Yerushalayim, Gerusalemme, al-Quds |
PREMESSA
Trattando il presente articolo di storia e di politica vale la pena ribadire - contro un ricorrente equivoco - che non vi si troverà quel che non esiste: l'obiettività. O meglio, di essa pontificano solo le illusioni dei «benpensanti» educati dal filisteismo borghese, oppure (peggio ancora) la propaganda dolosa di quanti intendono mistificare per «obiettiva» la propria versione/interpretazione delle cose. L'obiettività è un miraggio, non foss'altro perché ciascun essere umano nel corso della sua vita affronta i problemi e le situazioni in base alle esperienze via via pregresse e inclusive di ciò che il filosofo Hans-Georg Gadamer (1900-2002) chiamò «pregiudizi», argomentandone tuttavia la non aprioristica negatività1. D'altro canto,
«chi scrive di Storia ha naturalmente concetti di natura ideologica e teorica più o meno approfonditi. Concetti di classe che rendono inevitabile il differente apprezzamento degli eventi. È lecito che chi scrive di storia abbia già in partenza un apprezzamento generale […]. Non è lecito che si cerchi e si citi, senza verificarne la verità, elementi che comprovino i suoi anteriori apprezzamenti. Tanto meno è lecito omettere, rigettare e combattere elementi di verità incontestabile, di segno contrario»2.
Altrimenti si ha partigianeria, mistificazione ben poco favorevole alla comprensione (propria e degli altri). Tuttavia si può essere di parte senza diventare partigiani. Ovviamente anche l'autore del presente articolo è di parte, in quanto nettamente ostile al sionismo (l'Ebraismo è una religione rispettabile come tante altre), il che oggi comporta l'automatica accusa di antisemitismo. Pazienza, non si muore per questo. L'autore semmai spera di non essere incorso nella partigianeria, scusandosene in anticipo qualora non ci fosse riuscito.
«Questione palestinese» è il nome ormai correntemente dato a una delle maggiori e infinite tragedie collettive dell'età contemporanea. Inutile cercarvi i «buoni» e i «cattivi», convertendosi spesso gli uni negli altri, e viceversa; più facile, invece, trovarvi le ingiustizie e le loro vittime, oltretutto mistificate dalla propaganda partigiana e manichea di matrice sionista, recepita dai grandi media come politicamente corretta e veritiera. Vittime dotate di solide ragioni, ma ancora con la dimostrazione che aver ragione senza avere la forza (compresa quella finanziaria) non serve a nulla. Vale la pena specificare la differenza fra essere vittime ed essere «giusti»; e quindi nel prosieguo dell'esposizione non ci sarà spazio per essi, dei quali d'altronde non si trova traccia in giro, per quanto sopravviva la speranza che sussistano davvero i 36 giusti di cui parla la tradizione mistica ebraica, reggitori spirituali delle sorti del mondo per evitare che sprofondi ancor di più nel caos. Ma, ahimè, costoro sono e restano in stato di mistico occultamento.