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domenica 31 dicembre 2017

NEW YEAR … LET US UNITE AGAINST THE NEW OBSCURANTISM!, by Michele Zizzari

IN DUE LINGUE (Inglese, Italiano)
IN TWO LANGUAGES (English, Italian)

What can we say about the fact that we live in such an inhuman world … where even the most superfluous of personal whims, the smallest interest or private profit is enough to make us completely ignore others or consider them (especially if poor, or for some other reason) only with annoyance and disdain?
A narrow, widespread, often gratuitous, induced, unmotivated egoism … that we even try to justify invoking a banal and misunderstood sense of peaceful life … which then translates into an even less noble let’s mind our own business or who makes us do it?
The same so-called common sense which, at the beginning of 2017, to avoid getting our clothes wet or catching a cold, left a young African refugee to drown after he had plunged into the Grand Canal in thriving Venice, a centre of incomparable commerce, the same canal where luxurious cruise ships dock … almost as if to underline the bloody social contradiction in which we live.
This is indifferent selfishness that increasingly takes away our ability to reason, to observe things critically and at the same time to feel, to experience feelings – fed as it is by a set of negative and reactionary forces that have given and give life to a new obscurantism that risks blinding consciences – to the point of making us no longer see reality, the truth that manifests itself as gigantic to our eyes. While we turn a blind eye to the bigger picture, we bend over backwards to point to and deplore the smallest of faults in others.
We live a reality where economic and social policies, governments, international agreements, criminal pacts, religious beliefs, business and resources of all kinds, control and power systems, means of mass communication, manipulation of information and consensus, wars and conflicts, police forces and armies are downright promoted, activated and enacted (knowingly, with cynicism and unimaginable cruelty) … nothing less than denying bread to the hungry, water to the thirsty, aid to those in danger of death, a hand to those in difficulty, a family or a community to the orphans of all, care for the sick, a home to the homeless, land to the landless, word to the wordless, dignity and life itself … Misery of wealth!
Not to mention all the undeniable liberties and rights, sacrosanct by birth – I would say are natural – which are denied in every corner of this tormented planet.
Just as well that we wanted to insert the common “Christian matrix” of European peoples into the European Constitution (if it is true, of course)! Who knows what Christian principles certain Christians are blathering about! I am an atheist, but you do not need to be, feel or proclaim yourself Christian to know that Jesus Christ would have thrown all the shop windows and stalls in Como’s markets to the wind!
The example of Como’s mayor denying a meal to the homeless in order not to disturb the Christmas shopping of the wealthy is just an infinitesimal pustule that surfaces to the skin of a system (social, political, cultural and economic, local and global, public and private) that has nothing more to say, promise or reveal other than human and environmental catastrophe.
A System that is slave to a logic and unbearable values that can no longer be accepted, without abdicating as humans from Humanity.
So, on the occasion of this new year, I just want to wish that everyone is able to remember who and what we are … to remind ourselves that we are children, co-inhabitants (together with other forms of life) and citizens of a single Community (the Human one), one Earth, one Sea and one Sky.
And that any each of us endowed with a minimum of awareness can no longer remain indifferent, to observe the systematic havoc of Humanity and Our Common Home without doing anything.
May not a day go by without trying to concretely construct Utopia (each with their genius and their heart, with their abilities and their imagination) … may there be no thought or project that does not take account of others … may no opportunity be lost for denouncing and fighting abuse, inequality, injustice, prejudice and racism wherever they occur. This is the wish I have for 2018.
I wish this for myself, for all people (companions, friends, relatives, acquaintances, colleagues of all kinds, people encountered along the difficult journey of life, of work and change, of ideals and feelings) with whom I shared even just one moment or idea, and ideally I wish it for everyone: let us try to transform our thoughts, our gestures, our words, our choices, our deeds, our commitment, our work into revolutionary actions and relationships! A harbinger of change … simply to reaffirm our humanity, to move towards a better world, to be able to look at ourselves in the mirror again … without spitting shame on ourselves!
May a renewed feeling of brotherhood and commonality unite us against this new obscurantism! May the joy of life invade our minds and our hearts!
I wish everyone all the good possible, and – why not – let us go back to thinking big, even in what seems impossible! Happy New Year!

ANNO NUOVO… UNIAMOCI CONTRO IL NUOVO OSCURANTISMO!, di Michele Zizzari

IN DUE LINGUE (Italiano, Inglese)

Carissime, carissimi…

Cosa si può dire di fronte al fatto che viviamo in un mondo ormai così disumano… dove anche il più superfluo dei capricci personali, il più piccolo interesse o tornaconto privato è sufficiente a farci ignorare completamente gli altri o a considerarli (soprattutto se poveri, o per qualche ragione diversi) solo con fastidio e con disprezzo…
Un egoismo gretto, diffuso, spesso gratuito, indotto, immotivato… che proviamo pure a giustificare invocando un banale e frainteso senso del quieto vivere… che poi si traduce nell’ancor meno nobile facciamoci gli affari nostri o nel chi ce lo fa fare
Lo stesso senso cosiddetto comune che all’inizio di questo 2017, per evitare di bagnarsi i vestiti o di beccarsi un raffreddore, lascia annegare Pateh, un giovane migrante che per protesta s’era tuffato nel Canal Grande della fiorente Venezia, centro d’impareggiabile commercio, lo stesso canale dove attraccano lussuose navi da crociera… quasi a sottolineare la sanguinante contraddizione sociale nella quale viviamo…
Un egoismo indifferente che sempre più ci toglie la capacità di ragionare, di osservare le cose criticamente e allo stesso tempo di sentire, di provare sentimenti… alimentato com’è da un insieme di forze negative e reazionarie che hanno dato e danno linfa a un nuovo oscurantismo, che rischia di accecare le coscienze… fino al punto di non farci più vedere la realtà, la verità che si palesa gigantesca ai nostri occhi… E mentre ignoriamo la trave che li attraversa, ci facciamo in quattro per indicare e deplorare la pagliuzza in quelli degli altri…
Una realtà dove vengono addirittura promosse, attivate e agite (scientemente, e con cinismo e crudeltà inimmaginabili) politiche economiche e sociali, governi, accordi internazionali, patti criminali, fedi religiose, affari e risorse d’ogni genere, apparati di controllo e di potere, mezzi di comunicazioni di massa, manipolazione delle informazioni e del consenso, guerre e conflitti, forze dell’ordine ed eserciti… nientemeno che per negare il pane agli affamati, l’acqua agli assetati, il soccorso a chi è in pericolo di morte, una mano a chi è in difficoltà, una famiglia o una comunità agli orfani di tutto, la cura agli ammalati, una casa ai senza casa, la terra ai senza terra, la parola ai senza parola, la dignità e la vita stessa… Miseria della ricchezza!
Per non parlare di tutte le libertà e i diritti innegabili, sacrosanti per nascita, direi naturali, negati in ogni angolo di questo martoriato Pianeta…
E meno male che si voleva inserire nella Costituzione Europea (ammesso che sia vero, naturalmente) la comune “matrice cristiana” dei popoli europei! Chi sa di quali princìpi cristiani vanno blaterando certi cristiani! Chi mi conosce sa che sono ateo. Ma non serve essere, sentirsi o proclamarsi cristiani per sapere che Gesù Cristo avrebbe buttato all’aria tutte le vetrine dei negozi e tutte le bancarelle dei mercatini di Como!
Quella del sindaco di Como che nega il pasto ai senzatetto per non disturbare lo shopping natalizio degli agiati è solo una pustola infinitesimale che affiora alla pelle di un Sistema (sociale, politico, culturale ed economico; locale e globale; pubblico e privato) che non ha più nulla da dire, da promettere o da rivelare, se non la catastrofe umana e ambientale.
Un Sistema schiavo di una logica e di valori ormai insopportabili che non possono più essere accettati, senza abdicare come umani dall’Umanità…
Quindi, in occasione di questo fine anno e del nuovo anno, voglio solo augurarmi e augurare a tutti di riuscire a ricordarci chi e cosa siamo: uomini o caporali?, si chiedeva Totò. Di ricordarci che siamo figli, co-abitanti (insieme ad altre forme di vita) e cittadini di una sola Comunità (quella Umana), di una sola Terra, di un solo Mare e di un solo Cielo…
E che chiunque di noi, dotato di un minimo di consapevolezza, non può più restare indifferente, a osservare inoperoso lo scempio sistematico dell’Umanità e della Nostra Casa Comune.
Che non passi giorno senza provare a costruire concretamente l’Utopia (ognuno col suo genio e il suo cuore, con le sue capacità e la sua fantasia). Che non passi pensiero o progetto che non tenga conto degli altri. Che non si perda occasione per denunciare e lottare il sopruso, la disuguaglianza, l’ingiustizia, il pregiudizio e il razzismo, ovunque si presentino. Questo è l’augurio che faccio per questo fine 2017 e per il 2018.
Questo augurio lo faccio a me, a tutte le persone (compagne e compagni, amiche e amici, parenti, conoscenti, colleghi d’ogni tipo, persone incontrate lungo il faticoso cammino della vita, del lavoro e del cambiamento, degli ideali e dei sentimenti) con le quali ho condiviso anche solo un singolo istante o un’idea, e idealmente lo faccio a tutti: proviamo a trasformare il nostro pensiero, i nostri gesti, le nostre parole, le nostre scelte, i nostri atti, il nostro impegno, il nostro lavoro in azioni e relazioni rivoluzionarie! Foriere di cambiamento… semplicemente per riaffermare la nostra umanità, per muoverci verso un mondo migliore, per poterci nuovamente guardare allo specchio… senza sputarci addosso per la vergogna!
Che un rinnovato sentimento di fratellanza e di comunanza ci unisca contro questo nuovo oscurantismo! Che la gioia del vivere invada le nostri menti e i nostri cuori!
Auguro a tutti tutto il Bene possibile, e perché no? (torniamo a pensare in grande) anche quello che sembra impossibile! Buon fine Anno! Buon 2018!

lunedì 25 dicembre 2017

EL JESÚS QUE CELEBRO…, por Nechi Dorado

La expulsión de los mercaderes del templo, 1600 © El Greco
Siempre me gustó investigar sobre lo que nos cuenta la historia, esa manía de no dejarme llevar por la conveniencia de algunos sectores, sobre todo por los que se abocaron a la tergiversación para llenar de culpas honrando a los culpables. Léase: las religiones.
Suelo reírme cuando me hablan de paz y en realidad quieren decir pax, la del sepulcro, la de la tortura, la de la indolencia. La que te invita a esperar que el pan y la dignidad caigan del cielo. No es esa mi concepción, de ninguna manera.
A Jesús lo veo como fue: echando a latigazos a los mercaderes del templo. Lo encuentro en su verdadera dimensión, que no era precisamente en un período de paz, sino en momentos en que los romanos la imponían a sangre y fuego. Y los pueblos resistían (hoy les dirían “violentos” y “negros de mierda”).
Lo escucho diciendo: “Me ha enviado… a poner en libertad a los oprimidos”, o “Bienaventurados los pobres…”, o “¡ay de vosotros los ricos!, porque ya [en las riquezas] estáis recibiendo todo vuestro consuelo”.
Veo a Jesús en los marginados, en los oprimidos… no en las iglesias repletas de oro y piedras preciosas. Mucho menos crucificado en la pared de la oficina del asesino, del genocida.
Lo veo en los ojos de cada niño con hambre, de cada familia sin trabajo, de cada torturado, de cada encarcelado, de cada rebelde en las calles multiplicando la idea de que todo despojo debe resistirse. En cada cuerpito mutilado por bombas de altísimo poder arrojadas por invasores “humanitarios”.
Veo al Jesús que no ves, porque te transformaron la historia y es mejor esperar el “milagro” que salir a la calle a reclamar lo que te arrebatan los verdaderos violentos, esos que endiosás alejándote de sus enseñanzas reales cada vez que te arrodillás ante los poderes dominantes.
Celebro el nacimiento de un hombre que marcó historia, esa que más de uno no conoce, porque es más fácil ser cordero y mártir que rebelde y combativo.
Al menos así te lo ordenaron. A nosotros, los marxistas, como te dije, nos encanta recorrer la historia y no somos seguidores de la doctrina de la resignación que conlleva, sin ninguna duda, a la indolencia.

domenica 24 dicembre 2017

«CHESUCRISTO» DI DAVID KUNZLE, di don Ferdinando Sudati

Pubblichiamo per i lettori del nostro blog la recensione al volume di David Kunzle Chesucristo. La fusione in immagini e parole tra Guevara e Gesù, pubblicato nel 2016 dalla Massari editore di Bolsena come Quaderno nº 10 della Fondazione Ernesto Che Guevara (formato 17x24, 400 pp., 250 foto a colori, € 26,00). Il libro è stato tradotto dall’inglese e curato da Roberto Massari. [la Redazione]

L’Autore è nato a Birmingham (Inghilterra) nel 1936, si è laureato in storia dell’arte - con specializzazione sui pittori fiamminghi - e ha insegnato presso l’UCLA (University of California, Los Angeles), di cui dal 2010 è professore emerito. Risiede negli Stati Uniti ma è in realtà un cosmopolita, non solo per le ascendenze inglesi e svizzere: ha infatti viaggiato molto per motivi professionali, specie in America latina. Conosce bene anche l’Italia, che ha visitato varie volte; in una di queste, precisamente nel 2011, ebbi il piacere di conoscerlo di persona assieme al suo amico ed editore in Italia, Roberto Massari. Il dott. Kunzle ha al suo attivo oltre un centinaio di articoli e una dozzina di libri, e come si può immaginare (questa stessa opera lo dimostra a sufficienza) è il principale studioso al mondo dell’iconografia di Che Guevara.
Chesucristo è lo strano ma felice titolo che l’Autore ha coniato per il suo libro, a indicare la «fusione», o sovrapposizione e identificazione (come poi esplicita il sottotitolo), tra Gesù Cristo e Che Guevara - a partire dalla precoce e drammatica fine del secondo - dovuta in gran parte alle circostanze in cui il rivoluzionario argentino ha trovato la morte.
Può essere utile per il lettore avere davanti agli occhi l’indice dei capitoli che seguono prefazione e introduzione:

1. Un movimento rivoluzionario violento: Gesù e gli Zeloti
2. La Chiesa ricrocifissa. La Teologia della liberazione
3. Guevara e il Verbo cristiano in un mondo cristiano
4. Il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore
5. La matrice fotografica di Korda
6. Capitoli e versetti. Parallelismi in parole ed eventi dei Vangeli
7. Una simbologia condivisa
8. Miracoli
9. Cristificazione in poesia, teatro e narrativa. La forza divina della natura
10. Il Cristo/Che anglicano: «Mite. Dolce. Come se.»
11. Il Che nei film, nei video e multimediale
12. Il Che morto, in arte: Alborta/Berger, Belkin, Alonso
13. La Passione del Che: cattura, morte e scomparsa
14. L’Uomo nuovo, l’arte e la crescita spirituale

Il libro contiene una cronologia essenziale, una bibliografia, un indice dei nomi e una nota sull’Autore.
Da segnalare, in apertura all’opera, l’introduzione di Roberto Massari, una vera e propria guida interpretativa scritta da uno dei maggiori esperti delle vicissitudini guevariane e autore di diversi libri sull’argomento - nonché presidente della Fondazione internazionale Ernesto Che Guevara, che organizza ogni anno un convegno internazionale i cui atti vanno poi a costituire uno dei Quaderni della Fondazione stessa: una corposa pubblicazione di primario interesse storico-culturale, rivolta non soltanto agli appassionati della materia.
Dalla sua struttura si comprende già che il volume, pur essendo basato sulle immagini, è tutt’altro che un catalogo di una mostra. La parte teorica - di spiegazione e riflessione, contenuta specialmente nei quattro capitoli iniziali - si estende quanto quella grafica. Pur non avendo quest’intento, l’Autore è riuscito a ottenere, mettendo insieme i dati disseminati fra le pagine del libro, una biografia del Che che apre puntuali squarci non solo sulla sua vicenda politica, ma anche sugli affetti e la vita famigliare, e in special modo sulla sua tragica fine.
I primi due capitoli sono decisamente importanti per comprendere l’accostamento tra Gesù e Guevara nel contesto della Teologia della liberazione sorta in America latina, nonché nell’ambito di un aggiornamento della figura storica del Cristo alla luce del suo possibile - ma occultato - coinvolgimento «politico» nella lotta al dominio romano sull’allora Giudea. Il terzo capitolo rimane in tema, proiettando un po’ di luce su un aspetto poco noto ma non secondario nella vita del Che: la presenza di riferimenti religiosi provenienti soprattutto dall’infanzia, così come un basilare rispetto per i credenti con cui veniva a contatto e la non ostentazione del suo personale ateismo.

Il libro di Kunzle, davvero unico nel suo genere, testimonia in particolare il movimento di «cristificazione» cui la figura di Che Guevara è andata incontro - o, meglio, che ha suscitato - consistente nella sua assimilazione al più celebre personaggio del Nazareno, cui fa capo la religione tuttora maggioritaria sulla Terra.
In realtà si tratta di un fenomeno noto nel cristianesimo, una fede (e pure una scelta di vita) che spinge spontaneamente i propri aderenti alla Imitatio Christi. Gesù è stato sempre visto come un modello inarrivabile, ma in qualche modo imitabile: seguirlo è da sempre l’ideale del cristiano, ed è ciò che a partire dai martiri dei primi secoli ha prodotto i «santi». Questa tendenza risale alle origini del cristianesimo, essendo già presente nelle sacre scritture che siamo soliti chiamare «Nuovo Testamento» - specie in Paolo di Tarso, che affermava: «…non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20); «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1Cor 11,1). Camminare sulle orme di Cristo - spesso riproducendo molto da vicino la sua morte - quel dare la vita per la sua stessa causa, per il suo ideale altruistico, è qualcosa che accompagna diacronicamente la storia del cristianesimo.
Più raramente la cristificazione è stata riconosciuta - non da parte della Chiesa istituzione, ovviamente - a personaggi che si sono trovati fuori dell’ortodossia o del corpo ecclesiastico, e qualche volta è stata applicata perfino a figure esplicitamente condannate dalle Chiese (a eretici, per intenderci). Nessuno ha potuto porre un freno alla spinta popolare nel procedere a queste irrituali canonizzazioni: valga per tutte quella di Davide Lazzaretti (1834-1878), mistico e visionario toscano, la cui vita - a suo modo eroica - finita tragicamente gli è valsa la denominazione, coniata dal popolo, di «Cristo dell’Amiata», il monte fra Grosseto e Siena dove svolse la sua attività.
Naturalmente il caso di Guevara è singolare, poiché la sua massiccia cristificazione e «quasi canonizzazione» è dovuta a una più o meno spontanea e convergente iniziativa popolare che prescinde da canoni religiosi o regole ecclesiastiche, mantenendo unicamente l’ispirazione e il collegamento alla figura del Nazareno.
Che Jesus, 1999 © Churches Advertising Network
Va registrato anche un secondo movimento, presente in forma più attenuata nella vicenda post mortem di Guevara: quello della «guevarizzazione» di Gesù, ossia del Cristo che assume i tratti del Che. Si vedano a questo proposito le figg. 10.1 (p. 304) e 10.3 (p. 307), due manifesti inglesi per pubblica affissione del 1999 dovuti a un network di comunicatori cristiani di confessione anglicana. È forse un aspetto non del tutto assente nemmeno nel cattolicesimo, sebbene sia raro incontrarlo a motivo del grande rispetto e della venerazione attribuita al Gesù della fede. Qualcosa del genere è avvenuto fra il Nazareno e un santo di fama ed estimazione mondiali come san Francesco d’Assisi, per cui il primo è stato «rivestito» con i panni del secondo: il discepolo è equiparato al maestro e gli trasmette qualcosa dei suoi tratti. Questa osmosi o intercambio rimane però un fenomeno minore, assolutamente non comparabile a quello dell’assimilazione al Cristo.

lunedì 18 dicembre 2017

A UN ANNO DALLA MORTE DI SERGIO DE SANTIS, IL PIÙ ANTICO STUDIOSO DI CHE GUEVARA IN ITALIA, di Roberto Massari e Aldo Garzia

Col passare del tempo [De Santis, nato a Genova nel 1929, è morto a Roma nel novembre 2016 (n.d.r.)], il vuoto lasciato da Sergio si dimostra incolmabile. Per formare un intellettuale serio, onesto e preparato come lui c’era voluta la storia di un’intera generazione: quella passata dall’antifascismo nazionale all’impegno nella lotta antimperialistica internazionale.
Sergio era uno specialista dell’America latina, e lo era sul serio. I suoi saggi, pubblicati in forma di articoli e libri, furono i primi testi di formazione su quel continente per molti di noi che cominciavamo a interessarcene negli anni ‘60. I suoi primi tre saggi sul Che furono in assoluto le prime opere teoriche che uscirono in Italia sul celebre Comandante, aprendo discussioni e sfatando mitologie.
Voglio citarli per esteso: «Il dibattito sulla gestione socialista a Cuba», in Critica marxista, 5-6/1965; «Guerriglia e rivoluzione nel pensiero di Che Guevara», in Rivista storica del socialismo, 30/1967; «Guevara», in I protagonisti della Storia universale, CEI, Milano 1971.
Ma a differenza di altri validi studiosi dell’epoca, Sergio rimase fedele alle proprie idee originarie. Fallita l’esperienza del Psiup (per chiusura del partito), egli continuò a lavorare in proprio, trovando la possibilità di utilizzare il nuovo sviluppo dei media, ma senza farsi irretire dai tentacoli della società dello spettacolo. E quando decise di aderire alla Fondazione internazionale Che Guevara, mi disse che considerava un onore potersi collegare alle nuove leve di studiosi del Che, lui che temeva che tutto fosse smarrito e sepolto nella crisi ideologica della sinistra. E invece l’onore era per noi.
Nel 10º incontro annuale della Fondazione Guevara, che si tenne a Vallombrosa (FI) nel 2008, Sergio svolse la relazione introduttiva. E a me parve che i suoi ragionamenti fossero in perfetta continuità con quanto aveva scritto 30-40 anni prima. Ne ammirai comunque la lucidità.
Il suo ultimo contributo ai Quaderni della Fondazione Guevara (8/2010) aveva un titolo molto significativo, che è poi tutto un programma: «Sul buono e sul cattivo uso del Che».
La salute non gli ha consentito negli ultimi tempi di partecipare agli incontri annuali, ma ha continuato a interessarsi, finché ha potuto, alle attività della Fondazione. Mi telefonava per informarsi e acquistava le novità della collana Guevara. Mi chiedeva notizie dei membri più anziani del Comitato di redazione internazionale, che per lo più erano stati suoi compagni o avversari di idee nel periodo glorioso seguìto alla Rivoluzione algerina e a quella cubana.
Ha lasciato i suoi libri a una Biblioteca di Roma e questo contribuirà a farlo vivere ancor più nel ricordo dei compagni che lo hanno conosciuto, ma stimolerà anche la curiosità teorica di quei giovani che considerano ancora la cultura come base fondamentale dell’attività politica.
Hasta siempre, Sergio.

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SERGIO DE SANTIS, UN «MAESTRO» DI STORIA E DI GIORNALISMO, di Aldo Garzia

Ho letto per la prima volta i saggi di Sergio De Santis su Ernesto Guevara e l’America latina nel 1972. Erano contenuti nell’enciclopedia I protagonisti della Storia universale e nella serie I protagonisti della rivoluzione: America latina (CEI). Avevo comprato quei volumoni rossi ben rilegati, che conservo ancora nella mia biblioteca, ad una Festa nazionale dell’Unità che si svolgeva a Roma, Ponte Milvio. All’epoca non c’erano molti libri da leggere su quei temi. I saggi di De Santis mi incuriosirono e furono il primo approccio con la storia di Cuba e dell’America latina. In seguito avrei considerato l’autore di quei testi come un «maestro», alla stregua di Saverio Tutino, con cui ho avuto una lunga frequentazione e un proficuo scambio intellettuale. Con De Santis, invece, i contatti sono stati rari e gli ultimi solo grazie alla Fondazione Guevara. Lui viveva infatti appartato dal dibattito politico più immediato e completamente calato nel ruolo di autore e giornalista televisivo, pur non smettendo mai di coltivare le proprie passioni intellettuali di gioventù. Da socialista libertario - i suoi punti di riferimento politici sono stati Lelio Basso e il Psiup - non era possibile racchiuderlo in un ruolo solamente politico. La sua produzione in libri, articoli e saggi è stata ricchissima. Non si è mai risparmiato. E si devono proprio a De Santis le prime analisi critiche su Cuba, Che Guevara e Fidel Castro, sempre collocate nel contesto più ampio della storia peculiare dell’America latina e del Terzo mondo.
Ma lui era soprattutto un giornalista. Dopo la laurea in giurisprudenza si era trasferito a Torino per frequentare l’Istituto post-universitario per lo studio dell'organizzazione aziendale (Ipsoa). Poi, tra il 1956 e il 1958, aveva vissuto in Argentina e Cile, esperienza che avrebbe dovuto costituire l’inizio di una brillante carriera dirigenziale alla Società di Navigazione «Italia». I suoi interessi però erano altri. Nel 1960 è assunto come programmista-regista alla Rai e si trasferisce a Roma. Nel 1962 diventa redattore della sezione esteri dell’allora Telegiornale unico (TG1) ed è inviato in modo permanente per due anni in America latina. Erano i tempi in cui si scopriva Cuba non più come oasi felice per ricchi americani in cerca di allegria: la rivoluzione dei barbudos, con la «crisi dei missili» e la scelta comunista, era diventata un problema. De Santis inizia a raccontare l’esperienza cubana con le sue luci e ombre. In quel periodo vince il premio giornalistico Saint-Vincent per le sei puntate di un lungo servizio dal titolo America latina. Capire un continente. Entra poi a far parte del leggendario programma di inchieste TV7 in qualità di inviato speciale e caposervizio.
Nel 1976 De Santis è nominato capostruttura della Rete 1 della Rai. Pochi anni dopo lascia la Rai e passa alla Rizzoli, dove è responsabile del settore programmi d’acquisto e vicedirettore per il settore cinema-TV. Quando lo scandalo P2 avvolge la Rizzoli non ha un attimo di perplessità, e si licenzia. Per campare in quella fase si acconcia a fare il traduttore dall’inglese, fino a quando ritorna in Rai. Voglio ricordare il suo lavoro a Medicina 33 e La notte della Repubblica, alla cui realizzazione lo chiamò Sergio Zavoli. Ultimi impegni: la trasmissione di Rai 3 Format di Giovanni Minoli e - come consulente - La Grande storia. Non ha mai smesso, tuttavia, di riflettere e scrivere sulle vicende dell’America latina, aiutandoci a capire e interpretare quello che accadeva in quei luoghi.

giovedì 14 dicembre 2017

FEAR AS A TOOL TO GAIN POWER, by Roberto Savio

This op-ed by Roberto Savio, IPS founder and President Emeritus, is adapted from a statement he made as a panelist on ‘Migration and Human Solidarity, a Challenge and an Opportunity for Europe and the MENA region’, held on 14 December at the Geneva Centre for Human Rights Advancement and Global Dialogue.

© El Roto
At the outset my thanks to Dr. Hanif Hassan Ali Al Qassim and ambassador Idriss Jazairy, who lead the Centre for Human Rights Advancement and Global Dialogue, for organizing this panel discussion at a critical moment in history. The Centre is one of the few actors for peace and cooperation between the Arab world and Europe. As a representative of global civil society, I think it will be more meaningful if I speak without the constraints of diplomacy and I make frank and unfettered reflections.
The misuse of religion, populism and xenophobia is a sad reality, which is not clearly addressed any longer, but met with hypocrisy and not outright denunciation. Only now the British are realizing that they voted for Brexit on the basis of a campaign of lies. But nobody has taken on publicly Johnson or Farage, the leaders of Brexit, after Great Britain accepted to pay, as one of the many costs of divorce, at least 45 billion euros, instead of saving 20 billion euros, as claimed by the ‘brexiters’. And there are only a few analysis on why political behaviour is more and more a sheer calculation, without any concern for truth or the good of the country.
President Trump could be a good case study on the relations between politics and populism. Just a few days ago the United States has declared that it is withdrawing from the UN Global Compact on Migration. This has nothing to do with the interest or the identity of the United States, which has built itself as a country of immigrants. It has to do with the fact that this decision is popular with a part of American population which is voting for President Trump, like the Evangelicals. I have here to show the message they are circulating, after the declaration of Jerusalem as the capital of Israel. This is what is said in the Bible. If we recreate the world described in the Bible, Jesus will make his second coming to earth, and only the righteous will be rewarded. And therefore they think that Trump brings the world closer to the return of Christ, and therefore he acts for the good of their beliefs. Evangelicals are close to thirty millions, and they strongly believe that, when the second coming of Jesus happens, He will recognize only them as the believers who are on the right path. Trump is not an Evangelical, and he has shown little interest in religion. But, as each of his actions, he is coherent with his views during the campaign, which brought together all the dissatisfied people, catapulting him into the White House. Everything he does is not in the interest of the world or of the United States. He is just focused on keeping the support of his electors – those who do not come from big towns, academia, media and the Silicon Valley. They come mainly from impoverished and uninformed white electors, who feel left out from the benefits of globalisation. They believe those benefits went to the elite, the big towns and the few winners, and believe there is an international plot to humiliate the United States. So, climate change for them and Trump is a Chinese hoax! During the first year, Trump can well have a shocking approval rating of 32%, the lowest in history for a President of the United States. But 92% of his voters would re-elect him. And as only 50% of Americans vote, he can conveniently ignore general public opinion.
It is not the place here to go deeper into American political trends. But Trump is a perfect example to see why a large number of Europeans – or even countries as Poland, Hungary and Czech Republic – are ignoring the decisions of the European Union on migrants, and why populism, xenophobia and nationalism are on the rise everywhere.
Fear has become the tool to get to power. Historians agree that two main engines of change in history are greed and fear.
Well, we have been trained, since the collapse of communism, to look to greed as a positive value. Market (not men or ideas) was the new paradigm. States were an obstacle to a free market. Globalisation – it was famously said – would lift all boats and benefit everybody. In fact, market without rules was self-destructive, and not all boats were lifted, but only yachts, the bigger the better. The rich became richer, and the poor poorer. The process is so speedy, that ten years ago the richest 528 people had the same wealth of 2.3 billion people. This year they have become 8, and this number is likely to shrink soon. All statistics are clear, and globalisation based on free market is losing some of its shine.
But meanwhile we have lost many codes of communication. In the political debate there is no more reference to social justice, solidarity, participation, equity, the values in the modern constitutions on which we built international relations. Now the codes are competition, success, profit and individual achievement. During my lectures at school, I am dismayed to see a materialistic generation who does not care to vote, to change the world. And the distance between citizens and political institutions is increasing every day. The only voices reminding us of justice and solidarity are voices from religious leaders: Pope Bergoglio, the Dalai Lama, Bishop Tutu, and the Grand Mufti Muhammad Hussein – just to name the most prominent. And with media who are now also based on market as the only criteria, those voices are becoming weaker.
After a generation of greed, we are now in a generation of fear. We should notice that, before the great economic crisis of 2009 (provoked by greed: banks have paid until now 280 billion dollars of penalties and fines), xenophobe and populist parties were always minorities (with exception of Le Pen in France). The crisis created fear and uncertainties, and then immigration started to rise, especially after the invasion of Iraq in 2003 and that of Libya in 2011. We are now in the seventh year of the Syrian drama, which displaced 45% of the population. Merkel is now paying a price for her acceptance of Syrian refugees, and it is interesting to note that two thirds of the votes to Alternative für Deutschland, the populist and xenophobe party, come from former East Germany, that has few refugees, but an income which is nearly 25% lower. Fear, again, has been the engine for change of German history.
Europe was direct responsible for these migrations. A famous cartoonist, El Roto from El País, has made a cartoon showing bombs flying in the air, and migrants’ boats coming from the sea: “We send them bombs, and they send us migrants”. But there is no recognition of this. Those who escape from hunger and war are now depicted as invaders. Countries who until few years ago – like the Nordic ones – were considered synonymous with civic virtues, and spent a considerable budget for international cooperation, are now erecting walls and barbed wire. Greed and fear have been so successfully exploited by the new nationalist, populist and xenophobe parties that now keep growing at every election, from Austria to the Netherlands, from Czech Republic to Great Britain (where they created Brexit), and then Germany, and in a few months Italy. The three horses of apocalypse, which in the 1930s were the basis for the Second World War: nationalism, populism and xenophobia are back with growing popular support, and politicians openly riding them.

giovedì 7 dicembre 2017

ARGENTINA: PARTICIPAMOS DEL ENTIERRO DEL ESTADO DE DERECHO, por Nechi Dorado

Mayo de 2016: Macri presentando el programa de reforma “Justicia 2020”…
La política argentina está inserta en lo que se puede llamar “democracia burguesa”, con todas sus falencias, errores o como quiera mencionarse se dice democracia. O mejor dicho, era, ya que en este preciso momento estamos viendo la persecución política extrema que ejerce el gobierno del ingeniero Mauricio Macri contra el kirchnerismo (sumado esto a otros hechos tan repugnantes como inviables).
Sin estar encolumnada en ninguna de estas dos vertientes –PRO o K–, quede este concepto bien marcado, tan firme como inamovible: bajo ningún concepto puedo dejar de elevar mi voz contra la medida que aniquila las libertades democráticas. En el día de hoy y en un operativo rayano en la enajenación, propio de un ejército que iría a una guerra con una superpotencia extraterrestre, acaban de detener al militante político social Luis D’Elía y a Carlos Zannini, quien fuera secretario legal y técnico de la presidencia durante los gobiernos de los doctores Néstor y Cristina Kirchner. Otro de los detenidos es “Yussuf” Khalil y la misma suerte corrió el dirigente de Quebracho, Fernando Esteche.
Tambíen está detenido en su domicilio, por encontrarse enfermo, Héctor Timerman, político y periodista que fuera ministro de Relaciones Exteriores, Comercio Internacional y Culto luego de haber sido embajador de Argentina en los EE.UU. (en los mismos gobiernos).
No voy a entrar en el debate sobre si es o no justo que estos dirigentes pasen un tiempo en la cárcel, pero lo que sí repruebo –y terminantemente– es que toda esta gente está detenida sin sentencia firme. Se anuló de un irresponsable plumazo la presunción de inocencia que sugiere la ley, hasta que juicio mediante se demuestre lo contrario.
Acá de ninguna manera hace falta ser siquiera simpatizante K; lo que urge es denunciar nacional e internacionalmente este avasallamiento a la justicia que por otra parte deja un precedente peligrosísimo.
Estamos en condiciones de asegurar que este gobierno está asestando puñaladas de muerte al llamado Estado de derecho, aunque bien sepamos que en una democracia burguesa este derecho es manejado al antojo de las instituciones, también burguesas.
Tal como expresé cuando la detención de Amado Boudou, si esta gente es culpable tendría que estar presa como corresponde, pero la justicia no puede –ni debería permitirse– atropellarse a sí misma, bajo el capricho de fuerzas oscurantistas que con estas medidas pretenden tapar otros desastres que se están cometiendo contra el pueblo.
Tarifazos impagables en los servicios; despidos; aniquilamiento de la educación y la salud pública; recorte a los miserables sueldos de los jubilados; amenazas de cierres de más empresas, con lo que se engrosaría desmedidamente la cifra de desocupados, etc.
Muchos irresponsables festejan estas detenciones… yo creo que más allá de simpatías políticas lo que debe prevalecer es la coherencia. De ninguna manera podemos aplaudir la irrupción en escena de una dictadura cívico empresarial que se viene anunciando hace unos cuántos días, cuando la propia ministra de Seguridad, Patricia Bullrich, hablara sobre la posibilidad inminente de ordenar allanamientos sin orden judicial contra comunidades mapuches en el sur argentino. Allí donde desaparecieran a Santiago Maldonado y donde fuerzas del “orden” asestaran un tiro por la espalda a Rafael Nahuel causando su muerte (estando ¡desarmado!).
Respecto a estos dos jóvenes asesinados, la vicepresidente Gabriela Michetti, justificando el accionar policial y de gendarmería, en encuentro televisivo argumentara: “Se supone que [del lado mapuche] hay armas de todo tipo, lanzas… piedras y también hay armas de fuego”.
Mientras todo este descalabro político se viene desarrollando, rige un silencio que estalla los tímpanos respecto al submarino ARA San Juan y sus 44 tripulantes, al punto tal que hasta la Armada salió a decir que muy probablemente jamás se sepa qué pasó con el submarino desaparecido.
Las detenciones ofician de “tapa rabo” a situaciones inadmisibles; el macrismo cruzó la zona fronteriza dando sus primeros pasos hacia una dictadura, cosa que de ninguna manera podemos aprobar.
Urge que el campo popular se proclame contra todas estas aberraciones.
Ya no hay mucho tiempo, el gobierno tiene las patas más largas y está dando zancadas: ojo, hoy están detenidos supuestos delincuentes sin juicio previo, mañana podrías ser vos cuándo salgas a reclamar porque la soga te está asfixiando demasiado o porque te niegues a asistir a las exequias del Estado de derecho…

mercoledì 29 novembre 2017

I COLORI DEL CIELO (Francesco Mazza, 2017), di Pino Bertelli

Pensiero meridiano vuol dire fondamentalmente questo: restituire al sud l’antica dignità di soggetto del pensiero, interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri. Tutto questo non vuol dire indulgenza per il localismo, quel giocare melmoso con i propri vizi che ha condotto qualcuno a chiamare giustamente il sud un «inferno». Al contrario un pensiero meridiano ha il compito di pensare il sud con maggior rigore e durezza, ha il dovere di vedere e combattere iuxta propria principia la devastante vendita all’incanto che gli stessi meridionali hanno organizzato delle proprie terre. In questa vendita all’incanto, in questo assalto volgare e trasformistico alla modernità si sono venute affermando le due facce oggi dominanti del sud: paradiso turistico e incubo mafioso. […] l’antica spinta egalitaria è affogata nell’anomia generalizzata, nella perdita di riferimento ad un’altra forma di vita. […]
Bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, […] invidiare l’anarchia dolce di chi inventa di momento in momento la strada.
(Franco Cassano, Il pensiero meridiano, 2005)

Pino Bertelli negli inediti panni di «Ismaele»…
[…] «Chiamatemi Ismaele. Qualche anno fa - non importa ch’io vi dica quanti - avendo poco o punto denaro in tasca e niente che particolarmente m’interessasse a terra»1… sono andato a girovagare in terre di briganti… lì ho conosciuto una sorta di capitano Achab che diceva: «Sia gioia, gioia eccelsa, intima gioia, a colui che contro gli dèi e i commodori superbi di questa terra oppone sempre il suo inesorabile se stesso»2. Era gradevole, intelligente quanto un arpioniere di balene bianche senza tatuaggi… un cittadino del cielo… ci siamo intesi subito… così abbiamo pensato d’imbarcarci su una nave fantastica (il Pequod, una vecchia auto rossa con la radio sempre accesa sui bollettini di guerra metropolitana) e navigare fra terre, monti e mari di Calabria e fare un film e un libro fotografico con i calabresi… della ciurma facevano parte anche Anna Maria, secondo ufficiale del Pequod, e Paola, una figlia della Tortuga, che fumava la pipa… in fondo, dissi - «Siamo uomini nel mondo, non del mondo» - e partimmo.
Non è stato facile… abbiamo affrontato venti avversi… boschi in fiamme, laghi asciutti, mari deserti… e incontrato tribù che cucinavano tenerezza e accoglienza… il vino ci ha accompagnato in tutte le nostre rotte e i canti delle lavandaie hanno scaldato i nostri sogni di fraternità ed eguaglianza… anche davanti ai brutti ceffi che volevano affondare la “nave” non abbiamo avuto paura e senza il timore di dio né del diavolo abbiamo continuato a navigare sulle nostre rotte sconosciute… ci sono state anche battaglie a viso aperto con i mostri di queste terre o cieli o mari profondi… ribelli per vocazione, marinai che fecero l’impresa, siamo sopravvissuti al naufragio nell’asciuttezza dei nostri sospiri estremi!
© Pino Bertelli
L’epilogo: ne sono usciti un libro fotografico e un film del tutto personali… del tutto fuori dai cimiteri del consenso e del successo, e più ancora, ne siamo certi, sono opere non dell’oggi né del domani, ma dell’immaginario del nostro scontento che diventa destino. Ma è del film del capitano Achab che vi voglio ora parlare… con una coppa di vino in mano, un sigaro all’anice e il canto dei gatti in amore sui tetti della città di utopia. Sia lode ora a uomini e donne di chiara fama.
I colori del cielo di Francesco Mazza [capitano Achab] è qualcosa che non ha nulla a che fare con il documentario o il film/inchiesta… forse anche con il docufilm… è una sorta di pamphlet o saggio cinematografico piuttosto anomalo… riprende le radici architetturali delle opere di Straub, Brocani, Pasolini - tanto per fare qualche nome (anche riconosciuto)… e affabula una cartografia dell’esistenza nel trapasso delle ideologie, delle fedi, dei conformismi criminali, anche… alla maniera della bandiglia situazionista (credo), il regista elabora una costruzione delle situazioni in terra di Calabria - ma a ben vedere oltre il tessuto emozionale delle persone che s’interrogano (e rispondono) sulle poche parole di un fotografo di strada (che incidentalmente sono io, Ismaele) - dette anche in maniera un po’ dialettale o selvatica… figurano spaccati profondi della loro storia e della loro vivenza. Quello che ne sortisce è un trattato di filosofia etica, non morale… l’etica segue il principio edonista della maggiore felicità per il maggior numero (Epicuro), la morale è una maledizione o una dottrina dell’abbandono che Stati, chiese e banchieri prediligono per la domesticazione sociale.
© Pino Bertelli
I colori del cielo riparte da Comizi d’amore di Pasolini, certo, riprende lo sconcerto e l’incanto di Pasolini nei confronti del sud e della Calabria, principalmente… ma si chiama fuori, come si è già detto, dal film/inchiesta pasoliniano… quello di Mazza è un rizomario di atti senza apostoli, elaborati fuori dalle preghiere raccomandate, o un portolano di emozioni disseminate su secoli di lacrime e sangue innocente versati fra l’inedia e il gemito di un popolo di antiche culture e profonde bellezze (sovente sfigurate dalla ferocia del malaffare, della politica, della Chiesa)… nelle parole dei calabresi non affiora però solo l’incertezza, la paura, il dissidio o il rispetto verso una fatalità ereditaria… nel non detto o appena accennato o nella rabbia rimasta in gola si scorgono forme di saggezza plebea e di liberazione necessaria… e non c’è da stupirsi che l’ultimo dei vagabondi o degli analfabeti valga più dei “dotti” che fanno professione di pensare… poiché la sfera della coscienza affiora sui corpi, volti, gesti degli intervistati come crescono le rose di campo - così, senza una ragione precisa, per volontà di una gioia terrena che si fa bellezza dei giorni - e approdano all’universale.
Nelle parole, negli sguardi, nelle posture grecaniche dei calabresi filmati da Mazza c’è un coinvolgimento sapienziale che si aggrappa alla radicalità dell’uomo, alla sua terra… Ismaele, che si aggira nelle strade di Calabria e incontra centinaia di persone, le fotografa secondo una visione antropologica del vissuto quotidiano, spesso piuttosto sgangherata o inopportuna per le scuole di fotografia… è una sorta di viandante delle stelle o un bracconiere di sogni che il regista filma con determinazione e pervicacia a ricordo dei fotografi ambulanti americani, quando fissavano sulle lastre la magnificenza di un popolo, quello dei Pellerossa, destinato al genocidio dall’avanzare della modernità. In apertura di un grande film western, Gli implacabili (1955) di Raoul Walsh, interpretato magistralmente da Clark Gable, Jane Russell, Robert Ryan e Cameron Mitchell - ma un po’ troppo infarcito di canzoni - Gable e il fratello, Mitchell, affiorano dal fondo della prateria… vedono un uomo impiccato ad un albero e Gable dice al fratello: «Siamo vicini alla civiltà!». Non c’è differenza tra i sogni di un macellaio e quelli di un banchiere. Il valore di ogni uomo si misura nel valore dei suoi disaccordi! Siccome viviamo nel bel mezzo di terrori eleganti, si può benissimo passare dall’oblio dell’uniformità all’onorabilità della rivolta (quale che sia), la più ancestrale delle nostre vitalità.

lunedì 27 novembre 2017

A LA ARGENTINA SE LE HA PERDIDO UN SUBMARINO Y NO SABEN QUIÉN LO TIENE…, por Nechi Dorado

El submarino argentino ARA San Juan (S-42) fondeado
A partir de la desaparición del submarino de bandera argentina ARA San Juan, distintas versiones se han lanzado ante el mutismo del Comandante en Jefe de las Fuerzas Armadas, léase gobierno y un séquito que parece más ocupado en aplicar ajustes que afectan al pueblo y dentro de éste a los sectores más vulnerables: jubilados, empleados, obreros, pequeñas industrias, educación, salud.
En medio del desastre que estamos viviendo –padeciendo sería más objetivo– contando con la aceptación de adeptos hasta de la clase más desposeída, suceden cosas invisibilizadas para los votantes PRO [Propuesta Republicana (n.d.r.)] y similares.
El medio informativo KontraInfo hace un minucioso análisis sobre este hecho luctuoso para muchos que deja al descubierto la ineptitud para resolver problemas de extrema sensibilidad.
Por ejemplo, en nota del periodista Daniel do Campo Spada se opina que existe la posibilidad de un ataque misilístico contra el submarino ARA San Juan, provocado “por error” (encomillado mío) por una nave gringa, en el marco de operaciones secretas en el Atlántico Sur de las que formarían parte EE.UU. y Gran Bretaña.
Por ser una misión realizada a ocultas, se reviste de un gran manto de mentira y como tal, más temprano que tarde saldrían a luz los hechos, si fuera cierto que la mentira tiene pata corta y si existiera voluntad política real como para dejar de mentir alguna vez.
Existe la versión que indicaría que Macri habría pactado con Obama en 2016 la realización de maniobras conjuntas a espaldas del Congreso Nacional, que no autorizó las mismas.
Si es así cabe preguntarse si un gobierno que actúa contra la decisión del Congreso puede enmarcarse dentro de los márgenes de la “democracia”, intuyo en esto una desprolijidad más preocupante que todo lo que viene sucediendo en la política nacional.
Como Operación Cormorán se conocieron las maniobras que dejan como saldo la probable muerte de 44 marinos de carrera, no improvisados. Digo probable porque mientras unos aseguran el trágico final de los presentes en la maniobra a espaldas del Congreso y del pueblo, otros dicen que no. Como siempre será el pueblo el último en enterarse de lo que se cocina entre gallos y madrugadas.
Sugestiva y subrepticiamente, con gran calma por otra parte, extraña la tranquilidad del espectro político y hasta del militar, dado que prestamente los EE.UU. estarían, hace unos días, en la zona de catástrofe con una celeridad impactante. Casi como si supieran que algo habría de suceder, aparecieron en escena raudamente.
Otras versiones circulantes hacen referencia a una operación de prensa que justificaría la compra de material bélico, mientras a los argentinos nos encajan unos ajustes que erizan la piel, anticipo de lo que vendrá en los próximos días, que sería una reforma laboral que podríamos enmarcar en lo obsceno. Sería bueno preguntarnos qué lobbys se beneficiarían con esa compra de pertrechos.
Según informa la agencia que no es para nada improvisada, hacia finales de octubre comenzaban las maniobras militares en las que se lanzarían hacia el área continental misiles Rapier. La pregunta es: ¿lanzaron acciones bélicas en aguas argentinas? ¿Pudiera ser que el submarino haya sido dañado sea por Gran Bretaña como por EE.UU.?
Se presupuso que no, que los misiles Rapier son tierra-aire y de corto alcance –lo que imposibilitaría la avería–, pero el submarino ARA San Juan estaba en misión secreta en aguas de exclusión y en la zona donde estaban los británicos.
El misterio de los posicionamientos impidió la comunicación con la base para evitar detectar el lugar dónde operaban, pero no se entiende qué motivó la privatización de la comunicación vía satelital con una empresa extranjera, aunque no deja de llamar la atención del mundo ya que se han movilizado las marinas de todos los países y “casualmente” permitieron que converjan en la zona mientras se realizan ejercicios militares en el lugar.
Lo extraño, entre tanta extrañez, es la falta de celeridad para intentar el rescate, así como las versiones encontradas entre los partes de la Armada y el Ministerio de Defensa, una descoordinación inexplicable en un hecho de características de extrema gravedad. Las familias no están informadas, según aseguran fuentes de noticias al minuto, de la situación que padecen o padecieron sus familiares, y esto de por sí se suma a los hechos de extrema gravedad que preocupan a un sector de la población nacional y llama la atención en el exterior.
Otro detalle no menor lo marcaría un problema en el sistema de baterías, hecho que fue negado en principio aunque luego la Marina salió a reconocer que sí lo hubo. Vaya a saber quién dice la verdad.
Entre mentiras, especulaciones, noticias que dicen y desdicen los medios que llamo (des) informativos es más que evidente que vuelven a mentir, tal su costumbre.
Se habló de un incendio en un tanque, se dijo que el submarino continuó navegando, se dijo que al haber fallas en las comunicaciones el submarino debía haber emergido pero no lo hizo.
Dimes y diretes que nos recuerdan el tratamiento infame que se ha brindado por parte de la prensa nacional respecto al asesinato del joven Santiago Maldonado, cuando hasta se especuló con afirmaciones “los motivos de su muerte”, tratando de embarrar la cancha en un caso tan espeluznante sucedido en medio de una brutal represión al Pueblo Mapuche, históricamente despojado pero nunca de su dignidad.
La desinformación preocupa demasiado, éticamente no se debería jugar con la sensibilidad de las familias de los 44 marinos que hoy nadie sabe en qué se situación real se encuentran.

domenica 26 novembre 2017

GUATEMALA: ¿POR QUÉ LA MINERÍA ES CUESTIONABLE? EL CASO DE LA MINA MARLIN, por Marcelo Colussi

© Benjamin Schwab
Alzar la voz contra la industria minera tal como se está haciendo en Guatemala hoy día no es un capricho: ¡es una medida imprescindible en favor de la salud de la población y en defensa del medio ambiente!
La minería es vital para las sociedades; el desarrollo humano hace uso creciente de metales y diversos minerales. Desde la aparición del cobre hace 9,000 años hasta los elementos hoy conocidos como estratégicos (coltán, niobio, torio –futuro sustituto del petróleo–), la historia de la humanidad va de la mano de la investigación minera.
¿Qué es lo cuestionable entonces? La forma en que se hace la explotación, el descuido y desprecio de las poblaciones, la búsqueda de lucro empresarial a cualquier costo. El caso de la mina Marlin, en Guatemala, lo evidencia de modo patético.
La empresa minera Montana Exploradora de Guatemala S.A., subsidiaria de la transnacional canadiense Goldcorp Inc., es propietaria del proyecto minero Marlin. Inició exploraciones en territorio maya-mam y maya-sipakapense en 1996 (municipios de Sipakapa y San Miguel Ixtahuacán, departamento de San Marcos), con una licencia del Ministerio de Energía y Minas. En 2003 el Ministerio de Ambiente aprobó el “Estudio de Evaluación de Impacto Ambiental y Social” presentado por la empresa. Dos meses después, Energía y Minas otorgó licencia a la minera para explotar oro y plata. Ambas resoluciones carecen de validez, pues no se realizó una consulta ciudadana para consensuar el proyecto en cuestión, tal como lo estipula el artículo 15.2 del Convenio 169 de la Organización Internacional del Trabajo –OIT–, que también es ley guatemalteca, y que obliga a hacer un referéndum para tomar este tipo de decisiones. La mina Marlin comenzó operaciones, saltando estas regulaciones legales, en 2005.
En Sipakapa, el pueblo maya-sipakapense realizó una consulta popular en 2005, donde el 99% de la población dijo no a la actividad minera en su territorio, sabiendo de los severos daños medioambientales y sanitarios que la misma podría acarrear, tal como sucedió en otros puntos del planeta, de lo que ya existe copiosa información. El resultado del plebiscito fue ignorado por el gobierno y la empresa.
La explotación minera implica la desaparición de 142 hectáreas de bosques y suelos en los primeros dos años de operaciones, y una eliminación de cobertura boscosa de 289 hectáreas al final de las actividades. La operación genera 170 barriles de desechos mensuales (una tercera parte son desechos orgánicos), con una estimación total de 23 a 27 millones de toneladas de residuos al final del proyecto.
Los desechos generarán una escombrera con 38 millones de toneladas de basura. Dicha área se extenderá en 157 hectáreas, y el depósito de lodos en 150 hectáreas, existiendo una alta probabilidad de liberación de aguas ácidas del material depositado en la escombrera en época de lluvias, así como de ocurrencia de derrames con consecuentes riesgos sanitarios y ambientales para las poblaciones, el entorno y las especies acuáticas.
La empresa perfora 60 pozos de 7 metros de profundidad para detonaciones diarias. Producto de las detonaciones se han ocasionado daños en viviendas ubicadas en sus inmediaciones. Desde el inicio de operaciones, las poblaciones de las aldeas locales han padecido una creciente escasez hídrica. En la población maya-mam de San Miguel Ixtahuacán se han secado 6 pozos.
Parte de los deshechos de la mina van a parar a los ríos Cuilco y Tzalá y sus afluentes, que son las principales fuentes de agua de la región para consumo y actividades de subsistencia. A partir de su contaminación, aparecen los problemas de salud. Existen altas concentraciones de cobre, aluminio, manganeso y sobre todo arsénico. Todo ello ocasiona diversas afecciones dermatológicas, gástricas, neurológicas, y en muchas ocasiones: cáncer.
Más allá de pomposas declaraciones de gobierno y empresa, la realidad es cruel. Denuncias de afectación en la salud en la población de Sipakapa y San Miguel Ixtahuacán por el consumo de aguas contaminadas surgieron desde casi los inicios de las operaciones de la mina. Dichas denuncias se basaban en: a) problemas de salud por trabajar en la mina; y b) problemas de salud provocados por la supuesta contaminación de las fuentes de agua, o escasez debido a la secada de los ríos. Pero dichas denuncias siempre fueron desvirtuadas por la empresa y por el Estado.
En 2010, la Comisión Interamericana de Derechos Humanos –CIDH– otorgó medidas cautelares a favor de 18 comunidades del pueblo indígena maya. La CIDH solicitó al Estado de Guatemala que suspenda la explotación de la mina Marlin, e implementar medidas efectivas para prevenir la contaminación ambiental, hasta tanto la Comisión adoptara una decisión sobre el fondo de la petición asociada a esta solicitud de medidas cautelares. Pero en 2011, contrariando la voluntad popular, la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, obviamente por presiones recibidas de parte de la empresa, modificó las medidas cautelares que había otorgado. Por lo pronto, suprimió la solicitud de suspensión de las operaciones de la mina, de descontaminar las fuentes de agua y de atender los problemas de salud.
La mina Marlin extrae minerales a partir de 2003, pero desde 2012 solo trabaja su subsuelo. Tiempo atrás su director informó que la mina iría cerrando paulatinamente para finalizar operaciones en 2016. Sin embargo, en 2014, solicitó una prórroga y nuevo subsuelo para trabajar. Por ley, una mina en Guatemala dispone como máximo de 20 kilómetros cuadrados para explotar su superficie y su subsuelo por un lapso de 25 años. La estrategia de Montana para continuar al menos dos años más fue restar un kilómetro ya explotado que no rendía para agregar otro kilómetro cuadrado con potencial en su subsuelo, que no forma parte de su área de explotación. La maniobra le permitió seguir operando. Y el Estado aprobó la jugarreta.
La autorización fue firmada a principios de enero de 2016; Montana fue notificada de la autorización el 11 de enero de 2016, tres días antes de que concluyera el mandato del presidente provisional Alejandro Maldonado. Un mes después, el proyecto siguió adelante bajo la presidencia del nuevo mandatario Jimmy Morales. Finalmente, por las presiones populares, la mina cerró en mayo de 2017.

giovedì 23 novembre 2017

A WAIT-AND-SEE CONFERENCE ON CLIMATE CHANGE, by Andrea Vento (GIGA – Self-organised Geography Teachers Group)

IN DUE LINGUE (Inglese, Italiano)
IN TWO LANGUAGES (English, Italian)

© World Meteorological Organization
The great hopes for a historical understanding to contain global warming, caused by the proclamations of world leaders prior to the recent UN Climate Change Conference, have evaporated.
The ‘climate’ of confidence surrounding the conference – held in Bonn from November 6 to 17, officially known as the 23rd session of the Conference of the Parties (COP23) and presided over by Fiji – soon disappeared into thin air as environmental experts looked at what had been achieved.
Criticism has centred on the failure to establish a “compliance control committee” and a “sanctioning mechanism” against countries which do not respect the commitments they have entered into.
In practice, these are legally non-binding agreements, implementation of which is linked only to the environmental sensitivity and political determination of the various governments, but which are often however heavily influenced by enormous economic interests, primarily those of the multinationals in the energy and automotive industries.
The Bonn Conference, which many believed should have accelerated action and set more stringent rules on measures to combat climate change, ended without any major decision, so that a kind “supplementary session” will take place at the Paris summit in December.
This was a partially announced failure which was confirmed by the absence of the most important world leaders (except Angela Merkel and Emmanuel Macron) and the great international media circus, which largely deserted the event.
However, despite their low profile, four decisions were worthy of note:

• approval of a Gender Action Plan (certainly appreciable, but which does not contain significant relevance for climatic problems);
• recognition of the role of “indigenous peoples” (officially considered a resource, not an obstacle) in combating climate change, conserving biodiversity and protecting the environment;
• activation of the Thematic Working Group – TWG – on Agriculture, Food Security and Land Use (after six years of evanescent negotiations, it was recognised at COP23 that climate change aggravates the food insecurity of the most fragile populations and that, at the same time, today’s “agro-industrial” agricultural practices account for about 21% of total greenhouse gas emissions, necessitating a radical rethinking of the agribusiness sector);
• sanctions for “exceeding” by local entities – regions, cities, municipalities, indigenous communities, etc. – on the official representations of States (the case of California is emblematic: despite Trump ignoring the Paris Agreement, in Bonn its governor Jerry Brown announced that he would honour the commitments made).

For all the rest we are at a complete impasse.
In real terms, no significant decisions were made regarding the following:

• a compensation mechanism for loss and damage;
• funding of compensation measures designed to induce developing countries to reduce emissions;
• transparency of the funding to be granted for implementation of mitigation and adaptation measures.

Responsibility for failure is mainly due to the national selfishness of the most industrialised countries, which, although they claim to want to move forward regardless of Trump’s positions, have distinguished themselves by their absence or “vague” declarations. Take German Chancellor Merkel, for example, who first said that “climate change is an issue determining our destiny as mankind – it will determine the wellbeing of all of us”, before carefully changing tack: “it is not easy” to meet the commitments to end coal-fired power stations due to “social and job issues”, de facto postponing the decarbonisation of energy in her country to an unspecified date.
According to Merkel, doing so now would lead to an increase in the cost of energy.
The failure of the work of the climate conference is summarised in the concluding document, which explicitly calls on UN Secretary-General António Guterres to take care that Member States actually put in practice what has been decided.

The present state of the atmosphere

While the ritual comedy of wait-and-see and inconsistency took to the stage in Germany, reports on the subject published by various research institutes were photographing an alarming evolution of both the chemical composition of the atmosphere and global weather and climate conditions.
According to the climate report issued at the beginning of November by the World Meteorological Organization (WMO), the concentration of CO2 (the main greenhouse gas) in the atmosphere has now stabilised at well over four hundred parts per million – rising, in fact, from the 400 recorded in 2015 to 403.3 at the end of the following year.
This represents a structural overrun of the safety threshold set at 350, beyond which the possibilities of reduction become extremely complex.
Indeed, even if we were able to completely eliminate pollutant emissions today, the concentration of CO2 in the atmosphere would continue to increase for a few decades – because of the inertia of the phenomenon –, making it difficult to return to under this threshold.
This particularity, typical of complex systems, has been confirmed by the annual report of the Netherlands Environmental Assessment Agency (NEAA), which shows that in 2016 – for the third consecutive year – global CO2 emissions remained unchanged, but this has not, however, served to contain the increase of concentration in the atmosphere.