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domenica 29 novembre 2020

G20, MILLIONS OF NEW POOR ARE ON THE WAY - WHO CARES?

ENGLISH - ITALIANO

By Roberto Savio

The recent meeting of the G20 – scheduled to take place in Riyadh but held virtually due to the Coronavirus pandemic – has been an eloquent example of how the world is drifting, in a crisis of leadership. It was, in a sense, a showcase. Everybody had to accept the view that the host of the meeting, the ailing King Salman of Saudi Arabia, was accompanied on TV screens by his apparent heir, Prince Mohamed bin Salman, who is clearly the mastermind of the brutal assassination, dismembering and disappearance of the body of dissident Saudi journalist Jamal Khashoggi.

Mohamed bin Salman got away with it, also because of the support of Donald Trump who, in his video intervention said, among other pearls, that nobody in US history had done as much as he had for the environment (like when he said that nobody since Abraham Lincoln had done as much as he had for black Americans). After that, Trump promptly left for his golf course, and ignored the debate.

Raison d’état, realpolitik, diplomatic constraints have always been part of history. The fact that the G20 was virtual, can partly hide a fact: that politicians now accept the most preposterous statements without blinking, because everything has become acceptable and legitimate.In Saudi Arabia, Prince bin Salman is highly popular and in the US, those who live in the parallel world of Trumpland follow blindly.

mercoledì 25 novembre 2020

UNA PROSPETTIVA DI LOTTA DENTRO E OLTRE LA PANDEMIA

di Michele Nobile 

Siamo nel mezzo della seconda onda di Covid-19, ancor più prevedibile e (almeno in parte) nei suoi peggiori effetti ancor più prevenibile della prima: 15.815 morti in più tra il 1 settembre e il 24 novembre, senza contare le conseguenze per tanti malati. Ancora: da 270 mila contagiati a oltre 1,4 milioni (+429%), da 107 a 3816 ricoverati in terapia intensiva (+3466%). Altro che influenza! Dobbiamo ringraziare il favore fatto all’industria del turismo e del divertimentificio durante l’estate e poi i colpevoli ritardi nel sospendere subito quel che andava sospeso: entro metà settembre nelle regioni centrali e meridionali. 

Ai drammi dell’ansia, della malattia e della morte, la crisi economica e le misure di contenimento dell’epidemia aggiungono quelli conseguenti dall’incertezza del posto di lavoro, della disoccupazione, della caduta del reddito, col rischio crescente che l’aggravarsi dei problemi sociali ed economici venga strumentalmente utilizzato per indebolire la lotta contro l’epidemia. I tardivi e inadeguati Dpcm possono sospendere attività economiche, educative, ricreative e restringere la libertà di movimento, ma non sospendono le contraddizioni che travagliano la società. Anzi, le evidenziano, le intensificano, ne aggiungono di nuove. 


Dentro questa congiuntura si possono e si devono porre questioni di più ampio respiro, perché gran parte dell’impatto della pandemia - sia sanitario sia socioeconomico - è risultato di decenni di smantellamento dei diritti sociali ed economici, di tagli della spesa sociale, d’investimenti non fatti. Non è difficile puntare il dito contro i partiti che hanno governato il Paese negli ultimi decenni. Ancor più facile è portare sul banco degli imputati centrodestra e Lega nord per le controriforme della sanità varate in Lombardia e per la lottizzazione partitica della direzione della sanità regionale. 

Tuttavia, proprio dal carattere inedito della crisi pandemica scaturisce un problema per l’opposizione antagonistica e per i movimenti sociali spontanei: come combinare coerentemente la lotta per adeguate misure di salute pubblica con quella per misure necessarie a fronteggiare la crisi sociale ed economica? Conciliare occupazione e salute non è mai stato facile, ma ora è ancor più difficile a causa della simultanea gravità sia della crisi sanitaria sia di quella socioeconomica. Il rischio che vedo emergere è che, nonostante le intenzioni, l’opposizione sociale interiorizzi nella propria pratica la contraddizione interna al capitalismo tra salute e lavoro. La fonte di questo rischio politico è la sottovalutazione della pericolosità e delle dinamiche dell’epidemia di Covid-19. Non è mia pretesa indicare specifici obiettivi di lotta: questo è compito di chi è interessato in prima persona. Si può però delineare una logica politica complessiva entro la quale potrebbero muoversi i movimenti sociali d’opposizione nel contesto della situazione pandemica.

martedì 24 novembre 2020

IL LAGO TRASIMENO: MALATO TERMINALE

di Maurizio Fratta

Foto dell'autore
Con un diametro medio di circa 12 chilometri, una superficie di circa 124 Km quadrati ed una profondità media di circa 4,5 metri, il lago Trasimeno si distingue marcatamente dagli altri laghi dell'Italia centrale.
Quando, in una situazione di normalità, il livello delle acque raggiunge lo zero idrometrico di 257,5 metri sul livello del mare, per comprenderne la morfologia ed apprezzarne la tipicità di assai raro ed esteso lago laminare , occorre ridurne mentalmente mille volte le dimensioni reali .
Come ha scritto Guido Cantarelli nel bel saggio "Addio al Trasimeno", pubblicato per la rivista Diomede, "ecco allora apparire ai nostri occhi una lama d’acqua circolare del diametro di 12 metri e dello spessore di 4,5 millimetri".
Una sottilissima "pozzanghera" che, tra periodi di siccità e periodiche inondazioni, ha resistito per millenni all'evaporazione naturale ed il cui equilibrio, pur nelle contese tra interessi contrapposti, ha reso possibile la vita delle popolazioni che nel corso dei secoli ne hanno abitato il territorio . 
Se prima i Romani, poi nel 1422 Braccio da Montone e successivamente, nella seconda metà del Cinquecento, Sisto V tentarono di far abbassare il livello del lago a causa della insalubrità delle sue sponde, a metà dell'Ottocento il Trasimeno rischiò addirittura di sparire quando proprietari terrieri ne proposero il prosciugamento.
Foto dell'autore
Liberate dalle acque di un bacino la cui abbondanza di pesce era fonte di reddito per centinaia di famiglie di pescatori, le terre diventavano ora disponibili per la cerealicoltura e gli appetiti dei possidenti .
Fu il senatore Guido Pompilj che riuscì a raggiungere un accordo tra le fazioni in lotta con la creazione di un canale artificiale: il lago fu salvato, non la sua capacità di trattenere l'acqua negli anni di siccità.
Nella seconda metà del Novecento la scarsità di precipitazioni, gli impaludamenti, le occupazioni delle rive naturali per le coltivazioni ed i prelievi per le irrigazioni ne hanno compromesso l'equilibrio e minato progressivamente le attività legate alla pesca.
La storia del lago ora fa i conti con le condizioni poste dal cambiamento climatico ed il quadro nell'anno della pandemia si presenta fosco.
Intanto i fragili equilibri della fascia palustre, fondamentali per la tenuta dell'ecosistema, sembrano completamente saltati.
Il taglio e la ripulitura dei canneti, così come avveniva decenni orsono 
ad opera dei pescatori preoccupati di ottenere la migliore circolazione 
dell'acqua e quindi del pesce, aldilà di una sperimentazione sporadica che ne avrebbe dovuto regolare la crescita, sono stati abbandonati.
Le rive a chi le guarda appaiono ormai lasciate a se stesse. 
Molti grandi alberi, morti e caduti a causa delle tempeste di vento sempre più insistenti, rendono molte sponde inaccessibili.
Mai come in questa estate si è potuta vedere una così imponente proliferazione di alghe che si sono sommate alle grandi quantità di materiali organici in decomposizione accumulatisi sui fondali, contribuendo così in modo massiccio alla eutrofizzazione delle acque e a morie di pesci.
Fenomeni visibili lungo il tratto, ad esempio, che va da Monte del Lago fino a Torricella o da Borghetto di Tuoro fino a Castiglione del Lago, dove la fascia spondale in molti tratti è ridotta, con la caduta di tronchi e di rami, ad un groviglio inestricabile e maleodorante.
Le profonde trasformazioni in atto hanno dato poi luogo a mutamenti significativi della biodiversità tipica del lago dove molte sono le specie, tra la fauna ittica e quella avicola, che hanno smesso di abitarne il territorio. Al loro posto, introdotti per il sollazzo dei cacciatori , cinghiali che nottetempo si vanno ad abbeverare lungo le rive, maiali che popolano gli allevamenti del circondario e le cui deiezioni vanno a finire nei torrenti e nei canali che sfociano nel lago, gabbiani che volteggiano in alto provenendo dalla grande discarica di Borgogiglione e che poi si radunano lungo le banchine dei porticcioli. 
E così la crisi idrica dovuta alla diminuita piovosità conseguente ai cambiamenti climatici va ora a sommarsi al degrado ambientale, alla mancata manutenzione di fossi e canali spesso ostruiti, alle centinaia di dighe artificiali e di invasi per uso agricolo, all'uso improprio di una risorsa preziosa come l'acqua che va a finire nelle piscine delle residenze private.
E nulla di ciò che era davvero importante fare per l'ecosostenibilità dei luoghi è stato fatto.
In "Pescatori del Trasimeno - Storie di vita e di pesca", il ponderoso volume edito da Morlacchi Editore che con ampio corredo fotografico documenta la vita dei pescatori di professione , l'autore, il fotografo e ambientalista Alvaro Masseini ha avuto il merito di mettere a fuoco i profondi cambiamenti che hanno interessato il Trasimeno negli ultimi anni.
"L'istituzione del Parco Nazionale del Trasimeno - scrive Masseini - sarebbe stata un'occasione eccezionale per una riconversione all'agricoltura biologica, almeno dei terreni rivieraschi compresi dentro la strada provinciale che perimetra il lago. 
Invece non solo il Parco non arriva a detto naturale confine , ma estese monocolture di mais, girasoli e grano fertilizzati con concimi chimici , insieme a diserbanti e insetticidi, continuano a portare nelle acque "vecchie" e stagnanti del Trasimeno, il loro carico inquinante. 
Se a questo si aggiunge la lenta ma progressiva privatizzazione e alterazione delle sponde dovuta a darsene, campeggi, muri perimetrali e strutture turistiche in genere, il Trasimeno appare oggi accerchiato da elementi che non gli giocano a favore. 
Al cospetto della evidenza dei fatti il gracidio delle rane della politica ha preso ultimamente ad intonare un insolito coro in concordia di accenti e così maggioranza ed opposizione del Consiglio Regionale dell'Umbria sono tornate ad invocare "misure indispensabili per risanare e valorizzare il Trasimeno". 
"È la prima volta che si presentano atti bipartisan per risolvere i problemi del lago" ha dato il la’ il Presidente Mario Squarta, invocando l'adozione, guarda un po’, di tutte quelle misure che negli anni o nei decenni nessuno è stato in grado di prendere.
Quando i buoi sono ormai irrimediabilmente scappati dalla stalla.

( l’altrapagina novembre 2020 ) 
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sabato 14 novembre 2020

BUON COMPLEANNO! COMPAGNO HUGO BLANCO

Lucha Indigena Nov 2020 No 170 (Año 14)



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venerdì 13 novembre 2020

COVID-19 È STRAGE DI STATO

di Michele Nobile

 

«L'Italia non si ferma, volgiamo lo sguardo al domani, sempre più determinati a far correre l'economia. Questo vale per tutta l'Italia. Dobbiamo moltiplicare le nostre energie. Insieme ce la faremo» 

Giuseppe Conte su Facebook, 28 febbraio 2020 

 

«Se un individuo reca ad un altro un danno fisico di tale gravità che la vittima muore, chiamiamo questo atto un omicidio; se l’autore sapeva in precedenza che il danno sarebbe stato mortale, la sua azione si chiama assassinio. Ma se la società pone centinaia di proletari in una situazione tale che debbano necessariamente cadere vittime di una morte prematura, innaturale, di una morte che è altrettanto violenta di quella dovuta a una spada od una pallottola; se toglie a migliaia d’individui il necessario per l’esistenza, se li mette in condizioni nelle quali essi non possonovivere; se mediante la forza della legge li costringe a rimanere in tali condizioni finché non sopraggiunga la morte, che è la conseguenza invitabile di tali condizioni; se sa, e sa anche troppo bene, che costoro in tale situazione devono soccombere, e tuttavia la lascia sussistere, questo è assassinio, esattamente come l’azione di un singolo, ma un assassinio mascherato e perfido, un assassinio contro il quale nessuno può difendersi, che non sembra tale, perché non si vede l’assassino, perché questo assassino sono tutti e nessuno, perché la morte della vittima appare come una morte naturale, e perché esso non è tanto un peccato di opera, quanto un peccato di omissione. Ma è pur sempre un assassinio». 

         Friedrich Engels, La condizione della classe operaia in Inghilterra, 1845

 

1. L’epidemia di Covid-19 come Strage di Stato 

Mentre concludo questo intervento i morti a causa di Covid-19 sono in Italia oltre 43.000. Se la media giornaliera dei decessi da coronavirus rimarrà quella della prima settimana di novembre, per la fine del mese saranno aumentati a circa 48.000. 

E chi può dire con certezza quando si verificherà il picco e a quale altezza? 

E quindi, per Natale e Capodanno quale sarà il «regalo» complessivo della pandemia? 54.000 morti? 60.000?

Queste sono solo congetture, ma non irragionevoli. Se nelle prossime settimane la crescita dei decessi avrà un prolungato andamento esponenziale potrebbero rivelarsi assai ottimistiche. Si guardi a quel che è accaduto e accade non lontano da casa nostra: in Francia, in Spagna, nel Regno Unito, e nel resto del mondo, negli Stati Uniti, in America latina, in India.



Relativamente alla metà di settembre, quando era chiaro che l’epidemia si preparava a decollare nelle regioni meridionali e centrali, significa che abbiamo avuto - fino a questo momento - circa 8.000 morti in più. Morti che almeno in parte si potevano evitare, adottando immediatamenteadeguate misure preventive quando, a metà settembre nelle regioni meridionali, le curve di contagi, ospedalizzazioni e ricoverati in unità di cura intensiva iniziavano a puntare verso l’alto. 

Invece, in questi mesi abbiamo sentito ripetere da Giuseppe Conte la frase «non possiamo permetterci un altro lockdown», ribadita con fermezza da Fontana - Presidente della giunta regionale lombarda - nella sede appropriata, l’assemblea generale di Assolombarda il 12 ottobre, proprio mentre i contagi decollavano anche nella sua regione. Abbiamo anche sentito ripetere l’esorcismo «la scuola deve essere l’ultima cosa a chiudere». Come prevedibile, questi slogan si sono dimostrati la ricetta per arrivare comunque al lockdown e alla chiusura delle scuole, ma nel peggiore dei modi. Se adottate tempestivamente, misure più restrittive e chiusure nella ristorazione, nei trasporti, nel commercio al dettaglio, nelle scuole, avrebbero potuto soffocare il falò prima che diventasse un incendio incontrollabile, evitando morti, sofferenze e in definitiva, anche danni sociali ed economici maggiori e per un periodo più lungo. Il coronavirus è un nemico subdolo, che sa attendere il momento per infiltrarsi attraverso ogni varco, approfittare d’ogni temporeggiare per dilagare velocissimo. I varchi sono stati lasciati aperti, i temporeggiatori sono stati tanti.

Alla magistratura spetta accertare eventuali responsabilità penali individuali per fatti determinati: di sindaci, presidenti di giunte regionali, presidente del consiglio dei ministri e ministri, di dirigenti della sanità. Sono in gioco i reati di epidemia colposa ed omicidio colposo. 

Il giudizio politico e storico-sociale non ha però bisogno d’attendere l’accertamento della verità giudiziaria. 

Per molti anni ogni 12 dicembre si è protestato contro la strage di Piazza Fontana, che causò 17 morti. Quella strage venne subito detta Strage di Stato. 

Ora abbiamo di fronte un’enormità: non 17 ma quasi 43.000 morti. Quarantatremila

Per quanto riguarda le responsabilità politiche, ricordo l’articolo 32 comma 1 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti», a cui possono aggiungersi altre considerazioni circa la tutela del lavoro e i limiti dell’iniziativa privata come indicati, in linea di massima, dagli artt. 2, 35, 41. E rimando alla citazione di Friedrich Engels: la morte appare naturale, l’assassino sembra «tutti e nessuno» ma «è pur sempre un assassinio». L’ABC dell’epidemiologia non asservita al potere. 

Si può ragionare intorno a quante di queste morti siano dovute ad omissioni e azioni delle autorità politiche, ma non possono esserci dubbi sul fatto che a migliaia debbano attribuirsi ad azioni e non-azioni politiche del passato e del presente. L’evidenza delle responsabilità politiche è nel 2020 molto più forte che nel 1969. Anche in Italia come in altri Paesi, l’impatto dell’epidemia e la sua gestione da parte dei governi nazionali e regionali sono la prova irrefutabile del fallimento di un intero ceto politico e delle politiche sociali ed economiche messe in atto per molti, anni sia dal centrosinistra sia dal centrodestra, della priorità attribuita agli interessi economici. Che siano tanti i Paesi a soffrire per la pandemia ci dice quanto sia patogeno l’ordine politico e sociale esistente e che la transizione epidemiologica in corso richiede una prospettiva e un’azione che superi i confini nazionali. È comunque necessario che in ogni Paese si esprima un chiaro giudizio sulle responsabilità politiche e sociali. 

         Politicamente e storicamente ritengo quindi che la gestione della pandemia in Italia debba giudicarsi come una Strage di Stato, a cui hanno concorso e concorrono tutti i partiti con responsabilità di governo, nazionale, regionale, locale. Certamente non uso qui il termine strage come fattispecie giuridica, pertinente alle stragi deliberatamente messe in atto da organizzazioni fasciste, col concorso e la copertura di parti dell’apparato statale. Tuttavia, volendo racchiudere il giudizio in una formula sintetica e inequivocabile, non riesco a trovarne una migliore. E sia chiaro che, proprio perché qui l’espressione ha un significato sistemico, le responsabilità di questa Strage di Stato non ricadono solo sul ceto politico ma sulla classe sociale che antepone il profitto alla salute. Come spiego oltre, gli interessi delle imprese capitalistiche italiane hanno contribuito al dilagare dell’epidemia. È un motivo specifico e concreto per ribadire che le conseguenze socioeconomiche della pandemia non possono essere pagate dai comuni cittadini. 

Concepire le responsabilità pregresse e la gestione politica dell’epidemia nazionale come Strage di Stato concentra il giudizio politico e storico, sottolinea la gravità dell’evento, stabilisce l’esistenza di responsabilità politiche. Indica in modo chiaro e inequivocabile il nemico. Sono enormi i problemi sociali suscitati nel mondo sia dall’azione sia dall’inazione dei governi, inediti come questa situazione pandemica. Ed è proprio questa loro enormità, capillarità e multidimensionalità che richiede una visione ampia del problema e una risposta politica forte e unificante, per canalizzare in un unico corso la molteplicità delle rivendicazioni e la rabbia diffusa, sia derivanti dal pericolo e dal danno per la salute, sia conseguenti dagli effetti socioeconomici della gestione politica dell’epidemia. 

Tuttavia, se in accordo alla visione dei potenti del mondo la pandemia è vista solo come un fatto naturale; oppure, se si pensa che Covid-19 sia malattia appena un po’ più pericolosa di una normale influenza, che «tanto colpisce solo gli anziani e chi ha già più patologie»; oppure che l’emergenza sia solo un’invenzione dei mass media, dei governi e di chi intende stabilire la «dittatura sanitaria» o qualcosa del genere; oppure se si pensa che sia possibile cavarsela con mezze misure e inzuccherare la medicina... allora non sussiste motivo per utilizzare l’espressione Strage di Stato. 

 

mercoledì 11 novembre 2020

¿COCA-COLA O PEPSI-COLA?: PARA LATINOAMÉRICA NO CAMBIA NADA

por Marcelo Colussi

 

Estados Unidos es hoy la gran potencia capitalista dominadora del mundo. Con una economía enorme y unas fuerzas armadas sin par, con presencia política y económica en prácticamente todos los países del mundo, su clase dominante se siente intocable, portadora de un presunto “destino manifiesto” que le autoriza a actuar como el gendarme global. Pero la nación, más allá de la ilusión de “paraíso” que nos intenta vender a través de Hollywood y toda su parafernalia propagandística, tiene grandes problemas a lo interno. En definitiva, es un país capitalista, y el capitalismo, en tanto sistema socioeconómico, en tanto un modo de producción histórico, no puede solucionar los problemas de la humanidad, porque no está para eso. El capitalismo está para generar lucro personal, no importando el costo: Estados Unidos de América es el paradigma de ese modelo. Si para mantener esa pretendida “prosperidad” hay que masacrar gente o masacrar la naturaleza, no importa. Esa “masacre” constitutiva y estructural hoy empieza a pasarle factura: la sociedad estadounidense construyó un paraíso insostenible, consumiendo más de lo que produce, manteniendo ese nivel de confort solo a base de violencia. Parece que le está llegando la hora como imperio hegemónico. 

 

En su continua lucha y difusión ideológica propagando las presuntas bondades del american way of life, el imperialismo de Estados Unidos se llena la boca hablando de “democracia”, así como de otras preciosuras como “libertad” y “derechos humanos”. Pero su sistema político es obsoleto, lo más antidemocrático que existe: no hay voto directo de la población. Los mandatarios son elegidos a través de un muy cuestionable mecanismo de colegio electoral, que se presta a innumerables acuerdos secretos donde la población votante no tiene ninguna participación. Si de democracia se trata, la gran potencia del Norte no es, precisamente, el referente más adecuado. El interminable bipartidismo de Demócratas y Republicanos, financiado con astronómicas cifras por parte de las grandes empresas privadas, no augura la real y genuina participación de la población. 

 

La coyuntura interna del país pone hoy a Estados Unidos como una nación en crisis, aunque se quiera presentar una imagen de perfección y prosperidad. Por supuesto que hay prosperidad, pero para un grupo cada vez menor, que maneja monumentales ganancias.

martedì 10 novembre 2020

TRUMP IS GONE, BUT TRUMPISM REMAINS

ENGLISH - ESPAÑOL - ITALIANO

 

by Roberto Savio

 

Now it is clear that Joe Biden is the new president of the United States. It is unlikely that Donald Trump’s legal manoeuvring will change the election results, as when a conservative Supreme Court in 2000 decided in favour of George Bush over Al Gore, who lost by 535 votes. Even this Supreme Court, where Trump has six sympathetic members (three appointed by him, quite a record), and only three unsympathetic, will dare to change a result coming from too many states.


Trump is gone, but it is sad to say, Trumpism is here to stay. But is that a specific situation of the United States, or is it a more general phenomenon? We think that, in an era of globalisation, we should attempt a global analysis. This will leave out a zillion of facts, events and analysis, but this is now the destiny of journalism. Anyone can add what they think is relevant and decide what has been left out. This will be a big improvement over this abridged analysis.

 

But let us start with the United States first. Biden’s victory comes from the unusually high participation in the election, where it attracted 67% of the voters. In American elections, participation rarely exceeds 50%, although the largest participation was in 1900, when 73% of the population votes. Remember that in the US, voting is defined as a privilege, not a duty. To vote, you have to register, and many states make that a demanding task, automatically excluding the more fragile part of the population. 

Biden won the largest popular vote in US history: 71.4 million compared with the 69.4 million obtained by Barack Obama. Nevertheless Trump gathered 68.3 million votes, nearly four million more than in 2016, in spite of a pandemic which, until now, has left more than 230.000 dead, with the worst economic crisis since the Great Depression, and after four years of confrontations, some massive, like Black Lives matter.

venerdì 6 novembre 2020

GUATEMALA Y LA PERSISTENTE TRAGEDIA CAMPESINA

por Marcelo Colussi


Guatemala es uno de los países de todo el orbe donde las injusticias son más evidentes, más impunes y descaradas. Ello se debe a una sumatoria de causas; hay una historia que pareciera inmodificable tras todo ello. 36 años de sangrienta guerra civil no lograron transformarlo. 

 

Para decirlo brevemente: es un país eminentemente campesino, cuyas principales fuentes de recursos las da el agro. Tanto en los rubros de agroexportación que generan la mayor cantidad de divisas y alimentan a opulentas aristocracias (las tradicionales azucareras y cafetaleras, recientemente también ligadas a la palma aceitera), así como en la producción de los granos básicos con que sobrevive la gran mayoría de su población, el campo es la fuente principal de riqueza. Últimamente, manejada por nuevos sectores emergentes salidos de la pasada guerra interna (militares retirados en buena medida, y nuevas mafias) podría agregarse la producción de plantas que servirán como droga (cannabis) o como materia prima para la elaboración de heroína (amapola). Este es un rubro muy reciente y todavía no incide especialmente en el Producto Bruto Interno, pero va camino. En síntesis: lo rural tiene una importancia definitoria en la dinámica nacional.

 


En términos económico-sociales, según datos proporcionados por los Informes de Desarrollo Humano aportados por Naciones Unidas, Guatemala, junto a un pequeño puñado de países con características bastante similares, siempre evidencia los peores índices de distribución de la renta nacional; es decir, es de los diez lugares del mundo donde las diferencias entre ricos y pobres son más irritantes. Una investigación realizada por la empresa Wealth- X, asociada al banco suizo UBSestudio citado y analizado por la desaparecida publicación electrónica guatemalteca Nómada, mostraba que hay 260 ultra-ricos guatemaltecos que poseen un capital de US$30 mil millones, lo que representa el 56% del PIB. [Es decir que] 0.001 por ciento de los 15 millones de guatemaltecos tienen más capital que el resto de la sociedad.(…) Los $30 mil millones [de dólares] son Q231 mil millones [de quetzales]. Esto equivale a lo que el Estado de Guatemala recauda cada cuatro años.

mercoledì 4 novembre 2020

"NON RENDI? NON SEI INDISPENSABILE"


di Riccardo Petrella

3.11.2020

(Foto di Pixnio)

Da decenni tutti denunciano il feticismo del denaro e la dittatura dell’economia dominante, quella dei paesi detti “sviluppati” delle società capitaliste. Tutti? No. La notizia è data in un twitter del Presidente della Liguria del 1° novembre che informa che “Per quanto ci addolori ogni singola vittima del #Covid19, dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della #Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del paese, che vanno però tutelate“.  Cioè, non rendi? Non vali. Peccato che tu muoia, ma avanti Italia dei produttivi!

E’ indubbio che questo è il pensiero sincero del Presidente della Liguria. Il suo peccato, specie per i benpensanti nostrani, è di averlo detto.  Per loro, l’autogol sta in questo. L’inaccettabile, invece, è il pensarlo e che questo pensiero faccia parte integrante della concezione della vita delle classi dirigenti che, in una società capitalista come la nostra, dirigono il mondo e il suo divenire. Secondo loro, il valore della vita, incluse le persone, è essenzialmente definito dall’apporto di ogni forma di vita alla creazione di ricchezza (profitto) per il capitale investito. Dal 2012, Terzo Vertice Mondiale della Terra, i dirigenti hanno sentito l’urgenza e la necessità di monetizzare la Natura, dandole un prezzo di mercato, per cosi poter valutare i costi ed i benefici di ogni essere e sistema vivente.

Quanto precede non cancella l’infamia diretta e personale delle idee espresse dal signor Giovanni Toti nella sua veste di Presidente della Liguria.  Quel che è ancora più grave, se possibile, e implicito nella sua dichiarazione, sta nel fatto che essa impone una forte ineguaglianza tra le stesse persone anziane  Cioè, tra quelle ad alto reddito (da capitale o da lavoro/pensione) e quelle a reddito basso o nullo (a carico della protezione e dell’assistenza sociale). Il potere d’investimento finanziario e di acquisto delle prime le rende particolarmente interessanti agli occhi dei mercati perché, consumando, contribuiscono (si dice) a far marciare la macchina produttiva del paese. Le seconde, senza risparmio e con potere d’acquisto insignificante, sono mal viste perché addirittura costano alle finanze del paese.

Questa concezione della vita è un’offesa all’umanità e allo spirito della vita.

Non lo farà, perché il signor Toti esprime idee “corrette” e condivise dai poteri forti, non solo sul piano politico da quattro soldi, ma a mio modesto avviso farebbe bene a dimettersi.




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