A Stalin, Mosca
La prego di accettare i miei più sinceri complimenti per il suo sessantesimo compleanno. Colgo l'occasione per farle i miei migliori auguri. Le auguro personalmente buona salute e un futuro felice per i popoli dell'amica Unione Sovietica.
(Adolf Hitler, 21 dicembre 1939)
La prego di accettare i miei più sinceri complimenti per il suo sessantesimo compleanno. Colgo l'occasione per farle i miei migliori auguri. Le auguro personalmente buona salute e un futuro felice per i popoli dell'amica Unione Sovietica.
(Adolf Hitler, 21 dicembre 1939)
A Stalin, Mosca
Ricordando le storiche ore al Cremlino, che hanno inaugurato la svolta decisiva nei rapporti tra i nostri due grandi popoli, così creando le basi per una duratura amicizia, vi prego di accettare le mie più vive felicitazioni per il suo compleanno.
(Joachim von Ribbentrop, ministro degli Affari esteri del Reich)
Ricordando le storiche ore al Cremlino, che hanno inaugurato la svolta decisiva nei rapporti tra i nostri due grandi popoli, così creando le basi per una duratura amicizia, vi prego di accettare le mie più vive felicitazioni per il suo compleanno.
(Joachim von Ribbentrop, ministro degli Affari esteri del Reich)
A Ribbentrop, Berlino
Grazie, Signor Ministro, per i suoi auguri. L'amicizia di sangue sigillata tra i popoli della Germania e dell'Unione Sovietica mostra tutti i segni di essere forte e duratura.
[Iosif Stalin (Pravda, 25 dicembre 1939)]
Grazie, Signor Ministro, per i suoi auguri. L'amicizia di sangue sigillata tra i popoli della Germania e dell'Unione Sovietica mostra tutti i segni di essere forte e duratura.
[Iosif Stalin (Pravda, 25 dicembre 1939)]
Camuffata sotto forma di trattato di non aggressione (con annesso protocollo segreto), l'alleanza di fatto fra l'Unione Sovietica di Stalin e il Terzo Reich di Hitler stipulata il 23 agosto 1939 risolse il fondamentale problema strategico della Germania: evitare la guerra su due fronti.
Il Patto d'agosto fu quindi la condizione politica e militare per l'invasione nazista della Polonia, perché ne rendeva impossibile la difesa mediante la costituzione di un forte fronte orientale contro la Wehrmacht1, e per questa stessa ragione fu anche la necessaria condizione strategica della sconfitta degli Alleati nel 1940 e dei successi politici e militari del nazismo in Europa fino al 1941. Che fra Hitler e Stalin si fosse stabilita un'alleanza di fatto è confermato dagli eventi successivi.
Nel settembre 1939 non fu solo la Wehrmacht ad aggredire la Polonia: all'attacco nazista del 1° settembre fece seguito l'invasione dell'Armata rossa da oriente, il 17 dello stesso mese. Nel secondo articolo del Protocollo segreto allegato al Patto di non aggressione era stato stabilito, fra l'altro, che «nel caso di una nuova sistemazione politico-territoriale nell'area dello Stato polacco, le sfere d'influenza della Germania e dell'Urss saranno definite all'incirca dalla linea dei fiumi Narew, Vistola e San». Inoltre, la decisione circa il «mantenimento di uno Stato polacco indipendente» venne rimandata al corso «degli ulteriori sviluppi politici»2. È quindi indubbio che ad agosto Hitler e Stalin concordarono la divisione delle sfere d'influenza in Polonia e nell'area baltica. Il Patto d'agosto venne rafforzato il 28 settembre da un Trattato di amicizia fra Germania e Urss che ridefinì le frontiere fra i due Stati nella conquistata Polonia, e accompagnato da un altro Protocollo segreto con cui le due potenze si impegnarono a scambiarsi popolazioni e prigionieri di guerra e a collaborare nella repressione della resistenza polacca; iniziarono anche i negoziati per la crescita degli scambi commerciali e la collaborazione militare, con la messa a disposizione del porto di Murmansk per le navi tedesche e della «Base nord» per i sommergibili, nella grande base navale di Zapadnaya Litsa, non lontana da Murmansk.
Tuttavia, una corretta e completa valutazione della duplice invasione e della spartizione della Polonia richiede che si risponda a diverse domande. Innanzitutto a queste: se il Protocollo allegato al Patto d'agosto definiva le sfere d'influenza, da questo scaturivano necessariamente oppure no anche l'invasione sovietica e la spartizione della Polonia? E poi: come si combinarono le prospettive di lungo periodo e l'improvvisazione tattica nelle decisioni sovietiche di invadere la Polonia, di annettere i Paesi baltici e di dichiarare guerra alla Finlandia? Quali erano e che valore avevano le giustificazioni sovietiche dell'invasione della Polonia? Corrisponde al vero che l'entrata dell'Armata rossa in Polonia aveva lo scopo di proteggere i bielorussi e gli ucraini, sui quali «incombeva il pericolo di cadere sotto il dominio tedesco», e che essa fu una «campagna di liberazione, per proteggere la vita e i beni della popolazione della parte occidentale della Bielorussia e dell'Ucraina occidentale», come sostenuto dalla pubblicistica e dalla propaganda sovietica3? È vero che senza l'intervento sovietico «l'Ucraina occidentale e la Bielorussia sarebbero diventate teste di ponte per aggredire l'Unione Sovietica»? Corrisponde al vero che «il governo polacco non era in grado di difendere il paese, abbandonò il popolo polacco al suo destino e fuggì all'estero»4? Per quale ragione e in che modo Stalin e Hitler decisero di cancellare del tutto la Polonia dalla mappa politica d'Europa, non concedendo neanche uno Stato polacco residuale? Quali erano i rapporti tra Mosca e le cancellerie degli Stati liberali in guerra con la Germania nazista? Quale significato politico e militare reale assunse la posizione di formale neutralità dell'Unione Sovietica nella guerra continentale? E quindi: qual era la situazione nel teatro di guerra al momento dell'invasione sovietica e quali furono per l'esercito polacco le conseguenze dell'attacco dell'Armata rossa? Come interagirono nel teatro polacco l'Armata rossa e la Wehrmacht? Come forze tra loro potenzialmente ostili o come alleate di fatto? E ancora: corrisponde o no a verità l'immagine della Wehrmacht tanto potente ed efficace, per armamento e per dottrina operativa, da risultare una macchina da guerra invincibile? È vero o no che con i Patti d'agosto e di settembre l'Unione Sovietica guadagnò tempo e spazio per prepararsi adeguatamente alla guerra con il Terzo Reich? A prescindere dalla valutazione politica ed etico-politica e considerando la questione in base ai criteri dell'approccio «realistico» alla politica internazionale, il calcolo strategico di Stalin nell'estate 1939 era ben fondato? Considerando i rapporti di forza, non sarebbe forse stato preferibile per l'Unione Sovietica battersi nel 1939 invece che subire l'attacco nel 1941?
Qui risponderò alle domande circa il perché, il come e il quando a Mosca venne decisa l'invasione della Polonia e le giustificazioni della stessa, con alcune osservazioni sulle conseguenze della spartizione. Lo svolgimento dettagliato delle operazioni militari sovietiche e il loro impatto saranno trattati in altro articolo.
La giustificazione sovietica dell'invasione della Polonia
Erano circa le due della notte del 17 settembre quando l'ambasciatore polacco a Mosca, Wacław Grzybowski, venne convocato al ministero degli Esteri. Stalin e Vjačeslav Michajlovič Molotov (presidente del Consiglio dei commissari del popolo, Molotov era allora anche commissario agli Affari esteri) erano occupati con l'ambasciatore tedesco Friedrich Werner von Schulenburg, per cui fu al vice commissario agli Affari esteri, Vladimir Potëmkin, che spettò di consegnare a Grzybowski una nota diplomatica con la quale il governo sovietico dichiarava che le sue truppe avrebbero varcato la frontiera tra i due Stati. Impietrito, l'ambasciatore rifiutò formalmente di accettare il documento che annunciava la fine dell'indipendenza della Polonia e la sua quarta spartizione. Alla fine, Grzybowski disse che avrebbe informato il suo governo dell'imminente invasione, ma la nota che egli continuava a rifiutare pervenne all'ambasciata solo con la posta del mattino. Questo il documento sovietico integrale:
«La guerra polacco-tedesca ha rivelato la bancarotta interna dello Stato polacco. Durante il corso di dieci giorni di ostilità, la Polonia ha perso tutte le sue aree industriali e i centri culturali. Varsavia non è più la capitale della Polonia. Il governo polacco si è disintegrato e non mostra più alcun segno di vita. Ciò significa che lo Stato polacco e il suo governo hanno, di fatto, cessato di esistere. Quindi hanno cessato di essere in vigore gli accordi conclusi tra l'Urss e la Polonia. Lasciata a se stessa e priva di guida, la Polonia è diventata una zona esposta a tutti i tipi di pericoli e sorprese che possono costituire una minaccia per l'Urss. Per queste ragioni, alla luce di questi fatti, il governo sovietico, che fino ad ora ha osservato la neutralità, non può più mantenersi neutrale.
«Inoltre, il governo sovietico non può considerare con indifferenza il fatto che i popoli ucraino e bielorusso, che vivono sul territorio polacco e che sono in balia del destino, siano lasciati indifesi. In queste circostanze, il governo sovietico ha dato direttiva all'alto comando dell'Armata rossa di ordinare alle sue truppe di attraversare la frontiera e di prendere sotto la sua protezione la vita e la proprietà della popolazione dell'Ucraina occidentale e della Russia bianca occidentale. Allo stesso tempo, il governo sovietico si propone di adottare tutte le misure per districare il popolo polacco dalla sfortunata guerra in cui è stato trascinato dai suoi imprudenti capi e per consentirgli di vivere in pace»5.
Gli stessi argomenti della nota al governo polacco vennero ripetuti da Molotov in un discorso radiofonico; il capo del governo sovietico si premurò di precisare che la mobilitazione parziale dell'Armata rossa nei primi giorni di settembre, «quando la situazione in Polonia non era chiara», aveva avuto natura precauzionale perché in quel momento «nessuno avrebbe potuto immaginare che lo Stato polacco si sarebbe rivelato così impotente e che sarebbe collassato così velocemente, come ha già fatto, in tutta la Polonia»6.
È da notare che non si trattava di una dichiarazione di guerra; piuttosto, per come presentava la situazione e gli intenti, la nota richiama alla mente le sedicenti operazioni di polizia internazionale attuate dagli Stati Uniti e dalla Nato a partire dagli anni Novanta del XX secolo. Per la diplomazia e la propaganda sovietica era di fondamentale importanza far passare l'idea che lo Stato polacco fosse già crollato e che l'ordine interno fosse in irrimediabile disintegrazione.
Un arco di "trionfo" sulla linea di spartizione della Polonia, a Iwachnivce |
Oggi lo si direbbe uno «Stato fallito» come il Sudan, la Somalia o l'Afghanistan. Tuttavia, il presunto «fallimento» dello Stato polacco era inteso a sostenere che, scomparso uno dei due contraenti, fossero venuti meno i vincoli giuridici degli accordi internazionali, sia bilaterali che multilaterali. L'invasione dell'Armata rossa era infatti una flagrante violazione del Patto di non aggressione tra Unione Sovietica e Polonia, sottoscritto il 25 luglio 1932 ed esteso due anni dopo fino al 1945. Il primo articolo di questo trattato impegnava le due parti a rinunciare a qualsiasi genere di azione aggressiva. Stando al secondo articolo, se uno dei contraenti fosse stato aggredito, l'altro sarebbe stato obbligato a «non prestare aiuto o assistenza, direttamente o indirettamente, allo stato aggressore, per tutta la durata del conflitto»; vi figurava anche un comma, significativamente assente nel Patto fra Stalin e Hitler, secondo cui se una delle parti avesse intrapreso un atto aggressivo nei confronti di un terzo Stato, l'altro contraente sarebbe stato automaticamente liberato dagli obblighi del trattato. E con il terzo articolo i due Stati contraenti si impegnavano a non sottoscrivere «qualsiasi accordo apertamente ostile alla controparte»7. Il Protocollo allegato al Patto di agosto doveva quindi essere segreto anche perché chiaramente in contrasto con il terzo e gli altri articoli del trattato sovietico-polacco. Quanto al secondo articolo, il 17 settembre 1939 il conflitto era ancora in corso: il governo polacco non prese mai in considerazione, in alcun momento, la possibilità di un armistizio o di una resa all'aggressore nazista. I polacchi continuarono a combattere il Terzo Reich per l'intera durata della guerra, come esercito in esilio in Francia, in Norvegia, nella battaglia d'Inghilterra, in Nord Africa, in Italia. E ovviamente resistettero nella stessa Polonia, nelle condizioni più terribili, non paragonabili per dimensioni e qualità della ferocia a quelle dell'occupazione nazista in Europa occidentale. La tesi della scomparsa dello Stato polacco venne in pratica smentita da Stalin il 30 luglio 1941 quando stipulò un accordo con il governo polacco in esilio, il cui primo articolo recitava: «il governo dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche riconosce che i trattati sovietico-tedeschi del 1939 relativi ai cambiamenti territoriali in Polonia hanno perso la loro validità»; nel quarto articolo si stabilì la formazione di un esercito polacco nel territorio dell'Urss - costituito dai prigionieri della guerra del 1939 - con comandante nominato dal governo polacco ma operativamente subordinato al comando supremo sovietico8. Tuttavia, a guerra conclusa anche il primo articolo di questo accordo venne violato.
Inoltre, è da notare che «la protezione della vita e della proprietà» garantita dall'Armata rossa veniva estesa ai soli «fratelli» ucraini e bielorussi e che, in pratica, l'Unione Sovietica pose fine alla sua «neutralità» rivolgendo le sue armi non contro l'aggressore ma soltanto contro i polacchi i quali, fosse o meno crollato l'apparato statale, certamente continuavano a esistere come nazionalità.
Ivan Maisky, ambasciatore sovietico a Londra, scrisse nel suo diario sulla pagina del 17 settembre che la notizia dell'attacco sovietico «ha colpito Londra come un fulmine a ciel sereno. È vero, da tempo qui si fanno discorsi e ci sono sospetti di un accordo tedesco-sovietico per spartirsi la Polonia, ma l'attraversamento del confine polacco da parte dell'Armata rossa è stato un vero e proprio shock»9. Il punto è che una formale dichiarazione di guerra alla Polonia avrebbe potuto portare l'Unione Sovietica in guerra anche contro la Francia e la Gran Bretagna.
Di fronte al fatto enorme della doppia aggressione alla Polonia, solo gli accecati dal fanatismo potevano credere in buona fede che Stalin non si fosse alleato con Hitler e accettare le conseguenti implicazioni pratiche del Patto per i loro paesi, che agli occhi dell'opinione pubblica li rendeva complici del nazismo. Il sostegno sovietico allo sforzo bellico nazista fu la ragione per cui a Londra e Parigi valutarono, ad esempio, l'opportunità di bombardare Baku per interrompere le forniture di petrolio alla Germania. Tuttavia, le potenze liberali non intrapresero azioni ostili nei confronti dell'Unione Sovietica e non solo per ragioni tecniche: preferirono accettare come male minore la posizione di formale neutralità di Mosca, conducendo un gioco diplomatico delicatissimo con uno Stato che, speravano, prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con la Wehrmacht. Cinicamente ma giustamente, così la pensava Winston Churchill.
Vediamo come venne deciso l'attacco sovietico alla Polonia.
La decisione sovietica di invadere la Polonia
Sferrato il primo colpo a sorpresa, i nazisti sollecitarono subito i dirigenti sovietici a seguire il loro esempio, sia per chiudere al più presto le operazioni militari e poter meglio parare un eventuale colpo sull'esposto fronte occidentale, sia per motivi diplomatici. In un telegramma del 3 settembre all'ambasciatore von Schulenburg, qualificato come urgentissimo e segretissimo, da decodificare personalmente, von Ribbentrop scrisse:
«Naturalmente, per ragioni militari dovremmo procedere ancora contro quelle forze polacche che attualmente si trovano nella zona polacca appartenente alla sfera d'influenza russa. Prego discutere subito con Molotov di questo e accertare se l'Unione Sovietica non ritenga opportuno che forze russe si mettano in moto al momento giusto contro le forze polacche nella sfera d'influenza russa, occupando tale zona. A nostro avviso ciò non solo alleggerirebbe il nostro compito, ma sarebbe anche conforme agli accordi di Mosca e agli interessi sovietici»10.
I nazisti volevano dissipare eventuali sospetti sovietici sull'ampiezza delle loro mire: da qui l'urgentissima precisazione di von Ribbentrop che l'inseguimento di truppe polacche nella zona definita «d'influenza russa» non era da intendersi come violazione del Patto di agosto né come mossa ostile all'Urss. Al contrario, richiedevano lealmente la collaborazione sovietica a definire concretamente, sulla base della loro iniziativa, quanto già stipulato come possibilità ad agosto.
In una prospettiva più ampia e strategica ma dopo l'attacco nazista del 1941, la propaganda e la storiografia ufficiale dell'Urss giustificarono l'invasione della Polonia sostenendo che
«il primo compito del governo Sovietico consisteva nel creare un fronte "est" contro l'aggressione hitleriana, nello stabilire una linea di difesa alle frontiere occidentali delle terre bielorusse e ucraine, nell'organizzare così una barriera contro l'avanzare non ostacolato delle truppe tedesche verso est. Bisognava per questo riunire alla Bielorussia e all'Ucraina Sovietiche la Bielorussia e l'Ucraina occidentali, di cui la Polonia feudale si era impossessata nel 1920, e farvi avanzare le truppe Sovietiche»11.
Questa è una tesi degna del ministero della Verità dell'orwelliano 1984: furono i nazisti a sollecitare l'intervento dell'Armata rossa, in attuazione del Protocollo segreto.
L'invasione sovietica della Polonia non si può dunque intendere come misura precauzionale contro il Terzo Reich, ma come conseguenza di un accordo con esso: in pratica la realizzazione di un'alleanza di fatto anche sul piano militare, oltre che diplomatico, poliziesco, economico, di scambio di popolazioni e prigionieri polacchi, ebrei e antifascisti inclusi, come poi sarà.
Da parte sua, nelle prime fasi della guerra Stalin aveva buoni motivi per rimanere a guardare l'evolversi della situazione militare e diplomatica: poteva lasciare alla Wehrmacht il compito di schiacciare la difesa polacca, rimandando l'intervento dell'Armata rossa proprio per non farlo apparire come parte di un piano preordinato con la Germania nazista. Infine, al Cremlino potevano ancora pensare che l'offensiva nazista si concludesse in modo analogo alla crisi cecoslovacca: con una conferenza. Ora, però, non ci sarebbe stata la ripetizione di Monaco, nel senso che questa volta l'Unione Sovietica avrebbe partecipato alla «conferenza di pace» per ritagliarsi la sua parte dello Stato polacco, spalleggiata dalla Germania nazista.
Altro motivo che può aver concorso a rinviare l'invasione della Polonia era la situazione in estremo oriente. Tuttavia, ritengo che questo argomento non vada sopravvalutato. Entro la fine di agosto Žukov aveva già vinto la non dichiarata guerra locale con i giapponesi in Manciuria e il governo di Hiranuma Kiichirō era caduto il 30 agosto, proprio a causa dell'impatto dell'accordo fra Hitler e Stalin sulle fazioni militari e politiche in lotta nel Paese. Il dittatore sovietico era già abbastanza sicuro che la situazione dell'estremo oriente non avrebbe interferito con l'iniziativa in occidente e ne ebbe la certezza con l'armistizio firmato con il Giappone il 15 settembre. La normalizzazione dei rapporti sovietico-nipponici culminò nel Patto di non aggressione del 13 aprile 1941: s'intende come questo fosse utile alla guerra giapponese in Cina, alla sua espansione in Asia e all'attacco contro gli Stati Uniti. Sicché dal giugno 1941 il quadro delle amicizie nel teatro asiatico fu piuttosto bizzarro: da una parte il Giappone rimase in pace con l'Urss, nonostante fosse alleato della Germania; dall'altro la dirigenza sovietica scoprì soltanto nel 1945 - per essere ironici - che i suoi nuovi alleati erano da qualche anno in guerra con il Giappone, dichiarandogli guerra l'8 agosto 1945.
La prudenza di Stalin nei primi giorni di guerra si spiega anche con lo sconcerto che il rovesciamento di campo nella politica internazionale creò all'interno del paese oltre, ovviamente, fra quanti erano convinti dell'inconciliabilità ideologica fra il Terzo Reich e la «patria del socialismo». All'interno, dopo anni di feroce repressione di massa di presunte spie e sabotatori al servizio dei nazisti, gli argomenti dei propagandisti dovevano essere rivisti e occorreva riorientare quanti, giustamente e in buona fede, erano convinti che il pericolo fosse la Germania nazista12; all'estero, come osservò Maisky, mancava materiale di propaganda coerente con il nuovo corso della politica estera. Questo sconcerto venne debitamente segnalato a Berlino dall'ambasciatore tedesco il giorno 6: «specialmente le dichiarazioni degli agitatori ufficiali secondo cui la Germania non è più un paese aggressore si scontrano con un considerevole scetticismo»; era pure diffuso il timore che, dopo la Polonia, la Wehrmacht venisse rivolta contro l'Unione Sovietica. Tuttavia, egli riportò con soddisfazione che sulla stampa era scomparso qualsiasi attacco al Terzo Reich e che dalle librerie venivano ritirate le pubblicazioni antitedesche, cioè antinaziste. Concludeva quindi con fiduciose valutazioni: come in passato, il governo sovietico avrebbe saputo «influenzare in modo magistrale l'atteggiamento della popolazione nella direzione da esso voluta, e non si sta risparmiando nemmeno in questa occasione nella necessaria propaganda»13. Il 5 settembre von Schulenburg telegrafò al ministero degli Esteri a Berlino la risposta testuale di Molotov alla richiesta d'agire:
«Conveniamo che a un certo momento saremo costretti a iniziare un'azione concreta. Riteniamo però che il momento non sia ancora giunto. Può darsi che sbagliamo, ma a noi sembra che la fretta possa compromettere la cosa e favorire il coalizzarsi degli avversari. Ci rendiamo conto che nel corso delle operazioni una delle due parti o entrambe le parti potrebbero essere costrette a oltrepassare temporaneamente la linea dove le due sfere d'influenza si toccano; ma ciò non dovrebbe impedire l'esatta attuazione del piano concordato»14.
Dunque, il 5 settembre Molotov dava come necessaria l'invasione della Polonia da est secondo il «piano concordato» implicito nel Protocollo segreto. La rinviava solo per motivi di opportunità, non per incertezza.
Per il Comintern il Patto con Hitler fu un rovesciamento di linea politica più brusco e sorprendente del voto per i crediti di guerra da parte dei parlamentari socialdemocratici nel 1914. Si può dare per certo che i suoi dirigenti rimasero all'oscuro delle trattative con i nazisti fino al fatto compiuto. Alla luce delle «eccezionali difficoltà» - un eufemismo - nell'elaborare una linea che fosse coerente con il nuovo corso della politica estera sovietica, il segretario del Comintern Georgi Dimitrov chiese lumi al responsabile del dipartimento per la propaganda del Comitato centrale del partito russo, Andrej Aleksandrovič Ždanov, il 5 settembre. E Dimitrov venne illuminato da Stalin e Ždanov due giorni dopo, durante una riunione di cui prese nota nel suo diario. Le annotazioni di Dimitrov erano spesso in forma di parole d'ordine, di indicazioni per la propaganda più che argomentazioni utili a comprendere le reali motivazioni delle scelte sovietiche. Stalin affermò (erroneamente, perché il regno polacco-lituano fu sempre multinazionale) che in passato la Polonia era stata uno Stato nazionale che i rivoluzionari difendevano contro la spartizione, ma che «ora è uno Stato fascista che opprime ucraini, bielorussi e così via» e che quindi «nelle condizioni attuali l'annientamento di questo Stato significherebbe uno Stato fascista borghese in meno da combattere». Da queste parole si potrebbe concludere che la mente di Stalin non fosse sfiorata dal pensiero che così rafforzava notevolmente lo Stato fascista più potente, con cui si sarebbe trovato ad avere una frontiera comune, indebolendo così la difesa sovietica esponendola a un attacco diretto della Wehrmacht. Ma si trattava di dare direttive per la propaganda, per cui la logica poteva essere messa da parte. Dimitrov annotò anche una domanda retorica di Stalin: «quale sarebbe il danno se come conseguenza della disfatta della Polonia dovessimo estendere il sistema socialista su nuovi territori e popolazioni?»15. Quest'ultima è domanda che può essere presa a sostegno dell'interpretazione della politica estera dell'Urss in chiave essenzialmente ideologica, espansionistica e rivoluzionaria. In realtà, era anche questo un argomento retorico da usare nella propaganda; tuttavia, non lascia dubbi sul fatto che già il 7 fosse stato deciso di invadere la Polonia e di annettere e sovietizzare il territorio delimitato in accordo con i nazisti.
Linea di demarcazione polacca, settembre 1939 |
Il 9, lo stesso giorno in cui rifiutò una richiesta di aiuti da parte dell'ambasciatore polacco, informandolo che la situazione era «radicalmente cambiata», Molotov si congratulò telefonicamente con von Schulenburg «per l'entrata delle truppe tedesche in Varsavia», facendo gli auguri al governo del Reich16. Le congratulazioni erano però premature, perché la battaglia per Varsavia era appena iniziata e sarebbe continuata fin quasi alla fine del mese. Ricevuta questa comunicazione, da parte sua von Ribbentrop telegrafò a von Schulenburg che lo sviluppo delle operazioni militari superava le aspettative e che l'esercito polacco era quasi al punto della disfatta. Il ministro degli Esteri del Reich si dichiarò «d'accordo con il governo sovietico che l'estensione locale delle nostre operazioni militari ovviamente non intacca la validità degli accordi stabiliti a Mosca» e chiese nuovamente a von Schulenburg di riprendere «il colloquio con Molotov sulle intenzioni militari del governo sovietico»17. I sovietici erano chiamati a fare diligentemente la loro parte nel processo di attuazione e d'interpretazione del Patto.
La risposta non si fece attendere: il 9 von Schulenburg telegrafò a Berlino che «oggi alle 15 Molotov mi ha detto che un'azione militare sovietica avrà luogo uno di questi giorni» e di nuovo, poco prima delle 21: «l'Armata rossa ha fatto sapere al tenente generale Köstring che l'Unione Sovietica interverrà»18. Nel secondo telegramma l'ambasciatore segnalò anche, come sintomi dell'azione imminente, la mobilitazione dei riservisti fino a 40 anni d'età, la scomparsa di certi generi alimentari, la trasformazione di scuole in ospedali, il razionamento della benzina e altre misure ancora. L'intenzione d'intervenire militarmente, già dichiarata quattro giorni prima, sembrava dunque stesse per concretizzarsi, con sollievo dei tedeschi. Questo durò però solo un giorno. Nel pomeriggio del 10 settembre von Schulenburg ebbe un colloquio chiarificatore con Molotov. Stando al rapporto dell'ambasciatore, il commissario sostenne che «l'Unione Sovietica è stata colta completamente di sorpresa dal rapido successo militare tedesco»: per prepararsi ad agire contava su due o tre settimane, non su pochi giorni; più di tre milioni di uomini erano già stati mobilitati ma l'invasione non era affatto imminente. All'energica richiesta da parte dell'ambasciatore d'intervenire al più presto, Molotov replicò che avrebbe fatto il possibile per accelerare i tempi dell'azione. E fece trapelare la vera ragione, che era politica, non tecnica, del rinvio dell'invasione. Dal telegramma di von Schulenburg:
«Molotov è poi passato agli aspetti politici e ha dichiarato che il governo sovietico aveva intenzione, approfittando dell'avanzata delle truppe tedesche, di sostenere pubblicamente che la Polonia è perduta e che perciò l'Unione Sovietica è costretta a venire in aiuto degli ucraini e dei bielorussi "minacciati" dalla Germania. Con questa motivazione la mole dell'intervento sovietico sarebbe apparsa plausibile, e al tempo stesso l'Unione Sovietica avrebbe evitato di apparire uno Stato aggressore»19.
Questa è la prima volta in cui nella corrispondenza diplomatica compare l'argomento della «difesa» degli ucraini e dei bielorussi occidentali come giustificazione dell'intervento sovietico: si noti che esso è annunciato nei colloqui con l'ambasciatore del Terzo Reich, prima dell'annientamento della difesa polacca e dopo aver cordialmente riconosciuto la necessità militare dello «sconfinamento» temporaneo delle truppe tedesche nella zona d'influenza sovietica, cioè nell'Ucraina e nella Bielorussia occidentali, che ipocritamente si intendeva proclamare «minacciate» dalle truppe del governo con cui si stava concordando l'azione.
Come già detto, per sperare di non apparire aggressore al pari di Hitler e con lui in combutta, Stalin aveva bisogno di poter dichiarare al mondo che il Patto di non aggressione stipulato dall'Urss con la Polonia non fosse più valido in quanto lo Stato polacco aveva cessato di esistere e che, quindi, occorreva rimediare a un vuoto di potere. Come nella nota consegnata all'ambasciatore polacco, a queste condizioni l'intervento dell'Armata rossa poteva essere motivato con la necessità di proteggere i fratelli ucraini e bielorussi minacciati dai nazisti.
Tuttavia, in quel momento Stalin aveva un problema: Varsavia non era affatto caduta e, per quanto l'offensiva tedesca fosse stata sorprendentemente efficace, la guerra continuava, come provava la controffensiva polacca intorno al fiume Bzura, che per alcuni giorni distrasse importanti forze della Wehrmacht dall'assalto a Varsavia.
L'argomento circa i «fratelli» ucraini e bielorussi non aveva nulla a che fare con l'«internazionalismo proletario» e l'antifascismo ma era, invece, tutto nel solco della tradizione dell'imperialismo zarista: del destino dei polacchi e di uno Stato polacco indipendente (fosse anche privato dei territori prevalentemente abitati da non polacchi) non si faceva parola. Questa giustificazione suscitò però l'irritazione dei nazisti. A Berlino - è comprensibile - Stalin appariva come un opportunista e un ipocrita, disposto ad adottare un argomento che, almeno implicitamente, metteva in cattiva luce l'azione del Reich mentre egli approfittava del sangue «eroicamente» versato dai soldati tedeschi. Questa fu la prima importante e aperta divergenza politica tra Terzo Reich e Unione Sovietica dopo la firma del Patto. È un esempio di come le due potenze procedessero parallelamente, ma sempre perseguendo i propri interessi, nello stesso tempo facendo leva sulla necessità di ottenere il sostegno dell'altra, in un delicato gioco di dare e avere, pressione e temporeggiamento. Ciascuna complice dell'altra che, nello stesso tempo, cercava di «mettere nel sacco».
Se i nazisti furono delusi dalla risposta di Molotov, i sovietici erano rimasti come minimo perplessi da una dichiarazione del generale Walther von Brauchitsch, comandante delle forze di terra tedesche. Molotov lamentò che secondo Brauchitsch non erano più necessarie azioni militari a oriente e quindi «il comunicato ha dato l'impressione che un armistizio tedesco-polacco sia imminente. Ma se la Germania conclude un armistizio, l'Unione Sovietica non può iniziare una "nuova guerra"»20. Von Schulenburg rispose che non sapeva nulla della dichiarazione del generale e che avrebbe chiesto informazioni su questa sfortunata eventualità. L'equivoco venne chiarito da von Ribbentrop il 13: Brauchitsch si riferiva «esclusivamente all'esercizio del potere esecutivo nell'antico territorio del Reich», non al termine delle operazioni militari né a un armistizio con la Polonia.
Ciò che implica l'altrimenti strana osservazione di Molotov sulla dichiarazione di Brauchitsch è che il governo sovietico desiderava che la guerra continuasse fino alla sconfitta dell'esercito polacco. Ancora una volta Molotov non dichiarava incertezza sull'aggressione sovietica alla Polonia, ma che si riservava di farlo nel momento a Mosca ritenuto politicamente più opportuno. In quel momento dunque Stalin si preoccupava di trovarsi in modo inaspettato in una situazione per cui non sarebbe stato diplomaticamente opportuno invadere la Polonia: insomma, di non poter più dire che si trattava di «salvare» ucraini e bielorussi occidentali. Su questo punto, un pilastro della giustificazione dell'aggressione stalinista alla Polonia mentre combatteva i nazisti, la discussione tra Mosca e Berlino continuò fino a una conclusione costruttiva.
Chiarito l'equivoco nato dalla dichiarazione di Brauchitsch, il 14 Molotov comunicò a von Schulenburg che l'Armata rossa sarebbe entrata in azione prima del previsto e che «per meglio giustificare politicamente il passo sovietico (tracollo della Polonia e difesa delle minoranze "russe") sarebbe stato molto importante agire solo dopo la caduta della sede del governo polacco, cioè della città di Varsavia»: il governo sovietico attendeva con impazienza questa «buona» notizia21. Avrebbe dovuto attendere ancora un paio di settimane. Nel frattempo, articoli sulla Pravda e sulla Izvestija denunciavano violazioni dello spazio aereo sovietico da parte di aerei polacchi e l'oppressione subita da ucraini e bielorussi, che si diceva fossero in rivolta. Correttamente, l'ambasciatore interpretava la campagna sulla stampa sovietica come preparazione dell'opinione pubblica all'invasione.
In un'istruzione telegrafica del giorno 15 all'ambasciatore a Mosca, von Ribbentrop chiese di informare il governo sovietico che la sconfitta dell'esercito polacco era quasi completa; confermava la concordata delimitazione delle sfere d'influenza; si rallegrava della decisione sovietica di intervenire, fatto questo che avrebbe evitato un vuoto di potere nei territori a est della zona di pertinenza dei nazisti; «inoltre, al fine di coordinare le operazioni militari delle due parti, bisognerebbe che i due governi mandassero in una data località in zona d'operazioni (noi proponiamo Białystok) un loro incaricato e degli ufficiali, in aereo, che si incontrerebbero [con i nostri] per accordarsi su cosa fare»22. Il ministro nazista non era però d'accordo che l'intervento sovietico fosse giustificato con l'argomento della minaccia tedesca sulle popolazioni dell'Ucraina e della Bielorussia occidentali. Proponeva invece una bozza di comunicato congiunto, che così diceva:
«Di fronte al completo collasso della preesistente forma di governo in Polonia, il governo del Reich e il governo dell'Urss ritengono necessario porre fine alle intollerabili condizioni politiche ed economiche in questi territori. Essi considerano loro comune dovere ristabilire la pace e l'ordine in queste zone che sono naturalmente di loro interesse per realizzare un nuovo ordine attraverso la creazione di frontiere naturali e di un'organizzazione economica vitale».
Secondo le istruzioni ricevute, von Schulenburg agì solertemente. Altrettanto rapida, in giornata, fu la risposta di Molotov alla sua comunicazione: l'azione sovietica è imminente, domani o al più tardi il giorno successivo. Restava però il problema politico della motivazione dell'invasione:
«l'Unione Sovietica intende giustificare così il suo operato: lo Stato polacco è distrutto e non esiste più, e con ciò sono caduti tutti i trattati stipulati con la Polonia; terze potenze possono cercare di approfittare del caos; l'Unione Sovietica si sente in dovere d'intervenire per proteggere i suoi fratelli ucraini e bielorussi e fare in modo che queste infelici popolazioni possano lavorare pacificamente»23.
Molotov, precisò l'ambasciatore, comprendeva che queste motivazioni potevano «urtare un po' la suscettibilità tedesca, ma ha pregato di non dar troppo peso a questo filo di paglia». E ancora: «Purtroppo il governo sovietico non ritiene possibile addurre altre motivazioni, dato che finora l'Unione Sovietica non si è mai preoccupata della difficile situazione delle sue minoranze in Polonia e il suo odierno intervento deve pur essere giustificato all'estero in qualche modo». Più chiaro di così… la situazione dei «fratelli» ucraini e bielorussi era una scusa necessaria ai fini della propaganda e della diplomazia.
Altro punto importante di questo telegramma è la richiesta di Molotov sul futuro di Vilnius (Wilno in polacco), città che nel dopoguerra era passata alla Polonia ma che i lituani consideravano come propria naturale capitale: Molotov voleva sapere se esisteva un accordo fra Germania e Lituania e, «in particolare, chi occuperà la città». Vilnius venne poi attaccata dall'Armata rossa, che incontrò una dura resistenza poco più a sud, a Grodno (Hrodna in bielorusso).
Come i sovietici, ma con diversa sfumatura, anche i nazisti intendevano fare uso dell'argomento del «completo collasso» dello Stato polacco, come se non ne fossero essi stessi i responsabili, atteggiandosi a salvatori e restauratori dell'ordine. Come se non stessero bombardando a tutto spiano sia truppe e postazioni militari che città e colonne di civili in fuga, su una scala enormemente più ampia che a Guernica. Come se, dopo aver massacrato il gregge (e con quali, ulteriori terribili massacri!), il lupo se ne atteggiasse a protettore. La logica della giustificazione non era però qualitativamente diversa da quella addotta da Molotov: dal punto di vista tedesco, quindi, non era insensato proporre un comunicato congiunto di quel genere. Forse nell'improbabile eventualità di giungere a un riconoscimento internazionale della selvaggia conquista, i nazisti si preoccupavano di mettere una foglia di fico sull'aggressione, presentata come risposta a una serie di provocazioni armate polacche e di atrocità ai danni del Volksdeutsch. Quanto al governo sovietico, esso aveva interesse, diplomatico e propagandistico, a far apparire la propria invasione come una conseguenza di quella tedesca. Tuttavia, nelle dichiarazioni sovietiche era assente la condanna dell'aggressore nazista, ma si biasimava il governo polacco; non vi si trovava traccia di antifascismo, neanche retorico, ma «guerrafondai» ora erano invece la Francia e la Gran Bretagna e coloro che rifiutavano di far la pace con Hitler; mancava un qualsiasi riferimento a necessità d'ordine strategico e militare per la difesa dall'espansionismo imperialista del Terzo Reich. Occupate le rispettive zone, i due governi cooperarono effettivamente al «mantenimento dell'ordine», con trasferimento di prigionieri di guerra e comuni cittadini, inclusi ebrei e comunisti dalla zona sovietica a quella nazista.
Nella notte tra il 16 e il 17 settembre Stalin e Vorošilov informarono von Schulenburg che entro le sei del mattino l'Armata rossa avrebbe attaccato lungo tutto l'arco della frontiera con la Polonia e che gli aerei sovietici avrebbero bombardato l'area a est di Lemberg (cioè Lwów). Quindi chiesero, per evitare incidenti tra velivoli tedeschi e sovietici, che le incursioni aeree del Terzo Reich fossero limitate alla linea Bialystok-Brest-Lemberg. Da quel momento in poi, inoltre, le questioni militari sarebbero state trattate direttamente tra Vorošilov e Köstring: la «protezione» dei «fratelli» bielorussi e ucraini richiedeva, dunque, il coordinamento dei movimenti dell'Armata rossa con la Wehrmacht!24
Il coordinamento doveva assumere anche carattere politico: tra il 17 e il 18 settembre Berlino e Mosca si scambiarono le bozze di un comunicato congiunto. Stando al rapporto tedesco, contattato telefonicamente da Molotov, Stalin ritenne di «non poter concordare completamente con il testo da noi proposto perché presenta i fatti fin troppo francamente»25. Il testo del comunicato congiunto venne riscritto personalmente da Stalin in questi termini:
«(…) il governo del Reich tedesco e il governo dell'Urss dichiarano che le operazioni di queste forze non comportano obiettivi in contrasto con gli interessi della Germania e dell'Unione Sovietica, o con lo spirito o la lettera del Patto di non aggressione concluso tra la Germania e l'Unione Sovietica. Al contrario, l'obiettivo di queste forze è ristabilire la pace e l'ordine in Polonia, che sono stati distrutti dal collasso dello Stato polacco, e aiutare il popolo polacco a ricostruire le condizioni della sua esistenza politica»26.
La quarta spartizione della Polonia, questa volta fra Terzo Reich e Unione Sovietica
Sia i tedeschi che i sovietici dovevano tener conto non solo delle mosse militari anglo-francesi durante lo svolgimento della campagna, ma della possibilità che essa si concludesse rapidamente sfociando in una nuova conferenza di Monaco nella quale le potenze liberali avrebbero finito con l'accettare il dato di fatto stabilito con la forza delle armi. È anche per questo che i nazisti avevano svolto un'intensa campagna di disinformazione presentando la loro aggressione come reazione a una serie di provocazioni armate polacche, culminanti nell'occupazione della stazione radio di Gleiwitz, e come liberazione del Volksdeutsch dall'oppressione e dalle angherie inflitte dal regime polacco: quasi un'operazione umanitaria. Quanto alla dirigenza sovietica, anch'essa condusse una campagna di disinformazione, in patria e all'estero, tramite i partiti del Comintern, per non apparire come Stato aggressore alleato di Hitler, coprendo l'aggressione alla Polonia da oriente con la foglia di fico della «liberazione» di ucraini e bielorussi. Anche questa una presunta operazione umanitaria.
Iniziata con successo l'invasione, sorse la necessità di definirne concretamente l'obiettivo finale. In particolare, si doveva decidere se nella linea delle sfere d'influenza trovasse posto oppure no un residuo Stato polacco formalmente indipendente.
Nel discorso ai suoi generali del 22 agosto, Hitler aveva enfatizzato l'obiettivo della distruzione della Polonia: «Chiudete il cuore alla pietà! Agite brutalmente! Ottanta milioni di persone devono avere ciò che è nel loro diritto!», così prese nota uno dei presenti27. Hitler fu chiarissimo per quanto concerneva «l'eliminazione di tutte le forze [polacche] in grado di operare», sul fatto che i soldati tedeschi, mossi da una ferrea volontà e dalla loro superiorità spirituale, non dovevano arrestarsi davanti a nessuna linea, in un processo continuo di annichilimento di qualsiasi resistenza. Tuttavia, una linea Hitler la indicò, come primo requisito della «sistemazione» della Polonia: «avanzare fino alla Vistola e al Narew», cioè fino alla linea che, col più grande pragmatismo, si stava concordando con i sovietici. Inoltre, egli prevedeva di stabilire nuove frontiere «secondo sani princìpi e forse un protettorato come stato cuscinetto»28. Allora, come nelle dichiarazioni alla Gran Bretagna e alla Francia tra la fine di agosto e l'inizio di settembre, nel suo discorso al Reichstag del 6 ottobre e ancora fino all'agosto 1940, cioè fino alla sconfitta della Francia, Hitler non escludeva affatto l'esistenza di un'entità statale polacca, sia pur ridotta a protettorato. Questa entità poteva costituire una merce di scambio nella trattativa per la pace con gli avversari occidentali: lo esplicita una minuta del Segretario di Stato tedesco Ernst von Weizsäcker, in data 25 settembre, scritta proprio per gli imminenti negoziati a Mosca29.
Fu invece Stalin, non Hitler, a pretendere la cancellazione della Polonia dalla mappa politica e l'integrale spartizione del suo territorio con il Terzo Reich, ancor prima della conclusione delle operazioni militari. Si ricordi che già dal 10 settembre - come risulta dalla comunicazione all'ambasciatore tedesco – la scusa con la quale Molotov intendeva giustificare l'invasione di fronte al mondo era la necessità di portare aiuto ai fratelli ucraini e bielorussi a causa del crollo dello Stato polacco, concetto da allora in avanti sempre enfaticamente ripetuto nelle dichiarazioni ufficiali e nella storiografia stalinista. In quell'argomento era già implicita la possibilità che la Polonia dovesse sparire, anzi che lo Stato polacco fosse già, per così dire, estinto, che fosse venuta meno una legittima entità giuridica a cui far riferimento; tanto più che per il destino dei polacchi in senso etnico non si esprimeva alcun interesse politico. Si può dire che nel comunicato congiunto nazi-sovietico del 18 settembre la frase secondo cui gli invasori avrebbero aiutato «il popolo polacco a ricostruire le condizioni della sua esistenza politica» implicasse da parte di Stalin la recezione dell'idea tedesca delle «frontiere naturali». Tuttavia, quanto valesse questa frase si vide giusto il giorno dopo. Von Schulenburg telegrafò a Berlino (alle 02.23 del giorno 20, pervenuto a Berlino alle 04.55) che:
«Oggi Molotov mi ha dichiarato che il governo sovietico considera maturo il momento per stabilire definitivamente la struttura della zona polacca in collaborazione con il governo tedesco. A questo proposito, Molotov ha lasciato intendere che l'iniziale-originale propensione del governo sovietico e di Stalin personalmente di permettere l'esistenza di un residuo di Polonia ha lasciato il posto all'intenzione di spartire la Polonia lungo la linea Pissa-Narew-Vistola-San»30.
Su questo dovevano iniziare negoziati al più alto livello.
I tedeschi avevano dovuto rassicurare Molotov, che a von Schulenburg appariva piuttosto agitato, che la Wehrmacht avrebbe rispettato la linea di demarcazione delle sfere d'influenza decisa nel Patto, confermando che Lwów rientrava nella sfera sovietica31. Nello stesso tempo, il governo sovietico premeva sull'Estonia, con il pretesto di liquidare un sottomarino polacco che si era rifugiato vicino Tallin (riuscì poi a raggiungere la Gran Bretagna)32 e insisteva con i tedeschi sullo spostamento della linea di demarcazione nord-orientale tra le sfere d'influenza nell'alto corso del San, cedendo in cambio il territorio della città di Suwalki, occupata dall'Armata rossa (già oggetto di trattative tra l'Urss e la Lituania nel 1920 e di conflitto armato tra Polonia e Lituania nel settembre di quell'anno)33; von Ribbentrop, d'altro canto, chiese al suo ambasciatore di ricordare amichevolmente a Molotov che Vilnius, anch'essa occupata dall'Armata rossa, doveva passare alla Lituania (quindi, nella sfera d'influenza nazista) «in una forma ancora da stabilire tra di noi»34.
Von Ribbentrop si dichiarò d'accordo con Molotov che «il tempo è maturo per stabilire mediante un trattato la struttura definitiva del territorio polacco, congiuntamente con il governo sovietico». I nazisti erano preoccupati. Avevano compreso che nella concreta determinazione delle sfere d'influenza Stalin intendeva interpretare in modo «creativo» quanto concordato ad agosto, intensificando le pressioni sulla Lituania e l'Estonia, con cui voleva stipulare rapidamente un'alleanza militare, con le buone o con le cattive maniere (il 27 settembre il governo estone si dichiarò disponibile all'alleanza, ma perché riteneva altrimenti imminente un attacco sovietico). Per questa ragione von Ribbentrop informò von Schulenburg che, contrariamente alla sua prima intenzione, avrebbe trattato personalmente con Molotov e Stalin a Mosca, al più presto.
Finalmente, il 25 sera Stalin e Molotov misero in chiaro con l'ambasciatore tedesco quali fossero le loro intenzioni:
«Stalin ha dichiarato quanto segue: nella sistemazione finale della questione polacca si deve evitare qualsiasi cosa che in futuro possa creare attrito tra la Germania e l'Unione sovietica. Da questo punto di vista, ritiene un errore permettere un residuo di Stato polacco indipendente. Ha proposto quanto segue: che dal territorio a est della linea di demarcazione sia aggiunta alla nostra parte tutta la provincia di Lublino e quella porzione della provincia di Varsavia che si estende fino al Bug. In cambio, dovremmo rinunciare alle nostre pretese sulla Lituania. Stalin ha indicato questo suggerimento come soggetto degli imminenti negoziati con il ministro degli Esteri del Reich e ha aggiunto che, se siamo d'accordo, l'Unione Sovietica si occuperebbe immediatamente della soluzione del problema dei Paesi baltici conformemente con il Protocollo del 23 agosto, aspettandosi su questo il pieno sostegno del governo tedesco. Stalin ha esplicitamente indicato l'Estonia, la Lettonia e la Lituania, ma non ha menzionato la Finlandia»35.
Si tenga presente che in quei giorni i tedeschi si interrogavano seriamente sulle condizioni d'esistenza di uno Stato polacco: la logica diplomatica e propagandistica era che il riconoscimento delle conquiste naziste avrebbe reso inutile la continuazione della guerra da parte di Francia e Gran Bretagna, aprendo così la via alla pace con questi Paesi. Oltre che dalla citata minuta di von Weizsäcker e da un memorandum di von Moltke, questo emerge anche da un colloquio di Hitler con lo svedese Birger Dahlerus. Il Führer fu chiarissimo: aveva realizzato un'impresa senza precedenti e questa volta «non avrebbe permesso a nessuno di interferire con la soluzione della questione polacca» (un implicito riferimento alle «interferenze» anglo-francesi a proposito della questione cecoslovacca); «il Führer ha risposto che una condizione per le discussioni di pace è lasciargli mano completamente libera per quanto riguarda la Polonia. Se i britannici vogliono ancora salvare qualcosa della Polonia può solo consigliare loro di accelerare le discussioni di pace»36. È interessante che più volte Hitler insistette sul fatto che anche i sovietici avevano occupato ampie porzioni della Polonia e che «anche la Russia ha qualcosa da dire sulla questione e non è propensa a rinunciare ancora una volta alle aree che occupa. Il destino della Polonia non sarebbe stato deciso al tavolo di una conferenza, perché la decisione è già stata presa altrove»37.
Il 27 settembre Ribbentrop arrivò a Mosca in aereo alle 6 del mattino ed ebbe una prima conversazione con Stalin e Molotov tra le 10 e le 13, il cui contenuto subito trasmise a Berlino chiedendo direttive da Hitler38. Per i nazisti le alternative erano tenersi la Lituania e l'area segnata dalla linea Pissa, Narew, Vistola, San; oppure accettare la nuova linea proposta da Stalin, che avrebbe ceduto la Lituania, ma ottenendo in cambio la Polonia a est della Vistola fino al fiume Bug a est e a nord, approssimativamente fino alla città di Kryłów, e fino al fiume San a sud-ovest.
Il ministro nazista confessò al Führer che nonostante i suoi sforzi per mantenere quanto già concordato si era scontrato con «l'ancor più accanita resistenza da parte di Stalin». Questi sosteneva che l'esperienza storica insegnava che dividere la popolazione polacca avrebbe incoraggiato una dura lotta per la riunificazione. Anche il tentativo di von Ribbentrop di ottenere la cessione dei distretti petroliferi di Drohobycz e Borysiaw, con il pietoso argomento che l'Unione sovietica era già ricca di petrolio ma che questo mancava al popolo tedesco, si era scontrato con l'intransigente posizione di Stalin, per cui «il popolo ucraino rivendica con forza questa zona»; tuttavia, Stalin avrebbe fornito al Terzo Reich un volume di petrolio equivalente alla produzione di quei distretti.
Von Ribbentrop dovette trovarsi veramente a mal partito. Quando si legge come espose nel messaggio le ragioni a favore o contro le alternative, nel tono sembra quasi che, in ultimo, avesse fatto proprie le ragioni di Stalin: il Reich avrebbe avuto terre più fertili; sarebbe caduta la necessità di un trattato con la Lituania, percepibile come una velata annessione e «politica imperialistica» (implicitamente, sembra dire che di tale accusa potrebbe essere oggetto l'Urss, viste le forzature in atto sui Paesi baltici); eliminazione degli «intrighi polacchi» che potrebbero turbare i rapporti tedesco-sovietici; possibilità «che il problema nazionale polacco possa essere trattato come la Germania ritiene più opportuno».
Non è stata rintracciata la risposta di Hitler alla comunicazione del suo ministro, ma certamente il Führer diede a Stalin quel che voleva. Alle cinque del mattino del 28, il giorno successivo alla caduta di Varsavia, dopo aver assistito alla rappresentazione de Il lago dei cigni von Ribbentrop firmò il Trattato tedesco-sovietico di amicizia e delle frontiere e i documenti allegati40. Mentre il ministro degli Esteri nazisti era a teatro, Molotov sistemò con profitto i suoi affari con il ministro degli Esteri dell'Estonia. A eccezione del Trattato e di una dichiarazione politica congiunta, tutti i documenti sottoscritti quella notte furono coperti da segreto.
Come nelle precedenti dichiarazioni, Germania e Unione Sovietica indicavano nel preambolo del Trattato che, a fronte del collasso della Stato polacco, loro comune obiettivo era restaurare la pace e l'ordine, per assicurare «un'esistenza pacifica corrispondente all'indole nazionale». A questo scopo, i due governi stabilivano i confini, secondo i «loro rispettivi interessi nazionali» all'interno dello scomparso Stato polacco (art. 1, corsivo mio): si sanzionava la quarta spartizione della Polonia, rigettando qualsiasi interferenza da parte di terze potenze (art. 2). Germania e Unione Sovietica avrebbero riorganizzato la pubblica amministrazione nelle rispettive zone (art. 3), assumendo la spartizione come «solido fondamento per un progressivo sviluppo delle amichevoli relazioni tra i loro popoli» (art. 4); il trattato sarebbe entrato in vigore al momento della firma (art. 5).
Il nuovo trattato era politicamente importante perché, se ad agosto l'alleanza di fatto era stata mascherata dalla forma del trattato di non aggressione, ora essa veniva confermata durante la guerra in atto e se ne sancivano i risultati conseguiti di comune accordo sui campi di battaglia. Altre importanti conseguenze della rinnovata amicizia fra Terzo Reich e Unione Sovietica vennero ancora una volta definite negli allegati segreti firmati contestualmente.
Il protocollo confidenziale stabilì che l'Unione Sovietica avrebbe consentito ai cittadini tedeschi e ad altre persone di discendenza germanica di migrare liberamente nei territori sotto giurisdizione tedesca; in modo analogo, i tedeschi avrebbero consentito a ucraini e bielorussi di migrare sotto giurisdizione sovietica. Proprio in quei giorni, mentre l'Unione Sovietica si accingeva a imporre trattati di mutua assistenza all'Estonia e alla Lettonia, i nazisti si dettero un gran daffare, per ordine diretto di Hitler, per l'evacuazione del Volksdeutsch da quei Paesi41; un protocollo a questo fine venne firmato con l'Estonia il 5 ottobre.
Il primo protocollo segreto del 28 settembre emendò quello del 23 agosto, assegnando la Lituania alla sfera d'influenza sovietica. Si stabilì che la striscia di confine tra Germania e Lituania sarebbe stata modificata, secondo criteri «naturali» e di «semplicità», in modo da ricadere nell'area tedesca. Nella prima settimana d'ottobre Molotov, da una parte, e von Schulenburg e von Ribbentrop, dall'altra, ebbero scambi nervosi sulla questione, che si protrasse.
Il secondo protocollo segreto stabilì che «le due parti non tollereranno nei loro territori alcuna agitazione polacca che possa interessare i territori dell'altra parte. Essi soffocheranno nei loro territori ogni inizio di tale agitazione e si informeranno reciprocamente circa le misure appropriate per questo scopo».
Una dichiarazione pubblica affermò che i governi del Reich tedesco e dell'Unione Sovietica, dopo aver
«definitivamente sistemato i problemi derivanti dal collasso dello Stato polacco e aver quindi creato un sicuro fondamento per una duratura pace in Europa orientale, esprimono di comune accordo la loro convinzione che servirebbe il vero interesse di tutti i popoli porre fine allo stato di guerra esistente attualmente tra la Germania da una parte e l'Inghilterra e la Francia dall'altra».
I due governi decidevano dunque di impegnarsi in tal senso, di modo che nel caso i loro sforzi fossero rimasti infruttuosi «ciò dimostrerebbe il fatto che l'Inghilterra e la Francia sono responsabili per la continuazione della guerra, dopo di che, in caso la guerra continuasse, i governi della Germania e dell'Urss si impegneranno in consultazioni reciproche a riguardo delle misure necessarie».
Infine, Molotov e von Ribbentrop si scambiarono delle lettere in cui si esprimeva la decisione di promuovere gli scambi commerciali tra Germania e Urss: beni industriali dalla prima, materie prime dalla seconda. Molotov assicurò di agevolare nel migliore dei modi il traffico commerciale della Germania con la Romania (la Romania era la principale fornitrice di petrolio), in cambio di analoghe agevolazioni con l'Iran, l'Afghanistan e altri Paesi dell'Estremo oriente. Nella stessa lettera si assicurava una fornitura di petrolio equivalente a quella dei distretti polacchi di Drohobyč e Boryslav, in cambio di carbone e tubature d'acciaio.
Delle conseguenze strategiche dell'alleanza di fatto fra Hitler e Stalin
Tiriamo le somme dell'esposizione dei fatti. Innanzitutto: erano oppure no l'invasione e la spartizione della Polonia previsti dal Patto d'agosto fra Hitler e Stalin?
Secondo Geoffrey Roberts, con la firma del Patto d'agosto l'Unione Sovietica scelse di essere neutrale nell'eventualità di un conflitto fra il Terzo Reich, da una parte, e la Polonia, la Francia e la Gran Bretagna, dall'altra, anche perché non era certa che gli alleati occidentali avrebbero effettivamente deciso di combattere42. Quanto alla questione se l'invasione sovietica fosse o meno conseguente dal Patto d'agosto, Roberts risponde di no: la spartizione a mano armata della Polonia «era solo una delle possibili soluzioni della crisi di Danzica»43. Da notare che Roberts non riporta alcun documento, neanche nel libro scritto dopo la relativa apertura degli archivi sovietici, a sostegno della sua valutazione: in pratica, essa si basa esclusivamente sulla lettera dei documenti sottoscritti ad agosto da Molotov e von Ribbentrop.
Le due tesi sono connesse: se la responsabilità della rottura delle trattative per l'alleanza contro la Germania nazista non fu di Stalin e se questi decise solo all'ultimo momento di stipulare un Patto di non aggressione con la Germania, allora anche l'invasione della Polonia fu qualcosa di improvvisato, di non previsto ad agosto.
Dall'analisi delle trattative parallele condotte dai sovietici con gli anglo-francesi e con i tedeschi si può però giungere a una conclusione diversa: che la decisione di privilegiare l'opzione favorevole a Hitler venne presa non all'ultimo momento e in seguito alla constatata indecisione o malafede degli anglo-francesi, ma entro la metà di luglio. Infatti, concretizzando due mesi di sondaggi e conversazioni, il 7 luglio da Berlino venne trasmessa a Mosca una proposta di accordo economico, accolta dai sovietici il 10; il 17 luglio questi consegnarono la loro risposta a Berlino e a quel punto discussero con i tedeschi non se ma dove si doveva tenere il negoziato, se a Berlino o a Mosca. Si svolse a Berlino, come voleva Stalin, a partire dal 21. Invece, il 10 luglio Molotov ritirò senza motivi una proposta che aveva notificato il giorno prima e che i negoziatori francesi e britannici avevano considerato accettabile. E il 17 luglio - dopo quasi un mese di cavilli - Molotov accantonò improvvisamente la discussione sulla definizione dell'aggressione indiretta - di cui fino a quel momento aveva fatto questione di principio – e impose che si discutesse subito della convenzione militare, posta come condizione per la firma simultanea all'accordo politico, una procedura inusuale nella diplomazia. Sia per Hitler che per Stalin il negoziato economico era un preliminare all'accordo politico; viceversa, le mosse di Molotov nel negoziato con francesi e britannici si spiegano con l'esigenza di prendere tempo - per portare avanti le trattative con i tedeschi - e di spostare la discussione con le potenze liberali su un terreno sul quale sarebbe stato più facile addossare su esse la rottura delle trattative per l'alleanza antihitleriana. D'altra parte, Hitler doveva invadere la Polonia prima del peggioramento delle condizioni meteorologiche, per cui più a lungo lo si sarebbe fatto aspettare maggiori sarebbero state le concessioni. Si disse che francesi e inglesi erano in malafede, che il negoziato con l'Urss era solo fumo propagandistico, che essi non intendevano stringere un'alleanza antinazista con i «bolscevichi»: un argomento che si faceva forte dell'appeasement e di Monaco. Ma nell'estate del 1939 il clima delle opinioni pubbliche, dei parlamenti e negli stessi governi di Francia e Gran Bretagna era profondamente mutato rispetto al 1938: una nuova Monaco sulla pelle della Polonia era inconcepibile. Avrebbe portato alla caduta dei governi, anche a causa dei dissensi al loro interno.
La fine del negoziato fra Unione Sovietica, Francia e Gran Bretagna fu dunque conseguenza e non causa della decisione di stringere il Patto con Hitler.
Ricostruita la dinamica delle trattative parallele con Francia e Gran Bretagna da una parte e Germania nazista, ci si deve chiedere: quale fu il motivo positivo – se così può dirsi - che spinse Stalin a stipulare un trattato con Hitler? Non ritengo possa ricondursi alla semplice intenzione di mantenere l'Unione Sovietica fuori della guerra tra gli Stati imperialisti, in una posizione di neutralità. Una nozione come quella di isolazionismo non può descrivere correttamente la politica reale di Stati potenti e di dimensioni continentali come gli Stati Uniti d'America o l'Unione Sovietica: è un'illusione o una mistificazione o una tattica che copre un particolare modo di intervenire nella scena internazionale. Sia pure per omissione, una decisione da parte di questi Stati sempre e necessariamente avrebbe avuto rilevanti conseguenze sui rapporti di forza tra le altre potenze. Si consideri la posizione degli Stati Uniti: nel novembre 1939 Roosevelt riuscì finalmente a superare l'opposizione degli «isolazionisti» nel Congresso e l'Atto di neutralità del 1936 facendo approvare la legge cash and carry, che permetteva la vendita di armi ai paesi belligeranti. Si trattava di una legge formalmente imparziale, ma di fatto a tutto vantaggio degli Alleati che controllavano il traffico navale attraverso l'Atlantico e che consentì, tra l'altro, di accettare ordini per la produzione di 10 mila aerei militari da consegnare a francesi e inglesi entro la fine del 1941. Gli Stati Uniti non entravano in guerra ma sostenevano lo sforzo militare degli alleati liberali: un impegno tutt'altro che neutrale o isolazionista perché, senza il successo del «folle» piano di von Manstein, di cui si dice avanti, avrebbe senz'altro consentito di sconfiggere il Terzo Reich per l'esaurimento del suo potenziale bellico, allora inferiore a quello degli Alleati o a quello di cui la Wehrmacht avrebbe disposto nel 1941, forte anche del bottino di guerra44. Viceversa, nello stesso periodo l'Unione Sovietica, anch'essa formalmente neutrale, spalleggiò la cosiddetta «offensiva di pace» hitleriana e si impegnò a fornire materie prime essenziali alla guerra della Germania nazista. Due modi opposti d'essere formalmente neutrali e «isolazionisti».
A proposito di presunto isolazionismo si può fare un altro esempio, che evidenzia anche una delle più importanti conseguenze storiche di lungo periodo del Patto fra Hitler e Stalin, benché sia fra le meno percepite. Casualmente, fu proprio all'inizio del 1939 che divenne concretamente concepibile la produzione di un'arma atomica. In ottobre, in seguito all'iniziativa di Leo Szilard e Albert Einstein, Roosevelt istituì il Comitato consultivo per l'uranio, il primissimo passo per la costruzione di un'arma atomica, che allora era esplicitamente diretta contro la Germania nazista, di cui si avevano ragioni di temere la capacità di sviluppo in questo campo. Grazie agli scambi d'informazioni con i britannici, che su quella strada al momento erano più avanti degli americani, il progetto iniziò a prendere forma più organica e prima dell'attacco giapponese del dicembre 1941 si erano create le condizioni non solo per accelerare la ricerca scientifica e tecnologica preliminare già in corso, ma per dar vita rapidamente a un settore industriale completamente nuovo, quello nucleare, del costo enorme di 2 miliardi di dollari dell'epoca (o 26 miliardi del 2006) e di dimensioni equivalenti all'industria automobilistica45. Viceversa, il falso senso di sicurezza dato dal Patto con Hitler fu tra i motivi per cui la dirigenza staliniana iniziò un programma nucleare molto dopo l'attacco nazista, nonostante gli avvertimenti dei fisici nucleari Igor' Vasil'evič Kurčatov, Jakov Borisovič Zel'dovič e Yulii Borisovič Khariton. Gli scienziati sovietici erano indubbiamente capaci, ma il ritardo sul programma statunitense fu ridotto solo grazie alle copiose informazioni dello spionaggio (tra cui fondamentali quelle del fisico tedesco Klaus Fuchs, esule comunista e membro della squadra britannica che lavorò al Progetto Manhattan), che Berija considerò con grande sospetto come disinformazione. Quando si arrivò ai bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki la posta in gioco ormai non era più la vittoria sulla Germania o sul Giappone, ma la supremazia mondiale nei decenni a venire.
Torniamo al motivo per cui Stalin si accordò con Hitler. È vero che il Protocollo non stabilì esplicitamente né che la Polonia sarebbe stata attaccata né una qualche forma di coordinamento militare fra Terzo Reich e Unione Sovietica né la cancellazione dello Stato polacco e neanche l'annessione degli Stati baltici all'Urss. È vero che su questo nella lettera esso era ambiguo. Al 23 agosto nessuno poteva sapere cosa esattamente sarebbe accaduto e quale precisa forma avrebbe potuto assumere la «sistemazione politico-territoriale» dei Paesi ricadenti nelle rispettive sfere d'influenza.
Tuttavia, in quella particolare congiuntura non era per nulla ambiguo il reale significato politico del Patto e del Protocollo allegato. Hitler offrì a Stalin un notevole ampliamento territoriale del potere del dittatore sovietico, qualcosa che Chamberlain e Daladier non volevano né potevano concedergli. Ciò non solo né principalmente, in quel momento, per ostilità al bolscevismo: gli statisti delle potenze liberali si stavano ora impegnando a difendere lo statu quo, non a destabilizzarlo ulteriormente, e solo su questa linea potevano sperare di attrarre gli Stati neutrali dalla propria parte. I governi di Francia e Gran Bretagna erano d'accordo con i sovietici che occorresse agire anche in caso di «aggressione indiretta» a uno Stato neutrale, ma questa doveva essere definita in modo da non consentire al Cremlino di intervenire a propria discrezione per finalità diverse da quella della difesa dell'indipendenza del Paese in questione; altrimenti, in pratica l'alleanza antinazista avrebbe implicato l'assegnazione all'Urss di una sfera d'influenza nel Baltico, in Polonia, in Finlandia. Hitler non aveva di questi scrupoli e per i suoi obiettivi lo scambio con Stalin era non solo conveniente, ma indispensabile. E, comunque, sarebbe stato temporaneo.
Inoltre, una nuova «sistemazione» della Polonia e la sua divisione secondo sfere d'influenza decise dal Terzo Reich e dall'Unione Sovietica potevano darsi solo in un modo: con la guerra. Fatto così ovvio che non era necessario dichiararlo. Nell'estate 1939 questo era chiaro a chiunque e tanto più al Cremlino, che era bene informato delle intenzioni di Hitler, come è confermato dalla più importante raccolta di documenti diplomatici prodotta dai sovietici sul 1939: Soviet peace efforts on the eve of World War 2, tra i cui curatori figura al primo posto l'autorevolissimo e sempiterno ministro degli Esteri Andrej Andreevič Gromyko. Questo volume riporta il memorandum, in data 7 agosto, di una conversazione fra un giornalista tedesco e l'attaché della Luftwaffe all'ambasciata in Polonia in cui si dice che «ci si aspetta l'avvio dell'azione militare contro la Polonia dal 25 agosto46. Ma non erano indispensabili le informazioni dei servizi segreti per comprendere cosa intendesse fare Hitler: a ciò bastava il buon senso e l'urgenza e l'ampia disponibilità di Berlino a far concessioni a Mosca. Al tempo era oramai chiaro - anche a Chamberlain e alla maggior parte di coloro che avevano appoggiato l'appeasement - che per Hitler il vero obiettivo non era Danzica: quello era solo un pretesto per allargare lo spazio vitale germanico. È per questo motivo che una soluzione pacifica della crisi fra la Polonia e i suoi alleati e la Germania nazista non era possibile e che - nonostante i tentativi diplomatici di Birger Dahlerus, l'emissario svedese di Hitler e Göring - i governi di Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania. E quale poteva essere la situazione per cui, come affermato nel Protocollo, Germania e Unione Sovietica avrebbero potuto decidere se mantenere oppure no uno Stato polacco indipendente? Quali potevano essere «gli ulteriori sviluppi politici» in base ai quali sarebbe stata presa quella decisione, se non la sconfitta militare della Polonia? E come sarebbe stato possibile concretizzare sul terreno le sfere d'influenza e decidere del futuro di un eventuale residuo statale polacco, se non attraverso l'invasione dell'Armata rossa, complementare a quella della Wehrmacht?
Per credere che nell'estate del 1939 la costruzione delle sfere d'influenza della Germania nazista e dell'Unione Sovietica non passasse attraverso la guerra occorre una straordinaria ingenuità politica, sorretta da un formalismo che fraintende o prescinde dalla natura della politica hitleriana e dalla determinazione del Führer di risolvere la questione polacca con la forza delle armi, aspettandosi l'inazione di Londra e Parigi, ma comunque disposto a rischiare la guerra con gli alleati di Varsavia, essendosi assicurato la collaborazione di Mosca. La questione lasciata aperta dal Protocollo segreto non era se, ma quando e come l'Unione Sovietica avrebbe agito militarmente in seguito all'offensiva nazista che lo stesso Patto di non aggressione rendeva strategicamente possibile. Il Patto d'agosto creò delle possibilità che dovevano definirsi a partire dall'iniziativa nazista e dai suoi risultati.
Si può dunque concludere sul punto che nel settembre 1939 l'intervento sovietico fu «conforme» all'eventualità prospettata nel Protocollo segreto allegato al Patto di agosto fra Hitler e Stalin perché la trasformazione della situazione politico-territoriale della Polonia era in atto, nell'unico modo in cui poteva darsi: militarmente.
Come interagirono la Wehrmacht e l'Armata rossa nelle loro operazioni polacche? Qui mi limito ad alcune considerazioni generali.
L'Armata rossa attaccò mentre la resistenza all'invasione nazista era in pieno svolgimento, tanto che fu proprio nella seconda metà del mese che il gruppo sud della Wehrmacht ebbe i tre quarti dei suoi caduti, testimonianza dell'intensità dei combattimenti. Per quanto si possa criticare il regime e il comando polacco, al momento dell'invasione sovietica la resistenza armata continuava. Aspettandosi un'offensiva francese in capo a una settimana, l'11 settembre il maresciallo Śmigły-Rydz ordinò alle truppe polacche del fronte settentrionale di ritirarsi a sud, verso Lwów (Leopoli) e la frontiera con la Romania. Quando l'Armata rossa varcò il confine, il maresciallo diede la direttiva di non combattere i sovietici, se non per farsi strada verso la Romania e l'Ungheria; alle guarnigioni delle città ordinò di negoziare con i sovietici perché le lasciassero libere di dirigersi verso le frontiere, mentre Varsavia e la vicina fortezza di Modlin dovevano continuare a resistere ai tedeschi, come fu fino alla fine del mese47. Il governo polacco non dichiarò mai guerra all'Unione Sovietica, tuttavia ebbero comunque luogo non solo scontri isolati, ma alcune vere e proprie battaglie.
Il 19 l'Armata rossa chiuse ai polacchi la frontiera con la Romania. Intanto, il comando tedesco trasmise ordini precisi circa i punti che le sue truppe potevano raggiungere e il 20 un ordine personale di Hitler comandò di ritirarsi al di là della linea di demarcazione concordata ad agosto, lungo i fiumi Narew, Vistola e San. Lo stesso giorno tedeschi e sovietici si incontrarono sul Dniester, bloccando la via verso la Romania.
Molotov dichiarò che l'Armata rossa aveva fatto 230 mila prigionieri e in base all'accordo di settembre migliaia di questi vennero consegnati ai tedeschi. Tuttavia, circa 70 mila militari polacchi riuscirono comunque a raggiungere l'Ungheria, 30 mila la Romania (tra questi oltre 9 mila della forza aerea), più di 12 mila la Lituania (questi vennero arrestati dopo l’annessione all'Urss); le unità navali avevano già raggiunto o raggiunsero successivamente la Gran Bretagna.
L'esercito polacco venne strategicamente sconfitto dalla Wehrmacht ma fu l'Armata rossa a infierire su quanto poteva salvarsi come forza organizzata e a portare il colpo di grazia, con operazioni attuate entro i limiti della linea di demarcazione concordata nel Protocollo segreto annesso al Patto d'agosto.
Si discute sul perché Hitler abbia ceduto così rapidamente alle richieste di Stalin, in particolare sulla Lituania: la Wehrmacht non aveva dato una bella dimostrazione della sua potenza? Con la conquista di gran parte della Polonia e l'avvicinamento al territorio sovietico i rapporti di forza sul campo non si erano forse modificati a favore del Terzo Reich? E rivedere i confini delle rispettive aree sul territorio dello Stato polacco non significava forse che ai nazisti sarebbe passata la patata bollente della repressione poliziesca della resistenza polacca, che entrambe le parti davano per scontata?
Le ragioni dell'accondiscendenza del Führer nei confronti di Stalin a fine settembre 1939 erano in sostanza le stesse di agosto e le stesse che spiegano il suo atteggiamento nei confronti dell'Urss fino all'autunno del 1940, che comprendono l'assenso all'aggressione alla Finlandia, la complicità nell'annessione degli Stati Baltici, la flessibilità durante i negoziati economici, la proposta di costituire un vero e proprio blocco politico-militare. Queste ragioni sono da individuarsi nella posizione geopolitica in cui si trovava il Terzo Reich e nella contraddizione fra le ambizioni di Hitler e l'inadeguatezza dei mezzi materiali di cui disponeva.
È vero che tra la fine di settembre e la metà di ottobre 1939 Hitler poteva ancora sperare nella capitolazione politica degli Stati liberali di fronte al fatto compiuto della conquista della Polonia, tanto da diramare direttive sulla condotta di guerra che, per il momento, vietavano operazioni offensive terrestri ed aeree contro la Francia. Tuttavia, lo stato di guerra permaneva e Hitler era fermissimo nell'intento di dettare a Francia e Gran Bretagna i termini di un'eventuale pace oppure di vincere il conflitto. Anzi, l'8 settembre comunicò al generale Rudolf Schmundt, suo principale consigliere militare, l'intenzione di invadere al più presto la Francia e il 27 del mese ordinò ai comandanti della Wehrmacht di preparare un piano per lanciare l'attacco a novembre. I generali ne furono terrorizzati perché ben consapevoli dell'inferiorità delle loro forze relativamente a quelle degli Alleati. Militari del calibro del capo dello stato maggiore dell'esercito Franz Halder, di comandanti d'armate come Gerd von Rundstedt, Fedor von Bock, Wilhelm von Leeb, Walther von Reichenau, consideravano «folle» e «criminale» l'intenzione di Hitler; il capo di stato maggiore della Wehrmacht, Walther von Brauchitsch, presentò le sue dimissioni il 23 novembre, ma Hitler le respinse; Halder dichiarò poi di aver preso considerazione di attentare alla vita del Führer, con l'esplosivo o personalmente a colpi di pistola. Non lo fece per quel che sentiva essere il senso dell'onore di un ufficiale tedesco, ma non c'è motivo di non credere che abbia seriamente valutato quelle possibilità (venne arrestato dopo l'attentato a Hitler e il fallito colpo di Stato del luglio 1944, ma sopravvisse a Dachau). L'opposizione dei militari, già eterogenea quanto a determinazione, venne neutralizzata solo quando il 5 novembre Hitler disse a von Brauchitsch di essere al corrente dello «spirito di Zossen», cioè dello stato maggiore. Il fatto è che all'inizio della guerra i tedeschi non avevano un piano per attaccare la Francia e che per questo motivo e per la necessità di un'adeguata produzione di materiale bellico la data dell'offensiva occidentale venne continuamente spostata, fino a metà maggio 1940. Le prime tre direttive per l'attacco, del 19 ottobre, del 29 ottobre (modificata l'11 novembre) e del 30 gennaio, non presupponevano né strategicamente né operativamente una veloce conclusione della guerra. Dopo essere stato ridicolizzato e emarginato per mesi, solo a febbraio venne adottato il piano «rivoluzionario» ideato da Erich von Manstein, che fu poi messo in pratica a maggio, ma con grandi riserve: un doppio «colpo di falce», con una «finta» settentrionale e il colpo decisivo portato dalle formazioni corazzate attraverso le Ardenne, ritenute dai francesi (e fino ad allora anche dai tedeschi) impenetrabili dai carri armati. Un colpo concepito per portare alla vittoria rapida con un'unica grande operazione.
La caduta della Francia nel 1940 non fu conseguenza della sua «decadenza» spirituale o del tradimento: a tradire la causa antifascista prima della sconfitta militare purtroppo furono quegli operai militanti del Partito comunista francese che sabotarono la produzione militare di alcune fabbriche. Causa operativa della sconfitta degli alleati anglo-francesi, nonostante la loro complessiva superiorità in quantità e qualità di mezzi, fu la concentrazione della forza della Wehrmacht in un unico potente Schwerpunkt (alla lettera «baricentro», ma qui significa «punto di massimo sforzo») su cui ruotava un piano sbalorditivo proprio perché altamente rischioso, dettato da una condizione di inferiorità materiale. Era un piano accettato da Hitler perché coerente con la sua disponibilità a giocare va banque, come disse a Göring, a giocarsi tutto in un'unica mano48.
Tuttavia, la causa strategica fondamentale della sconfitta della Francia fu la più che benevola neutralità dell'Unione Sovietica. Come per l'attacco alla Polonia, era questa la condizione imprescindibile per l'attacco ad occidente, tanto più per quelli che erano i timori dei vertici militari tedeschi. Per sperare di vincere in occidente contro l'esercito alleato, molto più temibile di quello polacco, la Wehrmacht doveva essere libera di concentrare tutte le sue risorse: e per questo, ancora una volta, occorreva che lo sforzo militare venisse politicamente garantito dall'amicizia sovietica. Per ottenerlo Hitler era disposto a pagare un prezzo molto alto e lo pagò veramente, accettando la ridefinizione delle aree «di competenza» in Polonia e nel Baltico proposta da Stalin. Per fare i conti con Stalin il capo del Terzo Reich poteva aspettare di aver vinto in occidente. Intanto, l'appoggio sovietico rimaneva importante anche per aggirare il blocco economico, in particolare per la fornitura di minerali indispensabili all'industria bellica, per rafforzare la Wehrmacht ed estendere il potere del nazismo sul resto d'Europa.
Ancora una volta, la quarta nell'arco di circa un secolo e mezzo, potenze militari vicine si accordarono per cancellare uno Stato polacco dalla carta politica d'Europa. Ma questa nuova spartizione non fu la mera ripetizione del già visto. Per i nazisti si trattava di modificare la composizione demografica del territorio, mediante l'asservimento e la carestia indotta per l'intera popolazione autoctona, ad eccezione degli ex cittadini polacchi di origine germanica; per mezzo della concentrazione in ghetti degli ebrei e, di lì a non molto, la loro eliminazione fisica: la maggior parte degli ebrei europei vivevano nell'area a cavaliere di Polonia, Ucraina e Paesi baltici (era la zona di residenza obbligatoria degli ebrei nell'impero zarista, il mondo dello shtetl e dello yiddish); attraverso il trasferimento obbligatorio dei tedeschi dall'Ucraina e dalla Bielorussia occidentali e dai Paesi baltici, concordato con l'Urss. Al popolo sconfitto si negava qualsiasi spazio pubblico per la cultura e l'istruzione; viceversa, mantenere viva la cultura e l'identità nazionale fu uno dei compiti più importanti dello Stato parallelo e clandestino della resistenza polacca nel territorio occupato dai nazisti.
Sia i nazisti che i dirigenti sovietici mirarono a sterminare l'élite politica e intellettuale polacca: si trattava di liquidare ogni possibilità di coagulare una resistenza organizzata agli invasori, ma anche di spezzare il morale dei vinti. Per i nazisti questo fu un obiettivo ideato fin da prima dell'inizio delle ostilità e perseguito ferocemente fin da settembre.
Apparentemente più facile, in realtà profondamente contraddittoria come tutta la politica staliniana nei confronti delle nazionalità non russe, si presentava la situazione per i dirigenti sovietici in Ucraina e Bielorussia. Essi si atteggiavano a liberatori di ucraini e bielorussi oppressi, ed era vero, dallo Stato polacco, nello stesso tempo riconducendo di fatto i «piccoli russi» sotto gli artigli dello sciovinismo grande-russo in nuova forma. Quale che fosse stata l'accoglienza riservata da ucraini e bielorussi all'Armata rossa, il periodo della «liberazione» durò poco: ad essa seguirono presto le deportazioni di circa 400 mila dei fratelli che erano stati «liberati». E come i nazisti, anche i servizi sovietici liquidarono fisicamente e in segreto migliaia di ufficiali e funzionari polacchi.
Il patto fra Hitler e Stalin fu la definitiva conferma del grado di putrefazione politica e morale a cui era giunta la dirigenza sovietica e dell'abisso che la separava dalla visione del mondo e dagli ideali degli internazionalisti del 1914 e del 1917.
1 Per l'inquadramento generale del patto fra Hitler e Stalin rimando al mio precedente articolo «77 anni da quando Hitler e Stalin alleati diedero inizio alla Seconda guerra mondiale: attualità politica e problemi storiografici e teorici del Patto nazi-sovietico».
2 Il Patto di non aggressione e il Protocollo segreto del 23 agosto, così come il Trattato tedesco-sovietico di amicizia e delle frontiere e i Protocolli segreti e le dichiarazioni ad esso allegati furono pubblicati in Raymond James Sontag e James Stuart Beddie (a cura di), Nazi-Soviet relations, 1939-1941. Documents from the archives of the German foreign office, Department of State, Washington 1948, d'ora in poi indicato come Nsr. L'esistenza di un Protocollo segreto al Patto d'agosto era già allora una sorta di «segreto di Pulcinella», negato però fino all'ultimo dalle autorità sovietiche. Una raccolta di documenti che nell'intenzione dei dirigenti sovietici doveva contrapporsi a Nsr è Andrej Andreevič Gromyko e altri (a cura di), Soviet peace efforts on the eve of World War 2. September 1939-august 1939. Documents and records, Progress publishers, Moscow 1973, d'ora in poi indicato come Spe. Ebbene, in questa raccolta non solo non sono compresi i resoconti di parte sovietica degli incontri con i diplomatici tedeschi a Berlino e a Mosca: saranno resi noti solo a partire dal 1989, sotto la pressione montante della glasnost' gorbacioviana, confermando le date; in alcuni casi, al contrario dei rapporti in Nsr, è la parte tedesca, non quella sovietica, a fare avancés, ma il tenore generale delle conversazioni e il loro significato non cambiano; addirittura la raccolta di Spe non comprende neanche il testo del Patto di non aggressione del 23 agosto, che pure era di pubblico dominio: se ne parla solo nell'Introduzione e soltanto per giustificarlo, senza citazioni dal testo. Tutto ciò è sconcertante, tanto più considerando che decine di pagine sono dedicate ai verbali dei negoziati d'agosto fra le delegazioni militari di Francia, Gran Bretagna e Urss e che l'ultimo dei 350 documenti è datato 1° settembre. L'omissione e la negazione - che per gravità e dimensione superano ciò che può essere accettabile in un'interpretazione storiografica partigiana ma onesta - erano le premesse della distorsione messa in atto dalla strategia narrativa di autolegittimazione delle autorità sovietiche circa i rapporti con la Germania nazista, il 1939 e la Grande guerra patriottica. I testi del Patto di non aggressione e del Protocollo segreto sono tradotti in italiano in Walther Hofer (a cura di), Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale. Uno studio sui rapporti internazionali nell'estate del 1939. Con documenti, Feltrinelli, Milano 1969, pp. 150 e 156.
3 Enzyklopädie der UdSSR, vol. I, coll. 735-6, citato in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., p. 163.
4 Ibidem.
5 Da Jane Degras (a cura di), Soviet documents on foreign policy, vol. III: 1933-1941, Oxford University Press, London 1953, p. 374; il resoconto di Potëmkin dell'incontro con Grzybowski, dal diario ufficiale del commissariato per gli Affari esteri, è in Anna M. Cienciala e Wojciech Materski (a cura di), Katyn. A crime without punishment, Yale University Press, New Haven 2007, doc. n. 5, pp. 46-7. La nota diplomatica non figura in Spe, cit.
6 Testo del discorso radiofonico di Molotov del 17 settembre in Soviet documents on foreign policy, vol. III: 1933-1941, cit., p. 375. Neanche questo figura in Spe, cit.
7 Il testo del Patto di non aggressione tra Unione sovietica e Polonia è in Peter D. Stachura (a cura di), Poland, 1918-1945. An Interpretive and Documentary History of the Second Republic, doc. n. 86, Routledge, 2004, pp. 118-9.
8 Testo dell'accordo in Poland, 1918-1945. An Interpretive and Documentary History of the Second Republic, cit., doc. n. 126, p. 173.
9 Gabriel Gorodetsky (a cura di), The Maisky diaries. Red ambassador to the Court of St James's, 1932-1943, Yale University Press, 2015, p. 226.
10 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VII, The last days of peace, august 9-september 3, 1939, Her majesty's stationery office, London, 1956, doc. n. 567, pp. 540-1; Nsr, cit., p. 86; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., p. 165.
11 Redatto sotto la direzione di Stalin e Molotov, Falsificatori della storia, Edizioni in lingue estere, Mosca 1948; In testa al frontespizio: Notizie sovietiche: bollettino dell'Ufficio stampa dell'ambasciata dell'URSS, supplemento al n. 40 (29 feb. 1948). Si vedano anche i documenti a pp. 163-4 in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit.
12 All'inizio del Grande Terrore, il 25 luglio 1937, Ežov emanò l'ordine n. 00493 concernente in modo specifico spie e sabotatori al servizio della Germania. Tra i gruppi etnici colpiti dalla repressione stalinista nei soli anni 1937-1938, le vittime tra i tedeschi (o ritenuti tali) residenti in Urss furono al secondo posto dopo i polacchi: tra questi ultimi, 111 mila condannati a morte su 140 mila perseguiti durante l'"operazione polacca", il 79%; per l'"operazione tedesca", il totale dei condannati a morte fu di 42 mila su 55 mila, il 76%. Senza contare le altre vittime del Grande Terrore per i più diversi e spesso folli capi d'imputazione, in tutto ufficialmente oltre 681 mila condannati a morte a cui si devono aggiungere a centinaia di migliaia gli imprigionati nel Gulag, in nessun paese al mondo si è mai verificata una tale straordinaria presenza di presunti agenti al servizio di altri Stati. Cfr. Michele Nobile, «L'"operazione polacca" nel quadro del Grande Terrore di Stalin, 1937-1938», utopiarossa.blogspot.it, 20 gennaio 2012.
13 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, «The war years, september 4, 1939-march 18, 1940», Department of State, Washington, 1954, doc. n. 13, pp. 12-3; Nsr, cit., pp. 88-9.
14 Corsivi miei. Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 5, p. 4; Nsr, cit., p. 87; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., pp. 165-6.
15 Da Ivo Banac (introduzione e cura di), The diary of Georgi Dimitrov, 1933-1949, Yale University Press, New Haven/London 2003, p. 116; trad. italiana Georgi Dimitrov, Diario. Gli anni di Mosca (1934-1945), Einaudi, Torino 2002. Sul Comintern, il Patto con Hitler e le polemiche in alcuni partiti comunisti si veda Kevin McDermott e Jeremy Agnew, The Comintern. A history of international communism from Lenin to Stalin, capitolo VI, Macmillan, 1996.
16 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 35, p. 34; Nsr, cit., p. 89; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., p. 166.
17 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 34, pp. 33-4; Nsr, cit., pp. 89-90; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., pp. 166-7.
18 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. nn. 37 e 39, pp. 35 e 36; Nsr, cit., p. 90; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., p. 167. Köstring era l'attaché militare dell'ambasciata tedesca.
19 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 46, pp. 44-5; Nsr, cit., p. 91; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., pp. 168-9.
20 Ibidem. La risposta di von Ribbentrop in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., p. 169.
21 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 63, pp. 60-1; Nsr, cit., pp. 92-3; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., p. 169.
22 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 70, pp. 68-70; Nsr, cit., pp. 93-4; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., pp. 170-1. Corsivo mio.
23 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 78, pp. 76-7; Nsr, cit., p. 95; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., p. 172.
24 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 80, pp. 79-80; Nsr, cit., p. 96; trad. italiana in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., p. 173.
25 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 94, pp. 95-6; Nsr, cit., p. 99. Si tratta di un memorandum del consigliere di legazione Hilger.
26 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 94, p. 97; Nsr, cit., p. 100.
27 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VII, «The last days of peace, august 9-september 3, 1939», Her majesty's stationery office, London, 1956, doc. n. 193, p. 205, secondo discorso del Führer ai comandanti in capo, Obersalzberg, 22 agosto 1939; un estratto dal diario del generale Halder con il riassunto del discorso di Hitler è in Lo scatenamento della Seconda guerra mondiale, cit., pp. 117-20.
28 Ibidem, p. 206.
29 Minuta di Weizsäcker in Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 133, pp. 137-8, con allegato un memorandum sulla questione di Hans-Adolf von Moltke, già ambasciatore in Polonia.
30 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 104, p. 105; Nsr, cit., p. 101, corsivo mio.
31 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 103, pp. 104-5, von Schulenburg al ministro degli Esteri, 20 settembre 1939.
32 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 107, pp. 107-8, il ministro in Estonia al ministro degli Esteri.
33 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 109, pp. 109-10, von Schulenburg al ministro degli Esteri, 20 settembre 1939.
34 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 114, pp. 113-4, von Ribbentrop all'ambasciata in Urss, 21 settembre 1939.
35 35) Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 131, p. 130; Nsr, cit., pp. 103-4.
36 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 138, p. 141, memorandum della conversazione tra il Führer e il signor Dahlerus, alla presenza del maresciallo Göring. L'industriale svedese Dahlerus svolse funzioni di messaggero informale nella diplomazia personale di Göring nei confronti dei britannici e, sicuramente da settembre in poi, anche di Hitler.
37 Ibidem, p. 144.
38 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. n. 152, pp. 159-61.
39 Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. da nn. 157 a 163, pp. 164-8; Nsr, cit., pp. 105-9.
40 Si vedano: Soviet documents on foreign policy, vol. 3: 1933-1941, cit., pp. 377-80; Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. da nn. 157 a 163, pp. 164-8; Nsr, cit., pp. 105-9.
41 Si vedano ad esempio i telegrammi del Segretario di Stato del 27 e 28 settembre in Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VIII, cit., doc. nn. 153 e 154, pp. 162-3.
42 Geoffrey K. Roberts, The unholy alliance. Stalin's pact with Hitler, I.B. Tauris, London 1989, pp. 156-8. Dello stesso: The Soviet Union and the origins of the Second World War. Russo-German relations and the road to war, 1933-1941, Macmillan, Basingstoke 1995; Stalin's wars. From World War to Cold War, 1939-1953, Yale University Press, New Haven/London 2008.
43 Ibidem, p. 158.
44 Per una dettagliata ricostruzione della formulazione del piano d'attacco alla Francia, della campagna e della confutazione della Blitzkrieg come organica strategia di Hitler e dell'alto comando tedesco prima dell'Operazione Barbarossa: Karl-Heinz Frieser, The Blitzkrieg Legend. The 1940 Campaign in the West, Naval Institute Press, 2005, prima ed. tedesca 1995. Si vedano anche John Mosier, Blitzkrieg myth. How Hitler and the Allies misread the strategic realities of World war II, Harper Collins, New York 2004, e specialmente J. Adam Tooze, The wages of destruction. The making and breaking of the nazi economy, Allen Lane, London 2006; trad. italiana: Il prezzo dello sterminio. Ascesa e caduta dell'economia nazista, Garzanti, Milano 2008.
45 Lillian Hoddeson et al., Critical assembly. A technical history of Los Alamos during the Oppenheimer years, 1943-1945, Cambridge University, Cambridge 1993, p. 406. Si vedano anche, sui programmi nucleari: Richard Rhodes, The making of the atomic bomb, Simon & Schuster, New York 1987 (trad. italiana: L'invenzione della bomba atomica, Rizzoli, Milano 1990) e Dark Sun. The Making of the Hydrogen Bomb, Simon & Schuster, 1995. Specifico sulla storia del programma nucleare sovietico, ancora insuperato: David Holloway, Stalin and the bomb. The Soviet Union and atomic energy 1939-1956, Yale University Press, 1994; una breve sintesi all'inizio di Id., L'Unione Sovietica e la corsa agli armamenti, il Mulino, Bologna 1984.
46 Spe, cit., doc. n. 308, p. 462. Come fonte è indicata «gli archivi»: deve intendersi quindi derivata dallo spionaggio. Gromyko fu ministro degli Esteri dal 1957 al 1985.
47 L'ordine di Śmigły-Rydz è in Katyn. A crime without punishment, cit., doc. n. 6, p. 48.
48 Da questo nacquero i miti della invincibilità della Wehrmacht e della Blitzkrieg come organica strategia elaborata da Hitler. La questione è ancora discussa, ma personalmente condivido il punto di vista emerso con forza in tempi relativamente recenti, secondo il quale Hitler non aveva né una coerente strategia economica per una guerra rapida e men che mai una dottrina militare di Blitzkrieg, come si può anche dedurre dalle priorità nel tipo di armamenti da produrre. E comunque, durante la campagna occidentale lo stratega dilettante Hitler dimostrò di non aver compreso tutte le implicazioni operative del piano di von Manstein. Solo dopo la stupefacente vittoria in Francia la Wehrmacht si convertì alla Blitzkrieg con la pianificazione dell'Operazione Barbarossa contro l'Unione Sovietica. Per la bibliografia, si veda la nota n. 44.
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