aspetti degenerativi, corruttivi, castali, antidemocratici
dei sistemi di partito. Essa fu avviata dal centrosinistra, che negli ultimi
due decenni ha condiviso alla pari gli anni di governo col centrodestra (e che
ora con esso ormai governa addirittura congiuntamente, alla faccia
dell’antiberlusconismo con cui ha drogato il proprio elettorato per un intero
ventennio).
In tale contesto postdemocratico, in cui i parlamenti non
fanno altro che legiferare contro i cittadini, non stupisce che cresca il senso
di estraneità nei confronti delle caste politiche e delle procedure elettorali
attraverso cui esse cercano di legittimarsi e di dividersi le spoglie nelle
istituzioni.
Tra il 1994 e il 2006 le fluttuazioni dell’astensione
degli elettori di una delle due coalizioni furono decisive per sancire il
successo del centrosinistra oppure del centrodestra: gli elettori punivano la
coalizione del governo uscente astenendosi. Nel 2008 invece l’astensionismo
colpì entrambe le coalizioni, ma in modo più grave il centrosinistra e,
specialmente, i partiti di sinistra che avevano arrogantemente tradito le
aspettative dei loro elettori; nelle politiche del 2013 la crisi di legittimità
è esplosa con un nuovo e forte balzo dell’astensione degli elettori di entrambe
le coalizioni e il successo del M5S. Essa continua ancora con queste elezioni,
nelle quali sia il centrosinistra che il centrodestra perdono in massa voti,
presagio di un ulteriore tracollo elettorale nelle prossime politiche (come
peraltro ci auguriamo...).
Forte arretramento del Pd, del Pdl e della Lega
rispetto alle politiche del 2013 e alle regionali del 2010
Stando all’analisi dei risultati elettorali in 16 comuni
capoluogo dell’Istituto Cattaneo, rispetto alle politiche 2013 il Partito
democratico perde il 63% dei voti (-243.000) e il 47,6% rispetto alle elezioni
regionali del 2010; analogamente, il Popolo della Libertà perde il 65,8% dei voti
(-163.000) sulle politiche, il 46,5% sulle regionali. Non fa meglio la Lega
nord, che dimezza i voti sulle politiche e perde i due terzi dei voti sulle
regionali.
Dunque, se si vuol dare un significato politico alle
amministrative, si può dire che il governo di «unità nazionale al 42%»
(calcolato sulla base del fatto che ciascuna delle due coalizioni ottenne a
febbraio il consenso del 21% degli elettori), è stato sonoramente punito.
Diciamo che di questo passo le due frazioni maggiori della casta potrebbero
arrivare a totalizzare, insieme, il 20-30% dei voti se si votasse nuovamente per il
Parlamento nel giro di un anno. La crisi di legittimità della casta politica
continua a marciare, ma anche a farsi pericolosa: e la paura di questa continua
perdita di voti e di credibilità sta cominciando a rafforzare lo spirito
unitario d’autodifesa del centrosinistra e del centrodestra nei confronti dei possibili
concorrenti politici (il M5S in primo luogo).
I politici e i giornali che cantano vittoria, specie per
il centrosinistra, utilizzando percentuali calcolate sui votanti diffondono una
truffa: si tratta
di percentuali funzionali all’attribuzione dei sindaci e dei seggi, sulla base
della legge elettorale, ma non riflettono affatto, anzi distorcono fortemente,
il grado reale di consenso politico.
A Roma, ad esempio, calcolando sui votanti il
centrosinistra ottiene il 42,6% e il centrodestra il 30,2%; ma calcolando
sull’insieme dei cittadini con diritto di voto, le percentuali crollano,
rispettivamente, al 21% e al 15%, mentre la lista di Medici non ha il 2,2% ma
l’1,1% e il M5S non il 12,4% ma il 6,3%. In molti capoluoghi il centrosinistra
vince col consenso del 21% degli elettori, massimo il 30%: come nel caso del
governo nazionale non si può certo dire che le giunte siano rappresentative di
una maggioranza. Al contrario, nelle istituzioni oramai si rappresentano
minoranze in caduta effettiva o tendenziale. Tuttavia la procedura elettorale
continua a produrre effetti reali perché, per quanto minoranza nel paese, sono
i partiti di governo, di centrosinistra e di centrodestra, i reali detentori
del potere istituzionale (per il potere reale il discorso è molto diverso e si
rinvia a precedenti lavori di Utopia rossa sul tema). Quel che conta è che
qualcuno voti .
A sinistra dei partiti di governo (i Forchettoni
rossi, per capirci...)
La sinistra che noi definiamo da tempo come
“rossoforchettonica” (Sel, Sinistra arcobaleno, Rif. Com.-Pdci), scrive
l’Istituto Cattaneo, «tiene», il che è già una notizia; anzi, nei 16 capoluoghi
guadagna l’8,8% sulle politiche e il 25% sulle regionali del 2010.
Bisogna intendersi meglio, però. Questa sinistra dalle
aspirazioni governative frustrate è opportunisticamente divisa: a volte è in
coalizione col Pd, a volte no, a volte è unita, a volte no. Sulle politiche,
una crescita complessiva dell’8,8% corrisponde a 163 mila voti, circa lo 0,3%
dell’elettorato. Aggiungendo questi voti ai risultati di febbraio, se la
sinistra dei Forchettoni rossi si presentasse unita arriverebbe al 4% dei voti
sul totale degli elettori e supererebbe il 5% dei votanti (sempre sul 2013).
Questo, tuttavia, se tutto dovesse andargli bene: cosa che la tragicomica lista
Ingroia, la disillusione nei confronti della giunta milanese di Pisapia e la
giusta nausea diffusa nei confronti dei Forchettoni rossi non autorizzano a
prevedere. Ad alcuni risultati positivi in centri minori fa da contrappeso
il macigno dei 30 mila voti in meno rispetto a febbraio delle comunali di Roma,
dato ottenuto sommando i voti di Sel (2,7% degli elettori), in lista col Pd, e
della lista Medici (1,1% degli elettori).
L’arretramento del M5S rispetto alle politiche
Eppure, un lume di speranza per la Casta partitica
italiana, specialmente non-berlusconiana, queste comunali l’hanno acceso:
l’arretramento del M5S che ha perso 2/3 dei voti rispetto alle politiche.
(Non ha invece perso voti rispetto alle precedenti
comunali del 2008, nei pochi casi in cui si era già presentato; anzi ha
guadagnato moltissimo. Ma il confronto non si può fare, vista la scarsa
rappresentatività nelle scorse comunali: se si facesse, però, si dovrebbe
parlare di un loro discreto successo, sia per i circa 400 consiglieri ottenuti,
sia per la quantità complessiva di voti che, pur non essendo quella delle
politiche, è ancora superiore ai livelli che caratterizzavano la Lega, Monti o
le varie alleanze di centro con Casini. E’ evidente la disonestà: se per es. Rifondazione
o Casini avessero ottenuto un tale risultato alle comunali – partendo da zero –
avrebbero gridato alla vittoria e gliela avrebbero riconosciuta anche i media
del sistema. Per il M5S questo risultato viene tenuto gelosamente nascosto:
nessun giornale, che io sappia, ha fatto un confronto tra i dati del 2013 e le
comunali del 2008 – una menzione a parte meritano invece i due editoriali
dedicati al M5S, molto lucidi e onesti, scritti da Travaglio sul Fatto
Quotidiano di oggi e di ieri, 28 e 29 maggio.)
Il voto amministrativo ha le sue particolarità ma, prima
di entrare nel merito degli errori di marketing o di propaganda (di
«comunicazione», come lo chiamano i diretti interessati) del M5S nel mercato
elettorale - dominato da mass media che gli sono, complessivamente ostili
essendo direttamente dipendenti dalla Casta - penso occorra cogliere un
paradosso. E questo consiste nel fatto che si conferma la politicità del voto per il M5S e anche del
non-voto, della scelta astensionistica.
Ricordiamo intanto che in occasione delle politiche, a
ingigantire il successo elettorale del M5S erano confluiti flussi elettorali
provenienti soprattutto (anche se non solo) dal centrosinistra, dall’area
rossoforchettonica e in parte dall’astensione (che comunque era ugualmente
cresciuta nonostante il «salasso» grillino).
L’astensione e il voto per il M5S sono due forme
complementari di esprimere la rottura con la Casta, operazione che non poteva e
non può riuscire a nessun prodotto dell’ingegneria elettoralistica della sinistra
post-Pci e rossoforchettonica. Queste comunali hanno mostrato con discreta
evidenza (lo riconosce anche Mannheimer sul Corriere dando la cifra di un 40%) che,
dopo meno di tre mesi, circa la metà dei voti per il M5S sono tornati o passati
per la prima volta all’astensione. Stando all’analisi dei flussi elettorali in
quattro città dell’Istituto Cattaneo, «a Brescia e ad Ancona circa la metà dei
voti dei 5 stelle del febbraio 2013 sono andati all’astensione, a Treviso un
terzo» (a Barletta, invece, l’astensionismo si è ridotto); l’altra metà dei
voti persi dal M5S rispetto alle politiche sarebbe invece andata agli altri
partiti e alle liste civiche. Con ogni probabilità, ammesso che il ragionamento
su quattro città possa estendersi sull’intero corpo elettorale nazionale, è su
questa seconda metà dei voti persi dal M5S che influisce la specificità delle
elezioni amministrative.
Sui risultati del M5S hanno certamente pesato in modo
negativo la forte personalizzazione (e il clientelismo diffuso) delle elezioni
amministrative in quanto tali, la scarsa notorietà e anche la mediocrità dei
candidati proposti, il rilievo del voto di scambio o «utile», da una parte, e
l’irrilevanza di momenti di propaganda centrati su Grillo dall’altra.
Non è detto però che l’insuccesso debba ripetersi in caso
di elezioni politiche anticipate: il M5S potrebbe non ripetere l’eccezionale
impresa di febbraio, ottenendo però comunque buoni risultati, sufficienti a
creare problemi per la formazione e la stabilità di un nuovo governo della
Casta (unita o separata): fatto auspicabile perché più governabilità significa
attacco sempre più grave alle condizioni sociali della popolazione. La tendenza
alla delegittimazione dei partiti di governo rimane infatti forte, in
proporzione anzi si accentua: quel che potrebbe perdere il M5S potrebbe
guadagnare l’astensione.
Grillo ha fatto benissimo a non collaborare a un
governo di centrosinistra (con o senza Bersani)
Buona parte del cosiddetto «popolo di sinistra» e parte
degli stessi elettori e simpatizzanti del M5S ha rivolto a Grillo la critica
sbagliata: di non aver voluto formare un governo col centrosinistra quando lo
stava implorando Bersani. È una critica assurda perché incapace di cogliere il
fatto che il centrosinistra è un nemico dei lavoratori, dei pensionati,
delle donne, degli studenti al pari del centrodestra. Che ancora non si colga la linea
di continuità reazionaria e antipopolare (il cosiddetto «macello sociale»)
nelle misure prese dai governi di Berlusconi, di Prodi (con o senza Rifondazione,
Verdi e Pcdi), di D’Alema, di Monti è veramente inconcepibile. Che ancora si
agiti lo spettro del berlusconismo, rasenta ormai la soglia dell’imbecillità.
Che non si tiri un bilancio degli attacchi alle conquiste sociali dei
lavoratori da parte anche dei governi di centrosinistra (col sostegno servile
della Cgil), è inaccettabile.
Insomma, per la prima volta nel Parlamento italiano il
Movimento di Grillo ha dichiarato apertamente che centrodestra e centrosinistra
rappresentano la stessa politica reazionaria e che nessuno dei due andava
sostenuto (nessuno lo aveva ancora mai fatto). Anzi, che i partiti principali
che compongono maggioritariamente la Casta (Pd e Pdl) dovrebbero scomparire
dalla scena il prima possibile. A questo sta lavorando Grillo (purtroppo non
capito da tutto il suo movimento) e di questo occorre riconoscergli il merito.
Quindi non esito a dire che si deve sperare ed operare
affinché il M5S continui l’intransigente opposizione parlamentare, l’unica vera
da due decenni a questa parte. Che tale movimento abbia però troppe illusioni
nella possibilità (totalmente infondata) di «riformare” il Parlamento italiano
è un limite da non dimenticare mai, costituendo esso la più grave ipoteca sul
futuro di questo movimento.
Rispetto ai prossimi ballottaggi, la posizione di Grillo
non potrebbe essere più chiara:
«Ogni tanto è bene ribadire che il MoVimento non è un
partito, non fa alleanze con i partiti, né inciuci. Questo vale per i prossimi
ballottaggi dove non appoggeremo la destra e tanto meno la sinistra, tra loro
non c'è alcuna differenza, forse la destra ti prende un po' meno per il culo» (grassetto nell’originale).
I problemi veri sono ben altri che quello del rifiuto
dell’inciucio col centrosinistra, per il quale tanto pregano e hanno pregato i
Forchettoni rossi. Innanzitutto, i militanti del M5S, compresi i candidati, che
sono piuttosto giovani, scontano il fatto di essere cresciuti durante almeno
due decenni di devastazione politica, di cui la sinistra è corresponsabile, con
il suo opportunismo elettoralistico e istituzionale combinato a un
insopportabile nostalgismo per il peggio prodotto dal movimento operaio
internazionale (i vari «socialismi reali») e nazionale (Togliatti e
Berlinguer). Le saltuarie gaffes e le stupidaggini di Grillo e di esponenti del
M5S, così prontamente denunciate o montate in Rete, non sono tanto il frutto di
una precisa visione del mondo ma dell’assenza di una visione complessiva. La
giusta rivendicazione di forme di democrazia diretta si scontra con la cesura
nei confronti della migliore prassi dei movimenti sociali in lotta contro lo
sfruttamento e l’oppressione, in particolare del movimento politico di massa
del 1968. Per questa ragione la protesta contro il potere dei partiti, la corruzione,
la politica antipopolare, rimane sulla superficie della degenerazione del
sistema politico, non ne approfondisce le cause incurabili. Ne è un esempio la
spiegazione moralistica dell’insuccesso elettorale del M5S fornita da Grillo,
per cui
«esistono due Italie, la prima, che chiameremo Italia A, è
composta da chi vive di politica, 500.000 persone, da chi ha la sicurezza di
uno stipendio pubblico, 4 milioni di persone, dai pensionati, 19 milioni di
persone (da cui vanno dedotte le pensioni minime che sono una vergogna). La
seconda, Italia B, di lavoratori autonomi, cassintegrati, precari, piccole e
media imprese, studenti. La prima è interessata giustamente allo status quo.»
A prescindere dall’ingenuo e rozzo schematismo che
caratterizza questa analisi, ci troviamo di fronte all’ennesima riproposizione
delle «due società», di cui fu pioniere Alberto Asor Rosa nel lontano 1977. Due
visioni entrambe sbagliate sul piano sociale e prive di qualsiasi valore
politico. Perché, ad esempio, i dipendenti pubblici non hanno affatto alcun
motivo di essere soddisfatti del padrone statale né sono riconducibili, al
contrario di coloro che della politica hanno fatto professione, ai conservatori
dello status quo. Semmai, questa è un’interpretazione dell’insuccesso che va
contro lo stesso programma di riforme dei servizi pubblici del M5S, che non è
affatto di destra ma di sinistra riformista, come si evince dalla posizione del
M5S sul referendum bolognese sul finanziamento delle scuole: a favore della
scuola pubblica, contro le private. Questa posizione di Grillo sull’insuccesso
elettorale è la spia di un vuoto di visione, di comprensione dei processi
profondi. Su questo i militanti del M5S hanno moltissimo da recuperare.
Il problema di fondo del M5S come movimento è però quello
di tenersi ancorato, nonostante la novità di cui è portatore, a un vecchio,
obsoleto e letale mito di sinistra. Scrive Grillo il 29 maggio, post «Ne
resterà soltanto uno»:
«L'obiettivo del M5S è di cambiare il Sistema, le regole del gioco, di
introdurre nella Costituzione strumenti di democrazia diretta, oggi totalmente
assenti o disattesi».
Ecco, quel che potrà rovinare il M5S, come già la sinistra
post-Pci (che in verità nacque già rovinata dai parlamentari cossuttiani,
ingraiani, dalle burocrazie sindacali e dai funzionari falliti-in-carriera del
Pci) è l’illusione di poter cambiare il sistema per via elettorale e
istituzionale, di poter introdurre strumenti di democrazia diretta in uno Stato che è non
solo è congenitamente avverso a questi strumenti ma è pure strutturalmente
postdemocratico nelle sue ossa.
Necessità di rompere con l’elettoralismo dei partiti
(tutti) e di lottare per l’Antiparlamento dei movimenti
La cosa migliore che potrebbe fare Grillo è andare oltre
la rottura con la Casta e il suo sistema di manutengoli, rompendo anche con il
meccanismo elettorale. Alla lunga la partecipazione alle elezioni trasformerà
il M5S in un partito, diverso da altri ma pur sempre partito: il M5S non è
figlio della Vergine Maria e, come altre organizzazioni politiche e sindacali,
è soggetto alle pressioni della burocratizzazione e dell’integrazione nel
sistema. I Forchettoni rossi italiani ne sono un esempio e Grillo farebbe bene
a leggere il libro di analisi che come Utopia rossa dedicammo al fenomeno della
burocratizzazione «rossa» all’interno della società capitalistica. Gli sarebbe
molto utile, nel contesto attuale e rispetto ai fenomeni di degenerazione che
già si delineano all’interno dei suoi gruppi parlamentari.
(Tra l’altro, va ricordato che quando facemmo quel libro
nel 2007, Roberto Massari scrisse a Grillo proponendogli di collaborare alla
stesura del libro. Grillo non rispose ed è stato un vero peccato perché
quell’esperienza lo avrebbe aiutato a costruirsi una visione più matura e più
disincantata dei meccanismi parlamentari ed elettoralistici all’interno della
società del capitale. Ma non è mai troppo tardi, diceva un noto programma
televisivo... E il Forchettonismo rosso è sempre dietro l’angolo, in agguato e
pronto a profittare delle evidenti lacune e debolezze del M5S.)
Oppure, la partecipazione alle elezioni e la presenza
istituzionale ne causerà la lacerazione o la dispersione, perdendo voti verso
l’astensione (processo tutto sommato positivo), ma anche, come in queste
comunali, verso il voto «utile» e di scambio (processo negativo) meglio
rappresentato dal Pd e dal Pdl che di clientelismo sono cresciuti, si nutrono e
continueranno a farlo sino alla fine dei loro giorni.
Se questa prognosi è corretta, si confermerebbe la giustezza
della prospettiva politica dell’Antiparlamento dei movimenti sociali, anticasta, di lotta contro le
istituzioni e il padronato, del tutto al di fuori e contro le illusioni
elettoralistiche. Resta da augurarsi che prima o poi anche il Movimento 5Stelle
arrivi a porsi sul terreno di una lotta alternativa alle istituzioni
parlamentari esistenti, dalle quali escono ormai da vari decenni – e
continueranno a uscire nel futuro - solo leggi antisociali e antidemocratiche.
Questo Parlamento è un nemico e non un luogo neutro in cui confrontarsi. Le
elezioni politiche sono uno strumento totalmente controllato da questo nemico e
dai partiti che lo compongono. La dichiarazione di guerra al sistema dei
partiti che il M5S ha lanciato, dovrà portarlo prima o poi sul terreno
dell’Antiparlamento. Prima ciò accadrà, meno prezzi pagheranno i lavoratori e
le lavoratrici italiane.
Istituto Cattaneo, Elezioni amministrative 26-27 maggio
2013. Tutti i partiti perdono consensi rispetto alle precedenti elezioni
politiche e regionali. Crolla il M5s e anche il Pdl, il Pd e la Lega. Tiene la
Sinistra, http://www.cattaneo.org
Istituto Cattaneo, Elezioni comunali del 2013. I flussi
elettorali in quattro città: Brescia, Treviso, Ancona e Barletta, http://www.cattaneo.org
Michele Nobile, «I risultati elettorali confermano e
accelerano il disfacimento del sistema parlamentare italiano, 26 febbraio 2013,