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mercoledì 25 novembre 2015

NON ESSERE CATTIVO (Claudio Caligari, 2015), di Pino Bertelli

La formula per rovesciare il mondo non l'abbiamo cercata nei libri, ma girando. Era una deriva a grandi giornate, in cui niente somigliava al giorno prima; e che non si fermava mai… non ritengo che tutti i mediatici siano degli imbecilli; anche se possiamo presumere che questo sistema abbia fatto molto per aumentare la parte di imbecilli nella società che già non era indifferente.
(Guy Debord)

Il cinema, qualche volta, esprime una cartografia autentica del quotidiano e riesce a mostrare un ambiente, a fissare sullo schermo un dolore inconfessabile o un modo di vita, quale che sia, in maniera incomparabile. I buoni film, come si dice, possono avere come sfondo e come scaturigine solo storie appassionanti ed esprimono l'universalità di una geografia umana come critica tagliente della civiltà mercantile che non elabora lo spettacolo del rifiuto, bensì il rifiuto dello spettacolo (i situazionisti, dicevano). Un cinema dunque che costruisce le situazioni e attraverso derive del margine (ma non marginali) esprime il dissidio contro gli specialisti (servi & padroni) della domesticazione sociale.
Claudio Caligari è un autore "maledetto" del cinema italiano e austero facitore di storie delle periferie invisibili… dopo una lunga malattia, che non gli impedisce di finire Non essere cattivo, muore il 25 maggio 2015, a 67 anni. Caligari è stato un sorta di maestro del cinema degli esclusi e si è sempre mosso in direzione ostinata e contraria. Tutta la crema avariata del cinema industriale (che l'aveva ignorato, bollato come "appestato" ed escluso da sempre) sembra affranta, molti ne parlano, pochi amici lo piangono (come Valerio Mastandrea). Lascia in eredità un pugno di documentari e tre film… alcuni "specialisti" si sono accorti del suo valore poetico quando è andato a far compagnia ai ragazzi di strada che ha incontrato, con i quali ha discusso e filmato il tragico delle loro esistenze ferite o spezzate.
Caligari debutta (con la collaborazione di Daniele Segre) nel documentario Droga che fare (1976), poi seguono Lotte nel Belice (1977) e La follia della rivoluzione (1978). Chiude la sua cinevita con Task Force 45 - Fuoco amico (serie TV, 2015). In mezzo ci sono Amore tossico (1983), il film che raccoglie la realtà emarginata pasoliniana e il dolore di una generazione sfigurata dall'eroina, L'odore della notte (1998), la storia di una banda di rapinatori che semina il terrore nelle case dei ricchi (e fa conoscere loro la paura che hanno sempre esercitato sui poveri) e Non essere cattivo (2015), il suo testamento sull'amicizia stellare e la fine dell'innocenza.
Non essere cattivo è un film-manifesto che rappresenta la fine di un'epoca, quella appunto dell'eroina, diffusa massivamente dai centri di potere per affossare la rivoluzione planetaria del '68, figura l'avvento delle droghe sintetiche, con le quali i medesimi dominatori sconvolgono l'immaginario delle nuove generazioni per impedire altre rotture sociali, anche… affossare quelle frange o movimenti che dai quattro venti della terra osano dare l'assalto al cielo dello spettacolo feroce, rapace, assassino del neoliberismo.
Dopo il passaggio (fuori concorso) al Festival del cinema di Venezia, dove la critica gli ha assegnato i premi Pasinetti per miglior film e miglior attore (Luca Marinelli), Non essere cattivo è stato designato a rappresentare il cinema italiano alla selezione per l'Oscar al miglior film straniero 2016. Chissà? A volte anche gli stupidi hanno un lampo di genio e ritrovano la via della saggezza, che come sappiamo è lastricata di buone intenzioni e porta comunque alla forca del più grande baraccone del mondo, quello della stupidità hollywoodiana.
Caligari riprende da Amore tossico e apre Non essere cattivo con le medesime sequenze (al pontile di Ostia). Siamo alla metà degli anni '90… la droga ora è sintetica… c'è il fantasma dell'Aids, ma i ragazzi sbandati e i quartieri poveri sono gli stessi. I nomi delle pasticche sono simpatici… playboy, colombina, fragolina, braccio de fero… la coca c'entra sempre… ma è cara… roba per ricchi… così i ragazzi fanno rapine, rubano televisori, sognano di cambiare vita… "svoltare", insomma, e diventare, se non "qualcuno", almeno "qualcosa"… riappropriarsi di una "vivenza" che non è più illusione. La tentazione di esistere fuori dall'imperativo della confusione e della dipendenza.
Non essere cattivo è la storia di un'amicizia, quella di Cesare (Luca Marinelli) e Vittorio (Alessandro Borghi)… si conoscono sin da bambini, fratelli di vita… in una Ostia livida di miseria, Vittorio vive con la madre e la nipote, una bambina orfana (la mamma è morta di Aids e ha trasmesso la malattia alla figlia)… sul bavaglino del suo orsacchiotto c'è la scritta: «Non essere cattivo». Cesare e Vittorio spacciano per Er Brutto… il linguaggio è quello quasi infantile di Accattone, dove Pasolini figurava il realismo magico della sofferenza e l'innocenza profanata da crimini di ordinaria follia. In borgata i soldi si fanno al di là della legge (proprio come in politica).
Le baracche di Ostia, l'idroscalo di Fiumicino, Fregene, sono il boccascena di Cesare e Vittorio, di Linda (Roberta Mattei) e Viviana (Silvia D'Amico)… le risse, la noia delle giornate passate al bar, in discoteca, partite di calcio sulla spiaggia, i tossici, le siringhe, microstorie del quartiere, figurano una germinazione del fallimento e nel contempo esprimono la responsabilità della società ipermoderna o fluida che produce, quando non alleva, gli scarti del proprio consenso. Per amore di Linda, Vittorio cerca di farla finita con macchine, alcol e droghe e va fare il manovale in un un cantiere edile. Cesare affonda sempre più nella disperazione con la fragile Viviana (una ex di Vittorio)… Vittorio cerca di aiutarlo, sino a rischiare di perdere Linda. Entrambi sono destinati al naufragio.
La sceneggiatura di Non essere cattivo (tratta da un soggetto di Caligari), stesa da Caligari, Francesca Serafini e Giordano Meacci, è di una bellezza espressiva di rara compiutezza nel cinema italiano… dialoghi secchi, scene scevre da ogni ridondanza figurativa, notevole presa del reale… insomma, una scrittura di grande forza poetica che tratta la quotidianità degli ultimi a cuore aperto, senza mai giudicare né condannare rimpianti e violenze dei protagonisti. La perdita d'innocenza che fuoriesce dal film ha l'impudenza e la spudoratezza di quanti fanno dell'utopia la fine del paradiso e del muro del pianto.
La fotografia di Maurizio Calvesi restituisce al meglio le atmosfere plumbee che aleggiano sull'intero film… attraverso la visione antropologica delle immagini si accede al centro delle storie e ci mostra la pelle del reale nell'intimità di miserie secolari rimaste impunite. Il montaggio scorciato di Mauro Bonanni conferisce all'opera di Caligari lo statuto di cinema in forma di poesia (caro a Pasolini), la testimonianza cioè di ciò che buca necessariamente ogni pretesa di morale, autorità o ideologia come modelli generali.
I giovani interpreti (Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Silvia D'Amico, Roberta Mattei) sono del tutto credibili in ciò che fanno… lasciano sulla tela malata del cinema le loro derive dissipatorie e il rifiuto del limite senza mai cadere nel bozzetto di costume o nella seduzione della diversità omologata… si perdono nella propria immagine maldestra e restituiscono appieno ciò che resta di un'epoca vaporizzata nel conformismo e nell'indifferenza.
La regia sapiente (cinefila) di Caligari è al fondo di questo notevole film… i tagli d'inquadratura, le citazioni filmiche, le abrasioni costruttive… raffigurano le pastoie e le servitù di un tempo dove il lavoro, la famiglia, la patria sono gli impedimenti più nocivi e vanno a comporre una geografia dei sentimenti struccati che corrisponde a un temperamento, a una realtà sommaria, alla genealogia di icone incoscienti bagnate di sangue reale… quando il cinema è autentico trionfa al cospetto dell'ordine costituito e la storia del mondo si riduce a schiuma o bava di rabbia e d'eternità.
Il portolano filmico di Caligari è un atanor di sopravvivenza, un crogiolo d'incandescenze popolari, un intermezzo libertario che si trascolora in autobiografia trasfigurata di un'epoca… un cinema di corpi dunque, teso a rovistare nella verità profonda, viscerale, animale di ciò che racconta… un apologo sull'amicizia che permette la scoperta di sé e dell'altro, sull'empietà di un viaggio all'inferno dove la vita si brucia, non si sogna. Nel cinema di Caligari i corpi sono come pietre preziose grezze, ancora da tagliare… corpi vissuti nel disordine, nell'oblio, nello spaesamento - e dicono che nessuna verità è assoluta e non si nasce impunemente su una terra devastata dal privilegio, dall'arroganza, dalla violenza della casta politica.
Claudio Caligari
Va detto. Il padronato della sopravvivenza ama la recitazione (televisiva, specialmente) e i pubblici miracoli finanziari… i partiti esprimono fatalità prive di sostanza e la loro stupidità deflagra ad ogni giostra elettorale… nel cimitero delle "sante intelligenze" ci sono tutti… la tirannide che si portano addosso però non è imperitura… chiese, ideologie, polizie, culture… sono all'origine di ogni orrore che si nutre di novelli schiavi e della stupidità delle masse… solo i poeti del desiderio di vivere tra liberi e uguali si salvano dal successo e dalla felicità indotta… incapaci di accordarsi al ritmo della civiltà consumerista, non rinunciano alla loro inattualità e si riversano nella rivolta sociale.
La distruzione dei miti porta con sé quella dei pregiudizi… al fuoco della disobbedienza bisogna scaldarsi, non bruciare. Nella comunità delle passioni stravaganti Fourier insegnava - come le giovani generazioni insorgenti del '68 scrivevano sui muri - a vivere senza tempi morti, godere senza ostacoli, a prendere i desideri per la realtà, esprimere una contro-morale del pensiero dominante per giungere a una gaia scienza di liberazione e alla conquista di un nuovo mondo amoroso.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 30 volte settembre 2015

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