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martedì 30 ottobre 2012

EDUCARE ALLA LIBERTÀ (V), di Alessandro Gigli


Considerazioni ed esperienze dall’interno della scuola

“Se i governi privilegiano l’allevamento intensivo di studenti consumabili sul mercato, allora i princìpi di una sana gestione prescrivono di stivare nello spazio scolastico più ridotto la quantità massima di teste modellabili dal numero minimo di personale possibile. Noi non vogliamo più una scuola in cui si impara a sopravvivere disimparando a vivere”
(Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti,  Piano B Edizioni)

Basterebbe questo concetto del libero pensatore anarco-situazionista Vaneigem, per far capire quale scuola di pensiero (aziendalista e neoliberista) costruisce la struttura scolastica contemporanea, con gli pseudopedagogisti di regime, sincronizzati sull’orologio del potere dominante, a dettare la legge imposta dai voleri del capitale.
Ci dice ancora Vaneigem: “Nel dicembre del 1991, la Commissione Europea ha pubblicato un memorandum sull’insegnamento superiore. Vi si raccomandava alle Università di comportarsi come imprese sottoposte alle regole concorrenziali del mercato. Lo stesso documento esprimeva l’auspicio che gli studenti fossero trattati come clienti, incitati non ad apprendere ma a consumare. I corsi diventavano così dei prodotti, mentre i termini “studenti” o “studi” lasciavano il posto a espressioni più appropriate al nuovo orientamento, come “capitale umano” e “mercato del lavoro”.
Nel settembre del 1993, la stessa commissione insisteva con un Libro verde sulla dimensione europea dell’educazione. Vi si affermava che sin dalla scuola materna bisogna formare delle “risorse umane per i bisogni esclusivi dell’industria” e favorire “una maggiore adattabilità di comportamento in maniera da rispondere alla domanda del mercato della manodopera”.
Ecco una presentazione sintetica della scuola contemporanea, sottoposta alle leggi della domanda e dell’offerta dove ognuno viene formato per potersi incasellare in un ingranaggio costruito da altri, cioè da quel potere che ci vuole a sua immagine e somiglianza: docili, mansueti, privi di senso critico, abituati ad obbedire, a consumare e soprattutto a non pensare.
Bisognerebbe invece insegnare l’autonomia e non la dipendenza, la responsabilità e non la cieca obbedienza, l’autogestione responsabile e condivisa, la solidarietà tra pari e non la competitività e la paura dell’altro.
Purtroppo, obbedendo alle leggi di mercato e a un darwinismo sociale becero e distruttivo, anche il sovraffollamento (voluto per legge) delle classi non aiuta.

Tale “intasamento” delle classi non è solo causa di comportamenti barbari, di vandalismo, di delinquenza, di noia, di disperazione, ma perpetua anche l’ignobile criterio della competizione tra umani, la lotta concorrenziale che elimina chiunque non si conformi alle esigenze del mercato. Il bruto arrivista prevale sull’essere sensibile e generoso: ecco ciò che gli imbroglioni al potere definiscono anch’essi, come i brillanti pensatori di un tempo, una “selezione naturale”.
La scuola non può essere considerata avviamento al lavoro. Una scuola vera, libera e democratica deve insegnare a vivere e a ognuno deve dare gli strumenti per diventare se stesso, potendo tirar fuori (educare = ex ducere) il meglio della propria personalità e delle proprie inclinazioni, imparando ad autoeducarsi nel confronto costruttivo con la sua comunità, classe, gruppo…, sapendosi autogestire con regole decise collettivamente e non calate dall’alto da chi lo vorrebbe uguale a tutti gli altri.

L’educazione non-coercitiva, libertaria e antiautoritaria, dovrebbe essere almeno uno strumento conosciuto, analizzato e criticato intelligentemente e razionalmente da tutti i miei colleghi. Invece non è conosciuto affatto e di argomenti di questo tipo non si parla mai né tra colleghi, né tantomeno nelle noiose e inique riunioni pomeridiane (collegi, consigli) dove la burocrazia e le costrizioni economiche  costringono a eludere argomenti interessanti che potrebbero favorire il nostro modo di essere veri educatori.
“Nessun ragazzo varca la soglia di una scuola senza esporsi al rischio di perdersi: voglio dire di perdere questa vita esuberante avida di conoscenze e di stupori, che sarebbe davvero esaltante nutrire, invece di sterilizzarla e spingerla alla disperazione, sottomessa al noioso lavoro del sapere astratto. Quale terribile riprova quegli sguardi così brillanti, spenti di colpo! Il consenso generale stabilisce che, con ipocriti riguardi, saremo imprigionati entro quattro mura, oppressi, colpevolizzati, giudicati, onorati, puniti, umiliati, etichettati, manipolati, coccolati, violentati, consolati, trattati come aborti che implorano aiuto e assistenza” (Raoul Vaneigem)
Basta con una scuola così disumana! Basta con una scuola che serve solo alla certezza di un salario! Basta con la noia , la paura e il soffocamento dei desideri!
Dopo la mia esperienza personale di due anni in una scuola della provincia di Ancona, che dista circa 20 km dalla mia città, ho avuto ampie conferme dell’idea per la quale mi batto da tempo e che ho cercato di esporre nei precedenti articoli apparsi sul blog di Utopia rossa: e cioè che la pedagogia democratica  e antiautoritaria sia il miglior modo per insegnare a vivere la propria vita con autostima, responsabilità, autonomia e coscienza collettiva.
Il rapporto con i miei alunni, infatti, è basato sulla condivisione delle regole, sulla disponibilità verso gli altri e sulla soddisfazione dei propri desideri, soprattutto quelli motori perché insegno educazione fisica. Chiedo periodicamente il loro parere e il loro giudizio sul mio modo di rapportarmi con loro e di essere educatore motorio, e ho con il tempo modificato il mio agire in funzione di un miglior svolgimento delle lezioni, di un rapporto più profondo e democratico con loro, di un migliore sfruttamento del tempo e dello spazio concessomi dalla scuola.
Ebbene, posso dire che la libertà funziona! Vivendo situazioni di gioco e di attività libere e autodecise (con l’insegnante facilitatore) le lezioni sono prive di paure, stress, inquietudini e complessi di colpa. I ragazzi e le ragazze gestiscono la propria vita motoria potendo esaudire le loro aspirazioni e i loro desideri, compreso il non far nulla o svolgere il ruolo di tutor di un determinato gruppo di compagni, in quanto conoscitori più degli altri dello sport specifico in questione.
L’integrazione libera e autodeterminata con gli alunni diversamente abili, anche gravi, dà risultati stupefacenti: senza l’obbligo esterno a “dover” fare, questi studenti da soli funzionano meglio che nel rapporto con gli insegnanti di sostegno. Un alunno mi ha detto: ”quando tu entri in classe a noi viene il sorriso sulle labbra, siamo felici e ci dimentichiamo di tutte le ansie e le paure che abbiamo! Sappiamo che passeremo l’ora più bella di tutta la mattinata.”
Se amare e voler bene significa qualcosa, questo qualcosa è riassunto nei concetti di libertà e felicità.
La realizzazione dei propri desideri è qualcosa che migliora la vita e il benessere psicofisico: è ora che anche i colleghi smettano di fare i carcerieri  e diventino veramente educatori alla gioia di vivere e di imparare.


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