1. Rosa Luxemburg e il primo partito
rivoluzionario europeo: il Sdkpil
Occorre correggere un luogo comune circa la storia dei partiti socialisti della Seconda internazionale: ovvero che la frazione bolscevica del Partito operaio socialdemocratico russo (Posdr) sia stata la prima, se non l'unica e la più coerente, organizzazione rivoluzionaria dell'epoca. Innanzitutto, occorre considerare delle date.
Il gruppo al quale aderì il giovane Lenin (n. 1870) nel 1894-95, Liberazione del lavoro, era stato fondato nel 1883; il Posdr venne costituito nominalmente nel 1898, ma il congresso che fondò realmente la socialdemocrazia russa come organismo vitale e con continuità organizzativa fu quello del 1903, lo stesso nel quale iniziarono a definirsi le frazioni bolscevica e menscevica (uso il termine socialdemocrazia nel significato dell'epoca, precedente la separazione prodottasi nel 1914-1919 tra socialdemocratici e comunisti, quando era semplicemente e unanimemente sinonimo di partito socialista).
La storia del «primo» Proletariat, primo partito socialista nella parte polacca dell'impero russo, si svolse tra il 1882 e il 1886, anno nel quale tre suoi dirigenti vennero impiccati dall'autocrazia zarista; il suo principale teorico, Ludwik Waryński, era già stato arrestato nel 1883 e morì in carcere nel 1889.
Il «secondo» Proletariat venne fondato nel 1888; nel 1892 i resti del Proletariat e altri organismi si fusero
nel Partito socialista polacco (Pps). Il Pps sosteneva l'indipendenza e la riunificazione delle tre parti nelle quali la Polonia era divisa, ma un piccolo gruppo di militanti si oppose decisamente a questo obiettivo: per far conoscere le proprie posizioni antinazionaliste diede vita alla rivista Sprawa Robotnicza («Il problema operaio»), stampata a Parigi. Si trattava di Adolf Warski (1868-1937), Leo Jogiches (1867-1919), Julian Marchlewski («Karski», 1866-1925) e Rosa Luxemburg (1871-1919), mente e portavoce dei dissidenti. A ventidue anni Luxemburg fece un tempestoso ingresso sulla grande scena del socialismo europeo, battendosi senza successo nel congresso dell'Internazionale per il riconoscimento del proprio mandato in rappresentanza di Sprawa Robotnicza; nel 1894 venne costituita a Varsavia la
Socialdemocrazia del regno di Polonia (Sdkp; dal 1899 Sdkpil, in seguito alla fusione con l'organizzazione lituana diretta da Feliks Dzierżyński, il futuro capo della Čeka sovietica); nel 1898 Rosa fu la più brillante avversaria di Bernstein, teorico del riformismo, conquistandosi così una posizione di primo piano nel dibattito del più forte partito operaio del mondo, il Partito socialdemocratico tedesco.
La Sdkp era piccola, diretta da emigrati (come il Posdr) ed estremamente vulnerabile, «una testa priva di corpo» fino al 1900, scrisse Nettl; peggio ancora, la sua inflessibile avversione programmatica al nazionalismo polacco, contrastante con la tradizione democratica e socialista ottocentesca antirussa, le conferiva un sorprendente carattere eterodosso, aggravato dall'incorreggibile propensione a polemiche disturbanti il tranquillo procedere dei congressi internazionali; per i grandi nomi dell'Internazionale e il Bureau socialiste internationale le diatribe russe e polacche erano noiose seccature, che potevano essere viste come l'opera di petulanti e intriganti. Non c'è dubbio, però, che la strutturazione del socialismo polacco in partiti ben definiti precorse quella del socialismo russo; e che il vate del marxismo russo Plechanov, con Kautsky allora considerato il più autorevole erede teorico di Marx, fu ferocemente ostile al nuovo partito polacco.
Queste ultime osservazioni vanno già oltre la mera questione cronologica. Quando si consideri la qualità programmatica e la coerenza del socialismo internazionalista polacco, il primato rivoluzionario russo è anche più discutibile.
Il «primo» Proletariat nacque come partito rivoluzionario, classista e assolutamente ostile alle pretese di far rinascere uno Stato polacco indipendente: riteneva che i destini del proletariato polacco e di quello russo fossero inscindibili e che nei diversi «teatri» dell'Impero la lotta dovesse condursi con gli stessi metodi. Ma allora in Russia non esisteva un partito socialdemocratico: a condurre la lotta contro l'autocrazia zarista era una particolare formazione rivoluzionaria, la populista Narodnaja Volja («Volontà del popolo»). E fu proprio a causa di una visione integralmente internazionalista della rivoluzione polacca che il «primo» Proletariat tentò di applicare la stessa
tattica terroristica dei populisti russi, ma con risultati tanto insignificanti quanto invece furono «spettacolari» quelli della Narodnaja Volja.
Del Proletariat la Sdkp rivendicava la visione internazionalistica e il principio dell'assoluta autonomia politica del proletariato dalla borghesia; ma rompeva con la pratica terroristica che era, innanzitutto, frutto dell'arretratezza del movimento operaio russo. Come i democratici europei, Luxemburg stimava il coraggio e l'abnegazione dei terroristi populisti e dei militanti del Proletariat, riconoscendo loro di aver assolto, in un dato momento storico, un ruolo di espressione e di catalizzazione del risveglio politico: ma il metodo blanquista degli eroici attentati non era adeguato allo sviluppo del movimento sociale della classe operaia (1).
La critica del blanquismo del «primo» Proletariat fu alla base del principio che pervade la riflessione e l'azione di Rosa Luxemburg: il nesso indissolubile tra il fine dell'autoemancipazione dei salariati e la possibilità di formare una coscienza rivoluzionaria di massa solo nell'esperienza diretta di grandi lotte. Stessa origine avevano la sua visione del rapporto tra avanguardia politica organizzata e movimento di massa del proletariato, la cui forma matura scaturì dalla rivoluzione russa e polacca del 1905, e la sua opposizione alla concezione leniniana del partito (in effetti di derivazione kautskiana) espressa nel Che fare?
Luxemburg vedeva operare una logica simile sia nel Che fare? di Lenin, con il suo centralismo esasperato e la pretesa che la coscienza rivoluzionaria potesse venire «inoculata» dall'esterno nella classe, sia nel terrorismo della Narodnaja Volja: quella della sostituzione dell'auto-organizzazione del movimento operaio durante la lotta con l'azione e la direzione dall'alto da parte di un apparato.
2. Rosa Luxemburg e la «questione nazionale»
Altra grande divergenza tra Rosa Luxemburg e Lenin fu, notoriamente, quella circa il diritto di autodeterminazione dei popoli, in particolare rispetto alla «Polonia del Congresso» (annessa all'impero russo). Questione che, geneticamente e nel merito delle argomentazioni, risente molto, per entrambi, delle differenti collocazioni nazionali dei due grandi rivoluzionari internazionalisti.
La posizione di Lenin era assolutamente inequivoca. Il fatto che l'autodeterminazione sia stato il campo della sua «ultima battaglia» (contro Stalin e i suoi accoliti), in questo caso ammettendo la possibilità
della separazione di una nazionalità anche da uno Stato socialista, dovrebbe essere sufficiente a cancellare qualsiasi dubbio circa il fatto che per il rivoluzionario russo quello dell'autodeterminazione fino alla separazione era un diritto non condizionato da alcuna circostanza e indipendente dalla natura della direzione politica del movimento nazionale (2). La socialdemocrazia rivoluzionaria poteva non sostenere in qualsiasi caso l'opportunità della separazione, ma questa rimaneva un diritto inalienabile dei popoli in lotta per la propria liberazione. Nessun popolo doveva essere costretto a «sposarne» un altro.
Ma anche sulla questione nazionale il pensiero di Lenin è stato metamorfizzato e il suo nome usato come quello di un'auctoritas teologica medievale per coprire posizioni opposte.
Tra gli esempi più gravi in questo senso si possono fare quelli del patto tra Hitler e Stalin per la quarta spartizione della Polonia, nel 1939, e il genere di «internazionalismo proletario» avanzante su carri armati praticato dall'Unione Sovietica in Ungheria, Cecoslovacchia e Afghanistan, o dalla Cina in Tibet.
Il valore della posizione di Lenin risiedeva nel fatto che
essa stabiliva una linea di demarcazione inviolabile nei confronti dello sciovinismo
imperiale, mettendo con le spalle al muro l’opportunismo politico: nei
confronti di un movimento di liberazione nazionale ci si doveva collocare o da
una parte o dall’altra.
Detto questo, occorre fare delle precisazioni.
Primo. Nella riflessione di Rosa Luxemburg erano
sempre presenti insieme due esigenze,
sulle quali si espresse spesso, forte e chiaro: quella della congruenza tra la
tattica operativa e la finalità liberatoria del socialismo; e quella, alla
quale forse i commentatori hanno prestato meno attenzione, della praticabilità degli obiettivi politici.
La «praticabilità» per una rivoluzionaria come Luxemburg ovviamente non era
quella del basso cabotaggio politico o di chi si arrende a un «rapporto di
forze sfavorevole» inclinando volentieri al compromesso. Si riferiva, invece,
al fatto che un obiettivo determinato, per quanto di difficile realizzazione,
deve sia costituire soluzione concreta di problemi reali sia muoversi nella
direzione generale dello sviluppo storico.
Finalità etico-politica e realismo storico erano in lei
inseparabili. Indipendentemente dal giudizio di merito, sul piano del metodo è per questa ragione che
Luxemburg sosteneva, in polemica con Lenin, che la lotta per la ricostituzione
dello Stato polacco avrebbe allontanato la classe operaia polacca tanto dalla realizzazione dei suoi compiti
immediati quanto da quelli ultimi, che il principio di autodeterminazione
non avrebbe fornito alcuna indicazione per
la pratica quotidiana del proletariato, che la generica formula del paragrafo 9 del programma del partito russo
«non costituisce in realtà un’indicazione politica e programmatica
relativamente alla questione nazionale, ma è un modo di sfuggire a questo problema» (3).
Secondo. Contro certe «sentenze» superficiali e
strumentali, occorre ribadire con forza che Rosa Luxemburg non sottovalutava affatto la questione nazionale.
Sensibilissima all’interclassismo nazionalista, era anche
convinta che la liberazione delle nazionalità fosse un valore di civiltà.
Quest’ultimo, però, non veniva fatto discendere da quello che Rosa giudicava il
metafisico «diritto delle nazioni», «ma dall’opposizione generale a un sistema
di classe, a ogni forma di disuguaglianza sociale e di dominazione sociale, in
breve dalle stesse fondamentali posizioni del socialismo». Non ci si potrebbe
aspettare di meno da colei che, nello stesso documento in cui criticava la
politica di autodeterminazione nazionale del bolscevismo al potere, scriveva:
«la libertà solo per i seguaci del governo, solo per i membri di un partito –
per numerosi che possano essere – non è libertà. La libertà è sempre unicamente
la libertà di chi la pensa diversamente» (4). Per Rosa il socialismo era
amplificazione qualitativa della libertà e, quindi, l’unico contesto nel quale
potesse darsi anche effettiva liberazione dall’oppressione nazionale. Il nocciolo del problema non era se doveva
darsi lotta per la libertà della nazionalità polacca, ma la forma che essa
doveva assumere. Per Lenin la libertà nazionale poteva darsi anche come
separazione in un distinto Stato polacco; per Luxemburg no.
Terzo. La differenza tra le posizioni di Lenin e
Rosa Luxemburg non va irrigidita in una dicotomia tra alternative
inconciliabili. Si trattava, invece, di punti di vista che esprimevano due
priorità differenti, ma entrambe interne
a una medesima prospettiva classista e internazionalistica. La priorità di
Lenin era la lotta al nazionalismo imperiale grande-russo; quella di Luxemburg
la lotta al nazionalismo piccolo-borghese e interclassista polacco.
In quanto partito della nazionalità dominante, il
bolscevismo aveva il dovere di
contrapporsi frontalmente allo sciovinismo imperialista grande-russo e quindi
di sostenere la libertà di autodeterminazione delle nazionalità anche fino alla
separazione: una posizione diversa da parte di un partito di uno Stato
imperialistico non può che risultare sciovinista o pericolosamente ambigua.
D’altra parte, il partito polacco-lituano, espressione di
nazionalità oppresse, aveva pure il diritto
di dichiararsi per il mantenimento, su basi democratiche, dell’unità statale
tra la Russia e i territori polacchi e lituani. Su quest’ultimo diritto
Luxemburg e Lenin convergevano; la polemica, invece, si inaspriva a proposito
del precedente dovere e sullo status dell’obiettivo dell’autodeterminazione nel
programma della socialdemocrazia russa.
Di fronte a un movimento di massa che si batte per l’indipendenza statale-nazionale (che è
molto di più che la lotta per l’uguaglianza tra nazionalità in seno alla stessa
entità statale) la linea di Lenin è politicamente più forte e più chiara di
quella di Luxemburg perché non lascia dubbi su quale fronte schierarsi;
l’impostazione di Luxemburg era invece orientata a prevenire la lotta per l’indipendenza statale-nazionale nei casi in
cui la vitalità storica di questa fosse discutibile.
Per definire correttamente i termini fraterni del
disaccordo tra Rosa Luxemburg e Lenin sulla questione è di grande utilità
leggere il bilancio della discussione sull’autodeterminazione nazionale che il
secondo scrisse nell’ottobre 1916. Qui Lenin riconosceva che i marxisti
polacchi (e olandesi) erano tra i migliori del socialismo internazionale e che
il loro contributo militante di rivoluzionari e internazionalisti alla lotta
contro l’imperialismo fosse di grandissimo valore. Inoltre, interpretava la
posizione dei polacchi sulla questione nazionale anche come effetto della
peculiare posizione e storia del loro paese, che un tempo era stato più potente
della Russia, nel quale i proprietari fondiari polacchi ancora sfruttavano i
contadini ucraini e ruteni e la borghesia il proletariato ebraico; per Lenin
era ovvio che la posizione della Polonia la destinava ad essere un campo di
battaglia tra Russia e Germania oppure, come si illuderà durante la guerra
sovietico-polacca del 1920, un ponte fra rivoluzione russa e rivoluzione
tedesca.
Nel vivo della guerra mondiale Lenin giunse a dar ragione ai polacchi per la loro lotta
contro l’obiettivo dell’autodeterminazione della Polonia perché, in quel momento storico, esso sarebbe
stato una diversione rispetto alla questione vitale della costruzione
dell’unità della lotta dei proletariati di Germania, Polonia, e Russia.
Quarto. Rosa Luxemburg non era contraria
all’indipendenza statuale delle nazionalità dominate in ogni e qualsiasi
occasione. Fin dagli anni Novanta del XIX secolo era stata favorevole alla
disgregazione dell’Impero ottomano in Stati nazionali. L’argomento decisivo
usato da Luxemburg in merito al diritto di autodeterminazione, in effetti
comprensivo degli altri, era quello del significato dell’indipendenza di una
nazione per il progresso storico della stessa e, quindi, dell’umanità.
Era una posizione coerente con la concezione dello
sviluppo capitalistico come ineguale e combinato che, in modi diversi, veniva elaborato
da Lenin e, più conseguentemente, da Trotsky (5). La teoria e la parte storica
de L'accumulazione
del capitale. Contributo alla spiegazione economica dell’imperialismo, e l’analisi delle alleanze e delle spinte alla guerra
del 1914 condotta ne La crisi della socialdemocrazia (Juniusbroschure), conseguono proprio dall’attenta considerazione
delle specificità nazionali nel quadro di un sistema mondiale che nella sua dinamica riproduce i dislivelli
delle condizioni sociali, dello sviluppo economico e tecnico-scientifico, della
potenza politico-militare (sistema
che è qualcosa di più della somma di relazioni inter-nazionali, così come
dell’idea di un mondo «globalizzato» perché i suoi diversi elementi tendono a
convergere nel livello di sviluppo).
Quinto. L’obiettivo dell’indipendenza della Polonia
non veniva respinto da Luxemburg in nome di una qualche forma di astratto
internazionalismo ideologico. Il suo approccio alla «questione nazionale» e
all’opportunità dell’esistenza di un particolare Stato nazionale era
decisamente storico e relativistico: «anche all’interno dello stesso paese la
questione nazionale trasforma, con il passare del tempo, il suo carattere e ciò
dev’essere seguìto da una modificazione del giudizio che si dà su di essa» (6).
In particolare sulla questione polacca le argomentazioni di Luxemburg erano precise e
documentate, secondo due linee
interdipendenti. La prima era quella delle trasformazioni della struttura
sociale e della dinamica politica delle diverse classi sociali; la seconda si
fondava sullo studio dei rapporti economici tra Polonia e Russia, in
connessione con gli obiettivi di politica interna ed estera del governo
zarista.
Cosa diceva a questo proposito Rosa Luxemburg?
3. La posizione di Luxemburg
sull’indipendenza della Polonia.
Con un termine moderno si può dire che la rivoluzionaria
polacca analizzò un caso particolare, intimamente contraddittorio e quindi in
definitiva fallimentare, di developmental State o Stato «sviluppista»: quello imperiale zarista. Obiettivo prioritario
dello zarismo era cancellare la resistenza nazionale della szlachta (la nobiltà) polacca:
«Nel perseguire
questo obiettivo l’assolutismo russo scorse, ora, un opportuno alleato nella borghesia
industriale polacca. Legare la Polonia attraverso interessi materiali alla
Russia e in una classe capitalistica, appena sorta sotto l’ala della nobiltà
russa – classe che, non essendo nazionale
per mancanza di ogni tradizione del passato, ma essendo servile in forza degli
interessi del suo futuro, sarebbe stata disposta a fungere da contrappeso
al fermento nazionale della nobiltà – questo era l’obiettivo della politica
russa che essa perseguì con abituale ferrea conseguenza» (7).
Ragion per cui
«nulla venne tralasciato per trasformare la nobile e ribelle Polonia in una
Polonia capitalistica e doma». Dunque,
nella «Polonia del congresso» il capitalismo si sviluppava non nonostante, ma
proprio in forza della sua integrazione economica con la Russia, realizzata
attraverso la politica economica zarista, in particolare l’eliminazione del
confine doganale (1851); la costruzione delle ferrovie; l’abolizione della
servitù della gleba in Russia (1861) e in Polonia (1864) con i conseguenti
effetti sulla disponibilità di manodopera proletaria e sul mercato interno dei
beni di consumo; l’involontaria spinta modernizzatrice derivante dalla guerra
di Crimea. La borghesia polacca doveva la propria esistenza all’assolutismo e,
da parte sua, «ringraziava» lo zarismo russo col «tradimento» del movimento
nazionale polacco e col fungere, attraverso le esportazioni industriali, da
principale agente dell’autocrazia russa in Asia, specialmente in Persia.
Tra la borghesia industriale polacca e quella russa non
esisteva, secondo Luxemburg, una contrapposizione di interessi su base
nazionale:
«nessuna delle
due classi nazionali di capitalisti ci appare come una falange intimamente
compatta; bensì ci appare divisa, lacerata da lotte d’interesse, profondamente
incrinata da rivalità. E d’altra parte i diversi gruppi, immemori delle
rivalità nazionali, si porgono la mano per poter meglio assestare, nella nobile
competizione per il profitto, eventualmente, qualche colpo alla borsa dei
propri compatrioti. Ciò che, in questo modo, compare sulla scacchiera
industriale sono non dei contrapposti
partiti nazionali, bensì dei contrapposti partiti capitalistici, non
polacchi e russi, bensì filatori e tessitori, ingegneri meccanici e proprietari
terrieri e sulle bandiere che sventolano
al di sopra dei combattenti, in luogo dell’aquila a una o due teste, si vede
solamente l’emblema internazionale del capitalismo» (8).
Per quanto riguarda la dinamica politica delle classi, per Luxemburg «in
Polonia non esiste alcuna classe che abbia un concreto interesse nella
ricostituzione della Polonia e che, nel contempo, abbia anche la forza di
mettere in primo piano tale interesse» (9). Della borghesia industriale si è
detto; i contadini erano ostili alla nobiltà e potevano perfino considerare lo
zarismo come «liberatore» dalla servitù. Le uniche frazioni di classe politicamente nazionalistiche erano la piccola
borghesia artigianale povera e arretrata, e quella parte dell’intellighenzia borghese, «reclutata in
massima parte tra la nobiltà e la piccola borghesia», le cui possibilità di
carriera erano danneggiate dalla russificazione, «entrambe momenti fluttuanti,
entrambe solo stadi di transizione e quindi incapaci di dare corpo e vita ai
loro ideali politici» (10).
Quanto al proletariato, Luxemburg respingeva
l’analogia tra l’Europa occidentale e la Polonia. Lì, diceva, il proletariato
può far propri gli obiettivi democratici traditi dalla borghesia, inserendosi
nella grande corrente storica da essa iniziata; ma in Polonia, la lotta per
l’indipendenza «non fu propriamente tradita dalla borghesia dato che non fu
mai il suo ideale. Essa fu l’ideale del periodo precapitalistico, nobiliare, basato sull’economia naturale» (11).
Un obiettivo, l’indipendenza, che avrebbe dunque posto il proletariato in
contrasto con l’evoluzione storica, volta all’integrazione tra la Russia e la
«Polonia del Congresso».
Per i rivoluzionari polacchi la rivendicazione
dell’indipendenza polacca non solo andava, obiettivamente, in senso contrario
alla dinamica reale della storia, ma avrebbe portato a subordinare la lotta dei
proletari polacchi alla direzione della piccola borghesia nazionalista. Questa
era la ragione del loro irriducibile antagonismo nei confronti del Pps.
Inoltre, da quando la Rzeczpospolita polacco-lituana era stata smembrata le sue
diverse parti si erano organicamente legate alle sorti dei tre Imperi che le
dominavano. Essendo le condizioni politiche e sociali nei tre Imperi tanto
diverse, e condividendo le classi dominate di nazionalità polacca lo stesso
destino delle classi dominate della Germania, della Russia e dell’Austria,
obiettivi e ritmi della lotta politica non potevano che essere diversi anche
nelle tre aree della spartizione. Ne conseguiva anche che, a meno di non porre
al centro di tutta l’azione politica la rivendicazione della costituzione di
uno Stato polacco borghese e indipendente, risultava impossibile unire in un unico partito il proletariato di lingua
polacca. La difesa della nazionalità polacca nei tre Imperi poteva darsi solo
come parte della lotta per le libertà democratiche dei tre diversi proletariati
nei rispettivi Stati. I lavoratori di Polonia e di Russia non dovevano, quindi,
dividersi sulla questione nazionale, ma condurre un’unica guerra sociale per il
rovesciamento dello zarismo, la conquista della democrazia e, in prospettiva,
la rivoluzione socialista:
«L’integrazione
capitalistica tra Polonia e Russia ha come risultato finale qualcosa che
governo russo, borghesia polacca e nazionalisti polacchi non prendono in
considerazione nella stessa misura: l’unificazione del proletariato polacco e
russo a futuri curatori fallimentari della bancarotta, prima del dominio
zarista russo, e poi del dominio capitalista polacco-russo» (12)
È un fatto che lo Stato polacco indipendente non sorse in
forza di una rivoluzione nazionale ma come sottoprodotto della rivoluzione in
Russia e della sconfitta della Germania e dell’Austria nella Prima guerra
mondiale. I suoi confini si definirono negli anni tra il 1918 e il 1920
attraverso una serie di guerre locali che furono parte del processo di
costruzione statale nell’area: con la Germania, la Cecoslovacchia, la Lituania,
l’Ucraina, la Russia.
Il nuovo Stato polacco fu subito la pietra angolare del
«cordone sanitario» costruito intorno alla Russia rivoluzionaria. Dominato da
una destra autoritaria, il nazionalismo si espresse nel
senso della restaurazione dell’antica Rzeczpospolita: l’attacco all’Ucraina comandato nel 1920 da Piłsudski, dal 1926 dittatore di
fatto, rispondeva ideologicamente ad una visione jagellonica (tra il 1386 e il
1572 la dinastia degli Jagelloni aveva regnato su un «impero» di fatto che si
stendeva dal mar Baltico al mar Nero e su gran parte dell’Ucraina: al suo
culmine era il più vasto regno europeo).
Invece, la burocrazia della Polonia «socialista», che
aveva iniziato a costruire la propria posizione di potere intorno ai carri
armati sovietici durante la guerra mondiale, cercò di crearsi una legittimità nazionale
rivalutando il primo regno polacco dell’epoca Piast (secoli X-XIV).
4. Riassumendo.
a) Pur tenendo conto dell’ovvia fragilità della vita di un
organismo che nasceva in ambiente fortemente ostile, a cui del resto era
soggetto anche il Posdr, non solo la Socialdemocrazia del Regno di Polonia si
organizzò prima di quella russa, ma in essa la netta separazione organizzativa
tra la corrente rivoluzionaria e quella socialista-nazionale precorse di dieci anni la separazione del Partito
russo in menscevichi e bolscevichi; fatto più importante, la Sdkp nacque con
basi programmatiche molto chiare, inerenti la sostanza della rivoluzione
polacca, impossibili da confondere con manovre di potere personale; cosa
quest’ultima che, invece, non può dirsi della genesi della frattura nel partito
russo, a meno che non si trasformi in feticcio una data forma e modalità di
funzionamento dell’organizzazione politica e non si veneri il Che fare? di Lenin come un testo sacro
dalle formule taumaturgiche. L’unico
contenuto politico che Luxemburg e Trotsky scorgevano nella posizione
leniniana sul partito era il
sostituzionismo «giacobino».
b) La posizione di Rosa e del Sdkpil all’interno del
socialismo dell’Impero russo era in contrasto con la prassi bolscevica
nell’ambito dell’organizzazione, ma con essa convergente per quanto riguarda i
contenuti politici (ad eccezione del principio di autodeterminazione nazionale e della
politica agraria). L’enfasi sul valore della dinamica autonoma della lotta di
classe e sul carattere dialettico del rapporto tra avanguardia e movimento di
massa avvicinava Rosa alla concezione trotskiana della rivoluzione russa come
tendente a trascendere i limiti della democrazia borghese. Nella frazione
bolscevica lo «stadismo», invece, fu duro a morire e, in fondo, non morì mai
del tutto, riaffiorando in forma «perversa», in effetti menscevica piuttosto
che leninista, nell’orientamento staliniano della politica estera sovietica
(nella quale è compresa l’azione dei partiti del Komintern) verso la collaborazione
con i governi imperialistici e le rispettive borghesie.
c) Il contributo che Rosa Luxemburg diede al marxismo
rivoluzionario internazionale attraverso la sua battaglia nel Partito tedesco
fu inestimabile. Luxemburg era l’unica che potesse confrontarsi ad armi pari
con Lenin e Trotsky; allo stesso modo, non possono esserci dubbi sul fatto che
sarebbe stata fin dal primo momento un’avversaria implacabile della deriva
della Rivoluzione russa e dello stalinismo. Se Rosa fosse sopravvissuta,
l’antistalinismo rivoluzionario del XX secolo avrebbe assunto una
configurazione diversa e con ogni probabilità sarebbe stato molto più forte e
più incisivo nelle crisi politiche tra le due guerre mondiali.
Una delle prime e più importanti operazioni dello
stalinismo su scala internazionale fu l’estirpazione dell’eredità
luxemburghiana dal Partito comunista tedesco; in generale, la costruzione
staliniana di una presunta «ortodossia leninista» non poteva fare a meno
innanzitutto di ridurre l’elaborazione di Rosa Luxemburg a una imperfetta
approssimazione al «leninismo» e poi di contrapporglisi.
Le critiche luxemburghiane al bolscevismo al potere,
specialmente riguardo alla democrazia socialista, erano totalmente organiche
alla riflessione e all’azione di tutta una vita. L’idea che esse sarebbero poi
state «ritirate» da Rosa è risibile; non è che il risultato di una logica di
pensiero diretta a costruire una (propria) «ortodossia», ostacolo quasi
insormontabile all’apprendimento delle lezioni di quello che nei primi del Novecento
era un campo aperto e fluido di discussione su tutti i temi fondamentali della
politica rivoluzionaria.
Il «fantasma» di Rosa Luxemburg è certamente uno degli
elementi da valutare per comprendere quel che poi Stalin farà al Partito
comunista polacco.
d) Il rigoroso classismo del Sdkpil era tutt’uno con la
visione della rivoluzione antizarista e socialista come parte di un unico
processo multinazionale che avrebbe dovuto coinvolgere l’intero territorio
dell’Impero zarista.
Molti rivoluzionari polacchi parteciparono, spesso con un
ruolo di primo piano, alla lotta politica in Germania in Russia (e poi
nell’Urss). Si trattava di qualcosa che non conseguiva solo dall’esilio,
forzato o volontario: piuttosto, nel microcosmo delle vicende personali sembra
esprimersi attivamente la storia polacca, con le sue inclinazioni culturali e
le tensioni politiche internazionali che le davano forma.
La storia ha dimostrato quanto fosse giusta la tesi
luxemburghiana dell’inscindibilità dei destini della rivoluzione polacca e di
quella russa, che era la ragione dell’esistenza del Sdkpil; al contrario, dal
socialismo nazionalista del Pps emerse il dittatore Piłsudski. Ma la dimostrazione si è data in modi
imprevedibili e terribili, nei quali le tragedie umane e politiche si combinano
con la beffarda ironia della storia.
Durante il Grande Terrore sovietico del 1937-1938, nel quale si
combinarono purghe dell’élite politica, «operazioni di massa» contro le più
diverse categorie di persone definite «socialmente pericolose» e operazioni di
«pulizia» di gruppi etnici non-russi, i quadri del Partito comunista polacco
vennero uccisi a centinaia insieme a oltre centomila polacchi e cittadini
sovietici di origine polacca. Fatto unico, il partito venne formalmente
dissolto dall’Esecutivo del Comintern, con quelli federati dell’Ucraina
occidentale e della Bielorussia occidentale.
Si riproponeva così una «questione polacca» frutto della forma più
estrema di violenta e paranoide affermazione del dominio russo nell’ambito del
Comintern, del timore da parte della casta burocratica di disordini e rivolte
contadine nelle aree frontaliere tra Ucraina sovietica e Ucraina occidentale
polacca, forse la previsione di Stalin di una possibile quarta spartizione
della Polonia, questa volta con la Germania di Hitler.
Sono argomenti dei prossimi articoli.
Note.
1) Rosa Luxemburg,
«Relazione al III Congresso dell’Internazionale socialista dei lavoratori, a
Zurigo 1893, sulla situazione e lo sviluppo del movimento socialdemocratico
nella Polonia russa dal 1889 al 1893», Sprawa
Robotnicza, s. d.; in Questione
nazionale e sviluppo capitalista, Jaca Book, Milano 1975, p. 31.
2) Il riferimento è a Moshe Lewin, L'ultima battaglia di Lenin, Laterza, Bari 1969. Il definitivo chiarimento sul «testamento» di Lenin è di
Luciano Canfora, La storia falsa, Rizzoli, Milano 2008 e nell’introduzione dello stesso a Salvatore
Aponte, Il Corriere tra Stalin e
Trockij. 1926-1929, Fondazione Corriere della sera, Milano 2010. Si veda
anche Roberto Massari, «L'autodeterminazione dei popoli, l'ultima battaglia di Lenin e il Tibet» (6 aprile 2008), utopiarossa.blogspot.it.
3) «La questione
nazionale e l’autonomia», in Scritti
scelti, a cura di L. Amodio, Einaudi, Torino, 1976, p. 272.
4) La prima citazione di Luxemburg è da «La questione nazionale e l’autonomia», cit., p. 272; la
seconda da La
rivoluzione russa. Un esame critico,
introduzione e cura di Roberto Massari, Massari editore, Bolsena 2004, p. 79.
5) Sulla problematica dell’imperialismo, Michele Nobile, Imperialismo.
Il volto reale della globalizzazione, Massari editore, Bolsena 2006.
6) «La questione nazionale e l’autonomia», op. cit., p. 275.
7) Rosa Luxemburg, Lo sviluppo industriale della Polonia, tesi di laurea, magna
cum laude, Zurigo 1897,
in Questione
nazionale e sviluppo capitalista, Jaca Book, Milano, 1975, p. 283,
corsivo mio.
8) Ibid., p. 261, corsivi miei.
9) «Il socialpatriottismo in
Polonia», in Neue Zeit, 1895-1896,
II; in Questione nazionale e sviluppo
capitalista, Jaca Book, Milano, 1975, p. 93.
10) Ibid., p. 96.
11) Ibid., p. 98.
12) Conclusione di Lo sviluppo industriale della Polonia,
cit., p. 307.
13) Si vedano «Problemi di organizzazione della socialdemocrazia
russa» (1904) in Scritti politici di Rosa
Luxemburg, a cura di Lelio Basso, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. 217-236,
e I nostri compiti politici (1904) di
Trotsky, in Opere Scelte, I. Gli anni formativi, Prospettiva
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