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Massari editore, 2002 |
Nella Tesi 32, vale a dire nella penultima tesi dei Commentari sulla società dello spettacolo (scritti nel 1984, pubblicati nel 1988, ed. italiana della Sugarco del 1990), Debord ci offre alcuni cenni di sintesi, lasciando completamente libero il lettore - come da tradizione situazionista - di considerarli più o meno conclusivi rispetto alla lunga analisi dipanata in questo volume e nel precedente del 1967.
Il dominio della società spettacolare, ci viene detto, ha ormai raggiunto pienamente l’obiettivo dal quale aveva preso le mosse a partire dal secondo-terzo decennio del Novecento (secondo la datazione proposta a p. 13), avendo assunto le caratteristiche di autentica «trasformazione sociale». E qui il lettore non può non riandare con la memoria alle pagine del precedente volume dedicate alla descrizione del processo formativo della società dello spettacolo, a partire dalla sua forma di merce fino alla sua trasformazione in merce suprema che condiziona la produzione e la circolazione di tutte le altre merci (vi torneremo tra breve).
Ma la trasformazione sociale di cui parla Debord - avendo già fatto esplicito riferimento in più parti del suo nuovo lavoro all’integrazione delle spinte di ribellione prodotte dai movimenti del ‘68 (alle quali si potrebbe applicare, storicizzandola, la bella distinzione debordiana tra «invano» e «inutilmente») - ha acquisito una tale profondità da consentire l’affermazione poco rassicurante secondo cui essa avrebbe «cambiato radicalmente l’arte di governare» (p. 79). Nel nostro alienato futuro non sarà un «dispotismo illuminato» a regolare la vita sociale, ma un sistema totalitario integrato vero e proprio.
Nella Tesi 3 si era già detto che la profondità della trasformazione è stata determinata fondamentalmente dalla «continuità» (p. 16) nel processo di estensione del dominio della società spettacolare; ma anche dal fatto che i movimenti del ‘68 avevano fallito nel tentativo (a sua volta spettacolarmente determinato) di infrangere la catena del dominio mediatico. E si era constatato amaramente che ormai - a meno di un ventennio da quell’evento (per Debord che scrive) - il sistema di dominio era riuscito ad «allevare una generazione sottomessa alle sue leggi». Il che significa dire che, avendo il sistema integrato nel proprio processo di formazione ed estensione i potenziali oppositori del dominio stesso, la chiusura del circolo totalitario di dominio assoluto è stata ormai raggiunta.
Debord ci dice che non ci si dovrà lasciar ingannare dai ritardi o sfasature che caratterizzano il processo da un paese all’altro, né dalla contraddittorietà con cui i sudditi sottomessi si lasciano integrare. E non si presti fede ai libri che, per emergere e farsi notare a loro volta, praticano correntemente la «critica spettacolare della società dello spettacolo». Attenzione alle «vane generalizzazioni» e agli «ipocriti rimpianti» (p. 14), perché il sistema di dominio spettacolare che domina il mondo domina non solo i grandi mezzi spettacolari, ma anche le istanze critiche, le considerazioni più o meno scientifiche sul loro sviluppo e, soprattutto, sul loro uso.
A questo riguardo, nella stessa Tesi 3, Debord mette in guardia contro la possibile mistificazione insita nell’utilizzo del nuovo termine - «mediale» - con il quale si vorrebbe far credere a una veste di neutralità, d’imparziale professionalità, una sorta di concessione illimitata di fiducia nello sviluppo degli stessi strumenti del dominio spettacolare (i mass media), accantonando bellamente il problema di chi li domina, di chi li utilizza e di chi riesce per il loro tramite a controllare anche il mondo della critica antispettacolare.