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domenica 4 dicembre 2016

IO, DANIEL BLAKE (Ken Loach, 2016), di Pino Bertelli

Soltanto in un paese libero l'impostura non gode privilegi,
e non può schivare la persecuzione che l'insegue sotto ogni forma o camuffamento,
non essendo protetta né da una corte, né dalla prepotenza nobiliare, né dall'iniquità d'una chiesa.
(Anthony Ashley-Cooper, III conte di Shaftesbury, 1707)

Sulla burocrazia, sul cattivo governo e sul film di Ken Loach, Io, Daniel Blake… non ci sono governi buoni, il governo migliore è quello che governa di meno o non governa affatto, diceva… ciò che è importante in ogni forma di società è la difesa del bello, del giusto e del bene comune… i deputati, i senatori, gli organi d'informazione e le "mosche cocchiere" della cultura sono tutti a libro paga dell'impero finanziario… alla farsa elettorale dei cretini ci partecipano tutti e tutti stanno al gioco… i terrorismi sono parte del grande spettacolo della globalizzazione e la celebrazione del liberalismo poggia sulla pioggia di "bombe intelligenti" dei paesi ricchi che legittimano il genocidio dei paesi impoveriti… ovunque i diritti dell'uomo sono calpestati, i proclami dei capi di stato, dei primi ministri, dei papi, dei generali… uccidono! Le chiacchiere della televisione e l'imbecillità della Rete, usata come i padroni del web vogliono, impediscono di pensare, di riflettere o d'incazzarsi… tutto è trasformato in uno spettacolo e niente è vero se non passa dall'inginocchiatoio dell'economica politica internazionale.
La twittosfera ha favorito l'emersione di una moltitudine di imbecilli (che forse imbecilli lo erano sempre stati) e sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione e nei luoghi di potere, scriveva, giustamente, Carlo M. Cipolla1… la peste (della stupidità politica) di Camus è ancora contagiosa e continua a diffondersi nei partiti e nella vita quotidiana… gli idolatri, i ruffiani, i servi si riproducono nei miti che sostengono e nessuno sembra chiamarsi fuori dalla barbarie della società consumerista… in verità il totalitarismo moderno teme che un giorno le giovani generazioni possano sommare le loro energie e rompere il meccanismo della ragione imposta… la maggior felicità per il maggior numero passa dalle rovine dell'ordine costituito. Alla maniera di Michel Onfray: «I nani dell'isola di Lilliput riescono a sconfiggere il gigante con una moltiplicazione di legami sottili, una proliferazione di piccole azioni congiunte, una tela di ragno libertaria che passa dall'inerzia al sabotaggio e dalla resistenza sociale al rovesciamento puro e semplice dello stato di cose esistenti»2. In principio è stata la disobbedienza civile, poi la forza radicale e il progresso dello spirito umano che hanno cercato - e qualche volta ci sono anche riusciti - di abolire l'odio dell'uomo sull'uomo e mostrare che il potere non esiste che con il consenso di coloro sui quali si esercita.
Di Io, Daniel Blake. Newcastle. Daniel Blake è un falegname di 59 anni, in seguito a una crisi cardiaca non può più lavorare ed è costretto a chiedere il sussidio statale per invalidità (ma viene respinto e il falegname cerca di fare ricorso). Daniel conosce Katie, giovane madre di due ragazzini… è venuta da Londra per avere una casa popolare… non riesce a trovare lavoro e si rivolge alla "Banca del cibo" per sfamare la famiglia (finirà a fare la prostituta per comprare le scarpe ai figli). Tra Daniel e Katie nasce un rapporto di tenera amicizia e d'indignazione verso la burocrazia disumana del welfare inglese… Daniel non riesce a districarsi tra i computer, la rete e i moduli da riempire… scrive sui muri dell'ufficio statale la sua protesta e chiede un incontro per riesaminare la sua situazione… naturalmente viene arrestato… vende tutti i mobili della casa per sopravvivere e quando va (insieme a Katie) davanti ai giudici del riesame, muore d'infarto nel bagno. Sono pochi i proletari che lo piangono… al "funerale dei poveri" che viene fatto di primo mattino (perché costa poco)… Katie legge una lettera di Daniel, dove il falegname chiede rispetto e dignità anche per un cane e lui è stato assassinato dallo Stato.
Il film di Loach (che ha vinto la Palma d'oro al Festival di Cannes per il miglior film) ritorna sulle tematiche del proletariato inglese offeso dalle istituzioni… l'affabulazione è quella del realismo sociale schierato dalla parte dei deboli, degli esclusi, degli offesi… certo non contiene la radicalità di Poor Cow (1967) o la complessità di Family Life (1971), e forse è meno efficace di Riff Raff (1991) o Piovono pietre (1993), tuttavia Io, Daniel Blake resta una critica profonda delle discriminazioni, delle ingiustizie, delle angherie che subiscono i nuovi poveri d'Inghilterra… è un cinema dell'indignazione quello di Loach… dove le vittime finiscono per trovare la loro esistenza nella rinuncia o nella correlazione con chi li malversa… la servitù diventa volontaria sino a quando la parola degli ultimi non si fa coro e dà inizio allo smantellamento della menzogna istituzionale… quando gli uomini sono trasformati in animali sottomessi, ogni forma di dissenso è giustificata… anche quelle più estreme… c'è un tempo per seminare e un tempo per raccogliere, il tempo della falciatura, il tempo del ritorno delle lucciole a maggio. La libertà non si concede, ce la si prende! E i mezzi sono tutti buoni.
Al fondo del film di Loach c'è la libertà di scelta che implica il rispetto… la rivolta dell'inedito… il «divenire rivoluzionario degli individui» (Gilles Deleuze) che dicono no! all'atarassia di un'epoca della disuguaglianza fondata sulla paura e l'esclusione… dove «con un abito da sera e una cravatta bianca, anche un agente di borsa può guadagnare la reputazione di essere civilizzato» (Oscar Wilde) e un politico, quale che sia il profumo griffato che usa, puzza sempre di merda! La storia dell'uomo (come quella dell'arte) presuppone le rotture epistemologiche (della conoscenza certa) che la condizionano… la miseria intellettuale, culturale, politica di questo tempo si evidenzia nel numero di guerre in atto e nell'accettazione del neoliberismo come pratica terroristica del paradiso in terra.
Va detto. La civiltà dello spettacolo si manifesta nell'abbandono mistico alla trascendenza della merce… l'unificazione felice della società consumerista porta alla devozione delle masse verso i padroni dell'immaginario: «Lo spettacolo non canta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni… dove domina lo spettacolare concentrato domina anche la polizia» (Guy Debord)3. Il capitalismo finanziario/burocratico detiene il lavoro sociale totale e nel suo spettacolo si accompagna alla violenza permanente con la quale impone l'unità della miseria. La rimaterializzazione del reale conduce a una battaglia delle idee e alla sconfitta dell'impotenza… «la rivoluzione politica trasforma il mondo. Essa comincia col trasformare la vita quotidiana» (Henri Lefebvre)4 o viceversa. Passare dalla vergogna alla collera non è solo necessario, ma utile per avvicinare il dogmatismo del potere alla sua fine.
In Io, Daniel Blake la forza discorsiva di Loach è rigorosa, essenziale in ogni inquadratura, e mette in contrasto la follia assistenziale dello Stato con il diritto di avere diritti degli scartati. La sceneggiatura, scritta da Paul Laverty, intreccia dialoghi asciutti ad ambientazioni proletarie e nei corpi, atteggiamenti, posture riprende una concezione della vita giusta che è stata smarrita. Dave Johns interpreta Daniel Blake in maniera misurata… gli sguardi, i gesti, le camminate figurano una povertà che non comprende e riflettono una dignità mai perduta… anche Hayley Squires delinea Katie su registri espressivi davvero alti e la loro semplicità attoriale restituisce alla narrazione il senso di amicizia, di dolcezza, di delicatezza mescolati alla sofferenza come rovina dell'anima. Il montaggio di Jonathan Morris fa da contrappunto all'impalcatura filmica e non ha niente a che vedere con quanto si smercia nella mediocrità televisiva. La fotografia di Robbie Ryan è quasi documentaria… non abbellisce né consacra l'universo emarginato dei protagonisti e insieme alle musiche di George Fenton contribuisce non poco a disvelare il dolore di un'epoca dove il sistema spettacolare ha preso il posto di un'etica del lavoro distrutta dal calcolo egoista dei mercati globali.
Io, Daniel Blake non contiene solo il rigetto della burocrazia, della rapacità del potere o della pratica dell'indifferenza (anche tra gli stessi operai/cittadini)… è un'accusa radicale contro l'immoralità del mondo. Per Loach, a ragione, il bello e il brutto, il male e il bene, il giusto e l'ingiusto… dipendono da decisioni umane, storiche, demiurgiche… i rapporti tra gli uomini sono cancellati a favore di apparati finanziari che costituiscono la legge e le merci sono strumenti dell'inumanità approntati contro l'uomo. I partiti, i politici, le autorità, le economie, i mezzi di comunicazione di massa sono i dispositivi con i quali vengono assoggettati interi popoli e quando non bastano le strutture delinquenziali che li appoggiano, i persuasori dell'ordine costituito mettono in campo la polizia.
Per non dimenticare. Finire ciò che è stato fatto nel maggio '68 è un compito difficile ma non impossibile… l'autorità, l'ordine, la gerarchia, i poteri… sono sempre quelli… si tratta di farli tremare di nuovo… la liberazione del desiderio parte sempre con l'uccisione degli dèi… dopo il '68 nessun nuovo valore ha visto la luce, diceva… e solo il genio collerico libertario può mettere fine alla cartografia della miseria… la critica radicale di tutte le forme di potere implica una crisi profonda: quella del principio di autorità! Il divino, l'ingiusto, il terrore, i valori, la morale… sono confinati in cieli vuoti, e solo l'uomo libero è la misura di tutte le cose! Tutto va rinnovato radicalmente! La libertà, come la verità, può sconfiggere qualsiasi fanatismo… ogni rivoluzione è un'esperienza fraterna e una civiltà felice dipende dal suo conseguimento… che la festa cominci!

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 13 volte novembre 2016


1 Carlo M. Cipolla, Allegro ma non troppo (con Le leggi fondamentali della stupidità umana), Il Mulino, 1988.
2 Michel Onfray, La potenza di esistere. Manifesto edonista, Tea, 2016.
3 Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979.
4 Henri Lefebvre, Critica della vita quotidiana, II, Dedalo, 1977.

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