Una rivoluzione
culturale attraverso lo sviluppo delle comunità locali
La rivoluzione culturale
respingerà i concetti di
cultura dominante e cultura universale
Hugues de
Varine
Si è concluso da pochi giorni il workshop nazionale
organizzato dall’Ecomuseo dell’Agro Pontino in cui si è discusso dei nuovi
modelli di sviluppo comunitario emergenti nelle pratiche ecomuseali. È stato il
comune di Norma (LT) a ospitare dal 13
al 15 dicembre le giornate di studi e dibattiti. Difficilmente poteva essere
scelto un luogo migliore per rilanciare la sfida ecomuseale nel nostro Paese.
“Il balcone dei Lepini” – così è chiamata Norma per la sua invidiabile
posizione da cui domina l’intero Agro Pontino – costituisce un valido esempio
di resistenza al modello economico, sociale e culturale dominante. Sono appena
quattromila gli abitanti, ma l’associazionismo è vivissimo, uomini e donne
mantengono ancora vitale il senso della comunità, i saperi e i mestieri non
sono ancora scomparsi sotto la falce del turbocapitalismo. E l’amministrazione
comunale collabora attivamente con l’Ecomuseo dell’Agro Pontino per la
valorizzazione del patrimonio locale, materiale e immateriale. Com’è accaduto
per l’organizzazione del workshop appena concluso.
Veniamo quindi ai lavori del seminario. La giornata del sabato
è stata dedicata alle relazioni di direttori e coordinatori di vari ecomusei
italiani e di altri professionisti attenti alla realtà ecomuseale. Il mio
intervento, in qualità di direttore dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino, è stato
diretto a precisare la linea che seguiamo nelle nostre azioni sul territorio.
La teoria e la pratica ecomuseale internazionale, sin dalle origini, non sono
mai state precisate rigidamente, la Nuova Museologia ha inteso sfuggire alle
procedure consolidate del mondo museale, mantenendo un orizzonte di ricerca
sempre fluido e vivace. Ogni ecomuseo, quindi, ha il compito di trovare la propria
strada, tentando di capire quali siano le vie migliori per lo sviluppo
comunitario locale. Questo perché ogni ecomuseo ha i propri operatori dotati di
una specifica formazione, ogni ecomuseo nasce su un territorio sempre diverso
con cui deve fare i conti, ogni ecomuseo ha le proprie comunità con
caratteristiche ben differenziate. E allora ci sono ecomusei che sembrano veri
e propri musei del territorio (quasi musei etnografici), altri che lavorano
partendo dalle risorse umane delle comunità locali, altri ancora in cui la
comunità è addirittura proprietaria dell’ecomuseo (accade in America Latina, non
in Italia). Noi dell’Ecomuseo dell’Agro Pontino abbiamo voluto dare
un’impostazione decisamente politica alle nostre attività. Si sta parlando di
politiche culturali, di politica in senso lato, non certamente partitico. E
questo ci viene riconosciuto anche dagli osservatori esterni, come è accaduto
durante il workshop di Norma quando diversi relatori hanno sottolineato l’impostazione
politica della mia relazione. Torniamo quindi a quanto ho proposto nel mio
intervento. Tre le parole chiave: consapevolezza, continuità e autonomia. E due
proposte: una nuova idea di museo e una nuova pedagogia. Ho voluto sottolineare
che sin dalle origini Hugues de Varine, il fondatore riconosciuto della teoria
ecomuseale (siamo agli inizi degli anni Settanta), avesse sostenuto la
necessità di una partecipazione della comunità non solo attiva, ma anche consapevole.
Il problema è stato (e il discorso potrebbe applicarsi non solo alla visione
ecomuseale, ma a gran parte delle idee nate tra la fine degli anni ’60 e il
principio dei ‘70) quello di aver in seguito puntato quasi esclusivamente sull’attivismo
e assai meno sulla consapevolezza. Intendiamoci, l’attivismo è necessario, perché
se non si prende in mano il proprio destino nulla potrà mai cambiare, ma una
maggior consapevolezza è indispensabile. Gli esiti di un attivismo comunitario
improvvisato non portano a nessun cambiamento, e offrono per di più una facile
arma a chi vuol mantenere intatti i meccanismi di controllo e addomesticamento
della popolazione, riducendola a massa amorfa e indistinta. In pratica, fino a
quando la popolazione resterà massa inerte e non diventerà una viva comunità, una
comunità consapevole, nessun attivismo produrrà risultati significativi e duraturi.
Per intenderci, un esempio di attivismo non sempre consapevole è offerto da
alcuni movimenti di rivolta popolare nati recentemente, in cui spesso, anche se
ingenuamente e in buona fede, si sottovaluta l’importanza della conoscenza ai
fini del buon esito politico. Tornado agli ecomusei, c’è il rischio che
l’attivismo diventi puramente retorico e non sostanziale, un rischio
evidenziato durante il workshop anche da Roberta Tucci, antropologa ed
etnomusicologa, ora all’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione –
MiBACT.
E qui arriviamo al secondo punto della questione, che è poi
il nodo centrale: le politiche educative. Ci sono due motivi - è sempre de
Varine a parlare - per cui la popolazione non è consapevole: «per l’educazione
che riceviamo secondo criteri accademici ed estetici, per la nostra società dei
consumi che ci inculca idee di valore commerciale e ci propone modelli estranei
alla nostra cultura viva». Qui il passaggio è fondamentale, perché le colpe vengono
equamente ripartite tra la società dei consumi e l’educazione accademica. Personalmente,
mi occupo da anni di pedagogia libertaria e credo che questo sia il punto
chiave per ogni futura politica culturale. Sono arrivato a credere che chi non
parte da questo punto, in realtà non vuol cambiare nulla: sta solo facendo
finta di cambiare. Non si potrà mai avere una comunità consapevole e autonoma fino
a quando l’educazione che riceviamo resterà omologante, passivizzante,
autoritaria. Se educhiamo i giovani all’obbedienza e al dogmatismo non possiamo
poi pretendere di avere adulti autonomi, dinamici e inclini alla critica e al
pluralismo. E poiché l’ecomuseo ha come principale presupposto quello che la
comunità sia attenta e capace di valorizzare il proprio patrimonio ambientale e
culturale, materiale e non, non potrà darsi ecomuseo, cioè un nuovo modello di
sviluppo, senza una vera e propria rivoluzione culturale, una pedagogia
dell’autonomia coordinata con una nuova museologia. Ho citato anche Paulo
Freire, che non a caso distingueva chiaramente tra educazione depositaria ed
educazione liberatoria. Si tratta, per le comunità locali, di recuperare quella
continuità tra la condizione passata e il presente che unicamente può generare
la consapevolezza delle potenzialità di opporsi al sistema che globalmente sta
stritolando ogni capacità di pensare ad un modo differente di organizzare
l’esistenza. Si tratta di creare una rete costituita da differenti “mondi
locali”, comunità che riescono a gestire consapevolmente e attivamente il
proprio territorio e a porsi in contatto con comunità simili in tutto il mondo.
Questo è il fine della costituzione di una rete ecomuseale nazionale e mondiale
(rete in parte già attiva con il nome, appunto, di Mondi Locali), tema anche
questo discusso e rilanciato a Norma.
Sono quindi intervenuti direttori e coordinatori di vari
ecomusei italiani, tra cui Nerina Baldi (Direttore Ecomuseo delle Valli di
Argenta), Guido Donati (Coordinatore Ecomuseo della Judicaria - Rete Ecomuseale
Trentino), Maurizio Tondolo (Direttore Ecomuseo delle Acque del Gemonese),
Sandra Becucci (Fondazione Musei Senesi), Simone Bucri (Ecomuseo del Litorale
Romano), Alberto Castori (Presidente Ecomuseo della Teverina), oltre al
presidente di O.N.D.A. (Organizzazione Nuova Difesa Ambientale) Angelo Valerio,
che ha curato con me l’evento e che da ormai un decennio porta avanti con indefessa
dedizione il processo legato all’Ecomuseo dell’Agro Pontino. Importante anche
l’intervento di Marco Geronimi Stoll, pubblicitario disertore della Rete Smarketing
Altreconomia nonché interessante figura di libero pensatore.
Alle due giornate hanno partecipato non solo operatori
ecomuseali, ma anche – e questo è un
segnale da non sottovalutare - gran parte dell’amministrazione comunale di
Norma (il Sindaco Sergio Mancini, il Delegato all'Urbanistica Mauro Ferrarese,
l’Assessore al Bilancio e allo Sviluppo economico Bruno Guarnacci e l’Assessore
al Turismo Andrea Dell'Omo), diverse associazioni culturali della stessa
cittadina (Norbensis, Domusculta, Gruppo Archeologico Norba, Il sentiero
luminoso, Segrete storie italiane) e membri delle altre comunità pontine e
lepine (Sermoneta, Sabaudia, Borgo Flora, Tor Tre Ponti, Cisterna, Bella Farnia).
Le comunità, sono queste le vere protagoniste degli ecomusei: e allora
fondamentali sono stati gli interventi di Felice Calvani, Fabio Massimo
Filippi, Pino Riva, Giuseppe Onorati, Umberto Rieti, Tiziano Filippi, Agostina
Iacomini, Rino Garlant, Vincenzo Pinti, Flavio Pietrantoni, perché sono costoro
che, ognuno con il proprio sapere e mestiere, valorizzano quotidianamente il
patrimonio locale nei campi più diversificati: architettura, archeologia, cultura
dell’alimentazione, danze, musica, studi sul dialetto, agricoltura,
letteratura, teatro, ricamo.
L’Ecomuseo dell’Agro Pontino si caratterizza come paesaggio
delle acque e della bonifica, un paesaggio in cui natura e tecnica convivono da
sempre (non a caso abbiamo recentemente parlato di “futurnaturismo”). Dalle
colline di Norma (e dell’antica Norba) quel paesaggio appare in tutta la sua
straordinaria ricchezza, anche negli aspetti di degrado. Un paesaggio che, con
i canali, i fiumi, i laghi costieri (zona protetta Ramsar), le idrovore, il
giardino di Ninfa e il parco naturale di Pantanello, è ancora troppo poco noto
agli stessi pontini, come hanno evidenziato i risultati di un questionario
elaborato recentemente dallo stesso Ecomuseo dell’Agro Pontino e come ha
sottolineato, sempre durante il workshop, Stefano Salbitani, ex direttore
generale del Consorzio di bonifica. Una sfida, quella dell’ecomuseo, che per
molti ha il sapore di utopia. Eppure, in molte parti del mondo (e anche qui in
Italia) quell’utopia si è già tradotta in conquiste reali e radicali.
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