Considerazioni
sul concetto di educazione
“Un uomo ridotto alla sua dimensione scolastica si lascia scivolar via
dalle mani l'esperienza non misurabile. Ciò che non può essere misurato passa
per lui in secondo piano. Non c'è bisogno di spogliarlo della sua creatività:
con l'istruzione ha disimparato a creare qualcosa o a essere se stesso e dà
valore solo a ciò che è stato fatto o potrebbe avvenire. Una volta che la
scuola ha impregnato un uomo dell'idea che i valori si possono produrre e
misurare, egli tende ad accettare le gerarchie di ogni tipo. C'è una scala per
lo sviluppo delle nazioni, un altra per l'intelligenza dei bambini e anche il
progresso verso la pace può essere misurato dal numero di cadaveri. In un mondo
scolarizzato la strada della felicità è lastricata di indici di consumo” (Ivan
Illich, Descolarizzare la società, 1971).
L'ideologia della scuola è dunque imperniata sulla nozione di progresso
inteso come accumulazione e crescita illimitata; e la crescita a sua volta è
concepita come consumo senza fine. “Il mito del consumo senza fine sostituisce
il credo nella vita eterna” (I. Illich).
Oltre a questo aspetto determinante della scuola al servizio del
mercato e del consumo c'è l'aspetto ancor più importante dell'accettazione di
una società basata sulla gerarchia e sulla piramide sociale. L'atteggiamento
della cultura libertaria invece propone una visione sociale “orizzontale”: né
capi né sudditi, né comandare né obbedire, né padroni né servi.
Nella scuola repressiva tradizionale l'esempio più chiaro è dato dagli
studenti che si devono alzare in piedi quando entra un insegnante o devono
chiedere il loro permesso per fare qualsiasi cosa. Una vita trascorsa tra i
banchi di scuola interiorizza e cristallizza la mentalità gerarchica e
diseguale, trasferendo un pensiero identico sulla società e sul mondo: anche in
una società ritenuta democratica si sente il bisogno della gerarchia e della
disuguaglianza.
L'educazione democratica e non-coercitiva invita l'individuo a
condividere la vita sociale in maniera equa e solidale, abolendo le disparità e
i diversi gradi di valore, contribuendo a vedere e intendere il vivere sociale
come unione di idee, ideali, aspirazioni e desideri scelti da umani,
collettivamente, senza distinzioni di valore, tutti messi sullo stesso piano,
con regole autodecise e non calate dall'alto. Una società o una comunità che si
autogestisce in tutti gli aspetti
della vita non ha così bisogno di governi perché si autogoverna e lo
Stato così come lo intendiamo noi non avrebbe più senso, si sgretolerebbe e
trasformerebbe in una rete, l’intreccio basato sul mutuo sostegno di comunità
collegate tra loro in modo solidale e non-competitivo.
Può una nuova educazione favorire tutto questo, cioè, contribuire ad un
vero atto rivoluzionario? Certamente si, perché, come si diceva un tempo: “si
lavora sull'educazione per preparare la rivoluzione”.
Sarebbe una rivoluzione non violenta, non combattuta con le armi da
eserciti regolari o non-regolari. Si svolgerebbe su di un piano culturale,
relazionale, emotivo e ideale e si realizzerebbe dopo aver scardinato e
distrutto non cose e persone ma solo una cattiva educazione che inculca il
potere, il profitto, il consumo.
Ora citerò il pensiero di Erich Fromm sull'educazione: “lo scopo
dell'educatore, lo scopo della vita è di lavorare con gioia e di trovare la
felicità cioè rispondere alla vita non solo con il cervello, ma con l'intera
personalità. Nell'educazione non è sufficiente promuovere lo sviluppo intellettuale.
L'educazione deve rivolgersi sia alla sfera emotiva che a quella intellettuale.
Nella società moderna riscontriamo una sempre maggiore distanza tra intelletto
e sentimento. Le esperienze dell'uomo odierno sono in gran parte mediate dal
pensiero e non riflettono una percezione di ciò che il cuore sente, l'occhio
vede, l'orecchio ascolta. In affetti questa separazione tra intelletto e
sentimenti ha condotto l'essere umano ad uno stato mentale pressoché schizoide
che lo ha reso quasi incapace di percepire alcunché in maniera autentica,
immediata. L'educazione deve adattarsi alle capacità e alle necessità
psicologiche del fanciullo. Il fanciullo non è altruista. L'amore per lui non è
il sentimento maturo dell'adulto. È un errore attendersi dal fanciullo un
comportamento che egli potrebbe dimostrare solo in maniera ipocrita.
L'altruismo si sviluppa solo successivamente all'infanzia. La disciplina
imposta dogmaticamente e le punizioni provocano paura; dalla paura nasce
l'ostilità. Questa può anche non essere aperta e consapevole, ma in ogni caso
paralizza la spontaneità e l'autenticità dei sentimenti. L'indottrinamento
disciplinare continuo è nocivo per i fanciulli e ne blocca lo sviluppo
psichico.”
Tutto questo può riassumersi nel concetto semplice che funzioni per la
vita di relazione e non per il mercato. Un’educazione che abitui a gestire la
libertà individuale e collettiva, costruita con la nascita e lo sviluppo di
coscienza collettiva, responsabilità, autonomia e autogestione. Purtroppo,
ancora oggi, c'è un tratto comune in tutte le scuole che ne identifica
l'essenza: la presunzione. Presunzione di verità e irrinunciabilità,
presunzione di inevitabilità e di sacralità. Ogni istituzione scolastica, di
ieri o di oggi, di qui o di altrove si regge proprio su questo assunto: la sua
esistenza è inevitabile e viene prima di ogni forma di sapere e di conoscenza
che qualunque società gerarchica annovera tra i suoi obbiettivi sociali.
C'è perciò un immaginario educativo gerarchico, un idea di uomo da
formare, forgiare, plasmare, una filosofia del divenire istituzionalizzata e
una ritualità rassicurante e immodificabile.
I governi di destra e di sinistra, gli insegnanti progressisti o
conservatori, le famiglie chiuse o aperte sono accomunate dal fatto che li vede
schierarsi, confrontarsi, dividersi all'interno di una ben determinata cornice:
la presunzione.
Oltre a ciò, l'obbiettivo dichiarato di varie riforme scolastiche
consiste nell'organizzare i tempi e i modi dell'insegnamento rapido, invece che
prevedere e favorire i tempi lunghi dell'apprendimento. Tutto deve
assolutamente essere funzionale a un sistema sociale “usa e getta”: una scuola
così insegna ignoranza.
Nel grande parco di attrazioni in cui si è trasformata l'istituzione
scolastica, gli insegnanti sono diventati gli animatori dell'intrattenimento
strutturato, unicamente finalizzato all'addestramento di alcune abilità e
all'acquisizione di alcune informazioni indispensabili per reggere il ritmo del
cambiamento incessante che la società flessibile del capitale finanziario
richiede e necessita. Invece di porre l’individuo come persona al centro del
processo educativo: una persona che si nutra della straordinarietà di altri
esseri che entrano in contatto con lei attraverso storie, ambienti, culture,
conoscenze, sensibilità, specificità.
Dice Paul Goodman: “ai bambini non bisogna insegnare, ma permettere di
scoprire”. “Molti affermano che un’educazione alla libertà è impossibile e che
la norma repressiva è inevitabile, che l'uomo non è mai stato e non potrà mai essere
veramente libero, che da sempre l'organizzazione sociale impone la propria
legge non foss’altro che per sopravvivere e che l'educare senza tener conto di
questa legge vuol dire gettare tra gli uomini il seme del caos e del più
funesto disordine.
Affermano inoltre che la legge deve, per sua stessa natura, essere
imposta dai pochi ai molti, poiché nella storia dell'uomo c'è sempre stato chi
deve comandare e chi deve obbedire, chi deve pensare e chi deve eseguire, chi
deve avere un potere e chi non deve averlo. E che perciò la non-stratificazione
sociale è impensabile. In sintesi, affermano che il mondo così è e così deve
restare.
Non voglio negare,
beninteso, che la comunità umana debba essere in qualche modo organizzata, né
che per fare ciò sia indispensabile una norma. Ma sostengo che la strada
percorsa fin qui se è la più comoda, è certamente anche la più indegna
dell'uomo. È mia ferma convinzione che la si posa cambiare. Cambiarla del tutto e
per sempre, senza possibilità di ritorno” (Marcello Bernardi, Educazione
e libertà, Rizzoli 2009).
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