Considerazioni ed
esperienze dall’interno della scuola
“Se i governi privilegiano l’allevamento intensivo di
studenti consumabili sul mercato, allora i princìpi di una sana gestione
prescrivono di stivare nello spazio scolastico più ridotto la quantità massima
di teste modellabili dal numero minimo di personale possibile. Noi non vogliamo
più una scuola in cui si impara a sopravvivere disimparando a vivere”
(Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Piano B Edizioni)
Basterebbe questo
concetto del libero pensatore anarco-situazionista Vaneigem, per far capire
quale scuola di pensiero (aziendalista e neoliberista) costruisce la struttura
scolastica contemporanea, con gli pseudopedagogisti di regime, sincronizzati sull’orologio
del potere dominante, a dettare la legge imposta dai voleri del capitale.
Ci dice ancora
Vaneigem: “Nel dicembre del 1991, la
Commissione Europea ha pubblicato un memorandum sull’insegnamento superiore. Vi
si raccomandava alle Università di comportarsi come imprese sottoposte alle
regole concorrenziali del mercato. Lo stesso documento esprimeva l’auspicio che
gli studenti fossero trattati come clienti, incitati non ad apprendere ma a
consumare. I corsi diventavano così dei prodotti, mentre i termini “studenti” o
“studi” lasciavano il posto a espressioni più appropriate al nuovo
orientamento, come “capitale umano” e “mercato del lavoro”.
Nel settembre del
1993, la stessa commissione insisteva con un Libro verde sulla dimensione europea dell’educazione. Vi si
affermava che sin dalla scuola materna bisogna formare delle “risorse umane per
i bisogni esclusivi dell’industria” e favorire “una maggiore adattabilità di
comportamento in maniera da rispondere alla domanda del mercato della
manodopera”.
Ecco una
presentazione sintetica della scuola contemporanea, sottoposta alle leggi della
domanda e dell’offerta dove ognuno viene formato per potersi incasellare in un
ingranaggio costruito da altri, cioè da quel potere che ci vuole a sua immagine
e somiglianza: docili, mansueti, privi di senso critico, abituati ad obbedire,
a consumare e soprattutto a non pensare.
Bisognerebbe invece
insegnare l’autonomia e non la dipendenza, la responsabilità e non la cieca
obbedienza, l’autogestione responsabile e condivisa, la solidarietà tra pari e
non la competitività e la paura dell’altro.
Purtroppo,
obbedendo alle leggi di mercato e a un darwinismo sociale becero e distruttivo,
anche il sovraffollamento (voluto per legge) delle classi non aiuta.
Tale “intasamento”
delle classi non è solo causa di comportamenti barbari, di vandalismo, di
delinquenza, di noia, di disperazione, ma perpetua anche l’ignobile criterio
della competizione tra umani, la lotta concorrenziale che elimina chiunque non
si conformi alle esigenze del mercato. Il bruto arrivista prevale sull’essere
sensibile e generoso: ecco ciò che gli imbroglioni al potere definiscono
anch’essi, come i brillanti pensatori di un tempo, una “selezione naturale”.
La scuola non può
essere considerata avviamento al lavoro. Una scuola vera, libera e democratica
deve insegnare a vivere e a ognuno deve dare gli strumenti per diventare se
stesso, potendo tirar fuori (educare = ex ducere) il meglio della propria
personalità e delle proprie inclinazioni, imparando ad autoeducarsi nel
confronto costruttivo con la sua comunità, classe, gruppo…, sapendosi
autogestire con regole decise collettivamente e non calate dall’alto da chi lo
vorrebbe uguale a tutti gli altri.
L’educazione
non-coercitiva, libertaria e antiautoritaria, dovrebbe essere almeno uno
strumento conosciuto, analizzato e criticato intelligentemente e razionalmente
da tutti i miei colleghi. Invece non è conosciuto affatto e di argomenti di
questo tipo non si parla mai né tra colleghi, né tantomeno nelle noiose e
inique riunioni pomeridiane (collegi, consigli) dove la burocrazia e le
costrizioni economiche costringono a
eludere argomenti interessanti che potrebbero favorire il nostro modo di essere
veri educatori.
“Nessun ragazzo varca la soglia di una scuola senza
esporsi al rischio di perdersi: voglio dire di perdere questa vita esuberante
avida di conoscenze e di stupori, che sarebbe davvero esaltante nutrire, invece
di sterilizzarla e spingerla alla disperazione, sottomessa al noioso lavoro del
sapere astratto. Quale terribile riprova quegli sguardi così brillanti, spenti
di colpo! Il consenso generale stabilisce che, con ipocriti riguardi, saremo
imprigionati entro quattro mura, oppressi, colpevolizzati, giudicati, onorati,
puniti, umiliati, etichettati, manipolati, coccolati, violentati, consolati,
trattati come aborti che implorano aiuto e assistenza”
(Raoul Vaneigem)
Basta con una
scuola così disumana! Basta con una scuola che serve solo alla certezza di un
salario! Basta con la noia , la paura e il soffocamento dei desideri!
Dopo la mia
esperienza personale di due anni in una scuola della provincia di Ancona, che
dista circa 20 km
dalla mia città, ho avuto ampie conferme dell’idea per la quale mi batto da
tempo e che ho cercato di esporre nei precedenti articoli apparsi sul blog di
Utopia rossa: e cioè che la pedagogia democratica e antiautoritaria sia il miglior modo per
insegnare a vivere la propria vita con autostima, responsabilità, autonomia e
coscienza collettiva.
Il rapporto con i
miei alunni, infatti, è basato sulla condivisione delle regole, sulla
disponibilità verso gli altri e sulla soddisfazione dei propri desideri,
soprattutto quelli motori perché insegno educazione fisica. Chiedo
periodicamente il loro parere e il loro giudizio sul mio modo di rapportarmi
con loro e di essere educatore motorio, e ho con il tempo modificato il mio
agire in funzione di un miglior svolgimento delle lezioni, di un rapporto più
profondo e democratico con loro, di un migliore sfruttamento del tempo e dello
spazio concessomi dalla scuola.
Ebbene, posso dire
che la libertà funziona! Vivendo situazioni di gioco e di attività libere e
autodecise (con l’insegnante facilitatore) le lezioni sono prive di paure,
stress, inquietudini e complessi di colpa. I ragazzi e le ragazze gestiscono la
propria vita motoria potendo esaudire le loro aspirazioni e i loro desideri,
compreso il non far nulla o svolgere il ruolo di tutor di un determinato gruppo
di compagni, in quanto conoscitori più degli altri dello sport specifico in
questione.
L’integrazione
libera e autodeterminata con gli alunni diversamente abili, anche gravi, dà
risultati stupefacenti: senza l’obbligo esterno a “dover” fare, questi studenti
da soli funzionano meglio che nel rapporto con gli insegnanti di sostegno. Un
alunno mi ha detto: ”quando tu entri in classe a noi viene il sorriso sulle
labbra, siamo felici e ci dimentichiamo di tutte le ansie e le paure che
abbiamo! Sappiamo che passeremo l’ora più bella di tutta la mattinata.”
Se amare e voler
bene significa qualcosa, questo qualcosa è riassunto nei concetti di libertà e
felicità.
La realizzazione
dei propri desideri è qualcosa che migliora la vita e il benessere psicofisico:
è ora che anche i colleghi smettano di fare i carcerieri e diventino veramente educatori alla gioia di
vivere e di imparare.
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