La tempesta di
bombe preannunciata da Obama e Kerry non c’è stata; Putin ha ottenuto una grande
vittoria diplomatica; della flotta statunitense concentrata davanti alle coste
siriane sono rimaste solo tre navi; gli ispettori dell’Onu lavorano per lo
smantellamento dell’arsenale chimico siriano; la fibrillazione internazionale
pare cessata. Il conflitto armato in Siria, invece, continua alla grande.
Parlare di “guerra
civile” - come ancora fanno i grandi media - non sembra più corretto, essendo ormai
palese che la stragrande maggioranza dei combattenti contro Assad sono
jihadisti stranieri, tra cui europei malamente converti all’Islam. Il conflitto
continua, non se ne vede la fine; per giunta si complica sempre di più e -
restando così le cose - quando finirà sarà solo con la vittoria totale di una
delle parti e il massacro dei vinti. Il fatto che già ora nessuno faccia
soverchi prigionieri, è sintomatico.
Per fornire
un’idea del livello “culturale” dello scontro intraislamico in atto, e del
livello di odio che ne fa parte e lo alimenta, valga l’esempio di due predicatori
- uno sciita e l’altro sunnita - operanti con televisioni e social network in Gran Bretagna. Sullo
schermo TV lo sciita Shaykh Yasser al-Habib
se la prende col Califfo Umar (secondo successore del Profeta) e riverito dai Sunniti,
definendolo usurpatore e pervertito; mentre il predicatore saudita sunnita,
Muhammad al-Arifi - che si dice abbia cinque milioni di seguaci (!) su Twitter
- è ormai specializzato nel mettere in guardia i suoi confratelli circa la
perfidia sciita che porta questi eretici (quindi peggio che infedeli) a rapire
i bambini sunniti, bollirli, spellarli e poi a buttarne i cadaveri così
conciati davanti alle case dei genitori. E la gente, soprattutto la parte più
povera e incolta, purtroppo ci crede; come non si hanno dubbi che in Libano gli
Sciiti abbiano la coda! Demoniaci, quindi. Siffatti “argomenti”, per quanto
appaiano anacronistici e siano un eco ridicolo dei secoli più bui del Medio
Evo, in realtà non vanno sottovalutati, perché è anche per la mentalità da essi
indotta che certa gente ammazza indiscriminatamente e si fa ammazzare, felice
di fare la “volontà divina”.
Le complicazioni e i pericoli del conflitto si proiettano
oltre frontiera
All’inizio
le parti in causa erano due: l’esercito regolare, fedele al governo, e i
ribelli apparentemente inquadrati nell’Esercito Libero Siriano (Els), di cui
peraltro non si è mai saputo molto. Lo schema era semplice, sul piano formale:
un governo tra il fortemente autoritario e il tirannico da un lato, e i ribelli
considerati ai quali media e governi occidentali
dettero subito la patente democratica. Che dubbio c’era su chi parteggiare?
Oggi le
cose appaiono in una luce diversa e più complessa, per almeno due motivi.
Innanzitutto, dopo il blitz jihadista nell’antichissima città
cristiano-ortodossa di Maalula - nelle cui chiese le tombe dei santi locali
erano oggetto di pellegrinaggi sia di sciiti sia di sunniti (oggi è meglio
evitare) - con relative uccisioni di cristiani locali, e dopo la reazione dei
cristiani di Damasco ai funerali delle vittime di Maalula, dove in parecchi si
sono presentati armati, qualche osservatore ha cominciato ad avviare
riflessioni non più in linea con lo schema precedentemente e acriticamente
assunto. Inoltre, all’interno del fronte dei ribelli c’è stato lo scoppio di
una vera e propria guerra fra l’Els e ben tredici formazioni jihadiste (armate da
Arabia Saudita, Qatar, e Turchia) unitesi alla bisogna contro i cosiddetti
“moderati”; sono: Al-Nusra Front, Free of Levant Movement, Tawhid Brigade, Islam
Brigade, Hawks of Levant Brigades, Dawn of Levant Movement, An-Noor Movement, Nureddin
al-Zenki Phalanges, Right Brigade (Homs), Forqan Brigades (Quneitra), Upright as Ordered
Gathering (Aleppo), The Nineteenth
Division, al-Ansar Brigade. Queste formazioni si sono fuse in al-Jaish al-Islam (Esercito dell’Islam).
Ormai è sufficientemente
chiaro che il governo di Assad lotta nella sostanza contro il radicalismo
sunnita, più che contro i sunniti in quanto tali. Gli Alawiti, al potere da
quaranta anni con gli Assad, sono una minoranza etnico-religiosa (il 12% circa),
ma la maggioranza sunnita non è ai livelli egiziani (sono il 60%). Non si può
negare che gli Assad abbiano saputo costruire accorte alleanze ed equilibri: parte
del potere economico è stato lasciato in mani sunnite e le altre minoranze (Curdi,
Cristiani delle varie confessioni e Drusi) sono state spesso protette. L’effettivo
patto sociale durato 40 anni è saltato nella primavera del 2011 allorché alle
manifestazioni sviluppatesi sulla scia degli avvenimenti tunisini ed egiziani, espressive
di malessere sociale per disoccupazione soprattutto giovanile, povertà diffusa
e divario economico crescente fra ceti emergenti o già emersi e parte della
popolazione, il regime ha stupidamente risposto con la repressione armata,
causando la contro-reazione altrettanto armata di parte dei protestatari.
Gli Stati
Uniti attualmente stanno aumentando gli aiuti militari all’Els, ma non sembra
con molto costrutto per la modifica dei rapporti di forza tra i ribelli. La
conclusione è che oggi le formazioni armate radicali d’impronta wahhabita e
salafita sono diventate dominanti nelle zone cosiddette “liberate” della Siria
(dovrebbero essere addirittura il 95%), con l’immaginabile “gioia” della
popolazione locale rimasta lì intrappolata. A complicare di più lo scenario c’è
il fatto che un progresso dei salafiti potrebbe accentuare lo scontro fra essi
e il cosiddetto Islamic State of Iraq and Levant collegato con al-Qaida;
anzi, già nel nord della Siria ci sono stati combattimenti con quest’ultima
fazione. La sanguinosa frantumazione del fronte dei ribelli al momento nuoce all’Arabia
Saudita – che appoggia i salafiti ma è nemica di al-Qaida - ma se dovessero prevalere tra i ribelli le formazioni
radicali salafite e wahhabite, allora potrebbe segnare punti a suo favore
(fatto salvo quanto si dirà in prosieguo). Comunque, l’attuale situazione
indebolisce il fronte anti-Assad, contro cui infatti l’esercito governativo sta
aumentando con successo i suoi attacchi.
Al
momento, sul terreno la situazione bellica è in una fase di stallo, nel senso
che ancora l’esercito governativo non è stato in grado di sferrare un colpo
decisivo ai ribelli. Ma Assad è lungi dall’essere sul punto di subire un
collasso militare che ne causi la caduta. L’esercito regolare controlla i
grandi centri urbani, la fascia costiera e il corridoio Damasco-Aleppo; in
totale una buona parte del territorio nazionale, mentre i ribelli appaiono
insediati a est verso l’Eufrate e a nord. In teoria potrebbero ancora
conquistare grossi centri abitati; tenerli appare ben più difficile, non
disponendo del necessario armamento pesante.
A questo
punto Bashar al-Assad potrebbe modificare l’attuale situazione se riuscisse a
unire un’efficace azione politica alle iniziative belliche delle sue Forze armate, ma non già aspettando le elezioni presidenziali del prossimo anno (che
sicuramente vincerà, a parità di condizioni), bensì facendo leva sulle
divergenze interne al fronte dei ribelli in modo da condurne una parte al
tavolo dei negoziati.
Nelle
guerre in corso in Siria si assiste a mobilitazioni di minoranze etniche e
religiose il cui peso – soprattutto a seconda di chi vinca – non tarderà a
farsi sentire. Va subito registrata la mobilitazione di milizie curde (alquanto
agguerrite) in funzione anti-jihadista, e
quindi di fatto al lato di Assad. Altresì va sottolineata (cosa ancora poco
nota, ma di recente il settimanale tedesco Die
Welt ne ha fatto oggetto di un interessante reportage) la formazione di
milizie cristiane, alcune delle quali si stanno addestrando con le milizie curde.
Situazione tutt’altro che scontata, se per esempio si pensa che nel 2011, quando
cioè iniziarono manifestazioni e rivolte, i cristiani di Qamishli (governatorato
di Hassaké), erano favorevoli alla fine del regime e all’avvento della
democrazia rappresentativa da realizzare con i musulmani e le altre minoranze.
L’arrivo dei jihadisti ha cambiato tutto, ed ecco che i cristiani di Siria oggi
stanno con Assad, ovviamente visto come male di gran lunga minore. E oggi
proprio a Qamishli proliferano i check-point
vigilati da miliziani cristiani. Inutile dire che il governatorato di Hassaké -
a cui curdi e cristiani tengono moltissimo - ha anche un grande valore
economico, e si capisce perché sia oggetto delle mire dei jihadisti: è una delle
regioni più ricche della Siria (al confine con la Turchia e l'Iraq) contenendo
il 60% delle riserve di petrolio e gas del Paese.
Il travasarsi
del conflitto siriano oltre le frontiere di quel Paese è per lo più visto alla
luce dell’acuirsi degli attentati sunniti contro gli sciiti in Iraq, Libano e
Pakistan. Questo è vero, ma le cose non si riducono a ciò: nel “brodo di
coltura” del Vicino Oriente sono in fermentazione vari fattori. Innanzitutto
si deve tener presente il successo conseguito in Siria dalle formazioni di Hezbollāh intervenute al fianco
dell’esercito regolare. Naturalmente questa volta l’impresa non ha riscosso
entusiasmo nel milieu musulmano in quanto
tale, bensì solo tra gli Sciiti; ma questo è irrilevante sia per Hezbollāh sia per un osservatore
esterno. A contare è invece il modo in cui le milizie di Hezbollāh si sono forgiate nel conflitto siriano; a contare è il
loro salto di qualità sul piano bellico. Tra i sostenitori si parla di
passaggio dall’essere il miglior movimento
guerrigliero del mondo all’essere diventato un esercito regolare sempre più in
grado di confrontarsi con Israele.
Anche volendo fare la tara sulle esagerazioni
propagandistiche, sta di fatto che non solo non c’è stato il rientro delle
previste (e auspicate) “colonne di feretri” dalla
Siria al Sud del Libano e alla parte sciita di Beirut, ma oggi anche
commentatori israeliani - dopo
le decisive azioni di al-Qusayr, Talkalakh e nella zona di Aleppo - prendono atto (con comprensibile preoccupazione) del salto qualitativo
compiuto dalle milizie di Hezbollāh che le mette in condizione di realizzare complesse
operazioni combinate a livello di battaglione e anche di reggimento. Si
aggiunga che a contatto con l’esercito regolare siriano i miliziani sciiti avrebbero
appreso sul campo un uso più professionale dell’artiglieria leggera e media e
dei mortai, oltre a come gestire le chiamate di sostegno dei pezzi a lunga
gittata o dell’aviazione. Un ragionamento analogo (quand’anche non uguale)
potrebbe farsi per i Pasdaran iraniani e per i miliziani sciiti iracheni
intervenuti in Siria al fianco dei libanesi di Hezbollāh.
In quel “cortile di casa” che per la Siria è il
Libano, inoltre, vanno registrati taluni fenomeni, anch’essi tutt’altro che
scontati e significativi. Ci riferiamo al fatto che l’ex generale maronita ed
ex primo ministro libanese Michel Aoun sia oggi il leader del Libero Movimento Patriottico Libanese, formazione maronita alleata di Hezbollāh e del vecchio partito sciita Amal nella coalizione detta “dell'8 marzo”; e poi va menzionato il messaggio apparso
non molto tempo fa su una pagina Facebook dedicata ai politici libanesi, in cui un gruppo di giovani cristiani ortodossi così si è rivolto a Nasrallah, leader di Hezbollāh:
«Dai vostri fratelli
Cristiani che vogliono assistere e aiutare la Resistenza Libanese e l'Esercito
Arabo Siriano che ogni giorno lottano e si sacrificano contro i takfiri
stranieri. Vostra Eminenza Sayyed Nasrallah, siamo un gruppo di giovani
Cristiani che non resiste più nel vedere i nostri correligionari uccisi e
torturati in Siria, i nostri Arcivescovi rapiti e offesi, la nostra Storia e la
nostra Cultura messe in pericolo da questi estremisti che non rappresentano
nulla se non la loro meschinità e crudeltà nascoste sotto una parodia
dell'Islam; gli abusi e le enormità di costoro non causano reazioni da parte
dell'Occidente “cristiano” o delle gerarchie religiose delle nostre
Chiese. Per questo, Vostra Eminenza, vi chiediamo di permettere
che le porte della sua organizzazione si aprano e ci venga permesso di unirci
agli Eroi che difendendo la Siria, difendono anche i Siriani cristiani; vorremmo
poter formare una nostra unità nelle vostre fila, una unità dedicata ai nomi di
Issa e Mariam (Gesù e Maria) che unisca i propri sforzi a quelli dei vostri
altri seguaci per conseguire prima la necessaria vittoria sui barbari takfiri. Sarebbe un onore per noi aggiungere i nostri
martiri, martiri cristiani, a quelli che già si sono immolati per la libertà di
al-Qusayr, dove erano presenti molti nostri fratelli».