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giovedì 24 dicembre 2020
O ESPIRITO DA REBELIÃO e outros contos em São Paulo
mercoledì 23 dicembre 2020
VENEZUELA, A VANISHING COUNTRY
BILINGUE: ENGLISH - ESPAÑOL
by Roberto Savio
To write about Venezuela has become extremely difficult. The country has become so polarized, that just two narratives are left. One, that the government has been so handicapped by the sanctions and other punitive measures introduced by the Trump’s administration, and its allies (over 50 countries, and the European Union), that the economy has been strangled, with a terrible social and economic impact. The other, that the government is in fact a dictatorship, who has made an administrative mess, has destroyed the economy and survives only thank to the support of the military, which has been corrupted by the government. Those are two oversimplifications, that we use for the sake of brevity. Let us try to look at things by a distance.
Venezuela just had two important and contradicting events. One, the election of the new parliament, deserted by the majority of the opposition, which claimed that they were fraudulent. The European Union, the US, and several other countries also took that position. The EU tried to mediate, offering to serve as an electoral observer, but the government did not accept a postponement, and the EU declared that they did not have the necessary time to prepare. The few observers who were there claim that the elections were fair, but all this is seen as part of the government game. The party in power got easily a large majority of the seats, and now the bulk of the opposition is out of the parliament because they did not run.
The opposition organized a counter consultation, in which citizens could express their views of the government by person, via Telegram, via web page, and via App. This also had the participation of the Venezuelan diaspora (according to the UN, five million people have left the country, out of a total population of 29 million). Citizens have expressed their rejection of the government, at an average of 99,9%.
lunedì 21 dicembre 2020
IL DIRITTO DI NON EMIGRARE
Se si confonde la costrizione a emigrare (l'impossibilità a vivere dove si è nati), con la libertà o il diritto di emigrare, si cancella dal proprio orizzonte mentale la possibilità di contribuire a rimuovere le cause che costringono a emigrare, generando sofferenze, aumentando le disparità tra popoli poveri e popoli ricchi, aggravando la crisi ambientale.
La povertà degli oltre 800 milioni di persone che soffrono la fame o la malnutrizione dovrebbe sollecitare i Paesi ricchi a mettere a disposizione di quei popoli “le conoscenze scientifiche e le tecnologie dei Paesi industrializzati non per indurli a imitare il loro modello economico e produttivo, ma per aiutarli a rendere più efficaci i modi, con cui, sulla base della propria storia e dei propri valori, ricavano dai luoghi in cui vivono ciò che ritengono necessario per vivere, per curarsi, per costruire le loro abitazioni, per ripararsi dagli effetti indesiderati del clima, governarsi, arricchire le conoscenze dei giovani ed educarli a diventare adulti”. In altre parole, aiutarli a casa propria evitando di cambiare la loro storia e la loro natura, evitando che criminali, al soldo di stati "canaglia"e di armatori delle navi, continuino a fare il loro sporco commercio di esseri umani in imbarcazioni precarie che attraversano il Mediterraneo e a volte affondano. Si stima che in quindici anni di traffico di migranti, hanno perso la vita, annegando, oltre trentamila esseri umani.
Rispondendo alla domanda di un giornalista, il cardinale Robert Sarah (nato in Guinea 74 anni fa) citando il suo libro - Si fa sera e il giorno ormai volge al declino, cap. 11 intitolato i nemici spietati - dice: “certo i flussi migratori sono sempre esistiti. La ricerca di una vita migliore o la fuga dalla povertà e dai conflitti armati non sono nuove… Alcuni affrontano rischi incredibili. Il prezzo da pagare è alto. L'Occidente viene presentato agli Africani come il paradiso terrestre. La fame, la violenza e la guerra possono spingere uomini e donne a rischiare la propria vita per raggiungere l'Europa. Come possiamo, però accettare che certi paesi siano privati di tanti loro figli? Queste nazioni come potranno svilupparsi se tanti lavoratori sceglieranno la via dell'esilio? Quali sono queste strane organizzazioni umanitarie che girano l'Africa per spingere giovani a fuggire promettendo loro una vita migliore in Europa? Sono forse le stesse che portano i grandi schermi televisivi nei villaggi di cui parla Berlusconi? Perché la morte, la schiavitù e lo sfruttamento sono così spesso il vero risultato dei viaggi dei miei fratelli africani verso un immaginario eldorado? Sono indignato da queste storie. Le organizzazioni mafiose degli scafisti devono essere eliminate con la massima risolutezza. Curiosamente esse restano del tutto impunite”.
Per aiutare realmente i popoli poveri a casa loro, i Paesi ricchi devono innanzitutto fare dei cambiamenti in casa propria. Devono smettere di fare guerre per controllare le fonti fossili di energia o i giacimenti di minerali strategici per il loro sviluppo; devono smettere di istigare i Paesi poveri a fare guerre tra loro per indebolirli e controllarli meglio, devono smettere di vendere armi ai Paesi e alla fazioni in guerra. Thomas Sankara sosteneva che “l'aiuto deve aiutare a eliminare l’aiuto”. Perchè se dell'aiuto i Paesi poveri hanno bisogno dai Paesi ricchi, questo non deve diventare sottomissione e dipendenza (e dunque abbandono del loro sistema di valori), accrescendo in tal modo i profitti di pochi a scapito degli equilibri ambientali e delle condizioni di vita di tutti gli altri. I Paesi che accolgono in maniera “disinteressata”, pensando di alleviare lo stato di miseria in cui versano molti dei migranti, trascurano che è libertà anche quella “di non emigrare” soltanto se si provasse a rimuovere le cause che non consentono di continuare a vivere nella terra di origine a chi vorrebbe continuare a farlo.
domenica 13 dicembre 2020
IL NEOSTALINISMO DI LOSURDO
Luiz
mercoledì 9 dicembre 2020
IN RICORDO DI PIERO SIMONDO
Riprendiamo dalla pagina Fb di Sandro Ricaldone questo post del 6 novembre che ci addolora profondamente. Avevamo incontrato Simondo ancora nel luglio di tre anni fa a Cosio per l'inaugurazione della Casa Museo dedicata a lui e, a parte i problemi uditivi, ci aveva per l'ennesima volta colpito per lo sguardo ironico e disincantato che ancora sapeva posare su un mondo (noi compresi) che a forza voleva imbalsamarlo negli angusti confini del mito. Come pochi altri ha saputo fino all'ultimo restare un uomo libero (Giorgio Amico).
di Sandro Ricaldone
Piero Simondo, il giovane uomo ritratto in questa foto del luglio 1957 (scattata da Ralph Rumney) a Cosio d'Arroscia, dove ospitava nella sua casa natale la riunione di artisti provenienti da diverse nazioni europee da cui nacque l'Internazionale situazionista, è scomparso questa notte a Torino, all'età di 92 anni.
Artista e animatore culturale infaticabile, prima dell'I.S. aveva fatto parte con Asger Jorn e Pinot Gallizio, con Elena Verrone (che sarebbe divenuta sua moglie) e Walter Olmo, del Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista e attraversato da protagonista l'avventura del Laboratorio sperimentale di Alba.
Dopo la rottura con Guy Debord, aveva fondato il C.I.R.A., un gruppo cooperativo partecipato da operai FIAT ma anche da figure di spicco della cultura torinese come il professor Francesco De Bartolomeis, che più tardi lo chiamerà all'Università, ad organizzare i Laboratori artistici della Facoltà di Magistero, non a caso definiti, anch'essi, "sperimentali". Qui, negli anni '90, nella sua veste di docente di Metodologia e Didattica degli Audiovisivi, si era impegnato sul fronte della produzione di contenuti digitali, stimolando i suoi allievi a creare startup in quest'ambito.
Autore di molteplici pubblicazioni, fra cui "Il colore dei colori" (La Nuova Italia, 1990) e "Guarda chi c'era, guarda chi c'è. L'infondata fondazione dell'Internazionale situazionista" (Ocra Press, 2004), ha proseguito sino allo scorso decennio la sua attività pittorica, avanzata per fasi diverse, dagli straordinari "Monotipi" degli anni '50 alle grandi "Topologie" del periodo successivo ai "Quadri Manifesto" realizzati negli anni '70; procedendo poi con i cicli, più recenti, delle "Ipocraquelures", degli "Ipofiltraggi" e dei "Nitroraschiati", in un lavoro costantemente orientato alla ricerca di esiti in qualche modo affrancati dall'intenzionalità dell'autore, in traccia di quell'"immagine imprevista", che dà il titolo al volume che accompagnava l'antologica allestita a Finalborgo nel 2011.
Una ricerca indipendente, fuori dagli schemi invalsi nelle correnti più note della contemporaneità, ma di grande rigore e respiro, sempre aliena da qualsiasi compromesso.
martedì 8 dicembre 2020
GUATEMALA: EL 2020 NO ES EL 2015
por Marcelo Colussi
El año 2015 marcó un momento importante en la dinámica política del país: numerosas movilizaciones populares abrieron paso a nuevas formas de participación, ayudando a mandar preso a un binomio presidencial acusado de cuantiosos actos corruptos. Independientemente que aquellas reuniones sabatinas sin proyecto político claro, consistentes en cantar el himno nacional no pasando de mostrar el descontento hacia la corrupción de la casta política en una plaza, puedan haber sido manipuladas por el proyecto estadounidense como laboratorio para impulsar luego la estrategia de lucha anticorrupción en Brasil y Argentina (sacándose así de encima gobiernos no alineados con Washington), sin dudas abrieron nuevos horizontes.
Producto de esas movilizaciones -urbanas y clasemedieras si se quiere, muy “tibiecitas” quizá, pero movilizaciones sociales al fin- comenzaron a pasar cosas importantes. Ese movimiento trajo la politización de sectores juveniles, hasta ese entonces desconectados de cuestiones sociales. Se conformaron nuevos actores políticos, y entre otra de las consecuencias, los estudiantes de la Universidad de San Carlos lograron recuperar la histórica AEU -Asociación de Estudiantes Universitarios-, desplazando a mafias corruptas allí enquistadas. Vistas a la distancia, si bien no había una propuesta articulada de cambio profundo, las movilizaciones del 2015 dejaron algo positivo.
No dejaron todo lo que hubiéramos querido, porque la sociedad y el contexto político no daba para más. Fue la primera vez, luego de años de apatía, que se veían protestas de ese calado (llegó a haber100,000 personas en la plaza en la ciudad de Guatemala). La guerra vivida, con sus secuelas de miedo y despolitización que aún hoy están presentes, más los planes de capitalismo salvaje (eufemísticamente llamado “neoliberalismo”), crearon un clima de silencio y desmovilización social enorme en todo el campo popular. El 2015 vino a romper -al menos en parte- esa quietud.
Ahora han pasado cinco años. En lo sustancial, nada ha cambiado en Guatemala. La pretendida lucha contra la corrupción, en buena medida impulsada como estrategia regional por el entonces gobierno demócrata de Barak Obama, fue desapareciendo. El llamado “Pacto de Corruptos” (empresarios, casta política, militares, mafias del crimen organizado) fue enseñoreándose y copando crecientemente las diversas estructuras del Estado, ocupando los tres poderes. Sus ramificaciones cubren los diversos espacios políticos del país, desde alcaldías hasta ministerios, desde el Congreso hasta juzgados. Las economías “calientes” (narcoactividad, contrabando, tráfico de personas, contratistas espurios con obras grises aborrecibles) ocupan ya un 10% del producto bruto interno, con importante presencia en la población, generando diversos puestos de trabajo y clientelismo.
domenica 29 novembre 2020
G20, MILLIONS OF NEW POOR ARE ON THE WAY - WHO CARES?
ENGLISH - ITALIANO
By Roberto Savio
The recent meeting of the G20 – scheduled to take place in Riyadh but held virtually due to the Coronavirus pandemic – has been an eloquent example of how the world is drifting, in a crisis of leadership. It was, in a sense, a showcase. Everybody had to accept the view that the host of the meeting, the ailing King Salman of Saudi Arabia, was accompanied on TV screens by his apparent heir, Prince Mohamed bin Salman, who is clearly the mastermind of the brutal assassination, dismembering and disappearance of the body of dissident Saudi journalist Jamal Khashoggi.
Mohamed bin Salman got away with it, also because of the support of Donald Trump who, in his video intervention said, among other pearls, that nobody in US history had done as much as he had for the environment (like when he said that nobody since Abraham Lincoln had done as much as he had for black Americans). After that, Trump promptly left for his golf course, and ignored the debate.
Raison d’état, realpolitik, diplomatic constraints have always been part of history. The fact that the G20 was virtual, can partly hide a fact: that politicians now accept the most preposterous statements without blinking, because everything has become acceptable and legitimate.In Saudi Arabia, Prince bin Salman is highly popular and in the US, those who live in the parallel world of Trumpland follow blindly.
mercoledì 25 novembre 2020
UNA PROSPETTIVA DI LOTTA DENTRO E OLTRE LA PANDEMIA
di Michele Nobile
Siamo nel mezzo della seconda onda di Covid-19, ancor più prevedibile e (almeno in parte) nei suoi peggiori effetti ancor più prevenibile della prima: 15.815 morti in più tra il 1 settembre e il 24 novembre, senza contare le conseguenze per tanti malati. Ancora: da 270 mila contagiati a oltre 1,4 milioni (+429%), da 107 a 3816 ricoverati in terapia intensiva (+3466%). Altro che influenza! Dobbiamo ringraziare il favore fatto all’industria del turismo e del divertimentificio durante l’estate e poi i colpevoli ritardi nel sospendere subito quel che andava sospeso: entro metà settembre nelle regioni centrali e meridionali.
Ai drammi dell’ansia, della malattia e della morte, la crisi economica e le misure di contenimento dell’epidemia aggiungono quelli conseguenti dall’incertezza del posto di lavoro, della disoccupazione, della caduta del reddito, col rischio crescente che l’aggravarsi dei problemi sociali ed economici venga strumentalmente utilizzato per indebolire la lotta contro l’epidemia. I tardivi e inadeguati Dpcm possono sospendere attività economiche, educative, ricreative e restringere la libertà di movimento, ma non sospendono le contraddizioni che travagliano la società. Anzi, le evidenziano, le intensificano, ne aggiungono di nuove.
Dentro questa congiuntura si possono e si devono porre questioni di più ampio respiro, perché gran parte dell’impatto della pandemia - sia sanitario sia socioeconomico - è risultato di decenni di smantellamento dei diritti sociali ed economici, di tagli della spesa sociale, d’investimenti non fatti. Non è difficile puntare il dito contro i partiti che hanno governato il Paese negli ultimi decenni. Ancor più facile è portare sul banco degli imputati centrodestra e Lega nord per le controriforme della sanità varate in Lombardia e per la lottizzazione partitica della direzione della sanità regionale.
Tuttavia, proprio dal carattere inedito della crisi pandemica scaturisce un problema per l’opposizione antagonistica e per i movimenti sociali spontanei: come combinare coerentemente la lotta per adeguate misure di salute pubblica con quella per misure necessarie a fronteggiare la crisi sociale ed economica? Conciliare occupazione e salute non è mai stato facile, ma ora è ancor più difficile a causa della simultanea gravità sia della crisi sanitaria sia di quella socioeconomica. Il rischio che vedo emergere è che, nonostante le intenzioni, l’opposizione sociale interiorizzi nella propria pratica la contraddizione interna al capitalismo tra salute e lavoro. La fonte di questo rischio politico è la sottovalutazione della pericolosità e delle dinamiche dell’epidemia di Covid-19. Non è mia pretesa indicare specifici obiettivi di lotta: questo è compito di chi è interessato in prima persona. Si può però delineare una logica politica complessiva entro la quale potrebbero muoversi i movimenti sociali d’opposizione nel contesto della situazione pandemica.
martedì 24 novembre 2020
IL LAGO TRASIMENO: MALATO TERMINALE
di Maurizio Fratta
Foto dell'autore |
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sabato 14 novembre 2020
BUON COMPLEANNO! COMPAGNO HUGO BLANCO
Lucha Indigena Nov 2020 No 170 (Año 14) |
venerdì 13 novembre 2020
COVID-19 È STRAGE DI STATO
di Michele Nobile
«L'Italia non si ferma, volgiamo lo sguardo al domani, sempre più determinati a far correre l'economia. Questo vale per tutta l'Italia. Dobbiamo moltiplicare le nostre energie. Insieme ce la faremo»
Giuseppe Conte su Facebook, 28 febbraio 2020
«Se un individuo reca ad un altro un danno fisico di tale gravità che la vittima muore, chiamiamo questo atto un omicidio; se l’autore sapeva in precedenza che il danno sarebbe stato mortale, la sua azione si chiama assassinio. Ma se la società pone centinaia di proletari in una situazione tale che debbano necessariamente cadere vittime di una morte prematura, innaturale, di una morte che è altrettanto violenta di quella dovuta a una spada od una pallottola; se toglie a migliaia d’individui il necessario per l’esistenza, se li mette in condizioni nelle quali essi non possonovivere; se mediante la forza della legge li costringe a rimanere in tali condizioni finché non sopraggiunga la morte, che è la conseguenza invitabile di tali condizioni; se sa, e sa anche troppo bene, che costoro in tale situazione devono soccombere, e tuttavia la lascia sussistere, questo è assassinio, esattamente come l’azione di un singolo, ma un assassinio mascherato e perfido, un assassinio contro il quale nessuno può difendersi, che non sembra tale, perché non si vede l’assassino, perché questo assassino sono tutti e nessuno, perché la morte della vittima appare come una morte naturale, e perché esso non è tanto un peccato di opera, quanto un peccato di omissione. Ma è pur sempre un assassinio».
Friedrich Engels, La condizione della classe operaia in Inghilterra, 1845
1. L’epidemia di Covid-19 come Strage di Stato
Mentre concludo questo intervento i morti a causa di Covid-19 sono in Italia oltre 43.000. Se la media giornaliera dei decessi da coronavirus rimarrà quella della prima settimana di novembre, per la fine del mese saranno aumentati a circa 48.000.
E chi può dire con certezza quando si verificherà il picco e a quale altezza?
E quindi, per Natale e Capodanno quale sarà il «regalo» complessivo della pandemia? 54.000 morti? 60.000?
Queste sono solo congetture, ma non irragionevoli. Se nelle prossime settimane la crescita dei decessi avrà un prolungato andamento esponenziale potrebbero rivelarsi assai ottimistiche. Si guardi a quel che è accaduto e accade non lontano da casa nostra: in Francia, in Spagna, nel Regno Unito, e nel resto del mondo, negli Stati Uniti, in America latina, in India.
Relativamente alla metà di settembre, quando era chiaro che l’epidemia si preparava a decollare nelle regioni meridionali e centrali, significa che abbiamo avuto - fino a questo momento - circa 8.000 morti in più. Morti che almeno in parte si potevano evitare, adottando immediatamenteadeguate misure preventive quando, a metà settembre nelle regioni meridionali, le curve di contagi, ospedalizzazioni e ricoverati in unità di cura intensiva iniziavano a puntare verso l’alto.
Invece, in questi mesi abbiamo sentito ripetere da Giuseppe Conte la frase «non possiamo permetterci un altro lockdown», ribadita con fermezza da Fontana - Presidente della giunta regionale lombarda - nella sede appropriata, l’assemblea generale di Assolombarda il 12 ottobre, proprio mentre i contagi decollavano anche nella sua regione. Abbiamo anche sentito ripetere l’esorcismo «la scuola deve essere l’ultima cosa a chiudere». Come prevedibile, questi slogan si sono dimostrati la ricetta per arrivare comunque al lockdown e alla chiusura delle scuole, ma nel peggiore dei modi. Se adottate tempestivamente, misure più restrittive e chiusure nella ristorazione, nei trasporti, nel commercio al dettaglio, nelle scuole, avrebbero potuto soffocare il falò prima che diventasse un incendio incontrollabile, evitando morti, sofferenze e in definitiva, anche danni sociali ed economici maggiori e per un periodo più lungo. Il coronavirus è un nemico subdolo, che sa attendere il momento per infiltrarsi attraverso ogni varco, approfittare d’ogni temporeggiare per dilagare velocissimo. I varchi sono stati lasciati aperti, i temporeggiatori sono stati tanti.
Alla magistratura spetta accertare eventuali responsabilità penali individuali per fatti determinati: di sindaci, presidenti di giunte regionali, presidente del consiglio dei ministri e ministri, di dirigenti della sanità. Sono in gioco i reati di epidemia colposa ed omicidio colposo.
Il giudizio politico e storico-sociale non ha però bisogno d’attendere l’accertamento della verità giudiziaria.
Per molti anni ogni 12 dicembre si è protestato contro la strage di Piazza Fontana, che causò 17 morti. Quella strage venne subito detta Strage di Stato.
Ora abbiamo di fronte un’enormità: non 17 ma quasi 43.000 morti. Quarantatremila.
Per quanto riguarda le responsabilità politiche, ricordo l’articolo 32 comma 1 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti», a cui possono aggiungersi altre considerazioni circa la tutela del lavoro e i limiti dell’iniziativa privata come indicati, in linea di massima, dagli artt. 2, 35, 41. E rimando alla citazione di Friedrich Engels: la morte appare naturale, l’assassino sembra «tutti e nessuno» ma «è pur sempre un assassinio». L’ABC dell’epidemiologia non asservita al potere.
Si può ragionare intorno a quante di queste morti siano dovute ad omissioni e azioni delle autorità politiche, ma non possono esserci dubbi sul fatto che a migliaia debbano attribuirsi ad azioni e non-azioni politiche del passato e del presente. L’evidenza delle responsabilità politiche è nel 2020 molto più forte che nel 1969. Anche in Italia come in altri Paesi, l’impatto dell’epidemia e la sua gestione da parte dei governi nazionali e regionali sono la prova irrefutabile del fallimento di un intero ceto politico e delle politiche sociali ed economiche messe in atto per molti, anni sia dal centrosinistra sia dal centrodestra, della priorità attribuita agli interessi economici. Che siano tanti i Paesi a soffrire per la pandemia ci dice quanto sia patogeno l’ordine politico e sociale esistente e che la transizione epidemiologica in corso richiede una prospettiva e un’azione che superi i confini nazionali. È comunque necessario che in ogni Paese si esprima un chiaro giudizio sulle responsabilità politiche e sociali.
Politicamente e storicamente ritengo quindi che la gestione della pandemia in Italia debba giudicarsi come una Strage di Stato, a cui hanno concorso e concorrono tutti i partiti con responsabilità di governo, nazionale, regionale, locale. Certamente non uso qui il termine strage come fattispecie giuridica, pertinente alle stragi deliberatamente messe in atto da organizzazioni fasciste, col concorso e la copertura di parti dell’apparato statale. Tuttavia, volendo racchiudere il giudizio in una formula sintetica e inequivocabile, non riesco a trovarne una migliore. E sia chiaro che, proprio perché qui l’espressione ha un significato sistemico, le responsabilità di questa Strage di Stato non ricadono solo sul ceto politico ma sulla classe sociale che antepone il profitto alla salute. Come spiego oltre, gli interessi delle imprese capitalistiche italiane hanno contribuito al dilagare dell’epidemia. È un motivo specifico e concreto per ribadire che le conseguenze socioeconomiche della pandemia non possono essere pagate dai comuni cittadini.
Concepire le responsabilità pregresse e la gestione politica dell’epidemia nazionale come Strage di Stato concentra il giudizio politico e storico, sottolinea la gravità dell’evento, stabilisce l’esistenza di responsabilità politiche. Indica in modo chiaro e inequivocabile il nemico. Sono enormi i problemi sociali suscitati nel mondo sia dall’azione sia dall’inazione dei governi, inediti come questa situazione pandemica. Ed è proprio questa loro enormità, capillarità e multidimensionalità che richiede una visione ampia del problema e una risposta politica forte e unificante, per canalizzare in un unico corso la molteplicità delle rivendicazioni e la rabbia diffusa, sia derivanti dal pericolo e dal danno per la salute, sia conseguenti dagli effetti socioeconomici della gestione politica dell’epidemia.
Tuttavia, se in accordo alla visione dei potenti del mondo la pandemia è vista solo come un fatto naturale; oppure, se si pensa che Covid-19 sia malattia appena un po’ più pericolosa di una normale influenza, che «tanto colpisce solo gli anziani e chi ha già più patologie»; oppure che l’emergenza sia solo un’invenzione dei mass media, dei governi e di chi intende stabilire la «dittatura sanitaria» o qualcosa del genere; oppure se si pensa che sia possibile cavarsela con mezze misure e inzuccherare la medicina... allora non sussiste motivo per utilizzare l’espressione Strage di Stato.
mercoledì 11 novembre 2020
¿COCA-COLA O PEPSI-COLA?: PARA LATINOAMÉRICA NO CAMBIA NADA
por Marcelo Colussi
Estados Unidos es hoy la gran potencia capitalista dominadora del mundo. Con una economía enorme y unas fuerzas armadas sin par, con presencia política y económica en prácticamente todos los países del mundo, su clase dominante se siente intocable, portadora de un presunto “destino manifiesto” que le autoriza a actuar como el gendarme global. Pero la nación, más allá de la ilusión de “paraíso” que nos intenta vender a través de Hollywood y toda su parafernalia propagandística, tiene grandes problemas a lo interno. En definitiva, es un país capitalista, y el capitalismo, en tanto sistema socioeconómico, en tanto un modo de producción histórico, no puede solucionar los problemas de la humanidad, porque no está para eso. El capitalismo está para generar lucro personal, no importando el costo: Estados Unidos de América es el paradigma de ese modelo. Si para mantener esa pretendida “prosperidad” hay que masacrar gente o masacrar la naturaleza, no importa. Esa “masacre” constitutiva y estructural hoy empieza a pasarle factura: la sociedad estadounidense construyó un paraíso insostenible, consumiendo más de lo que produce, manteniendo ese nivel de confort solo a base de violencia. Parece que le está llegando la hora como imperio hegemónico.
En su continua lucha y difusión ideológica propagando las presuntas bondades del american way of life, el imperialismo de Estados Unidos se llena la boca hablando de “democracia”, así como de otras preciosuras como “libertad” y “derechos humanos”. Pero su sistema político es obsoleto, lo más antidemocrático que existe: no hay voto directo de la población. Los mandatarios son elegidos a través de un muy cuestionable mecanismo de colegio electoral, que se presta a innumerables acuerdos secretos donde la población votante no tiene ninguna participación. Si de democracia se trata, la gran potencia del Norte no es, precisamente, el referente más adecuado. El interminable bipartidismo de Demócratas y Republicanos, financiado con astronómicas cifras por parte de las grandes empresas privadas, no augura la real y genuina participación de la población.
La coyuntura interna del país pone hoy a Estados Unidos como una nación en crisis, aunque se quiera presentar una imagen de perfección y prosperidad. Por supuesto que hay prosperidad, pero para un grupo cada vez menor, que maneja monumentales ganancias.
martedì 10 novembre 2020
TRUMP IS GONE, BUT TRUMPISM REMAINS
ENGLISH - ESPAÑOL - ITALIANO
by Roberto Savio
Now it is clear that Joe Biden is the new president of the United States. It is unlikely that Donald Trump’s legal manoeuvring will change the election results, as when a conservative Supreme Court in 2000 decided in favour of George Bush over Al Gore, who lost by 535 votes. Even this Supreme Court, where Trump has six sympathetic members (three appointed by him, quite a record), and only three unsympathetic, will dare to change a result coming from too many states.
But let us start with the United States first. Biden’s victory comes from the unusually high participation in the election, where it attracted 67% of the voters. In American elections, participation rarely exceeds 50%, although the largest participation was in 1900, when 73% of the population votes. Remember that in the US, voting is defined as a privilege, not a duty. To vote, you have to register, and many states make that a demanding task, automatically excluding the more fragile part of the population.
Biden won the largest popular vote in US history: 71.4 million compared with the 69.4 million obtained by Barack Obama. Nevertheless Trump gathered 68.3 million votes, nearly four million more than in 2016, in spite of a pandemic which, until now, has left more than 230.000 dead, with the worst economic crisis since the Great Depression, and after four years of confrontations, some massive, like Black Lives matter.
venerdì 6 novembre 2020
GUATEMALA Y LA PERSISTENTE TRAGEDIA CAMPESINA
por Marcelo Colussi
Guatemala es uno de los países de todo el orbe donde las injusticias son más evidentes, más impunes y descaradas. Ello se debe a una sumatoria de causas; hay una historia que pareciera inmodificable tras todo ello. 36 años de sangrienta guerra civil no lograron transformarlo.
Para decirlo brevemente: es un país eminentemente campesino, cuyas principales fuentes de recursos las da el agro. Tanto en los rubros de agroexportación que generan la mayor cantidad de divisas y alimentan a opulentas aristocracias (las tradicionales azucareras y cafetaleras, recientemente también ligadas a la palma aceitera), así como en la producción de los granos básicos con que sobrevive la gran mayoría de su población, el campo es la fuente principal de riqueza. Últimamente, manejada por nuevos sectores emergentes salidos de la pasada guerra interna (militares retirados en buena medida, y nuevas mafias) podría agregarse la producción de plantas que servirán como droga (cannabis) o como materia prima para la elaboración de heroína (amapola). Este es un rubro muy reciente y todavía no incide especialmente en el Producto Bruto Interno, pero va camino. En síntesis: lo rural tiene una importancia definitoria en la dinámica nacional.
En términos económico-sociales, según datos proporcionados por los Informes de Desarrollo Humano aportados por Naciones Unidas, Guatemala, junto a un pequeño puñado de países con características bastante similares, siempre evidencia los peores índices de distribución de la renta nacional; es decir, es de los diez lugares del mundo donde las diferencias entre ricos y pobres son más irritantes. Una investigación realizada por la empresa Wealth- X, asociada al banco suizo UBS, estudio citado y analizado por la desaparecida publicación electrónica guatemalteca Nómada, mostraba que “hay 260 ultra-ricos guatemaltecos que poseen un capital de US$30 mil millones, lo que representa el 56% del PIB. [Es decir que] 0.001 por ciento de los 15 millones de guatemaltecos tienen más capital que el resto de la sociedad.(…) Los $30 mil millones [de dólares] son Q231 mil millones [de quetzales]. Esto equivale a lo que el Estado de Guatemala recauda cada cuatro años.”