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domenica 24 dicembre 2017

«CHESUCRISTO» DI DAVID KUNZLE, di don Ferdinando Sudati

Pubblichiamo per i lettori del nostro blog la recensione al volume di David Kunzle Chesucristo. La fusione in immagini e parole tra Guevara e Gesù, pubblicato nel 2016 dalla Massari editore di Bolsena come Quaderno nº 10 della Fondazione Ernesto Che Guevara (formato 17x24, 400 pp., 250 foto a colori, € 26,00). Il libro è stato tradotto dall’inglese e curato da Roberto Massari. [la Redazione]

L’Autore è nato a Birmingham (Inghilterra) nel 1936, si è laureato in storia dell’arte - con specializzazione sui pittori fiamminghi - e ha insegnato presso l’UCLA (University of California, Los Angeles), di cui dal 2010 è professore emerito. Risiede negli Stati Uniti ma è in realtà un cosmopolita, non solo per le ascendenze inglesi e svizzere: ha infatti viaggiato molto per motivi professionali, specie in America latina. Conosce bene anche l’Italia, che ha visitato varie volte; in una di queste, precisamente nel 2011, ebbi il piacere di conoscerlo di persona assieme al suo amico ed editore in Italia, Roberto Massari. Il dott. Kunzle ha al suo attivo oltre un centinaio di articoli e una dozzina di libri, e come si può immaginare (questa stessa opera lo dimostra a sufficienza) è il principale studioso al mondo dell’iconografia di Che Guevara.
Chesucristo è lo strano ma felice titolo che l’Autore ha coniato per il suo libro, a indicare la «fusione», o sovrapposizione e identificazione (come poi esplicita il sottotitolo), tra Gesù Cristo e Che Guevara - a partire dalla precoce e drammatica fine del secondo - dovuta in gran parte alle circostanze in cui il rivoluzionario argentino ha trovato la morte.
Può essere utile per il lettore avere davanti agli occhi l’indice dei capitoli che seguono prefazione e introduzione:

1. Un movimento rivoluzionario violento: Gesù e gli Zeloti
2. La Chiesa ricrocifissa. La Teologia della liberazione
3. Guevara e il Verbo cristiano in un mondo cristiano
4. Il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore
5. La matrice fotografica di Korda
6. Capitoli e versetti. Parallelismi in parole ed eventi dei Vangeli
7. Una simbologia condivisa
8. Miracoli
9. Cristificazione in poesia, teatro e narrativa. La forza divina della natura
10. Il Cristo/Che anglicano: «Mite. Dolce. Come se.»
11. Il Che nei film, nei video e multimediale
12. Il Che morto, in arte: Alborta/Berger, Belkin, Alonso
13. La Passione del Che: cattura, morte e scomparsa
14. L’Uomo nuovo, l’arte e la crescita spirituale

Il libro contiene una cronologia essenziale, una bibliografia, un indice dei nomi e una nota sull’Autore.
Da segnalare, in apertura all’opera, l’introduzione di Roberto Massari, una vera e propria guida interpretativa scritta da uno dei maggiori esperti delle vicissitudini guevariane e autore di diversi libri sull’argomento - nonché presidente della Fondazione internazionale Ernesto Che Guevara, che organizza ogni anno un convegno internazionale i cui atti vanno poi a costituire uno dei Quaderni della Fondazione stessa: una corposa pubblicazione di primario interesse storico-culturale, rivolta non soltanto agli appassionati della materia.
Dalla sua struttura si comprende già che il volume, pur essendo basato sulle immagini, è tutt’altro che un catalogo di una mostra. La parte teorica - di spiegazione e riflessione, contenuta specialmente nei quattro capitoli iniziali - si estende quanto quella grafica. Pur non avendo quest’intento, l’Autore è riuscito a ottenere, mettendo insieme i dati disseminati fra le pagine del libro, una biografia del Che che apre puntuali squarci non solo sulla sua vicenda politica, ma anche sugli affetti e la vita famigliare, e in special modo sulla sua tragica fine.
I primi due capitoli sono decisamente importanti per comprendere l’accostamento tra Gesù e Guevara nel contesto della Teologia della liberazione sorta in America latina, nonché nell’ambito di un aggiornamento della figura storica del Cristo alla luce del suo possibile - ma occultato - coinvolgimento «politico» nella lotta al dominio romano sull’allora Giudea. Il terzo capitolo rimane in tema, proiettando un po’ di luce su un aspetto poco noto ma non secondario nella vita del Che: la presenza di riferimenti religiosi provenienti soprattutto dall’infanzia, così come un basilare rispetto per i credenti con cui veniva a contatto e la non ostentazione del suo personale ateismo.

Il libro di Kunzle, davvero unico nel suo genere, testimonia in particolare il movimento di «cristificazione» cui la figura di Che Guevara è andata incontro - o, meglio, che ha suscitato - consistente nella sua assimilazione al più celebre personaggio del Nazareno, cui fa capo la religione tuttora maggioritaria sulla Terra.
In realtà si tratta di un fenomeno noto nel cristianesimo, una fede (e pure una scelta di vita) che spinge spontaneamente i propri aderenti alla Imitatio Christi. Gesù è stato sempre visto come un modello inarrivabile, ma in qualche modo imitabile: seguirlo è da sempre l’ideale del cristiano, ed è ciò che a partire dai martiri dei primi secoli ha prodotto i «santi». Questa tendenza risale alle origini del cristianesimo, essendo già presente nelle sacre scritture che siamo soliti chiamare «Nuovo Testamento» - specie in Paolo di Tarso, che affermava: «…non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20); «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1Cor 11,1). Camminare sulle orme di Cristo - spesso riproducendo molto da vicino la sua morte - quel dare la vita per la sua stessa causa, per il suo ideale altruistico, è qualcosa che accompagna diacronicamente la storia del cristianesimo.
Più raramente la cristificazione è stata riconosciuta - non da parte della Chiesa istituzione, ovviamente - a personaggi che si sono trovati fuori dell’ortodossia o del corpo ecclesiastico, e qualche volta è stata applicata perfino a figure esplicitamente condannate dalle Chiese (a eretici, per intenderci). Nessuno ha potuto porre un freno alla spinta popolare nel procedere a queste irrituali canonizzazioni: valga per tutte quella di Davide Lazzaretti (1834-1878), mistico e visionario toscano, la cui vita - a suo modo eroica - finita tragicamente gli è valsa la denominazione, coniata dal popolo, di «Cristo dell’Amiata», il monte fra Grosseto e Siena dove svolse la sua attività.
Naturalmente il caso di Guevara è singolare, poiché la sua massiccia cristificazione e «quasi canonizzazione» è dovuta a una più o meno spontanea e convergente iniziativa popolare che prescinde da canoni religiosi o regole ecclesiastiche, mantenendo unicamente l’ispirazione e il collegamento alla figura del Nazareno.
Che Jesus, 1999 © Churches Advertising Network
Va registrato anche un secondo movimento, presente in forma più attenuata nella vicenda post mortem di Guevara: quello della «guevarizzazione» di Gesù, ossia del Cristo che assume i tratti del Che. Si vedano a questo proposito le figg. 10.1 (p. 304) e 10.3 (p. 307), due manifesti inglesi per pubblica affissione del 1999 dovuti a un network di comunicatori cristiani di confessione anglicana. È forse un aspetto non del tutto assente nemmeno nel cattolicesimo, sebbene sia raro incontrarlo a motivo del grande rispetto e della venerazione attribuita al Gesù della fede. Qualcosa del genere è avvenuto fra il Nazareno e un santo di fama ed estimazione mondiali come san Francesco d’Assisi, per cui il primo è stato «rivestito» con i panni del secondo: il discepolo è equiparato al maestro e gli trasmette qualcosa dei suoi tratti. Questa osmosi o intercambio rimane però un fenomeno minore, assolutamente non comparabile a quello dell’assimilazione al Cristo.

Il libro di Kunzle riveste un grande interesse storico e culturale per la ricchezza iconografica e il prezioso commento scandito nei vari capitoli. Un’opera che si può considerare un modello di ricerca, indipendentemente dal fatto di essere interessati al soggetto in quanto tale: c’è da imparare anche solo dal metodo che l’Autore vi ha applicato.
Il suo scopo è quello di presentare l’iconografia guevariana che poco, tanto o tantissimo collega il Che all’immagine idealizzata del Cristo, e privilegia quindi la grafica in tutte le sue espressioni: pittura, disegno, manifesto, fotografia ecc., ma con incursioni nella poesia, nel teatro e nella narrativa, senza tralasciare la scultura e le forme multimediali (film e video).
Si tratta di un volume di grande spessore culturale. Come già accennato, non siamo di fronte né a un catalogo né a un «albo fotografico» con l’aggiunta di appropriate didascalie (pur essendo senz’altro anche questo), ma a un corposo testo in cui almeno metà delle 400 pagine costituiscono un commento di carattere artistico, storico, politico e perfino biblico. Quest’ultimo aspetto è presente nei continui riferimenti ai Vangeli e alle recenti acquisizioni storiografiche sulla figura di Gesù, specialmente nel primo capitolo, dedicato al rapporto fra il Nazareno e gli Zeloti (pp. 41-70). Kunzle non è un teologo, ma conosce bene il Gesù del Nuovo Testamento e del cristianesimo ecclesiastico.
Il confronto o parallelismo su base iconografica che l’Autore stabilisce tra Che Guevara e il Cristo è sempre rispettoso verso quest’ultimo - lo sottolineo per i cristiani che potrebbero allarmarsi o nutrire sospetti d’irriverenza per la collocazione di Gesù in tale contesto - e in ogni caso risulta oggettivo, poiché parte dall’enorme mole di materiale che è riuscito a inventariare, proveniente da ogni parte del mondo; e qui troviamo la prima sorpresa: nessuno avrebbe immaginato che tale materiale fosse così abbondante, diversificato e quasi sempre pregevole sul piano artistico.
L’opera di Kunzle è dunque la presentazione di una raccolta il più possibile completa - comunque copiosissima - del materiale pittorico, grafico, scultoreo e poetico che stabilisce volutamente ed esplicitamente, o anche solo casualmente e inconsciamente, un collegamento tra la figura di Che Guevara e quella di Gesù. Indubbiamente alcune immagini o evocazioni possono essere esagerate, tipiche espressioni di una mitizzazione del Che ormai avvenuta. È ciò che, del resto, è avvenuto anche con il Nazareno. Nessuna mitologia, però, si costruisce dal nulla e sul nulla: è invece sempre espressione di qualcosa che ha avuto una sua realtà, almeno embrionale. Fortunatamente, per un personaggio passato attraverso il processo di mitizzazione ma non così lontano nel tempo è ancora possibile fare il cammino inverso, liberandolo dalle sovrastrutture per ritrovarne il nucleo originario. Nuove scoperte archeologiche e paleografiche, oltre alla messa a punto di strumenti scientifici più adeguati, hanno reso possibile tale operazione - almeno parzialmente - per figure storiche vissute molti secoli addietro: è quanto si è verificato con il Cristo. Nel caso di Gesù e di Che Guevara il nucleo che ha ispirato la mitizzazione è assolutamente positivo, fondato com’è sull’altruismo, la passione per una nobile causa identificata con quella dei poveri, degli umiliati e oppressi del mondo nelle rispettive epoche. Il mito vuole celebrare l’eroismo di queste persone.

Come scrive Massari nella nota introduttiva al testo, Gesù e il Che hanno molto in comune, a cominciare dal fatto di essere entrambi morti giovani, ma soprattutto di aver «lasciato un messaggio di speranza per il riscatto dell’umanità» e «fatto appello ad alcuni valori universali dell’Etica come guida dell’agire politico e quotidiano» (pp. 11-12).
David Kunzle nel 2014 © Pino Bertelli
Il Cristo e Guevara condividono inoltre quello che può dirsi un primato iconografico: è impressionante pensare che per quantità d’immagini il Che venga subito dopo Gesù, sebbene dal punto di vista qualitativo - osserva Massari - il confronto non regga, dato che il secondo ha al suo attivo secoli di grandissima arte che l’ha avuto come soggetto quasi esclusivo. Guevara, però, si difende bene, se di lui circola una foto che è ritenuta essere la più celebre al mondo: quella scattata da Alberto Korda nel marzo 1960 (v. fig. 5.2, p. 142). Proprio la quantità e diversità di raffigurazioni rivela il fenomeno della mitizzazione su grande scala che ha coinvolto entrambi i personaggi, unitamente a quello «sincretistico di cristificazione e guevarizzazione reciproca» (R. Massari, p. 12). In questo senso, le foto raccolte nel libro di Kunzle parlano più di qualsiasi discorso teorico e stanno a significare che, con tutti i limiti e i rischi che l’operazione comporta, il Nazareno e Guevara sono divenuti formidabili icone in cui moltissime persone del mondo d’oggi riconoscono gli ideali più nobili che li accomunano e che vorrebbero perseguire - pur non riuscendoci, forse - nei momenti migliori della loro vita.

Un’ultima annotazione: alcune immagini che compaiono nell’opera di Kunzle possono apparire irriverenti agli occhi di un cristiano, soprattutto se già propenso a non tollerare confronti e accostamenti tra il Che e il Cristo a motivo della sproporzione fra i due. È però giusto che non siano state trascurate o ignorate; tale pretesa rischierebbe infatti di trasformarsi in un atteggiamento culturalmente meschino, dimentico in particolar modo del fatto che Gesù non è proprietà esclusiva dei cristiani o delle Chiese, bensì patrimonio dell’umanità, perlomeno di quella parte di essa che vede in lui un maestro ancora attuale. È quindi normale che sia accolto e interpretato dalle varie culture secondo il loro genio.

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