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venerdì 25 novembre 2011

L’OPPOSIZIONE SOCIALE NELL’ERA DI INTERNET: “Militanti” da desktop e Intellettuali pubblici, di James Petras

(Intervento inviato al “Simposio sulla ri-pubblicizzazione”
Ankara, 9-10 dicembre 2011)
Introduzione
Il rapporto della tecnologia informatica (TI) e più specificamente di Internet, con la politica è una questione centrale in relazione ai movimenti sociali attuali. Come per molti progressi scientifici precedenti, le innovazioni dell'informatica hanno una doppia funzione: da un lato, accelerano il flusso globale di capitali, in special modo quelli finanziari, e favoriscono la “globalizzazione” imperialistica. Dall’altro, Internet serve anche a mettere a disposizione fonti di analisi critiche alternative così come una facilità di comunicazione per l'attivazione di movimenti popolari.
L'industria dell'informatica ha creato una nuova classe di miliardari, dalla Silicon Valley in California a Bangalore in India. Essi hanno avuto un ruolo centrale nell'espansione del colonialismo economico grazie al loro controllo monopolistico, in diversi ambiti, dei flussi dell’informazione e dell'intrattenimento.
Per parafrasare Marx, “Internet è diventata l'oppio dei popoli”. Giovani e vecchi, lavoratori e disoccupati amano passare ore a farsi catturare, in modo passivo, da spettacoli, pornografia, videogiochi, consumismo online e anche notizie, isolati dagli altri cittadini e colleghi di lavoro. In molti casi, la sovrabbondanza di notizie su Internet l'ha saturata, assorbendo tempo ed energie e distraendo gli “spettatori” dal riflettere e agire. Così come poche e distorte notizie che provengono dai mass media sviano la consapevolezza delle persone, troppi messaggi in Internet possono bloccare le azioni dei cittadini.
Internet, volutamente o no, ha “privatizzato” la vita politica. Molte persone che diversamente sarebbero state dei potenziali attivisti, hanno cominciato a credere che far circolare proclami fra altri individui sia un atto politico, dimenticando che solo l'azione pubblica, che comprende il confronto tra avversari in spazi pubblici, nei centri delle città e in provincia, è la base delle trasformazioni politiche.

giovedì 24 novembre 2011

SOCIAL OPPOSITION IN THE AGE OF INTERNET: DESKTOP “MILITANTS” AND PUBLIC INTELLECTUALS, by James Petras

 Invited paper to be read at the “Symposium on Re-Publicness”
Sponsored by the Chamber of Electrical Engineers
Ankara Turkey, December 9 – 10, 2011
Introduction
The relation of information technology (IT) and more specifically the internet, to politics is a central issue facing contemporary social movements. Like many previous scientific advances the IT innovations have a dual purpose:  on the one hand, it has accelerated the global flow of capital, especially financial capital and facilitated imperialist ‘globalisation’. On the other hand the internet has served to provide alternative critical sources of analysis as well as easy communication to mobilize popular movements.
The IT industry has created a new class of billionaires, from Silicon Valley in California to Bangalore, India.  They have played a central role in the expansion of economic colonialism via their monopoly control in diverse spheres of information flows and entertainment.
            To paraphrase Marx “the internet has become the opium of the people”. Young and old, employed and unemployed alike spend hours passively gazing at spectacles, pornography, video games, online consumerism and even “news” in isolation from other citizens, fellow workers and employees.
            In many cases the “overflow” of “news” on the internet has saturated the internet, absorbing time and energy and diverting the ‘watchers’ fromreflection and action.  Just as too little and biased news by the mass media distorts popular consciousness, too many internet messages can immobilize citizen action.
            The Internet, deliberately or not, has “privatized” political life. Many otherwise potential activists have come to believe that circulating manifestos to other individuals is a political act, forgetting that only public action, including confrontations with their adversaries in public spaces, in city centers and in the countryside, is the basis of political transformations.

mercoledì 23 novembre 2011

A PROPOSITO DELL’ARTICOLO DI PIERO BERNOCCHI "SULLA CRISI", di Michele Nobile

(21/11/2011)

Sia pur di misura, la casta politica italiana è infine giunta al giudizio da tempo condiviso dalla stampa e dai governi esteri, nonché dal capitale internazionale: quella di Berlusconi non è la «squadra» di governo né la coalizione politica più adatta a far pagare la crisi ai lavoratori italiani. È questo certamente il significato dell’allargarsi del differenziale dei tassi d’interesse tra i titoli pubblici italiani e quelli tedeschi. Ma non si tratta di un’imposizione «dello straniero»: a ben vedere a questa conclusione era giunto anche il padronato italiano. Con ciò dovrebbero andare a farsi benedire le farneticazioni subìte per anni circa l’esistenza di uno specifico «regime berlusconiano». Dovrebbe, ma non sarà così, perché se i militanti della sinistra italiana accettano di farsi dirigere da ex ministri di governi imperialistici o da governatori regionali, figurarsi se sono in grado di chiedere conto delle bufale con cui sono stati nutriti e illusi per anni e anni.
Mentre la crisi si estendeva dall’economia al campo della gestione politico-istituzionale, la sinistra «antagonista» o d’opposizione italiana ha dato libero corso alla propria fantasia per elaborare «soluzioni alternative», già discusse criticamente in questo blog. Un elemento comune, espressione dello stato pietoso, non solo politico ma anche intellettuale di questa sinistra, è la mancanza di autocritica su categorie e nozioni ambigue o fuorvianti, ampiamente impiegate per circa venti anni, e la persistenza del metodo dell’invenzione di frasi ad effetto in sostituzione di un’analisi seria delle tendenze dell’economia mondiale e, specialmente, dei rapporti tra politica, Stati ed economia.
Aspetti decisamente nefasti di questa situazione sono l’esplicitarsi di pulsioni nazionalistiche e «antieuropeistiche» e di atteggiamenti ambigui, possibilisti, di «aspettativa» o di «delusione» nei confronti del governo Monti, come se fosse possibile avere anche il più piccolo dubbio sulla natura dell’operazione iniziata con questo tecnocrate. Il tutto accompagnato dal rullare di tamburi che annuncia il «colpo di Stato», l’atto «contro la Costituzione», la «presa del potere delle banche» e cose simili.
In questo quadro di povertà politica e intellettuale spicca positivamente un recente articolo diPiero Bernocchi, storico dirigente dei Cobas, apparso sul giornale omonimo («Sulla crisi», nel  n. 49, ott./nov. 2011). In obiettiva convergenza con le posizioni da noi esposte nel blog di Utopia rossa, nell’articolo di Bernocchi si discutono gli errori analitici e politici prevalenti nella sinistra che si vuole anticapitalistica.
Ne ripercorro lo svolgimento.

martedì 22 novembre 2011

SU ALCUNE INTERPRETAZIONI DELLA CRISI E DEL CAPITALISMO ATTUALE E SULLE PROSPETTIVE, di Piero Bernocchi

Le mobilitazioni in corso in Europa contro la crisi e i suoi responsabili stanno provocando anche una diffusa discussione su elementi di analisi economica e politica cruciali per qualsiasi processo di trasformazione sociale di rilievo. In generale si può dire che si estendono positivamente argomentazioni di carattere apertamente anticapitalistico, di rifiuto globale di un sistema considerato inemendabile, e di ripudio anche di intere strutture istituzionali, parlamentari e politiche, indipendentemente dai “colori” di chi le gestisce, nonché richieste di vera giustizia sociale e di democrazia reale e sostanziale.
Tuttavia, risulta piuttosto diffusa una vulgata sulle responsabilità principali della crisi e sui suoi attori dominanti che ingigantisce alcuni protagonisti di essa rimpiccolendone oltre misura altri, che poi spesso sono quelli davvero principali; e che non riesce a dare conto del perché, a tre anni dall’esplosione ufficiale della crisi, non solo a pagare siano stati sempre gli stessi settori popolari più deboli e indifesi, ma per giunta senza che a livello europeo si stabilisse una qualche forma di resistenza e difesa comune tra i settori sociali più colpiti e tra le loro forme di rappresentanza o protagonismo sociale, politico e sindacale.
Sarà opportuno innanzitutto intenderci su alcuni criteri di valutazione complessiva del funzionamento del sistema capitalistica odierno, e in particolare sul rapporto tra Stati-nazione ed economia globale e tra capitali di Stato e capitali privati.

mercoledì 16 novembre 2011

DUE ESEMPI DI CIVILE POLEMICA, di G. Cremaschi, A. Helman e R. Massari


Pubblichiamo di seguito, con l’autorizzazione degli interessati, uno scambio di lettere personali tra Roberto Massari e Giorgio Cremaschi, e tra Massari e Alfredo Helman. Cremaschi è persona nota in Italia; Helman è uno degli argentini che si addestrarono a Cuba per raggiungere la guerriglia del Che in Bolivia (non fece in tempo ma Guevara lo nomina nel Diario); vive da tempo a Viareggio, è membro della Fondazione Guevara, ha pubblicato un libro sul Peronismo e uno sulle proprie passate esperienze politiche (Il militante, Edizioni clandestine, Marina di Massa 2005).

Pubblichiamo questo scambio per due ragioni:

1) Sia la lettera di Cremaschi che quella di Helman sono repliche a critiche di Massari; quella di Cremaschi a un articolo recentemente pubblicato su questo blog e quella di Helman a una lettera di Massari dopo la lettura del libro Il militante. Come redazione di Utopia Rossa non siamo interessati a commenti anonimi e poco o nulla argomentati (prova ne sia che questo blog non prevede la classica sezioni "commenti agli articoli"); desideriamo, invece, dialogare o polemizzare in modo aperto e meditato, nel caso rendendo disponibili tutti i materiali, senza preclusioni. La pubblicazione di queste lettere è in tale spirito di franca discussione.

2) La seconda ragione è anche più importante. Riteniamo che i due scambi, che il caso ha voluto accadessero quasi contemporaneamente, sono un bell'esempio di come dovrebbe essere una discussione politica sana, civile, capace di comprendere le ragioni dell’interlocutore nello stesso momento in cui si esprime dissenso o ferma opposizione alle stesse. Purtroppo si tratta di occasioni rare, tanto da meritare un certo rilievo per il loro valore di esempio. La norma nella sinistra italiana è invece altra: il silenzio, l’insulto, il travisamento. Una discussione civile e razionale è sia un dovere etico-politico, sia la condizione per chiarire dissensi e convergenze al fine costruire una sinistra anticapitalistica vitale (Michele Nobile).


Cremaschi-Massari (13 novembre)

Caro Roberto,
credo che alla luce degli ultimi avvenimenti potresti convenire con me che la tua polemica su un mio breve comunicato(*), totalmente ignorato dal regime informativo postberlusconiano, sia stata un poco esagerata.
Il tallone di ferro che ci stanno costruendo addosso a colpi di spreads a mio parere richiede un salto di analisi e iniziativa. Non penso minimamente ad alleanze con borghesie nazionali... ahaha e quali poi... ma ad una lotta durissima che per me ha un solo paragone: quella dei residui del movimento operaio europeo contro il nazionalismo del 1914... Non dico che la situazione è la stessa naturalmente, ma che è dello stesso segno e che va nella stessa direzione.
Il regime che spinge per il consenso a Monti pare lo stesso che nelle “giornate radiose” del maggio 1915 portò l’Italia a scendere in guerra. E stiamo tranquilli, il nazionalismo, la retorica del RI MONTI AMO saranno la miscela che verrà usata per coprire il massacro sociale.
Il mio scandalo per la presenza dei messi del FMI era tutto qui, nella piena consapevolezza che essa era assolutamente minoritaria… per ora.
Certo oggi c'è anche una destra che parla di governo delle banche, ragione di più per essere in campo noi, con i 5 punti del movimento no-debito e con anche molto altro.
Onestamente penso che dopo il governo Monti nessuno di noi sarà perdonato se non farà l'impossibile per unire tutte  le forze e le persone che vogliono disertare dalla guerra del debito e lottare contro il dominio che essa esercita qui e ora. A me tutto questo è assolutamente chiaro da quando Marchionne vinse il ricatto a Pomigliano. Da allora per me comincia la Terza repubblica ove il capitale governa direttamente...
Mi posso sbagliare, ma non trovo nel programma di chi vinse proclamando tutto il potere ai soviet altro che rivendicazioni che oggi sarebbero definite democratiche radicali. Io penso al rifiuto del debito come al rifiuto della guerra e anche per questo mi preoccupo del consenso che la guerra al debito per ora conquista a livello di massa. Loro saranno sciovinisti, noi semplicemente dobbiamo far fronte ai nostri  padroni e ai loro legami internazionali. Alle prossime
 Giorgio

Caro Giorgio, la tua risposta conferma ciò che vado dicendo di te da molto tempo, e cioè che sei una delle ultime persone civili rimaste nella ex estrema sinistra (sulla ex sinistra non vale la pena di parlare). E certamente la tua precisazione è dettata dalla consapevolezza o constatazione che il passaggio del potere istituzionale a Monti (nella sostanza, ma anche per il modo extraparlamentare con cui è stato fatto) rappresenta una montagna d'ingerenza da parte dei vertici dell'imperialismo mondiale rispetto al sassolino d'ingerenza che sarebbero stati i presunti ispettori. E forse ti sarai anche detto che la spiegazione che avevo dato io per la trovata degli ispettori (e cioè un gesto di diffida o sfiducia in più, visto che in alto avevano deciso di farla finita con Berlusconi) si è rivelata giusta e tempestiva. Di qui probabilmente anche il desiderio di mantenere aperto il dialogo fra noi, come mi auguravo anch'io nel finale del mio intervento.

Voglio rassicurarti dicendo che non ho pensato che la tua posizione sugli ispettori (o ancor prima sul non-pagamento del debito - che è cosa diversa dal non-pagamento dei costi sociali del debito che in quanto tale non differisce granché dalla lotta rivendicativa quotidiana) significasse un tuo spostamento a destra o a favore di un'alleanza con borghesie nazionali. Il problema è un altro e non credo si possa affrontare in queste poche righe. Riguarda un certo modo di procedere per reazioni successive, la pressione delle alleanze politiche che hai tessuto da un po' di tempo a questa parte, la convinzione di poter imprimere da solo, con la tua esperienza Fiom, un orientamento unitario e anticapitalistico ai relitti di una estrema sinistra che in quanto tale non esiste più da tempo, le deformazioni ideologiche che ci si porta dietro per esser cresciuti politicamente nella Cgil, o nel Pci, o in Dp, o nel Prc, o in tutti costoro o in uno dei tanti gruppi minori autosoddisfatti (scegli tu la combinazione in cui ti riconosci) - ma sempre e inequivocabilmente in una dimensione nazionale, in primo luogo. E sempre e comunque in un rapporto di non-dialogo teorico con le altre correnti o componenti, in secondo luogo.
Per es., ora che con Monti si preparano tempi ancor più duri che con Berlusconi, sarebbe interessante sentire qualche autocritica da parte di coloro che per un decennio o più hanno fatto dell'antiberlusconismo la bandiera principale e in nome di tale bandiera sono anche andati al governo, all'abbraccio col centrosinistra ecc. Se qualche "dirigente" riconoscesse l'errore compiuto e si ponesse modestamente a ritessere la trama con coloro che questo errore non l'hanno fatto, forse non faremmo dei passi da gigante in avanti, ma muoveremmo qualche passettino che magari fornirà una base di crescita ad altri, un investimento per il futuro ecc. Al momento ciò non accade e si conferma così che continuiamo a vivere l'anno zero del pensiero e del progetto anticapitalistico e tu lo verificherai prima o poi. Più pessimista di come sono sul tipo di forze politiche sulle quali ti stai appoggiando non potrei esserlo (staliniani, centristi sui generis ed ex forchettoni rossi, gruppettari e vittime più o meno illustri della società dello spettacolo...). Vorrei tanto aiutarti nella tua battaglia mettendoti a disposizione la mia esperienza rivoluzionaria più che quarantennale, nonché le capacità teoriche dei compagni che compongono la redazione internazionale di Utopia rossa (pensa che sommando le opere di 5 o 6 di noi si arriva a un centinaio di libri scritti nell'arco di qualche decennio...). Ma so benissimo che ciò non è facile da realizzare per il veleno che si è diffuso e radicato dopo le corse agli incarichi parlamentari, dopo le tante scissioni ed espulsioni, dopo l'avvento dell'individualismo sul senso del collettivo. Insomma, il forchettonismo rosso.
Restiamo quindi in contatto. Comunichiamo quando è possibile e speriamo che da qualche parte si riesca a perforare la diga.
Un abbraccio
Roberto
* * *

Massari-Helman (15 novembre)

Caro Alfredo, ho finito di leggere attentamente il tuo libro Il militante e ho dato una scorsa a quello sul Peronismo. 
Quest'ultimo non è un libro da lettura, ma da consultazione e come tale lo utilizzerò. Condivido pienamente la tua battaglia per far capire che Perón non è stato un dittatore fascista, ma anzi è stato l'unico leader che col suo specifico populismo sia riuscito a unificare la stragrande maggioranza dei lavoratori argentini nella totale incomprensione da parte del movimento operaio classico. (Del resto avrai visto come la penso nel mio libretto su Il peronismo). 
Trattandosi per te di una storia autocritica (in quanto ex comunista prosovietico) mi sembra che il libro sia veramente onesto. E utile, perché i dati che tu riporti non si trovano facilmente raccolti insieme in un unico libro. (Peccato che Perón sia scritto sempre senza accento. Ma mi pare che nel resto del libro tutti i nomi latinoamericani siano privi di accento.)

Il militante, invece, si legge bene, come storia di vita. Una storia che si svolge da entrambi i lati dell'Atlantico con scorribande in Russia e in Cina. È veramente istruttivo vedere come sei entrato nel movimento "comunista". Scusami le virgolette, ma per mia formazione non sono mai riuscito a considerare gli staliniani come comunisti. Il bello è che verso la fine del libro questo lo dici anche tu, con un linguaggio cauto ma nella sostanza non differente dal mio.
Non pensavo che la parte precedente il tuo ingresso nell'area guerriglieristica si sarebbe rivelato così interessante alla lettura. 
E invece lo è e lo consiglierei a qualsiasi giovane argentino che voglia sentire l'aria che tirava in quegli anni anche per chi stava all'esterno del movimento peronista.
E poi ovviamente mi sono divorato e annotato tutta la parte "guevarista", preziosa anche per "specialisti" del Che. Nel tentativo di ricostruire il grande mosaico della vicenda di Guevara, tu apporti delle tessere utili, che si vanno a incastrare con altre tessere. E devo dire che combaciano sempre. (E' stranamente assente dal tuo libro il nome di Amalio Rey che ho conosciuto molto bene a Córdoba e con lui ho visitato Alta Gracia.) Io - all'epoca guerriglierista come te - arrivai a Cuba a luglio del 1968 e vi rimasi sino a fine dicembre, quindi con solo un anno di ritardo rispetto a te. Puoi immaginare quindi con quanta passione ho letto la tua trafila, ben sapendo che sarebbe potuta essere anche mia. Nell'autunno del 1968, infatti, chiesi alla mia "protectora" (o directa responsable), Melba Hernández, di mandarmi a combattere in America latina. Ignoravo ovviamente la svolta che c'era stata nell'orientamento del Departamento para las Américas. Per mia fortuna Melba mi rispose negativamente dicendo che tipi come me servivano di più in Europa e che in Italia, se fossi riuscito a costruire un gruppo deciso e ben armato...
Non sto scherzando: è storia vera e credo che tu sei uno dei pochi ancora in circolazione che riesce a credermi.
Un valore aggiuntivo al tuo libro è dato dal fatto che sei ancora in circolazione, per l'appunto. Con idee politiche che non condivido affatto, ma che sono "storicamente" comprensibili.
Se ci fossimo conosciuti alla fine degli anni '60 o prima che il crollo dell'Urss creasse tanta demoralizzazione nella ex sinistra, forse oggi la penseremmo in maniera simile. Ma così non è andata, né con te, né con le migliaia di compagni sparsi nel mondo che allora erano disposti a dare la vita per l'ideale rivoluzionario, ma non sono stati poi disposti a continuare quando invece che il sacrificio della vita si richiedevano l'uso della ragione, la pazienza e soprattutto letture giuste e formative.
Sono contento di averti conosciuto, sono contento che tu sia parte della Fondazione Guevara e sono contento di aver letto il tuo libro autobiografico. Avendo i soldi lo ripubblicherei senza esitazioni nella collana Guevara della mia casa editrice. Ma così non è e credo che non lo sarà per un bel po' di tempo visto che da Tre-monti siamo passati a un Monti solo.
Un abbraccio
Roberto

Caro Roberto:
Decirte que tu carta me produjo una gran alegría no es la consabida  formalidad.
No es común, aun entre compañeros, sentirse estimulado y considerado con la generosidad que reflejan  tus líneas.
¡Gracias de todo cuore!
Creo haberte dicho - y en todo caso lo repito - que  tu caracterización del peronismo es la única escrita de un italiano, en la que me reconozco. Todas las otras que leído, son influenciadas por las deformaciones,  que la rabia y la frustración de comunistas y socialistas argentinos, impusieron  a  una visión justa del peronismo.
 Creo que también nos une la condena del estalinismo. Es realmente cómico que la crisis de un ex estalinista como yo, haya comenzado por su visita a la URSS. Es como si un musulmán dejara de serlo después de la visita a la Meca.
Quizás nos separa la caracterización de este proceso latinoamericano, que en mi provoca entusiasmo  y creo que en vos, perplejidades bastantes criticas.
Pero en fin, si todos los compañeros pensáramos igual el mundo sería muy aburrido.
Quiero decirte que estoy muy orgulloso de que me hayas aceptado en la Fondazione Guevara y que en los días que compartimos me ha impresionado la pasión,  la dedicación y la competencia con que estas librando tu batalla política y cultural.
Dejame decirte también que tipos como vos son un ejemplo para todos. Y sobre todo para los pibes que sin duda hoy, se aprestan a  continuar  la herencia, que nosotros recogimos a su vez de nuestros mayores.
Te mando un fraternal abrazo y espero verte pronto.
Alfredo


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martedì 15 novembre 2011

COME BOUVARD E PÉCUCHET, di Enzo Valls

          (Filastrocca dialogata a tempo di chotis)

          Io quasi quasi,
          già che ci sto,
          io quasi quasi
          mi faccio un blog.
          Ma ché ci scrivi?
          Non hai talento!
          Ma che ci vuole?
          Copista son!
          Per le mie mani
          passa di tutto,
          un po’ s’impara
          un po’ s’inventa,
          guardo i manuali
          m’informo in giro,
          come quei due
          del romanzo di Flaubert.

          Cita la fonte!
          Lo faccio sempre!
          …o quasi sempre...
          O quasi mai!
          Non è un problema:
          le idee belle
          non hanno autori
          né copyright.
                      Ma cosa dici?
                      Io ti sputtano
          Tu mi sputtani?
                      A meno che…
          A meno che…?
                      … non lo facciamo insieme…
              … come quei tali
             Bouvard e Pecuchet!
  
             Enzo Valls
             Santa Fe (Argentina), novembre 2011


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lunedì 14 novembre 2011

UNA PRECISAZIONE, di don Ferdinando Sudati

(sull'articolo CRISTIANESIMI (I) - Martiri del libero pensiero e della scienza. Presunti "santi" e canonizzazioni ad hoc, di Pier Francesco Zarcone)

Caro Roberto,
seguirò con interesse la serie di Zarcone “Cristianesimi” - è sempre un brillante scrittore - sebbene mi pare dica cose già molto visitate e forse scontate anche per la “massa”, però repetita iuvant e qualcosa di nuovo c’è sempre. Aspetto in ogni caso le altre puntate.
Su un punto avrei qualche dubbio, laddove scrive: «A questo genere appartiene lo “scandalo” dei manoscritti del Mar Morto, scoperti per caso da alcuni beduini a Wadi Qumrān. La Chiesa ci mise le mani sopra e ne tenne nascosti i risultati fino a quando non ebbe appurato che non contenevano nulla di idoneo a confutare la narrazione cattolica sulle origini del Cristianesimo». Non conoscevo questa versione, che mi stupisce perché detto materiale è stato trattato e pubblicato da un gruppo internazionale e interconfessionale di studiosi e oltretutto mi pare che i primi e forse maggiori studiosi dei manoscritti di Qumrān siano protestanti. Indubbiamente Luigi Moraldi, uno più ragguardevoli studiosi italiani di Qumrān, è cattolico e prete, però uscito dal clero e dall’organizzazione accademica ecclesiastica, quindi più libero da vincoli.
Forse c’era qualche paura ma non al punto da consigliare e consentire  un veto. Anche il libro dal titolo un po’ intrigante Manoscritti segreti di Qumran. I 50 documenti che fanno discutere l’esegesi biblica mondiale, di R.H.Eisenman-M. Wise (Piemme, Casale Monferrato 1999, 10 ed.) accenna a motivi spesso “banali” che hanno fatto ritardare la pubblicazione dei manoscritti (p. XIII). Parlo però da non competente in materia e sempre salvo meliori iudicio.
Buona giornata.
don Ferdinando Sudati
P.S. Volevo solo precisare che Moraldi è più famoso come studioso degli apocrifi del Nuovo Testamento, però è stato anche editore in Italia dei manoscritti di Qumran (noti all’epoca).

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sabato 12 novembre 2011

ELEZIONI TUNISINE: «PRIMAVERA» ADDIO, di Pier Francesco Zarcone (Mondo Arabo in rivolta XXIV)

Dopo tanti articoli a commento della cosiddetta “primavera araba” è quasi obbligatorio scrivere sull’esito delle elezioni tunisine che avrebbero dovuto sancire l’ingresso di quel paese nell’area liberal/democratica, come sempre ci hanno detto i mass-media occidentali, contando sul fatto che la Tunisia in linea di massima è il paese arabo con maggiore tasso di laicità. Il risultato elettorale, tuttavia, ha dato al partito islamista en-Nahda una maggioranza relativa superiore al 40%! Figuriamoci cosa accadrà con le elezioni egiziane dove gli islamisti sono più forti che in Tunisia.

Cambia il vento
Dopo una massiccia rivolta popolare in Tunisia, con parole d’ordine totalmente laiche, ecco che un partito islamista (promosso alla qualificazione di “moderato” dai media) sostanzialmente vince le prime elezioni libere. Il primo segnale della mutata direzione del vento politico è dato dall’aumento in pubblico di teste femminili coperte.
Delusione nei più, qui da noi, e risolini a carico dei commentatori che troppo presto avevano proclamato un cambiamento oggi smentito dai fatti.  Ne esce meno pregiudicato chi aveva presentato i suoi commenti nell’ottica condizionante del “a parità di condizioni”.
Il risultato elettorale tunisino – è bene dirlo – non è necessariamente una sorpresa, almeno se si considerano le dinamiche dei “processi rivoluzionari” (in senso lato, poiché in Tunisia c’è stato solo un cambio di regime). Il fatto è che i soggetti attivi di questi processi sono sempre minoranze che hanno preliminarmente effettuato un certo e debito cambio di mentalità. Nelle maggioranze che restano a casa essi possono trovare gradi maggiori o minori di simpatia e/o solidarietà, o quanto meno indifferenza; ma – cosa importantissima – si tratta generalmente di maggioranze rimaste estranee al mutamento di mentalità avvenuto nei soggetti attivi dell’intervenuto processo rivoluzionario.

Criticità delle elezioni
Non è la prima volta (anche in aree non islamiche) che l’elettorato, dopo la caduta del vecchio regime, premi posizioni o più arretrate o addirittura conservatrici; magari non identificantesi pienamente con il vecchio regime, ma comunque espressive di orientamenti antitetici a quelli animatori di quanti si erano rivoltati.
Il rapporto fra rivolta vittoriosa e svolgimento del classico elettoralismo liberal/democratico è complesso e delicato. Partiamo dal fatto che sia il mero cambio violento di regime sia l’effettiva rivoluzione politico/sociale sono nell’immediato realtà deboli, ancora lungi dall’essere consolidate. Esse, quindi, si devono autoproteggere. Il problema sta nel “come”.
Senza addentrarci nell’arduo campo teorico/pratico della difesa delle rivoluzioni (in senso lato) tuttavia uno spunto è ricavabile proprio dagli assetti costituzionali borghesi: come qui esistono principî e norme non modificabili nemmeno con referendum – il farlo vorrebbe dire rompere con l’assetto costituzionale vigente – così dopo un cambio di regime, ovvero una rivoluzione, si dovrebbero porre all’elettorato dei “paletti programmatici” non valicabili. Naturalmente se si è in grado di farlo, Comunque una rivoluzione messa ai voti è inevitabilmente una rivoluzione perduta (ne sanno qualcosa i sandinisti del Nicaragua).

giovedì 10 novembre 2011

CRISTIANESIMI I, di Pier Francesco Zarcone

MARTIRI DEL LIBERO PENSIERO E DELLA SCIENZA, PRESUNTI “SANTI” E CANONIZZAZIONI AD HOC

Il tormentato rapporto fra Chiesa cattolica e società civile, fra clero dogmatico e libero sviluppo della cultura si è sempre svolto “a tutto campo”. Oggi - a motivo della considerevole perdita di potere del Cattolicesimo in contesti in cui aveva davvero dominato, e con durezza – non è mutata la qualità del rapporto, bensì giocoforza le inerenti forme e modalità. La sfera delle canonizzazioni ha sempre rispecchiato tale situazione ed è illuminante per smascherare l’aspetto “buonista” di cui questa Chiesa ama ammantarsi.
In questa sede vengono presi in esame due sintomatici casi di canonizzazioni fra loro uniti dall’essere stati il coronamento formale di altrettanti successi del clero nella sua lotta contro la libertà di pensiero e la libera ricerca scientifica. Premettiamo a ciò, per completezza descrittiva, una valutazione critica sulla classificabilità delle persone proclamate “Sante” in rapporto alla loro degnità.
  
Santi e santità: non sempre c’è coincidenza
Nell’universo delle religioni umane l’importanza della santità e delle figure dei Santi è generale, insieme al fiorire attorno alle loro figure di ambienti in cui la spiritualità si mescola alla superstizione e agli interessi economici e commerciali, sovente determinandosi un intreccio inestricabile. In un documento dell’8 marzo 2000 (“La Chiesa e le colpe del passato”, par. 3, 4) la Commissione Teologica redattrice ha scritto trionfalisticamente che
«La Chiesa si riconosce esistenzialmente santa nei suoi Santi».
È una frase dalla forma tanto assertiva quanto infondata, poiché a motivo della realtà delle cose sarebbe stato meglio esprimere solo un auspicio. Ma che sarebbe la propaganda cattolica senza un po’ di trionfalismo? D’altro canto per i “fedeli” ciò funziona grazie alla diffusa ignoranza storica unita alla tendenza a non pensare con la propria testa.

domenica 6 novembre 2011

ANCORA UN REFERENDUM?, di Michele Nobile

No, basta. Il referendum sulle politiche del governo lo facciamo con la lotta di massa e l'antiparlamento dei movimenti sociali

La sinistra italiana ci ha da lungo tempo abituato a campagne per referendum suicidi, per lo più in funzione della costituzione di un bacino d’opinione per le prossime elezioni. C’è però qualcosa di comico nel fatto che, appena un abile rappresentante della borghesia come George Papandreou avanza in modo del tutto demagogico la possibilità di un referendum sulle misure di politica economica, subito l’idea venga rilanciata in Italia.

sabato 5 novembre 2011

L’APPELLO PATRIOTTICO DI GIORGIO CREMASCHI, di Roberto Massari

L'appello di Giorgio Cremaschi in difesa della dignità nazionale calpestata e contro il barbaro monetarista invasor non ha capo né coda, ma se l'avesse sarebbe materia del peggior nazionalismo. 

martedì 1 novembre 2011

13º ENCUENTRO ANUAL DE LA FUNDACIÓN GUEVARA - 13° INCONTRO ANNUALE DELLA FONDAZIONE GUEVARA

EN ESPAÑOL
El sábado 8 de octubre (2011) tuvo lugar en Alessandria (Italia) el 13º encuentro de la Fundación Guevara. El tema del mismo, establecido en el encuentro precedente, fue “Las relaciones entre Fidel y el Che” y a la iniciativa, organizada por Ricardo Vinciguerra, adhirieron la Anpi, Italia-Cuba de Asti, la Cub de Alessandria, Storia Ribelle y Utopía Roja.
Los invitados no italianos fueron Humberto Vázquez Viaña (ex miembro de la guerrilla del Che en Bolivia), Alex Pausides (vicepresidente de la Asociación de escritores de Cuba), David Kunzle (Profesor de historia del arte en la Universidad de California de Los Ángeles), Alfredo Helman (del grupo de argentinos que se adiestraron en Cuba en la perspectiva de sumarse a la guerrilla del Che en Bolivia, citado en el Diario del mismo Guevara).
Al ex comandante de las Faln venezolanas, Douglas Bravo, le fue impedido el vuelo desde el aeropuerto de Caracas con un pretexto policial de naturaleza represiva. Esto determinó que dos de las iniciativas colaterales programadas (en Lucca y en Roma) fueran anuladas a último momento, mientras que se desarrollaron normalmente las de Trento, Milán y Viareggio.
El encuentro se abrió con un informe del presidente saliente de la Fundación, Roberto Massari, quien trazó un compendio histórico de las convergencias y divergencias entre Fidel y Guevara, procediendo por bloques temáticos. Seguidamente cada uno de los invitados intervino desarrollando algunos aspectos del tema central, en un clima fraterno, franco y constructivo. Y también las intervenciones del público enriquecieron el debate.
Luego la asamblea deliberó y confirmó por otro año a Massari (en ausencia de candidaturas alternativas) como presidente de la Fundación, y por aclamación solicitó que Douglas Bravo sea incorporado al Comité de redacción internacional de los Cuadernos de la Fundación.
Una simpática y ya tradicional cena social fue el cierre de los trabajos de este 13º encuentro anual, que según la mayoría de los presentes, ha sido uno de los mejores y más constructivos en la vida de la Fundación. Se advierte un crecimiento cualitativo, una madurez en la discusión y la conciencia de constituir ya una “trinchera natural” para la defensa del patrimonio más auténtico del Che.
Mediante sucesivas consultaciones se decidió que el próximo encuentro anual de la Fundación (el 14º) se lleve a cabo el sábado 6 de octubre de 2012, a las 15 hs. en una ciudad de Cerdeña (aún a establecer, muy probablemente Nuoro). El tema será “El Che y África” y se piensa invitar a un gran experto en el tema, nuestro compañero polaco Zbigniew Kowalewski. Para esa ocasión será publicado el Cuaderno Che Guevara n. 9.


IN ITALIANO

Sabato 8 ottobre (2011) si è svolto ad Alessandria il 13º incontro della Fondazione Guevara. Il tema, fissato dal precedente incontro, era “I rapporti tra Fidel e Che Guevara” e all’iniziativa, organizzata da Riccardo Vinciguerra, hanno aderito l’Anpi, Italia-Cuba di Asti, la Cub di Alessandria, Storia Ribelle e Utopia rossa.
Gli ospiti non-italiani sono stati Humberto Vázquez Viaña (ex membro della guerriglia del Che in Bolivia), Alex Pausides (vicepresidente dell’Associazione degli scrittori di Cuba), David Kunzle (Professore di storia dell’arte alla University of California di Los Angeles), Alfredo Helman (del gruppo degli argentini che si addestrarono a Cuba nella prospettiva di raggiungere la guerriglia del Che in Bolivia, citato nel Diario dallo stesso Guevara).
All’ex comandante delle Faln venezuelane, Douglas Bravo, è stata invece impedita la partenza all’aeroporto di Caracas con un pretesto poliziesco di natura repressiva. Ciò ha fatto sì che due delle iniziative collaterali preparate (a Lucca e a Roma) fossero annullate all’ultimo momento, mentre si sono tenute regolarmente quelle di Trento, Milano e Viareggio.
L’incontro è stato aperto da una relazione del presidente uscente della Fondazione, Roberto Massari, che ha tracciato l’arco storico delle convergenze e delle divergenze tra Fidel e Guevara, procedendo per blocchi di argomenti. Ognuno degli ospiti è poi intervenuto sviluppando alcuni aspetti del tema centrale, in un’atmosfera fraterna, franca e costruttiva. Anche gli interventi del pubblico hanno arricchito la discussione.
L’assemblea ha poi deliberato di confermare per un altro anno Massari come presidente della Fondazione (in assenza di candidature alternative) e per acclamazione ha chiesto all’unanimità che Douglas Bravo venga inserito nel Comitato di redazione internazionale dei Quaderni della Fondazione.
Una simpatica cena sociale ha chiuso come tradizione i lavori di questo 13º incontro annuale che, a detta dei più, è stato uno dei più belli e costruttivi nella vita della Fondazione. Si avverte una crescita qualitativa, una maturità nella discussione e una consapevolezza di costituire ormai una sorta di “trincea naturale” nella difesa del patrimonio più autentico del Che.
Con successive consultazioni si è deciso che il prossimo incontro annuale della Fondazione, il 14º, si tenga sabato 6 ottobre 2012, alle ore 15, in una città della Sardegna (ancora da stabilire, ma probabilmente Nuoro). Il tema sarà “Il Che e l’Africa” e si è pensato di invitare un grande esperto dell’argomento, il nostro compagno polacco Zbigniew Kowalewski. Per quell’occasione sarà pronto il Quaderno Che Guevara n. 9.

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