Molotov tracciò un quadro organico della politica estera sovietica il 31 ottobre 1939, durante la quinta sessione (straordinaria) del Soviet supremo1. L'analisi di questo discorso è utile per chiarire una questione di grande rilievo storiografico e teorico: e cioè se la politica estera dell'Urss dell'epoca staliniana fosse ideologicamente dettata da una prospettiva politica leniniana oppure da criteri diversi. Il primo caso rimanda all'interpretazione liberale del Patto d'agosto fra Hitler e Stalin come convergenza fra i totalitarismi, motivata dalla condivisa ostilità alla democrazia e, più in particolare, dall'intento staliniano di trar profitto dalla guerra imperialista per estendere il sistema sovietico al resto d'Europa. Un'alternativa è l'interpretazione per cui la politica estera sovietica non differiva qualitativamente dalla Realpolitik delle grandi potenze e che nel 1939-41 avrebbe avuto l'obiettivo di rimanere fuori del conflitto. Questa grande corrente interpretativa assume la sostanziale dicotomia fra politica interna ed esterna e una logica geopolitica in cui lo spazio socio-politico è una sorta di dato naturale nel quale gli attori fondamentali sono gli Stati, nelle versioni più semplici intesi come blocchi internamente omogenei. Nonostante la sua apparente naturalità e astoricità - in quanto indifferente alle peculiarità sociali e ideologiche dei paesi in questione - anche questa classe di interpretazioni è figlia della modernità westfaliana e capitalistica. Trovo entrambi gli approcci insoddisfacenti in quanto entrambi, sia pur per opposti motivi, sottovalutano la specificità sociale della dittatura burocratica staliniana e le sue implicazioni circa i metodi e gli obiettivi di politica estera. Occorre spiegare la strategia discorsiva di Molotov e i suoi argomenti nel quadro di un'interpretazione che leghi le decisioni di politica estera all'ordine sociale e politico interno dell'Unione Sovietica.
Il discorso di Molotov si presenta strutturato in tre parti: nella prima Molotov trattò i grandi cambiamenti nella politica internazionale intervenuti nei due mesi seguiti alla quarta sessione del Soviet supremo, presentò un'interpretazione della guerra in corso fra le potenze liberali e la Germania nazista e delineò l'atteggiamento internazionale dell'Unione Sovietica nel contesto della guerra europea; nella seconda motivò in modo più specifico l'intervento in Polonia; nella terza fornì un quadro dei rapporti tra l'Urss e alcuni Stati per essa di particolare rilievo strategico: gli Stati baltici, la Finlandia, la Turchia, il Giappone.
È molto significativo che il primo dei grandi cambiamenti nella scena internazionale indicati da Molotov fosse il Patto d'agosto con la Germania nazista, «che ha posto fine alle anormali relazioni fra Germania e Unione Sovietica», seguito dal trattato di amicizia firmato il 28 settembre; nei documenti sovietici e del Comintern dell'epoca scomparvero l'antifascismo e la differenziazione fra i regimi politici delle potenze capitalistiche. Questo cambiamento precedeva nell'elenco il «collasso dello Stato polacco» e la «grande guerra divampata in Europa»: forse un errore perché, per una volta, la dirigenza staliniana diceva la verità. Infatti, con questo lapsus nell'ordinamento degli eventi recenti, Molotov ammise involontariamente il Patto che aveva firmato con Ribbentrop quale necessaria condizione strategica della detonazione della guerra da parte della Germania nazista, in quanto la liberava dal pericolo di dover condurre simultaneamente una guerra su due fronti con potenze industriali e bene armate. Si può inoltre notare come Molotov presentasse come fatto normale che «la patria del socialismo» intrattenesse buoni rapporti con il più bestiale nemico del movimento operaio, del socialismo e di tutto ciò che può dirsi civile e umano. Traspare così una visione del mondo gretta, statalista e nazionalista che dava il tono a tutto il discorso. Assumere come dato positivo la normalizzazione dei rapporti con il Terzo Reich era necessario per giustificare il brusco rovesciamento della linea della sicurezza collettiva e dei fronti popolari antifascisti. Si tratta di un argomento che si colloca nella secolare tradizione, risalente alla pace di Westfalia del 1648, al termine della Guerra dei Trent'anni, secondo la quale i corretti rapporti fra gli Stati europei escludono l'ingerenza negli affari interni.