Giuseppe
Garibaldi ha accompagnato da sempre la storia d'Italia, dal concepimento alla
nascita, ed è probabile che se la memoria di questo grandissimo personaggio
venisse oscurata definitivamente, con essa si eclisserebbe definitivamente
anche l'Italia, sicuramente quella migliore.
Nonostante
gli attacchi dei padani e dei filoborbonici, protesi a delegittimarne il valore
e la straordinaria importanza storica, morale e politica, e nonostante i
tentativi di imbalsamarne o di strumentalizzarne la figura, per meri obiettivi
propagandistici - come è avvenuto da molte parti, persino opposte (basti solo
pensare alla retorica celebrativa del regime fascista che vedeva nelle camicie nere
le continuatrici di quelle rosse, oppure alle brigate antifasciste garibaldine
che animarono le pagine più belle della guerra di Spagna e della Resistenza) - Giuseppe
Garibaldi resta tuttora un punto di riferimento imprescindibile quando si parla
di giustizia e di libertà, e soprattutto quando si cerca una autentica via
rivoluzionaria per ribadire la nostra sovranità e la nostra unità di popolo
proteso a testimoniare i migliori valori della nostra storia.
Si parla di
lui chiamandolo “eroe dei due mondi”, trascurando però il fatto che il suo
mondo fu sempre “uno solo”: quello della libertà e della giustizia sociale,
ovunque: dal Sudamerica all'Europa. E questo perché la causa patriottica,
internazionalista ed ecologista, furono in lui sempre un unicum per cui impegnarsi e lottare, non solo con la spada e con il
fucile, ma molto anche con la penna, se consideriamo la mole dei suoi scritti
(e del suo epistolario), purtroppo reperibili tuttora, nella loro completezza,
in sei volumi solo in edizione antiquaria, risalente agli anni Trenta, e con un
prezzo esorbitante, quando, invece, come le opere di Marx o di Gramsci, essi
dovrebbero essere ristampati e a disposizione di tutti.
Il patriottismo
di Garibaldi coincide infatti con il socialismo e con il suo internazionalismo,
ma giammai con il nazionalismo: un’idea in gran parte formatasi nel Novecento,
mediante una astratta idea di appartenenza non a una cultura o a un progetto di
trasformazione sociale, ma per lo più a una razza, a una tradizione o a una
“volontà di potenza”, militare e imperialistica, e che, non più sul piano
politico, ma prevalentemente su quello economico, perdura tuttora.
La Patria
di Garibaldi è quella di coloro che rivendicano la terra e la libertà, di chi
cerca di emanciparsi, socialmente, culturalmente ed economicamente, ovunque nel
mondo. Nella sua visione, chi combatte per una Patria, infatti, combatte per
tutte le Patrie che condividono gli stessi intenti, tanto che lo stesso
Garibaldi affermò che non avrebbe esitato a combattere contro la stessa Italia
se essa avesse aggredito un altro popolo, e, sull'Aspromonte, ciò fu detto
fatto, anche se poi lui stesso si rifiutò di combattere contro altri italiani,
e preferì farsi azzoppare per tutto il resto dalla sua vita.
Nell'epoca
di Garibaldi l'idea di Europa socialista era molto lontana, dato che prevalente
era piuttosto quello spirito cosmopolitico che animava anche Mazzini, con cui
si dava più risalto a un'Europa federata e su base borghese, rispetto alle
singole nazioni e alla tendenza che essere mettevano in atto per prevalere le
une sulle altre.
È uno spirito che oggi purtroppo ha completamente abbandonato non solo la sinistra, ma anche i gruppi dell’estrema sinistra che tendono piuttosto a riproporre un bieco nazionalismo autoreferenziale, tutto fondato sulla contestazione ad oltranza dell'euro considerato come capro espiatorio di ogni male, soprattutto di quelli atavici degli italiani: della loro eterna tendenza a dividersi in fazioni, ad appartenere a parrocchiette di ogni colore e a mafie di ogni sorta, in una permanente apologia del “particulare”: un rozzo e anacronistico antieuropeismo, dunque, come maschera grottesca delle proprie perduranti miserie, anche campanilistiche tra Nord e Sud.
Per cui
oggi è molto più facile dare la colpa agli istituti sovranazionali (dei quali
Garibaldi fu pionieristico rpropugnatore) o all’Europa se non si sanno far fruttare i
fondi europei, se non si sa amministrare correttamente il territorio, oppure se
si preferisce entrare in affari con la mafia per risparmiare o speculare sullo
smaltimento dei rifiuti, e via dicendo.
A scuola d’internazionalismo in America latina
Per
Garibaldi gli anni della formazione in America latina restarono una scuola
indelebile di prassi rivoluzionaria, tanto che, nelle sue Memorie, invece di
dare risalto agli anni che vanno da Quarto a Porta Pia, si sofferma,
dilungandosi piuttosto sui ricordi sudamericani e dice esplicitamente che
quella in Uruguay fu la campagna più brillante della sua vita.
Lo stesso
esempio di Garibaldi è stato appreso forse meglio dagli uruguaiani piuttosto
che da noi italiani, se pensiamo che il loro attuale Presidente della
Repubblica potrebbe essere benissimo una reincarnazione dello stesso Garibaldi,
per esperienza guerrigliera, per amore della libertà, della semplicità e della
giustizia sociale, oltre che della natura.
L’intera America
latina considera tuttora Garibaldi come un eroe della sua storia, esattamente
come Bolívar o come Martí: la toponomastica e non solo, lo testimonia
abbondantemente.
Una lettura
distortamente marxista e condotta con categorie di analisi culturali recenti
tende a individuare nel pensiero di Garibaldi una sorta di contiguità con
l'imperialismo europeo e in particolare britannico, trascurando però del tutto
la fase più critica della guerra civile uruguaiana, con
l'internazionalizzazione del conflitto e l'assedio di Montevideo, in cui
Garibaldi fece la scelta di condividere la lotta di un piccolo popolo contro un
dittatore brutale, lasciando completamente sullo sfondo le mire economiche e
speculative dei potentati europei, specialmente di quello inglese.
In
Sudamerica si affaccia alla sua coscienza anche la sensibilità animalista e la
difesa della causa “meticcia”. Osservando le innumerevoli sofferenze inflitte
agli animali, egli scrisse:
“E le sventure inflitte alle altre razze animali?
Io credo: la morte una semplice transazione della materia, a cui conviene
conformarsi pacatamente - anzi famigliarizzarsi con essa - Ma i patimenti
inflitti da un essere all’altro! Oh! io credo che esistendo una vendetta della
natura, essa dev’essere applicata ai ministri del rogo, delle torture e di
qualunque sofferenza inflitta ad animale qualunque”.
Nel 1846 ebbe come luogotenente un certo “indigeno
Paolo”, sulla cui etnia e sulle sventure che da essa gliene derivarono,
Garibaldi denuncia apertamente i «predoni europei» che l’hanno resa infelice.
Non sappiamo molto di Paolo e possiamo solo supporre che fosse un chanua, originario delle pianure uruguaiane,
uno di coloro che furono sterminati da Rivera. Garibaldi li nomina una sola
volta, quando dice di aver visto «l’ultima famiglia chanua mendicare un pezzo
di pane nei nostri campamenti».
Nella Prima Internazionale
L'internazionalismo
di Garibaldi risalta però in forma compiuta soprattutto nell’ultima fase della
sua vita, quando, pur essendo azzoppato e permanentemente afflitto da una
artrite fattasi cronica, continuò a combattere e a viaggiare in Europa,
partecipando da protagonista alla Prima Internazionale. Nel 1864 il suo
socialismo libertario trovò piena sintonia con quello di Bakunin che lo andò a
trovare personalmente a Caprera, anche se fu avversato da Marx.
Nel corso
della Prima Internazionale Socialista (che forse tuttora resta la migliore),
fallita per gli insanabili contrasti tra seguaci di Marx e Bakunin, Garibaldi
ebbe un ruolo da protagonista. Fu lui infatti a coniare il detto
“L'Internazionale è il Sole dell'Avvenire.”
In essa Marx accusava Bakunin di avere idee poco aderenti alla realtà. Bakunin
invece imputava a Marx di voler sostituire la tirannia borghese con una nuova
forma di tirannia, non meno opprimente della prima. Come poi fu dimostrato
dalla storia, nessuno dei due aveva torto.
Tra il 1869 e il 1870,
alla vigilia della Comune di Parigi, pur formandosi sezioni dell'Internazionale
in quasi tutti i paesi europei e facendosi decisiva l'azione di Bakunin in
Svizzera, Spagna e Italia, con l'aumento delle lotte operaie e l'impegno di primo
piano dei militanti internazionalisti, nacque il Partito Operaio
Socialdemocratico, ad opera di Bebel e Liebknecht, ma nel congresso di Basilea
si ebbe una spaccatura decisiva tra centralisti, seguaci di Marx e federalisti
antiautoritari seguaci di Bakunin che segnò le future sorti
dell'internazionalismo proletario.
Ciò accadeva dopo che già
nel 1866 l 'opposizione
mostrata dalle sezioni dominate da proudhoniani e mazziniani verso gli
indirizzi del Consiglio Generale aveva portato Marx ad affermare le stesse
tendenze dell'internazionalismo proletario contro quelle che venivano definite
istanze piccolo borghesi francesi e democraticiste italiane.
Il fallimento, in ogni caso, della idea di Mazzini di mobilitare i popoli
europei in senso antiassolutistico e su scala europea che animò il suo progetto
di Giovine Europa, fu evidente già dopo un breve lasso di tempo e naufragò nel
1836, sottoposto all'incessante controllo delle autorità svizzere pressate dai governi stranieri. La sua
avversione per le idee socialiste era comunque esplicita e potremmo condensarla
con queste sue parole: i socialisti sarebbero rei di avere "falsato, mutilato, rigredito quel grande pensiero con sistemi
assoluti, che usurpano ad un tempo sulla libertà dell'individuo, sulla
sovranità del paese e sulla continuità del progresso, legge per tutti noi, -
sostenuto che la vita è ricerca della felicità, mentre la vita è una missione,
il compimento di un dovere, - fatto credere che un popolo può rigenerarsi
impinguando, - sostituito al problema dell'umanità, un problema di cucina
dell'umanità, - detto a ciascuno secondo le sua capacità e secondo i suoi
bisogni, invece di bandire: a ciascuno secondo il suo amore, a ciascuno secondo
i suoi sacrifici…” E in ogni caso Mazzini non fu mai specificamente un
federalista, né a livello nazionale né europeo.
Nel 1870, infine, le
tensioni tra centralisti e federalisti si aggravarono a tal punto che questi
ultimi, specialmente in Spagna e in Svizzera formarono una corrente autonoma
dell'Internazionale, fino a scindersi del tutto.
Contrariamente al
Mazzini, in Garibaldi vi fu comunque sempre la netta percezione che la lotta
dei lavoratori non passa solo per forme di associazionismo e di miglioramento
delle rappresentanze democratiche, ma si svolge e trova compimento mediante
soprattutto l'impegno politico degli operai, egli dice infatti: "Di più
del mutuo soccorso, le società operaie devono occuparsi di politica, cioè,
procurar col tempo di avere un buon governo che non tolga i figli del popolo
per il servizio di una monarchia, ma per quello del proprio Paese."
La posizione di Garibaldi fu
favorevole a una
società regolata dai criteri umanitari in cui lo Stato si prende cura
scrupolosamente della "classe più numerosa e più povera" con la
specificità di volere "una continuazione del miglioramento morale e
materiale della classe operosa, laboriosa e onesta, conformemente alle tendenze
umane di progresso di tutti i tempi".
Garibaldi non voleva una dittatura di una classe,
ma non era nemmeno contrario all'intervento dello Stato, era per una sorta di
"collettivismo maggiore", in anticipazione dell'idea dello Stato
sociale moderno. Il giornale garibaldino La
plebe, espressione delle frange più democratiche di quel movimento, scrisse
con chiarezza: "due grandi correnti solcano il mondo. L'una è quella della
libertà individuale o individualismo assoluto che mena all'egoismo. L'altra
tende a centralizzare sempre gli interessi e mena al cosiddetto comunismo
autoritario. La soluzione del problema consiste nell'armonizzare le due
correnti".
Garibaldi promosse in Italia la costituzione di una
Lega democratica, proprio per unire tutti i movimenti e i gruppi democratici e
progressisti in un fronte comune che si occupasse delle "questioni
razionali e sociali le cui soluzioni sono praticabili".
Una lezione che, purtroppo la cosiddetta “sinistra”
italiana non ha mai appreso né tuttora dimostra di voler apprendere.
Attualità rivoluzionaria di Garibaldi
Garibaldi
continua in ogni caso tuttora, dall'alto della sua straordinaria testimonianza
civile e morale, ad essere un punto di riferimento imprescindibile, anche per
quella sinistra rivoluzionaria che, dal Sessantotto ad oggi, non ha mai smesso
di contestare la sclerotizzazione di un sistema borghese avvitato su se stesso,
propugnando la necessità della lotta internazionalista.
Prova ne sia
l’intervento di uno dei suoi protagonisti - Roberto Massari, col suo Garibaldi “sovversivo da
salvare” [articolo pubblicato nel blog di Utopia Rossa a marzo del
2011 (n.d.r.)] - che, nella sua introduzione ad alcuni brani tratti dalle
Memorie del Generale, afferma:
“Questo è lo stato
d’animo - di ex garibaldino-non-ancora-a-riposo - con cui mi sono messo a estrarre
dalle Memorie di Garibaldi alcune parole sue, contenenti
le indicazioni ideali che mi sembrano aver incarnato la sua grandezza in campo
etico (senza dimenticare le molte debolezze e fragilità in campo politico, che
però qui non potevano essere prese in considerazione: altri sicuramente
provvederanno a farlo). E nel sottolineare questa grandezza etica del
personaggio, non ho potuto tralasciare di indicare la sua refrattarietà alla
gestione personale del potere, il suo rifiuto di trasformare in carriera
politica la celebrità gigantesca di cui godeva in Italia e nel mondo (forse il
primo politico mondialmente mass-mediatico della storia e a livello
intercontinentale).”
Massari, si sa, è uno dei
più importanti “guevarologi” di fama mondiale e non esita anche a sostenere che
tra Garibaldi e Guevara sussistono affinità fondamentali:
“tra Garibaldi e
Guevara, rimane incontestabile la somiglianza umana fra i due personaggi: in
campo etico, nel rifiuto della carriera politica a titolo personale, nella
visione operativa e combattentistica degli ideali, nel rischio personale della
vita, nella sfiducia verso gli apparati partitici o militari che fossero. Il
lettore o la lettrice vedranno nelle citazioni che seguono l’entità delle
somiglianze che indico o altre che si potrebbero scorgere. Invito questo
lettore e questa lettrice a vigilare d’ora in avanti perché si impedisca ai
detrattori di Garibaldi e degli ideali di emancipazione che egli incarnò, che
insieme alle sue indiscutibili responsabilità negative si gettino a mare anche
il suo internazionalismo, il suo cosmopolitismo, il suo senso laico della vita
sociale, il suo anticlericalismo, la sua etica dell’abnegazione personale e,
consentitemelo, la sua (loro) grande umanità”.
Il socialismo “garibaldino”
Se oggi, dunque,
inevitabilmente, ci è dato di celebrare il funerale della “sinistra” - dato
che, non solo essa è sparita dal Parlamento come autonoma forza politica e
permane solo come ombra vaga di eventuali accordi di residuale elemosina
governativa da parte di chi persegue e rincorre scopi diametralmente opposti -
non ci è dato tuttavia di rinnegare le basi fondanti di ciò che in Italia può
superare di slancio e alla baionetta il falsoo steccato del confine
destra-sinistra, un autentico Socialismo garibaldino patriottico ed
internazionalista.
Una delle misere ragioni
del fallimento del comunismo e del socialismo in Italia è infatti stato il
fatto che queste componenti politiche, a lungo più indaffarate a delegittimarsi
reciprocamente che a fare causa comune contro il comune nemico padrone del
capitale, si sono sempre divise tra Internazionalisti e Patriottici, con le
ulteriori, settarie e rovinose divisioni interne.
Garibaldi era invece
patriottico e internazionalista allo stesso tempo, riteneva infatti prioritaria
la “causa italiana” fino a consegnare purtroppo nelle mani di Vittorio Emanuele
II il Sud, per unificare l'Italia, rimandando e rinnovando (memore della
gloriosa Repubblica Romana) a tempi migliori, ulteriori tentativi
rivoluzionari. In realtà, passarono solo due anni, prima che il Generale
tentasse di nuovo l'impresa, non a caso ancora da Sud, mentre avrebbe potuto
più tranquillamente sbarcare nel Lazio o arrivarci da altre destinazioni più
vicine; perché si era accorto dei massacri in corso da parte dei Savoia, e
perché gli era stata negata da Cavour quella milizia territoriale che avrebbe
potuto svolgere, specialmente nel Sud, un importante ruolo di tutela dei
diritti e di protezione dei più deboli.
Sappiamo come finì, con
gli “italiani savoiardi” che spararono ai garibaldini, con il Generale che si
levò per impedire un'inutile strage tra “fratelli d'Italia”, con il suo
ferimento che lo azzoppò per il resto della sua vita, e soprattutto con la
fucilazione di coloro che si erano sentiti di gran lunga di più garibaldini che
“italiani savoiardi” disertando l'esercito italiano per quello garibaldino.
Sappiamo anche che l'indomita energia di Garibaldi lo portò, nonostante questa
ferita non più rimarginabile, a conquistare il Trentino, cinque anni dopo, a 59
anni e, l'anno successivo a rinnovare il grido “Roma o morte”, fermato a
Mentana più che dai fucili francesi dalla mancata insurrezione di una città e
di un popolo ormai rassegnato a non rinverdire più il sogno democratico e
repubblicano, ma a passare da un re papa casareccio ad un altro re straniero e
savoiardo, sventratore come altri duci-re del futuro, dei suoi fasti e delle
sue antiche memorie.
Altre battaglie, oltre a
quelle iniziali in Sudamerica, però, il Generale le fece con i suoi garibaldini
nel 39° fanteria dei volontari garibaldini della Guerra di secessione negli
Stati Uniti, e l'ultima, forse la più gloriosa, prima a difendere la rinata
Repubblica Francese dai Prussiani (ancora una volta vittorioso) e poi, quando
la Repubblica rifiutò di ascoltare sprezzante i suoi consigli, a lottare per la
prima testimonianza di governo socialista e libertario, nella Comune di Parigi.
Un Socialista, dunque,
anche se con ascendenti massonici (ma si deve pensare alla massoneria
dell’epoca), pienamente patriottico e internazionalista, da seguire
scrupolosamente oggi e in futuro, se vorremo far rinascere l'Italia sotto il
segno della dignità, della libertà e della giustizia sociale, e soprattutto, se
vorremo far risorgere un vero movimento di idee e di impegno politico e civile
che sia tuttora all'altezza delle sfide della nostra epoca, in un mondo in cui
la dicotomia e l'aut aut che ne deriva, per la nostra coscienza e la nostra
prassi, ancora una volta impegnate in una lotta imposta dall'imperativo
categorico di una mente e di un cuore liberi da tentazioni satellitari e
servili, non è destra-centro-sinistra ma Socialismo o barbarie, nella versione
contemporanea: Ecosocialismo o
neoliberismo ecocida.
Un referente per gli ecologisti e gli animalisti
Garibaldi è tuttora un
referente fondamentale per gli ecologisti e non solo per i socialisti o per i
comunisti che hanno lasciato il fazzoletto rosso delle brigate Garibaldi nella
cassapanca del museo della Resistenza. Garibaldi, infatti, fu impegnato in
progetti avveniristici di tutela dell'ambiente e di protezione degli animali, e
in un fervido programma di rilancio dell'agricoltura biologica.
Lui, che come tuttora
testimonia il suo omonimo pronipote: “A Caprera ha zappato e concimato,
irrigato e studiato i testi per conoscere le piante”. Lui che progettò di
bonificare le paludi pontine soprattutto mandandoci a lavorare con intento
rieducativo i preti più “parassiti” (questo lo ricordino quelli che considerano
tuttora Guevara il cinico inventore dei campi di rieducazione). Lui che, per
evitare la costruzione di quei muraglioni che hanno sì evitato al Tevere di
continuare a straripare ma hanno distrutto la flora fluviale e creato un mostro
destinato a separare la città dal suo fiume, aveva progettato di costruire un
canale di deflusso per convogliare le acque dal Tevere, in caso di piena, e
destinato a ricongiungersi con il fiume della città eterna dopo la basilica di
S. Paolo, lo asserì con queste testuali parole:
“il mio progetto non distrugge nessun glorioso avanzo
della storia dei nostri padri, né altre opere antiche e recenti. I miei
lungotevere, essendo al livello delle strade adiacenti e degli attuali ponti,
anziché recar sfregio all’ornato pubblico, concorrono a rendere più bella
l’architettura stradale di Roma senza bisogno di nessuna demolizione, e di
espropriazioni di sì enorme spesa. Quindi io fo appello agli scienziati, ai
sanitari, agli archeologi e agli artisti di tutto il mondo civile, perché
protestino altamente contro un progetto di sistemazione del Tevere esclusivamente
interno, il quale considerato con la scienza idraulica è incerto e pericoloso:
rende più gravi le condizioni igieniche della città, ed è un deplorevole
attentato all’ornato pubblico ed alle glorie di Roma”.
Garibaldi fu il primo a
impegnarsi in Italia per i diritti degli animali, in un’associazione che nacque
il 1 aprile 1871, anno in cui il Generale, su
esplicito invito di una nobildonna inglese - lady Anna Winter, contessa di
Southerland - incaricò il suo medico personale, il dottor Timoteo Riboldi con
studio a Torino, di costituire una Società per la Protezione degli Animali, che
ebbe la signora Winter e lo stesso Garibaldi come suoi soci fondatori e
presidenti onorari. Terminò la sua vita da vegetariano, come un antico
filosofo pitagorico.
Per il riscatto di una Italia oggi prostrata dalla corruzione, dalla dittatura monetarista, non meno ferrea e distruttiva di quella che emerse con la Restaurazione e la Santa Alleanza, per un Paese in cui la politica è ormai ridotta a conquista di misere prebende e al vassallaggio territoriale, o alla ricerca spasmodica dell'ultimo guitto televisivo da presentare a una massa prostrata e prostituita al verbo mediatico, per ottenere l'obolo consensuale con cui l'elettore-schiavo paga permanentemente il suo “pizzo” al governo di turno, con l'unico scopo di mantenersi il suo misero piattino di lenticchie. Per un territorio un tempo chiamato “giardino d'Europa” e oggi ridotto a “discarica di veleni tossici” che fertilizzano solo il proliferare della morte e della desolazione di terre che un tempo erano celebrate con l'appellativo di Felix, ed oggi sono umiliate nell'abiezione camorristica. E soprattutto per un popolo abituato a dividersi in clan e parrocchie di ogni fazione e colore, afflitto da un sonno comatoso che lo rende incapace di slanci ideali e patriottici, così come di grandi sogni che si espandano nel Mediterraneo ed oltrepassino anche le colonne dell'erculea padronanza imperialistica in cui esso è oggi confinato e schiavizzato, ebbene, per tutti quelli che oggi sono ancora convinti che “O Roma o morte”... civile, politica, economica, sociale, e soprattutto culturale - Garibaldi resta, con il suo fiero sguardo proteso dal Gianicolo oltre l'orizzonte di una città-mondo, verso “interminati spazi e sovrumani silenzi”, il testimone di un’eternità e di un mondo altro, infinitamente necessario e possibile.
La rinascita dell'Italia
non potrà che avvenire ancora seguendo il Generale che, in prima fila, a passo
di carica con il suo grido lacera il futuro e ci sprona: “Venite a vincere o a
morire con me!”
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