Il ripetersi di un vecchio copione
Con la caduta di Janukovyč in uno scenario da colpo di Stato per la crisi ucraina si concludono solo le premesse, e tutto può precipitare con una completa destabilizzazione dell’area, ancora una volta per gli interessi economici e politici dell’Occidente in un paese europeo rilevante per la sua posizione strategica. Per dirla in breve, dopo la Iugoslavia tocca all’Ucraina, oggi campo di battaglia di due guerre, delle quali la guerra interna per il potere è strumentale a quella di soggetti esterni per una posta politico-economica si chiama approvvigionamenti energetici e loro distribuzione. Si sta realizzando un copione già sperimentato con successo nei Balcani, in Siria e in Libia, quindi perché cambiarlo?
Le sue linee di svolgimento sono facilmente individuabili: in un Paese storicamente privo di interna omogeneità - vuoi etnica, vuoi religioso-culturale - si inducono torbidi e dissidenze violente, inizia una certa e ovvia repressione, il repressore (la legalità formale del suo potere non interessa) diventa l’incarnazione del male per media e organismi di propaganda vari, le violenze si intensificano fino a far collassare il Paese, si comincia a sparare, la grande informazione svolge il suo ruolo non facendo capire assolutamente nulla di quel che c’è sotto, scattano le sanzioni internazionali dell’Occidente, e poi… E poi stavolta non si può ancora dire, perché alla frontiera orientale dell’Ucraina c’è la Russia che - oltre a condurre propri giochi per propri interessi - si trova il pasticcio ucraino realmente “alle porte di casa”, una volta saltata tutta la protezione di “cuscinetti” diretti e mediati realizzata dall’Urss dopo la Seconda guerra mondiale.
D’altro canto tutta l’area in cui sono crollati i regimi del “socialismo reale” è da tempo oggetto di spinte e controspinte esercitate da potenze esterne: Stati Uniti, Nato e Unione europea, con l’obiettivo di inglobare tali paesi nel quadro del loro “nuovo ordine mondiale”. La Russia cerca di contrastare con tutti i mezzi a sua disposizione, non esclusi quelli bellici, come quando di recente la Georgia, sobillata dall’Occidente, cercò di risolvere con la forza la secessione dell’Ossezia del Sud, salvo poi essere sconfitta sul campo dalla Russia (tema subito fatto oggetto di un film statunitense in cui appaiono Russi che più cattivi di così non si può). Il fatto è che in tutta l’area bielorussa, ucraina e caucasica l’Occidente e i suoi alleati (come l’Arabia Saudita in Cecenia e Daghestan) fomentano e appoggiano agitazioni, rivolte e secessioni in funzione antirussa. Ovvio che Mosca intenda contrastare tali progetti, inserendo attualmente il proprio oggettivo espansionismo in un’altrettanto evidente autodifesa.
L’Ucraina offre l’anomalo spettacolo di gente che ha messo a rischio in piazza la propria incolumità fisica, e anche la vita, per “entrare in Europa”; in quella stessa Europa dove moltissimi cittadini farebbero lo stesso se solo ci fosse la sicurezza di poter uscire dall’euro e dall’Ue senza danni maggiori di quelli finora subiti. Poiché l’Ucraina non è tagliata fuori dal mondo sul piano dell’informazione spicciola, e le notizie sulla situazione economico-sociale dei paesi europei sicuramente circolano, c’è da dubitare che la maggioranza della sua popolazione - in un Paese dove il salario medio è di circa 300 dollari mensili, la produzione locale è di bassa qualità e le importazioni della Russia sono assolutamente vitali - non si renda conto del significato dell’aprirsi al mercato secondo le regole stabilite dall’Ue (e magari dal Fmi). Qualcosa evidentemente non torna. Così come non tornano le manipolazioni dei media occidentali volte a presentare le manifestazioni ucraine come spontanee: troppo a lungo sono durate e troppo organizzati sono apparsi i manifestanti.
Oltre all’Unione europea, anche Washington ha ovviamente preso posizione: ricordiamo il grande valore simbolico della presenza a Kiev di Victoria Nuland (cioè la vice di John Kerry) e John McCain (ex candidato repubblicano alla Presidenza) per esternare il sostegno degli Usa ai dimostranti. Né si può escludere che gli Stati Uniti - in mancanza di jihadisti nelle pianure ucraine - utilizzino i nazisti locali, così come hanno fatto con gli estremisti islamici in Libia e Siria (e forse in Cecenia). A Washington i personaggi di punta per fare da ponte a simili manovre ci sono eccome: per tutti valgano Lev Dobriansky - antico importante collaboratore di Jaroslav Stetsko, uomo della Germania in Ucraina durante l’occupazione tedesca - che è stato ambasciatore degli Stati Uniti alle Bahamas, e sua figlia, Paula, addirittura sottosegretaria di Stato per la Democrazia (!) durante la presidenza di George W. Bush.