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giovedì 24 dicembre 2020

O ESPIRITO DA REBELIÃO e outros contos em São Paulo

de Carlos Pronzato

novo livro de contos:
 
    O ESPÍRITO DA REBELIÃO
              e outros contos em São Paulo


   De início o autor consegue descrever com interesse a desinteressante rotina de um personagem destituído de carisma - na sua própria definição. Mas se a vida do Odair era de uma mesmice de dar dó, Carlos Pronzato lhe arranjou um final desconcertante.
   O espírito da rebelião faz lembrar Júlio Cortázar, quando dizia que o conto tem de vencer o leitor por nocaute, terminando como um improviso de jazz ou uma sinfonia de Mozart. Provavelmente, é o mais bem realizado de todos. Poesia sem fim também é construído com segurança e tem um final surpreendente. Em Flor de Pequim o autor não deixa a peteca cair. Com um bastidor do bairro da Liberdade, o painel paulistano é enriquecido.

(PREFÁCIO de Antônio Torres
membro da Academia Brasileira de Letras) 

   O Espírito da Rebelião e outros contos em São Paulo é um recorte pessoal do universo infinito da matéria bruta que uma cidade como São Paulo pode oferecer à literatura. Estas páginas são apenas uma tentativa de apreender a atmosfera de uma cidade que congrega todos os tipos imagináveis - e inimagináveis - de indivíduos que lutam dia a dia pela sua sobrevivência e, na gigantesca selva de cimento e pedra, por dar asas aos seus sonhos. Sonhar com eles e com quem leia estes contos é o intuito deste livro. 
 
(extrato da INTRODUÇÃO do autor)



Sobre o autor
Carlos Pronzato é poeta, escritor, diretor teatral e cineasta/documentarista argentino/brasileiro. Suas obras audiovisuais e literárias destacam-se pelo compromisso com a cultura, a memória e as lutas populares. Dirigiu mais de 70 documentários e publicou em torno de 30 livros, dentre os quais:  Che, um Poema Guerrilheiro; Poesias sem licença para Carlos Marighella; Poesias contra o Império; Poemas sem Terra; Canudos não se rendeu, poesias; Jorge Amado no elevador e outras contos na Bahia; O Milagre da luz e outros contos em Trastevere, Roma, etc.  Entre outras importantes distinções recebeu, em 2008, o prêmio da CLACSO (Conselho Latino-americano de Ciências Sociais); em 2009, na Itália, o prêmio Roberto Rossellini; em 2018, o Prêmio Liberdade de Imprensa, no Rio de Janeiro; em 2019 o Prêmio de Melhor filme no Festival de Cataguases, MG, pelo documentário Lama, o crime Vale no Brasil, a tragédia de Brumadinho e em 2020 o Prêmio de Direitos Humanos de Jornalismo na categoria documentário.
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mercoledì 23 dicembre 2020

VENEZUELA, A VANISHING COUNTRY

BILINGUE: ENGLISH - ESPAÑOL  

by Roberto Savio

To write about Venezuela has become extremely difficult. The country has become so polarized, that just two narratives are left. One, that the government has been so handicapped by the sanctions and other punitive measures introduced by the Trump’s administration, and its allies (over 50 countries, and the European Union), that the economy has been strangled, with a terrible social and economic impact. The other, that the government is in fact a dictatorship, who has made an administrative mess, has destroyed the economy and survives only thank to the support of the military, which has been corrupted by the government. Those are two oversimplifications, that we use for the sake of brevity. Let us try to look at things by a distance.

Venezuela just had two important and contradicting events. One, the election of the new parliament, deserted by the majority of the opposition, which claimed that they were fraudulent. The European Union, the US, and several other countries also took that position. The EU tried to mediate, offering to serve as an electoral observer, but the government did not accept a postponement, and the EU declared that they did not have the necessary time to prepare. The few observers who were there claim that the elections were fair, but all this is seen as part of the government game. The party in power got easily a large majority of the seats, and now the bulk of the opposition is out of the parliament because they did not run.

The opposition organized a counter consultation, in which citizens could express their views of the government by person, via Telegram, via web page, and via App. This also had the participation of the Venezuelan diaspora (according to the UN, five million people have left the country, out of a total population of 29 million). Citizens have expressed their rejection of the government, at an average of 99,9%.

lunedì 21 dicembre 2020

IL DIRITTO DI NON EMIGRARE

di Antonio Marchi


Ne ho tanto parlato e scritto assieme a Roberto Massari (articoli su Utopia rossa), sono intervenuto più volte a Radio 3 nella trasmissione «Prima pagina", ma niente: il tema dei migranti finiva o in fondo al mare o nelle stive delle ong, o nei respingimenti. Un continuo e ossessivo lamento. Uno stracciarsi le vesti per i morti in mare e la polemica sulle ong e i decreti sicurezza, e l'Europa che non fa la sua parte… a tal punto che mi arrabbiavo e basta. Dicevo: ma è possibile che non si capisca che il problema erano e sono gli imbarchi e non gli sbarchi? Scrivevo con ferocia:
"Ricomincia la danza macabra dei salvataggi da parte delle ong. Incuranti del Covid, si sono sostituite agli Stati nel mare cimitero dell'accoglienza. Oltre la stupida pietà finale, oltre la vita che cade nelle mani di cacciatori di taglie, oltre alla libertà, oltre alla dignità, si ergono a paladini dell'accoglienza, a salvatori del naufrago. Mettono in mostra i corpi morti dei fratelli di miseria per un dollaro di carità. Sono corvi. Da sempre il mare nero della democrazia con troppi padroni e servi, appalta i suoi servizi agli sbirri del sistema. L'io individuale che si ribella è solo un salto di violenza, un cinico fucile per fermare la roba a rischio di perdita. Urlo alla loro beneficente ipocrisia, urlo a me stesso incapace di tacere. L'urlo si perde nella fatica quotidiana, nella perdita dell'ultimo desiderio".
Finalmente arriva un libro che "detta legge" e fa chiarezza su tutto. Dopo averlo letto (Il diritto di non emigrare, edizioni Lindau) mi è sembrato di uscire da un tormento che da anni mi assilla sulle ragioni e sui complessi motivi che spingono milioni di persone a lasciare i loro paesi per emigrare in Italia o in Europa (e tante volte annegare nel mar Mediterraneo). Ora, mi spetta il compito di provare a raccontarlo per farlo conoscere a chi, senza se e senza ma, "salvare tutti è un dovere". Raccontarlo è già un'impresa e dato che ho sempre guardato con sospetto alle recensioni che compaiono sui giornali e a coloro che le stilano solo per fare pubblicità al libro, stabilisco subito che la mia è una non recensione. Pur sapendo di non esserne all'altezza, il mio tentativo è in partenza arduo perché è quasi impossibile riassumere tutto quello che c'è dentro e dunque l'invito è che bisogna leggerlo e rileggerlo per comprenderne tutta la sua efficacia: smonta la favola bella del migrante che scappa dalla sua terra per scelta alla ricerca dell'eldorado Italia o  Europa.
Lui non scappa, ma è fatto scappare non solo per colpa delle guerre, della repressione, della miseria… ma anche per colpa della truffa criminale di chi specula, di chi lusinga, di chi promette, di chi fa lo sporco mestiere dello scafista e imbarca depredandolo e minacciandolo di morte quando esita a partire o ha ripensamenti.
Maurizio Pallante lo spiega bene In ogni sua pagina. Descrive la complessità dei problemi posti dalle migrazioni, la gestione dell'emergenza, la contrapposizione tra accoglienza e respingimento; perché aiutare le persone in pericolo di vita è un obbligo morale prima ancora che giuridico, ma la solidarietà che non consente di ignorare le sofferenze, non ne elimina le cause.
"Le sofferenze generate dalle migrazioni si riducono solo se si riducono i flussi migratori".                                                                      Chi sostiene che tutti hanno diritto a emigrare e vanno in loro soccorso non tengono in considerazione che dalla seconda metà del '700 le migrazioni sono state e continuano ad essere un'esigenza del modo di produzione capitalistico industriale, e non una libera scelta per uscire dalla miseria. "La vera solidarietà con chi è costretto a emigrare non si manifesta limitandosi a sostenere la libertà di farlo e la sua accoglienza sempre e comunque, ma anche, e soprattutto, impegnandosi politicamente a eliminare, o quantomeno a ridurre, le cause che lo costringono a farlo".
 I flussi migratori il più delle volte costituiscono un'opportunità perchè consentono ai popoli di interagire tra loro, scambiarsi esperienze, arricchire le loro conoscenze e progredire. Se in passato le migrazioni si giustificavano per l'esigenza di conquista dei popoli di altri territori - da sfruttare economicamente, sottomettendo o sterminando i precedenti abitanti, o costringendoli ad emigrare - gli attuali flussi migratori verso i paesi ricchi sono causati dall'esigenza di quest'ultimi di impadronirsi  delle materie prime delle risorse energetiche esistenti nei territori dei paesi poveri per sostenere la propria crescita economica.  Questi (Paesi) predatori per appropriarsi delle ricchezze agiscono “con la violenza, l'inganno, la corruzione, la devastazione ambientale, costringendo le popolazioni povere ad abbandonare i loro Paesi con la speranza di trovare nuove opportunità di vita andando ad incrementare il numero dei produttori/consumatori di merci di cui le economie dei Paesi ricchi hanno bisogno per continuare a prosperare”. 
Perciò, le migrazioni attuali “sono la forma del dominio dei ricchi sui poveri e dei forti sui deboli nell'epoca storica della globalizzazione”. Un'egemonia capitalistico-culturale esercitata dalle società occidentali nei confronti dei Paesi africani e asiatici, che li induce a disprezzare la loro storia, a omologarsi ai valori dei paesi ricchi a suscitare il desiderio di emigrare.


Se si confonde la costrizione a emigrare (l'impossibilità a vivere dove si è nati), con la libertà o il diritto di emigrare, si cancella dal proprio orizzonte mentale la possibilità di contribuire a rimuovere le cause che costringono a emigrare, generando sofferenze, aumentando le disparità tra popoli poveri e popoli ricchi, aggravando la crisi ambientale.

La povertà degli oltre 800 milioni di persone che soffrono la fame o la malnutrizione dovrebbe sollecitare i Paesi ricchi a mettere a disposizione di quei popoli “le conoscenze scientifiche e le tecnologie dei Paesi industrializzati non per indurli a imitare il loro modello economico e produttivo, ma per aiutarli a rendere più efficaci i modi, con cui, sulla base della propria storia e dei propri valori, ricavano dai luoghi in cui vivono ciò che ritengono necessario per vivere, per curarsi, per costruire le loro abitazioni, per ripararsi dagli effetti indesiderati del clima, governarsi, arricchire le conoscenze dei giovani ed educarli a diventare adulti”. In altre parole, aiutarli a casa propria evitando di cambiare la loro storia e la loro natura, evitando che criminali, al soldo di stati "canaglia"e di armatori delle navi, continuino a fare il loro sporco commercio di esseri umani in imbarcazioni precarie che attraversano il Mediterraneo e a volte affondano.   Si stima che in quindici anni di traffico di migranti, hanno perso la vita, annegando, oltre trentamila esseri umani.

Rispondendo alla domanda di un giornalista, il cardinale Robert Sarah (nato in Guinea 74 anni fa) citando il suo libro - Si fa sera e il giorno ormai volge al declino, cap. 11 intitolato i nemici spietati - dice: “certo i flussi migratori sono sempre esistiti. La ricerca di una vita migliore o la fuga dalla povertà e dai conflitti armati non sono nuove… Alcuni affrontano rischi incredibili. Il prezzo da pagare è alto. L'Occidente viene presentato agli Africani come il paradiso terrestre.  La fame, la violenza e la guerra possono spingere uomini e donne a rischiare la propria vita per raggiungere l'Europa. Come possiamo, però accettare che certi paesi siano privati di tanti loro figli? Queste nazioni come potranno svilupparsi se tanti lavoratori sceglieranno la via dell'esilio? Quali sono queste strane organizzazioni umanitarie che girano l'Africa per spingere giovani a fuggire promettendo loro una vita migliore in Europa?  Sono forse le stesse che portano i grandi schermi televisivi nei villaggi di cui parla Berlusconi? Perché la morte, la schiavitù e lo sfruttamento sono così spesso il vero risultato dei viaggi dei miei fratelli africani verso un immaginario eldorado? Sono indignato da queste storie. Le organizzazioni mafiose degli scafisti devono essere eliminate con la massima risolutezza. Curiosamente esse restano del tutto impunite”. 

Per aiutare realmente i popoli poveri a casa loro, i Paesi ricchi devono innanzitutto fare dei cambiamenti in casa propria.  Devono smettere di fare guerre per controllare le fonti fossili  di energia o i giacimenti di minerali strategici per il loro sviluppo; devono smettere di istigare i Paesi poveri a fare guerre tra loro per indebolirli  e controllarli meglio, devono smettere di vendere armi ai Paesi e alla fazioni in guerra.  Thomas Sankara sosteneva che “l'aiuto deve aiutare a eliminare l’aiuto”.  Perchè se dell'aiuto i Paesi poveri hanno bisogno dai Paesi ricchi, questo non deve diventare sottomissione e dipendenza (e dunque abbandono del loro sistema di valori), accrescendo in tal modo i profitti di pochi a scapito degli equilibri ambientali e delle condizioni di vita di tutti gli altri.  I Paesi che accolgono in maniera “disinteressata”,  pensando di alleviare lo stato di miseria in cui versano molti dei migranti, trascurano che è libertà anche quella “di non emigrare” soltanto se si provasse a  rimuovere le cause che non consentono di continuare a vivere nella terra di origine a chi vorrebbe continuare a farlo.



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domenica 13 dicembre 2020

IL NEOSTALINISMO DI LOSURDO

(L.B. Pericás-R. Massari)

Roberto,
   Queria saber sua opinião sobre o Domenico Losurdo.  Aqui no Brasil está surgindo uma «moda» neostalinista entre os jovens, algo muito estranho.  E eles estão lendo e exaltando o Losurdo.  É uma espécie de novo ídolo deles... Não gosto dos livros dele... E acho que ele defendia vários aspectos do Stálin, o que é algo bastante ruim... Mas há «youtubers» de «esquerda» que divulgam, promovem e elogiam o Losurdo e o Stálin.  E vários estudantes universitários estão entrando nessa onda.  Gostaria de saber o que você acha do Losurdo e de sua obra.  Só por curiosidade mesmo. 
Luiz [Bernardo Pericás] 

Luiz,
  rispondere in forma documentata è impossibile perché Losurdo (morto nel 2018) ha scritto decine e decine di libri su molti temi di filosofia astratta ed è stato molto noto negli ambienti accademici.
Fu hegeliano, heideggeriano e tutte le cose peggiori che io considero incompatibili col marxismo. Se hai letto il capitolo dedicato all’hegelismo di Lenin (nel mio libro su Lenin e l'Antirivoluzione russa che ti mandai in Pdf) dovresti avere abbastanza strumenti teorici per stabilire che Losurdo fu marxista tanto quanto Stalin o Mao: cioè la negazione totale del materialismo storico.
Il fatto è che lui in Italia aveva un seguito politico dentro Rifondazione e poi nel Partito dei comunisti italiani. Per cui quando scrisse il libro su Stalin (2008) tutti i vecchi nostalgici dello stalinismo dissero che il libro ristabiliva la verità su Stalin, senza però riabilitarlo.
False tutte e due le cose:
1) Il libro non ristabiliva alcuna veri sul piano della documentazione storica, non citava nemmeno le grandi ricerche su Stalin che sono state fatte nel Novecento, dimostrando di non aver fatto alcuna seria ricerca personale. In realtà stava utilizzando apertamente (citando e copiando) o implicitamente il peggior libro di rivalutazione di Stalin nel Novecento scritto in fiammingo dal belga Ludo Martens che nella traduzione francese si intitolava Un autre regard sur Staline (1994).
A casa io ho l’edizione italiana di Martens (Zambon 2005) e ricordo che quando lo lessi (15 anni fa) rimasi colpito dall’ignoranza dell’autore: il libro era un continuo processo alle intenzioni di Trotsky, di Bucharin ecc, senza mai fornire le prove storiche. Si vedeva facilmente che Martens non aveva mai fatto i conti con le grandi opere che esistono sulla Rivoluzione russa. È probabile che non le avesse mai lette, perché citava quasi solo fonti di matrice staliniana o giustificazionistica.
Quindi puoi dire che Losurdo non fece alcuna ricerca seria personale, ma si affidò molto al libro di grossolana ignoranza scritto da Martens.
2) Losurdo tentò di riabilitare Stalin. Certo, non alla maniera dello stalinismo storico, quando si diceva che Stalin non avesse alcuna colpa. Ma alla maniera del revisionismo postchrusceviano (Losurdo usò questo concetto anacronistico). Come dire, cioè, che Stalin nonostante gli errori difese e continuò la Rivoluzione russa. 

A questo punto però le nostre due strade, caro Luiz, forse si separano, perché io ritengo che l’unica Rivoluzione russa avvenuta storicamente fu quella da febbraio a dicembre del 1917. Il tentativo di proseguirla - la cosiddetta «Terza rivoluzione russa» - fu soffocato nel sangue a Kronštadt nel 1921. La casta burocratica che ha insanguinato la vita del popolo russo e ha fatto lavorare come schiavi milioni di persone (dentro e fuori del Gulag) non ha avuto niente a che vedere col comunismo o col marxismo. È stata un’escrescenza storica, scomparsa com’era giusto che fosse, anche se purtroppo un po’ troppo tardi.
Io credo ancora che da febbraio a dicembre 1917 si sia verificata l’unica vera risoluzione socialista della storia che però, sotto la guida di Lenin, Trotsky e i bolscevichi si trasformò in un’Antirivoluzione, contro i soviet, ma soprattutto contro i Comitati di fabbrica e contro i Socialrivoluzionari che nei soviet avevano la maggioranza.
Spero che tu rifletta su questo concetto al quale ho dedicato un grande lavoro che consente di capire tutto lo sviluppo storico successivo, compresa la vittoria e la permanenza dello stalinismo, l’alleanza con Hitler, la divisone del mondo a Jalta.
Se invece ti metti a rivendicare la natura comunista del bolscevismo, finisci col fare il gioco degli staliniani e di stalinoidi come Losurdo. Perché costoro possono dimostrarti facilmente che ci fu una continuità tra i provvedimenti antisoviettisti e antioperai di Lenin e l’uso che ne fecero gli epigoni.
Se ti sei perso il mio libro sull’Antirivoluzione russa, te lo rimando.
Concludo dicendo che avendo speso tutta la mia vita politica a combattere contro lo stalinismo, sono arrivato da alcuni decenni a considerare gli attuali neostaliniani come persone affette da disturbi mentali. Non vale la pena di polemizzare con loro, così come con i neonazisti. Oggigiorno ci sono ben altri problemi e ben altre ragioni per porre fine al capitalismo, senza ripetere le formulette liturgiche del passato. Pensa solo alla necessità di salvare la Terra dal degrado non solo climatico: un dramma per il quale è difficile stabilire quanta responsabilità abbia il capitalismo, ma nella certezza che proprio il capitalismo non è in grado di salvare la Terra. Anche per questo andrebbe eliminato dalla faccia del pianeta.
Ciao
Roberto [Massari]

Roberto,
  de fato, o livro de Ludo Martens é bem ruim.  É realmente impressionante essa nova onda neostalinista.  O fim da picada.  Recentemente, o cantor Caetano Veloso, influenciado por um «youtube» neostalinista, começou a ler e admirar o Losurdo.  Isso virou assunto por aqui.  Com todos os problemas pelos quais estamos passando, do coronavírus a Bolsonaro, as pessoas perdem o tempo para discutir Caetano e Losurdo.  Nas universidades e na internet, grupelhos de trotskistas e neostalinistas debatem acaloradamente.  Uma perda de tempo e um sinal de atraso político.  E mental.  A esquerda brasileira anda muito mal mesmo…
Tenho seu livro sobre a revolução russa.  Vou dar uma nova olhada nele.  Se você conseguir vir ao Brasil no ano que vem, me avise.  Aparentemente o evento sobre Trotsky está confirmado para o segundo semestre de 2021.  Estou pensando em participar, quem sabe para falar sobre o Che e Trotsky.  Podemos montar uma mesa juntos.  É isso.  Vai mandando notícias.  E obrigado pelas informações!

Luiz   



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mercoledì 9 dicembre 2020

IN RICORDO DI PIERO SIMONDO

Riprendiamo dalla pagina Fb di Sandro Ricaldone questo post del 6 novembre che ci addolora profondamente. Avevamo incontrato Simondo ancora nel luglio di tre anni fa a Cosio per l'inaugurazione della Casa Museo dedicata a lui e, a parte i problemi uditivi, ci aveva per l'ennesima volta colpito per lo sguardo ironico e disincantato che ancora sapeva posare su un mondo (noi compresi) che a forza voleva imbalsamarlo negli angusti confini del mito. Come pochi altri ha saputo fino all'ultimo restare un uomo libero (Giorgio Amico).


Mi associo al dolore di Sandro Ricaldone, di Giorgio Amico, di Antonio Marchi e di tutti coloro che, avendo conosciuto Piero Simondo, avvertono il signficato simbolico della sua morte. Personalmente ebbi con lui uno «scontro» verbale in pubblico, a Cosio dArroscia nel 2007 (50° della fondazione dellInternazionale situazionista), per ribattere alla sua affermazione che l'IS non era mai veramente esistita, benché la fondazione fosse avvenuta proprio in casa sua. Un punto di vista discutibile, ma su cui riflettere, nella speranza che qualcosa del «situazionismo» continui a vivere, magari anche solo nel profondo di alcuni di noi (Roberto Massari).





di Sandro Ricaldone


Piero Simondo, il giovane uomo ritratto in questa foto del luglio 1957 (scattata da Ralph Rumney) a Cosio d'Arroscia, dove ospitava nella sua casa natale la riunione di artisti provenienti da diverse nazioni europee da cui nacque l'Internazionale situazionista, è scomparso questa notte a Torino, all'età di 92 anni.

Artista e animatore culturale infaticabile, prima dell'I.S. aveva fatto parte con Asger Jorn e Pinot Gallizio, con Elena Verrone (che sarebbe divenuta sua moglie) e Walter Olmo, del Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista e attraversato da protagonista l'avventura del Laboratorio sperimentale di Alba.

Dopo la rottura con Guy Debord, aveva fondato il C.I.R.A., un gruppo cooperativo partecipato da operai FIAT ma anche da figure di spicco della cultura torinese come il professor Francesco De Bartolomeis, che più tardi lo chiamerà all'Università, ad organizzare i Laboratori artistici della Facoltà di Magistero, non a caso definiti, anch'essi, "sperimentali". Qui, negli anni '90, nella sua veste di docente di Metodologia e Didattica degli Audiovisivi, si era impegnato sul fronte della produzione di contenuti digitali, stimolando i suoi allievi a creare startup in quest'ambito.

Autore di molteplici pubblicazioni, fra cui "Il colore dei colori" (La Nuova Italia, 1990) e "Guarda chi c'era, guarda chi c'è. L'infondata fondazione dell'Internazionale situazionista" (Ocra Press, 2004), ha proseguito sino allo scorso decennio la sua attività pittorica, avanzata per fasi diverse, dagli straordinari "Monotipi" degli anni '50 alle grandi "Topologie" del periodo successivo ai "Quadri Manifesto" realizzati negli anni '70; procedendo poi con i cicli, più recenti, delle "Ipocraquelures", degli "Ipofiltraggi" e dei "Nitroraschiati", in un lavoro costantemente orientato alla ricerca di esiti in qualche modo affrancati dall'intenzionalità dell'autore, in traccia di quell'"immagine imprevista", che dà il titolo al volume che accompagnava l'antologica allestita a Finalborgo nel 2011.

Una ricerca indipendente, fuori dagli schemi invalsi nelle correnti più note della contemporaneità, ma di grande rigore e respiro, sempre aliena da qualsiasi compromesso.




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martedì 8 dicembre 2020

GUATEMALA: EL 2020 NO ES EL 2015

por Marcelo Colussi

 

El año 2015 marcó un momento importante en la dinámica política del país: numerosas movilizaciones populares abrieron paso a nuevas formas de participación, ayudando a mandar preso a un binomio presidencial acusado de cuantiosos actos corruptos. Independientemente que aquellas reuniones sabatinas sin proyecto político claro, consistentes en cantar el himno nacional no pasando de mostrar el descontento hacia la corrupción de la casta política en una plaza, puedan haber sido manipuladas por el proyecto estadounidense como laboratorio para impulsar luego la estrategia de lucha anticorrupción en Brasil y Argentina (sacándose así de encima gobiernos no alineados con Washington), sin dudas abrieron nuevos horizontes.

Producto de esas movilizaciones -urbanas y clasemedieras si se quiere, muy “tibiecitas” quizá, pero movilizaciones sociales al fin- comenzaron a pasar cosas importantes. Ese movimiento trajo la politización de sectores juveniles, hasta ese entonces desconectados de cuestiones sociales. Se conformaron nuevos actores políticos, y entre otra de las consecuencias, los estudiantes de la Universidad de San Carlos lograron recuperar la histórica AEU -Asociación de Estudiantes Universitarios-, desplazando a mafias corruptas allí enquistadas. Vistas a la distancia, si bien no había una propuesta articulada de cambio profundo, las movilizaciones del 2015 dejaron algo positivo.

No dejaron todo lo que hubiéramos querido, porque la sociedad y el contexto político no daba para más. Fue la primera vez, luego de años de apatía, que se veían protestas de ese calado (llegó a haber100,000 personas en la plaza en la ciudad de Guatemala). La guerra vivida, con sus secuelas de miedo y despolitización que aún hoy están presentes, más los planes de capitalismo salvaje (eufemísticamente llamado “neoliberalismo”), crearon un clima de silencio y desmovilización social enorme en todo el campo popular. El 2015 vino a romper -al menos en parte- esa quietud.

Ahora han pasado cinco años. En lo sustancial, nada ha cambiado en Guatemala. La pretendida lucha contra la corrupción, en buena medida impulsada como estrategia regional por el entonces gobierno demócrata de Barak Obama, fue desapareciendo. El llamado “Pacto de Corruptos” (empresarios, casta política, militares, mafias del crimen organizado) fue enseñoreándose y copando crecientemente las diversas estructuras del Estado, ocupando los tres poderes. Sus ramificaciones cubren los diversos espacios políticos del país, desde alcaldías hasta ministerios, desde el Congreso hasta juzgados. Las economías “calientes” (narcoactividad, contrabando, tráfico de personas, contratistas espurios con obras grises aborrecibles) ocupan ya un 10% del producto bruto interno, con importante presencia en la población, generando diversos puestos de trabajo y clientelismo.