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martedì 27 novembre 2012

FAUST (Alexander Sokurov, 2011), di Pino Bertelli

Nel quotidiano, spesso, siamo costretti all'umiliazione. Ho personali esperienze. Tra il 1978 e il 1987 ho girato due lungometraggi, corti di finzione e sei documentari. Mai nessuno proiettato, per il veto della censura governativa. La perestrojka li ha quasi tutti scongelati. Ma quei dieci anni di quarantena sono stati per me un'esperienza terribile: in nessun modo, però, m'hanno indotto a capitolare. In questo mi sento russo, uno dei tantissimi d'un popolo di coraggio, che combattono, giorno dopo giorno, contro l'assenza di comprensione, o di pietà. Da noi, l'individuo singolo - l'uomo - non ha valore.
(Alexander Sokurov)

I. Dai crimini del comunismo ai crimini delle democrazie

Il Faust di Alexander Sokurov è uno dei pochi, pochissimi capolavori del cinema planetario del nostro tempo... l’autore è un poeta del dissenso, un fustigatore di ogni sorta di potere, un utopista (libertario, forse) col dolce gusto della provocazione che fabbrica un cinema austero, anomalo, surreale, anche, dove l’abolizione del dominio è al fondo della distruzione di tutti i regimi. Per Sokurov non ci sono poteri buoni, ma patrizi e plebei che galleggiano in preda ai medesimi desideri di governare ed essere governati, il prezzo da pagare non conta! La sottomissione all’autorità, quale che sia, è al fondo del disagio sociale che imperversa nel mondo, sovrano è solo colui che decide della propria situazione ed insorge contro la catastrofe politica impressa dai dominatori nelle masse obbedienti. Gli uomini sono responsabili della servitù volontaria, dell’accettazione e del funzionamento dei doveri di obbedienza a un capo, uno stato, una religione, una politica, un mercato... nel gioco delle delle parti accettate, i depositari del potere centrale riproducono disuguaglianze e discriminazioni e fanno del consenso o del servaggio nuove strutture di dominio dell’uomo sull’uomo.
I dominatori creano significati, norme, codici, morali, valori e li istituzionalizzano... l’immaginario collettivo è plasmato nei processi di formazione dei rappresentanti del popolo e con la delega elettorale che viene data loro costruiscono il monopolio della costrizione legittima... il governo, la burocrazia, la polizia, la scuola, i sindacati assimilati, la fauna intellettuale della codardia e del privilegio... sono gli elementi necessari all’instaurazione della logica padronale (del consenso) che produce connivenze tra affari sporchi e politica istituzionale... il parlamento è il luogo dove una casta di criminali vestiti Armani è garante di misfatti indicibili e nell’organizzazione gerarchica del potere postulano l’obbligo politico, cioè il dovere di obbedienza, come ragione unica e dissoluzione della società democratica partecipata. Ricordiamolo con uno dei nostri “cattivi maestri”, Michail Bakunin: “Essere libero, per l’uomo, significa essere riconosciuto e trattato come tale da un altro uomo, da tutti gli uomini che gli stanno attorno... Non sono veramente libero se non quando tutti gli esseri umani che mi stanno attorno, uomini e donne, sono ugualmente liberi”. Tutto vero. Il sogno sedizioso degli anarchici di conquistare (con ogni mezzo necessario) una società di liberi e uguali passa da qui... la libertà non può chiamarsi tale se non è fondata sull’uguaglianza e germoglierà il giorno in cui gli uomini, le donne si affrancheranno e attraverso elementi di democrazia diretta (basata sull’autonomia dei soggetti) si occuperà del bene comune.
Sokurov, dopo una laurea in storia e filosofia e un diploma alla scuola nazionale di cinema di Mosca (VGIK) nel 1979, lavora come documentarista per la televisione... conosce Andrej Tarkovski, autore di film di un’eleganza formale mai dimenticata come L’infanzia di Ivan (1962), Andrej Rublëv (1966), Lo specchio (1975), Nostalghia (1983), Sacrificio (1986), costretto all’esilio dal regime sovietico, lo illumina sulla strada del cinema in forma di poesia e Sokurov gli sarà debitore sotto molti aspetti, riconoscendolo non solo come amico ma anche come maestro di vita (Tarkovski muore a Parigi nel 1986, osteggiato dai funzionari politici del suo paese, sino alla sepoltura nel cimitero di Sainte-Geneviève-de Bois).
Per non dimenticare: i comunisti al potere sono più esperti in campi di sterminio che in poetiche della bellezza... le purghe staliniane non sono mai finite e ai nostri giorni, come ai tempi dei processi di Mosca degli anni trenta, denunciati con forza da Victor Serge (Memorie di un rivoluzionario), Varlam Tichonovič Šalamov (I racconti di Kolyma), Aleksandr Isaevič Solženicyn (Arcipelago Gulag) o Dante Corneli (Elenco delle vittime italiane dello stalinismo), il nuovo zar (Vladimir Vladimirovič Putin, che si è fatto le ossa nel KGB) fa massacrare i dissidenti (sono centinaia i giornalisti uccisi) e con la faccia da boia antico che si ritrova continua a tessere trame politiche, economiche (taluni dicono mafiose) con i governi occidentali.
Anche la Cina “comunista” non scherza in fatto di assassinio di stato... i diritti umani più elementari sono calpestati e un intero popolo è tenuto a catena... tuttavia i governi della terra ci fanno affari e il sole dell’avvenire sembra nascere sul marchio “Made-in-China”... nessun tribunale dei “diritti dell’uomo” però chiede di visitare le carceri cinesi e nemmeno le fosse comuni... tuttavia l’indignazione cresce nelle giovani generazioni e quando il tempo della libertà e della verità (che si allarga nei social network e si sparge ai quattro venti della terra) arriverà nei cuori della gente, la paura si trasformerà in coraggio, spazzerà via vassalli e despoti con la stella rossa sul cappello e i carri armati nelle strade.
I crimini delle democrazie occidentali non sono meno efferati di quelli dei regimi comunisti... trovano giustificazioni diverse... speculazioni finanziarie, “guerre umanitarie”, mercati globali, partiti conniventi col banditismo organizzato... esprimono nuove teocrazie statuali, organizzano l’ordine gerarchico del potere e la sottomissione dei “nuovi poveri” alle politiche dominanti... le relazioni tra dominanti e dominati poggiano sulla domesticazione dei popoli e leggi autoritarie, arbitrarie, religiose, politiche, penali, civili... sostengono i privilegi di una casta arroccata nei parlamenti che ha prodotto l’istituzione immaginaria della società consumerista. Gli uomini nascono uguali, ma ovunque sono tenuti a catena, diceva.
Un’annotazione ereticale. Quando a Faust viene assegnato il Leone d’oro alla mostra cinematografica di Venezia (2011), Sokurov si affretta a telefonare a Putin (che è stato il mecenate del regista siberiano, con i soldi di un popolo affamato, deriso, umiliato)... ci sarebbe piaciuto che avesse inviato al bieco tiranno un brulotto di auguri al tritolo ceceno o georgiano, nello stile aureo di Ravachol o Bonnot... ma, come sappiamo, i padroni dell’arte (delle armi, delle merci...) sono abili a comprare uomini, i loro meriti, le loro qualità, i loro talenti... chi è stato toccato dalla “grazia” dei potenti puzza sempre di un cattivo odore di santità... come non sapere che il cimitero degli eroi alberga nei palazzi del potere? Ci vuole dell’umorismo nero e del cinismo folle contro ogni forma di sacralità per fare dell’irrisione la strada che porta al cuore della saggezza.
Il primo lavoro importante di Sokurov (La voce dell’uomo solitario, 1987) è subito censurato dal regime sovietico per “formalismo”... altri suoi film subiranno la medesima sorte... questo non impedirà al regista russo di affabulare una tetralogia contro il potere a dire poco straordinaria... Moloch (1999), Taurus (2001), Il Sole (2005) e Faust (2011) sono infatti devi veri e propri colpi dissacratori all’operato di dittatori come Hitler, Lenin, l’imperatore sulfureo del Giappone Hirohito e il demoniaco letterario del Faust di Goethe (che persevera sulla banalità del male insito nell’animo umano). All’interno di questo percorso emozionale/filosofico, Sokurov racconta (con l’ausilio della tecnologia digitale) tre secoli di storia della Russia in un unico piano sequenza di 90 minuti - L’arca russa (2002) - ed entra di forza, senza chiedere permesso, nella storia autentica del cinema aconformista.

II. Faust

Il Faust di Sokurov non ha eguali sugli schermi di questo inizio secolo... è un’opera singolare che fa storia a sé... il Faust di Goethe (e di Mann) è riletto in maniera personale dal regista siberiano, mostra che la condizione umana è imperfetta e agli uomini, alle donne, non resta che l’erranza per non morire di realtà... niente è più insensato del potere, sembra dire Sokurov, e ogni epoca si annuncia nel disprezzo del corpo e nell’adorazione del sacro che sono al fondo di ogni empietà... la forza della scienza ha i suoi limiti (dice) e anche gli uomini migliori si portano addosso il tanfo di cadavere della storia nella quale si sono trovati a vivere o morire. Solo la verità regna, il resto è trucco o forca.
Faust è ambientato nell’Ottocento (l’uso della scenografia digitale è di notevole pregnanza surreale)... i personaggi si muovono senza sosta tra boschi, villaggi, ghiacciai... la fame di verità del protagonista morde alla gola... il sapere che cerca è lontano, forse mai raggiungibile e la violenza, la rapacità, la paura... accompagnano i suoi passi fino all’estremo della vita... l’energia della conoscenza lo percorre, lo abita, lo ossessiona... e l’amore è l’intuizione, lo sconfinamento, il bagliore di qualcosa d’altro di un’eterna inquietudine... non c’é Dio né Lucifero (secondo la tradizione cristiana) nel Faust di Sokurov, c’è l’uomo, la donna e l’angoscia davanti alla scelta, e più ancora il dolore del sublime (il bagliore della libertà) di fronte alle conseguenze di questa scelta.
L’inferno è su questa terra e il dottor Faust indaga nelle viscere dei morti per trovare l’anima, ma ogni tentativo è vano... incontra però un diavolo che diventa il suo compagno di strada e d’avventura... il diavolo (una specie di mostro deforme) lo protegge, gli presta il denaro, lo ricatta... Faust e il diavolo vagano tra osterie, villaggi, foreste, mercati... incontrano soldati, nobildonne, puttane, gentiluomini, banditi di strada... Faust non si fa mancare nemmeno un omicidio, poi perde la testa per la bella Margarethe e infine vende l’anima al diavolo con tanto di firma sul contratto.
Il film è di una bellezza surreale abbacinante... Johannes Zeiler è un Faust convincente, parco nella gestualità e dispensatore di sguardi e gesti appesi alla discrezione registica... Anton Adasinsky (il diavolo) è il vero fascinatore del Faust di Sokurov... l’attorialità di Adasinsky rimanda alla grande magia del teatro sovietico, dove ciò che vedi e ascolti si scioglie nell’epifania artistica e diventa un evento che è storia del mondo. La sceneggiatura di Sokurov, Marina Koroneva, Yuri Arabov è piena di parole, metafore, allusioni, derisioni dell’autorità (anche familiare)... qua e là si perdono passaggi strutturali o si delineano un po’ frettolosamente personaggi importanti come la moglie del diavolo (Hanna Schygulla)... di grande bellezza (non solo) interpretativa, diafana, incantata, Isolda Dychauk... dà all’intero film quel senso di leggerezza del quale aveva bisogno... è l’amore che non ha rispetto che per la propria follia d’amare e per l’amore, come per la libertà, non ci sono galere. La fotografia di Bruno Delbonnel è macilenta, tutta lavorata sui verdi e marroni e illumina la bellezza coinvolgente dei costumi di Lidiya Kriukova... il montaggio di Jörg Hauschild e la partitura musicale di Andrev Sigle s’intrecciano alla grande lezione compositiva (le inquadrature) di Sokurov e Faust costituisce davvero un’opera che da libero corso alle passioni... il vero scopo al quale tendono tutte le azioni degli uomini è il godimento del piacere e l’amore per la voluttà e la fuga dal dolore sono forse i soli atti che possono contribuire alla ricerca della felicità.
Il Faust di Sokurov è percorso da una magia fantastica, anche crudele (non tanto alla fratelli Grimm, come è stato scritto), quanto all’espressionismo figurativo di Caligari o Nosferatu... la tessitura filmica sfida la fantasia, senza preoccuparsi di ciò che insegnano i mercanti di illusioni hollywoodiani... a ragione, Louis-Ferdinand Céline scriveva in Viaggio al termine della notte (1932, un capolavoro della letteratura del Novecento): “Il cinema, questo nuovo piccolo stipendiato dei nostri sogni, te lo puoi comperare quello, procuratelo per un’ora o due, come una prostituta”. Tutto vero. Il cinema visionario di Sokurov è una forma d’arte che esige distinzione, finezza, raffinatezza e più ancora è pane, carne, seme in cui il pensiero libertario e libertino implica innocenza e virtù, dove il reale è percepito come effluvio di immagini, parole, suoni e la sola verità possibile emerge dalla disobbedienza. Ci ricorda che la funzione utopica della libertà è veicolata nell’insurrezione dei sentimenti struccati e solo gli uomini del no! sono i protagonisti dei processi di mutazione radicale della storia.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 3 volte marzo 2012


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