CONTENUTI DEL BLOG
giovedì 24 dicembre 2020
O ESPIRITO DA REBELIÃO e outros contos em São Paulo
mercoledì 23 dicembre 2020
VENEZUELA, A VANISHING COUNTRY
BILINGUE: ENGLISH - ESPAÑOL
by Roberto Savio
To write about Venezuela has become extremely difficult. The country has become so polarized, that just two narratives are left. One, that the government has been so handicapped by the sanctions and other punitive measures introduced by the Trump’s administration, and its allies (over 50 countries, and the European Union), that the economy has been strangled, with a terrible social and economic impact. The other, that the government is in fact a dictatorship, who has made an administrative mess, has destroyed the economy and survives only thank to the support of the military, which has been corrupted by the government. Those are two oversimplifications, that we use for the sake of brevity. Let us try to look at things by a distance.
Venezuela just had two important and contradicting events. One, the election of the new parliament, deserted by the majority of the opposition, which claimed that they were fraudulent. The European Union, the US, and several other countries also took that position. The EU tried to mediate, offering to serve as an electoral observer, but the government did not accept a postponement, and the EU declared that they did not have the necessary time to prepare. The few observers who were there claim that the elections were fair, but all this is seen as part of the government game. The party in power got easily a large majority of the seats, and now the bulk of the opposition is out of the parliament because they did not run.
The opposition organized a counter consultation, in which citizens could express their views of the government by person, via Telegram, via web page, and via App. This also had the participation of the Venezuelan diaspora (according to the UN, five million people have left the country, out of a total population of 29 million). Citizens have expressed their rejection of the government, at an average of 99,9%.
lunedì 21 dicembre 2020
IL DIRITTO DI NON EMIGRARE
Se si confonde la costrizione a emigrare (l'impossibilità a vivere dove si è nati), con la libertà o il diritto di emigrare, si cancella dal proprio orizzonte mentale la possibilità di contribuire a rimuovere le cause che costringono a emigrare, generando sofferenze, aumentando le disparità tra popoli poveri e popoli ricchi, aggravando la crisi ambientale.
La povertà degli oltre 800 milioni di persone che soffrono la fame o la malnutrizione dovrebbe sollecitare i Paesi ricchi a mettere a disposizione di quei popoli “le conoscenze scientifiche e le tecnologie dei Paesi industrializzati non per indurli a imitare il loro modello economico e produttivo, ma per aiutarli a rendere più efficaci i modi, con cui, sulla base della propria storia e dei propri valori, ricavano dai luoghi in cui vivono ciò che ritengono necessario per vivere, per curarsi, per costruire le loro abitazioni, per ripararsi dagli effetti indesiderati del clima, governarsi, arricchire le conoscenze dei giovani ed educarli a diventare adulti”. In altre parole, aiutarli a casa propria evitando di cambiare la loro storia e la loro natura, evitando che criminali, al soldo di stati "canaglia"e di armatori delle navi, continuino a fare il loro sporco commercio di esseri umani in imbarcazioni precarie che attraversano il Mediterraneo e a volte affondano. Si stima che in quindici anni di traffico di migranti, hanno perso la vita, annegando, oltre trentamila esseri umani.
Rispondendo alla domanda di un giornalista, il cardinale Robert Sarah (nato in Guinea 74 anni fa) citando il suo libro - Si fa sera e il giorno ormai volge al declino, cap. 11 intitolato i nemici spietati - dice: “certo i flussi migratori sono sempre esistiti. La ricerca di una vita migliore o la fuga dalla povertà e dai conflitti armati non sono nuove… Alcuni affrontano rischi incredibili. Il prezzo da pagare è alto. L'Occidente viene presentato agli Africani come il paradiso terrestre. La fame, la violenza e la guerra possono spingere uomini e donne a rischiare la propria vita per raggiungere l'Europa. Come possiamo, però accettare che certi paesi siano privati di tanti loro figli? Queste nazioni come potranno svilupparsi se tanti lavoratori sceglieranno la via dell'esilio? Quali sono queste strane organizzazioni umanitarie che girano l'Africa per spingere giovani a fuggire promettendo loro una vita migliore in Europa? Sono forse le stesse che portano i grandi schermi televisivi nei villaggi di cui parla Berlusconi? Perché la morte, la schiavitù e lo sfruttamento sono così spesso il vero risultato dei viaggi dei miei fratelli africani verso un immaginario eldorado? Sono indignato da queste storie. Le organizzazioni mafiose degli scafisti devono essere eliminate con la massima risolutezza. Curiosamente esse restano del tutto impunite”.
Per aiutare realmente i popoli poveri a casa loro, i Paesi ricchi devono innanzitutto fare dei cambiamenti in casa propria. Devono smettere di fare guerre per controllare le fonti fossili di energia o i giacimenti di minerali strategici per il loro sviluppo; devono smettere di istigare i Paesi poveri a fare guerre tra loro per indebolirli e controllarli meglio, devono smettere di vendere armi ai Paesi e alla fazioni in guerra. Thomas Sankara sosteneva che “l'aiuto deve aiutare a eliminare l’aiuto”. Perchè se dell'aiuto i Paesi poveri hanno bisogno dai Paesi ricchi, questo non deve diventare sottomissione e dipendenza (e dunque abbandono del loro sistema di valori), accrescendo in tal modo i profitti di pochi a scapito degli equilibri ambientali e delle condizioni di vita di tutti gli altri. I Paesi che accolgono in maniera “disinteressata”, pensando di alleviare lo stato di miseria in cui versano molti dei migranti, trascurano che è libertà anche quella “di non emigrare” soltanto se si provasse a rimuovere le cause che non consentono di continuare a vivere nella terra di origine a chi vorrebbe continuare a farlo.
domenica 13 dicembre 2020
IL NEOSTALINISMO DI LOSURDO
Luiz
mercoledì 9 dicembre 2020
IN RICORDO DI PIERO SIMONDO
Riprendiamo dalla pagina Fb di Sandro Ricaldone questo post del 6 novembre che ci addolora profondamente. Avevamo incontrato Simondo ancora nel luglio di tre anni fa a Cosio per l'inaugurazione della Casa Museo dedicata a lui e, a parte i problemi uditivi, ci aveva per l'ennesima volta colpito per lo sguardo ironico e disincantato che ancora sapeva posare su un mondo (noi compresi) che a forza voleva imbalsamarlo negli angusti confini del mito. Come pochi altri ha saputo fino all'ultimo restare un uomo libero (Giorgio Amico).
di Sandro Ricaldone
Piero Simondo, il giovane uomo ritratto in questa foto del luglio 1957 (scattata da Ralph Rumney) a Cosio d'Arroscia, dove ospitava nella sua casa natale la riunione di artisti provenienti da diverse nazioni europee da cui nacque l'Internazionale situazionista, è scomparso questa notte a Torino, all'età di 92 anni.
Artista e animatore culturale infaticabile, prima dell'I.S. aveva fatto parte con Asger Jorn e Pinot Gallizio, con Elena Verrone (che sarebbe divenuta sua moglie) e Walter Olmo, del Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista e attraversato da protagonista l'avventura del Laboratorio sperimentale di Alba.
Dopo la rottura con Guy Debord, aveva fondato il C.I.R.A., un gruppo cooperativo partecipato da operai FIAT ma anche da figure di spicco della cultura torinese come il professor Francesco De Bartolomeis, che più tardi lo chiamerà all'Università, ad organizzare i Laboratori artistici della Facoltà di Magistero, non a caso definiti, anch'essi, "sperimentali". Qui, negli anni '90, nella sua veste di docente di Metodologia e Didattica degli Audiovisivi, si era impegnato sul fronte della produzione di contenuti digitali, stimolando i suoi allievi a creare startup in quest'ambito.
Autore di molteplici pubblicazioni, fra cui "Il colore dei colori" (La Nuova Italia, 1990) e "Guarda chi c'era, guarda chi c'è. L'infondata fondazione dell'Internazionale situazionista" (Ocra Press, 2004), ha proseguito sino allo scorso decennio la sua attività pittorica, avanzata per fasi diverse, dagli straordinari "Monotipi" degli anni '50 alle grandi "Topologie" del periodo successivo ai "Quadri Manifesto" realizzati negli anni '70; procedendo poi con i cicli, più recenti, delle "Ipocraquelures", degli "Ipofiltraggi" e dei "Nitroraschiati", in un lavoro costantemente orientato alla ricerca di esiti in qualche modo affrancati dall'intenzionalità dell'autore, in traccia di quell'"immagine imprevista", che dà il titolo al volume che accompagnava l'antologica allestita a Finalborgo nel 2011.
Una ricerca indipendente, fuori dagli schemi invalsi nelle correnti più note della contemporaneità, ma di grande rigore e respiro, sempre aliena da qualsiasi compromesso.
martedì 8 dicembre 2020
GUATEMALA: EL 2020 NO ES EL 2015
por Marcelo Colussi
El año 2015 marcó un momento importante en la dinámica política del país: numerosas movilizaciones populares abrieron paso a nuevas formas de participación, ayudando a mandar preso a un binomio presidencial acusado de cuantiosos actos corruptos. Independientemente que aquellas reuniones sabatinas sin proyecto político claro, consistentes en cantar el himno nacional no pasando de mostrar el descontento hacia la corrupción de la casta política en una plaza, puedan haber sido manipuladas por el proyecto estadounidense como laboratorio para impulsar luego la estrategia de lucha anticorrupción en Brasil y Argentina (sacándose así de encima gobiernos no alineados con Washington), sin dudas abrieron nuevos horizontes.
Producto de esas movilizaciones -urbanas y clasemedieras si se quiere, muy “tibiecitas” quizá, pero movilizaciones sociales al fin- comenzaron a pasar cosas importantes. Ese movimiento trajo la politización de sectores juveniles, hasta ese entonces desconectados de cuestiones sociales. Se conformaron nuevos actores políticos, y entre otra de las consecuencias, los estudiantes de la Universidad de San Carlos lograron recuperar la histórica AEU -Asociación de Estudiantes Universitarios-, desplazando a mafias corruptas allí enquistadas. Vistas a la distancia, si bien no había una propuesta articulada de cambio profundo, las movilizaciones del 2015 dejaron algo positivo.
No dejaron todo lo que hubiéramos querido, porque la sociedad y el contexto político no daba para más. Fue la primera vez, luego de años de apatía, que se veían protestas de ese calado (llegó a haber100,000 personas en la plaza en la ciudad de Guatemala). La guerra vivida, con sus secuelas de miedo y despolitización que aún hoy están presentes, más los planes de capitalismo salvaje (eufemísticamente llamado “neoliberalismo”), crearon un clima de silencio y desmovilización social enorme en todo el campo popular. El 2015 vino a romper -al menos en parte- esa quietud.
Ahora han pasado cinco años. En lo sustancial, nada ha cambiado en Guatemala. La pretendida lucha contra la corrupción, en buena medida impulsada como estrategia regional por el entonces gobierno demócrata de Barak Obama, fue desapareciendo. El llamado “Pacto de Corruptos” (empresarios, casta política, militares, mafias del crimen organizado) fue enseñoreándose y copando crecientemente las diversas estructuras del Estado, ocupando los tres poderes. Sus ramificaciones cubren los diversos espacios políticos del país, desde alcaldías hasta ministerios, desde el Congreso hasta juzgados. Las economías “calientes” (narcoactividad, contrabando, tráfico de personas, contratistas espurios con obras grises aborrecibles) ocupan ya un 10% del producto bruto interno, con importante presencia en la población, generando diversos puestos de trabajo y clientelismo.