La società dello spettacolo di G. Debord come narrazione attuale e
inattuale
Materiali/percorsi dallo spettacolo integrato
all’economia politica dell’immaginario
1- Le avanguardie e il tempo
2- Per un deturnamento (in qualche modo) della Società
dello spettacolo
3- Note per una estetica del disgusto
4- Le risposte invertite della storia
5- Firewall, ideologie e dissolvenze
6- Verso una economia politica dell’immaginario
Eravamo venuti come l’acqua, siamo partiti
come il vento.
G. Debord
Bisogna dunque ammettere che non
c'erano né successo né fallimento per Guy Debord e per le sue pretese
smisurate. Per me non ci sarà né ritorno né riconciliazione. La saggezza non
arriverà mai.
G. Debord
Guy Debord è
una macchina infernale, difficile da disinnescare. Eppure ci si è
provato, e ci si prova ancora. Si cerca di neutralizzarlo, di edulcorarlo, di
estetizzarlo, di banalizzarlo. Niente da fare. La dinamite è sempre là, e
rischia di esplodere tra le mani di chi la maneggia per renderla inoffensiva.
M.
Löwy (2001)
1- Le avanguardie e il tempo
1.1
L’uomo a una dimensione di H. Marcuse viene
pubblicato nel 1964, intanto a Los Angeles è uscito nel 1949 Dialettica del’illuminismo
di T. W. Adorno e M. Horkheimer, nel 1966 vengono pubblicati gli Scritti di
J. Lacan, Le parole e le cose di M. Foucault è del 1966, Mytologies
di R. Barthes vede la luce nel 1970, Critica della vita quotidiana di H.
Lefebvre è del 1962, Logica del senso di G. Deleuze è pubblicato nel
1968, intanto in quegli anni è già in libreria il libro di G. Lukàcs sul giovane Marx e quindi nel 1960 Storia e
coscienza di classe.
La società dello spettacolo di G. Debord e il Trattato di saper vivere
ad uso delle giovani generazioni di R. Vaneigem vedono la luce nel 1967.
Dal
1958 al 1969 a
Parigi viene pubblicata la rivista Internationale
Situationniste.
1.2
Scrivono
M. Hardt e A. Negri in Impero a
proposito de La società dello spettacolo:
pur nel suo stile delirante, si tratta probabilmente
della migliore articolazione della consapevolezza contemporanea del trionfo del
capitale.
E
in una pagina successiva i due autori
aggiungono che
a oltre trent’anni dalla sua presentazione l’analisi
di Guy Debord della società dello spettacolo risulta sempre più pertinente
e urgente. Nella società imperiale, lo
spettacolo occupa uno spazio virtuale, o, rigorosamente, un non luogo politico.
Lo spettacolo viene unificato e diffuso in modo tale che è impossibile
distinguere tra un dentro e un fuori - naturale o sociale, privato o pubblico (M. Hardt A. Negri 2002).
E
N. Klein in No logo nota come a proposito degli interventi di interferenza culturale (culture jamming
- New York 2000)
Furono Guy Debord e i Situazionisti ispiratori
e teorici della rivolta degli studenti a Parigi nel maggio 1968, a teorizzare per
primi il potere di un semplice détournement, di una deviazione intesa come
estrapolazione di immagini, messaggi e oggetti dal loro contesto per creare un
nuovo significato. (N. Klein 2001).
In
Una felicità paradossale G. Lipovetsky
(2007) nota che
la soggettività del neo consumatore si afferma più nel
rapporto con se stesso che in quello con
l’oggetto. Come scriveva Guy Debord “lo spettacolo è il cattivo sonno della società moderna incatenata che
non esprime in definitiva se non il suo desiderio di dormire”.
Più
avanti Lipovetsky inizia il capitolo Piaceri privati, felicità dolente con l’incipit del Capitale richiamato dal
deturnamento debordiano:
L’intera vita delle società sovrasviluppate si
presenta come un immenso accumulo di segni del piacere e della felicità.
1.3
L’avanguardia
situazionista è stata figlia del proprio
tempo, lo ha appreso con il pensiero, ma come ogni avanguardia degna di
rispetto ha aperto a nuove prospettive,
a nuovi processi conoscitivi, a percorsi
inediti. Si tratta, quindi, di
riaffermare ulteriormente (A. Jappe
1999) il valore delle teorie relative alla spettacolarità anche
attraverso una serie di passaggi, di
riferimenti e di riscontri con riferimenti anche all’area cultural studies.
Un insieme di analisi da intendersi come
contributo ad una teoria critica della società del nostro tempo. Questo di là da opposizioni e tentativi
definitivi di bilancio (F. D’Agostini
1999). Certo non esiste l’ultima parola in questo ambito ma è importante
individuare sintomi, tracce, nuclei
teorici.
1.4
Debord
rappresenta, nell’epoca di stabilizzazione del capitalismo- nella fase iniziale
della globalizzazione dell’economia- colui che ha delineato una sintesi
piuttosto originale di arte, filosofia e politica. Questi tre ambiti si
articolano in modo coerente nel situazionismo
debordiano.
1.5
Sul
retroterra artistico, filosofico e politico di Debord è stato scritto
molto e in modo esplicativo (tra tutti
A. Jappe 1999) e anche chi scrive ha esaminato questo
retroterra indicandone i percorsi fondamentali (P. Stanziale 1998 2002).
Pensiamo però che sia utile (ri)esaminare quanto Debord ha prodotto negli anni ’50.
Una
produzione che, da una parte, rappresenta il punto di sintesi delle influenze e
delle prime elaborazioni, da un’altra parte struttura in modo già significativo i nuclei
teorici che in seguito Debord svilupperà.
1.5.a- I lettristi, a cui Debord si unisce
all’inizio degli anni ’50, riprendono temi dei primi surrealisti e del
dadaismo. Essi vogliono anzitutto l’autodistruzione
delle forme artistiche. L'arte tradizionale viene condannata a morte e viene
proposta la tecnica del détournement (riutilizzo creativo di elementi
già esistenti). I lettristi tendono a superare la distinzione tra artista e spettatore,
tra vita e arte.
Si nota, poi, una
decisa contiguità tra l'estetica e le azioni lettriste con il primo surrealismo:
lo stesso rifiuto del lavoro, un'aspirazione massimalista alla
rivoluzione, l'affermazione della soggettività nonché una certa
tendenza alla secessione e all'esclusione. Viene affermata l'idea che gli
elementi per una libera vita sono già presenti nella cultura come nella
tecnica: essi vanno solo organizzati in modo diverso.
Al centro delle istanze lettriste vi è la costruzione di
situazioni poetiche, di stati affettivi corrispondenti ad un nuovo modo di
vivere. Altri temi importanti, visti in una prospettiva marxiana, sono l'urbanismo
e la vita quotidiana, quest'ultima studiata principalmente da H.
Lefebvre, autore di una Critique de la vie quotidienne. Con Lefebvre
successivamente i situazionisti e Debord romperanno in modo clamoroso.
Dal 1953 i lettristi si occupano di ricerche psicogeografiche,
ovvero dei rapporti tra ambienti e stati d'animo. Viene delineata la
tecnica della deriva intesa come serie di passaggi casuali ed
emotivamente significativi tra ambienti e quartieri urbani diversi.
I lettristi collaborano con la rivista surrealista Les
lèvres nues di cui fanno parte A. Jorn e Constant provenienti dal Gruppo Cobra.
1.5.1
Il
deturnamento del cinema avviene in piena atmosfera lettrista (nel 1951 a Cannes Debord ha
incontrato i lettristi) e trova una prima
attuazione con Hurlements en faveur de Sade (“Il n’y a pas de film. Le
cinéma est mort. Il ne peut plus y avoir de film. Passons, si vous voulez, au
débat”) del 1952, quando ormai Debord si è stabilito a
Parigi.
Successivamente,
nel 1954, vede la luce Potlatch e Debord incontra Asger Jorn.
Nel
1957 viene fondata l’Internationale
Situationniste e Debord scrive uno
dei documenti-cardine del situazionismo: Rapport
sur la construction des situations et sur les conditions de l'organisation et
de l'action de la tendance situationniste internationale. Questo documento, unitamente a Immagine e forma
(Mouvement international pour une Bauhaus imaginiste) di A. Jorn
(1954) (in L. Caruso S. M. Martini 1975) costituiscono un insieme
significativo della fase originaria delle teorie situazioniste e dei loro sviluppi diretti e/o collaterali.
1.5.2
Il
testo di Asger Jorn anticipa temi ripresi negli anni sessanta e relativi
al rapporto economia-arte, alla reificazione, all'opera d'arte come contro-valore.
In
questo testo, abbastanza articolato, vengono inizialmente prese in esame le
forme dello sviluppo moderno della pittura, della scultura e dell'architettura.
Si denuncia l'iniziativa di F. L. Wright di realizzare un museo che finisce per
essere un ambiente in cui
sono sepolte le opere d'arte senza passare prima nella vita di ogni giorno.
Si
passa quindi ad una critica dell'architettura, intesa come
arte per formare il nostro ambiente
ma
ormai immobilizzata su vecchi problemi, senza una prospettiva nuova che
ridefinisca il rapporto uomo-ambiente. Da qui la necessità di
trasformare il programma funzionalista di là da ogni
necessità assoluta dell'oggetto.
Jorn
quindi cerca di ridisegnare una concezione dinamica della forma e del
cambiamento ponendo in evidenza alcuni parametri significativi:
-
l'evoluziome formale ha luogo attraverso brusche rotture;
- l'uso crea la forma ideale;
-esistono un conservatorismo
delle forme e un radicalismo delle forme stesse.
Tutto
ciò viene a costituire un punto di partenza propositivo per una nuova
Bauhaus la quale, per Jorn, dovrà avere un respiro artistico internazionale
e basarsi su un corpo dottrinario definito,
strutturato intorno ad un’unica definizione dialettica dell'arte articolata
su tre ambiti:
-
estetico: l'arte è la realizzazione del non-conosciuto, è il realizzare
l'irrealizzabile, è il principale punto di riferimento dell'uomo e la sua
completa possibilità;
-
etico: l'arte è la realtà soggettiva, è la capacità di un essere o di
una comunità, è l'espressione di una manifestazione vitale;
-
logico o scientifico: l'arte è la natura vista come un temperamento, è la
fedele immagine dell'oggetto, è l'osservazione non interessata.
A
questi tre ambiti corrispondono tre prospettive di analisi dell'arte :
-
analisi estetica, relativa agli effetti sensoriali, di choc e di novità
dell'oggetto artistico;
- analisi etica, relativa all'utilità, agli
interessi umani ed alla funzionalità sociale dell'oggetto artistico;
- analisi scientifica, relativa alla
costruzione dell'oggetto artistico in relazione alle sue possibilità.
Jorn cerca con questo- che è un vero e proprio
programma di intervento e di analisi con evidenti prospettive politiche- cerca di
superare il formalismo dottrinario imputabile ai rinnovatori della
Bauhaus e a Gropius e ciò anche per il fatto che sarebbe stupido ignorare che “…nel
frattempo si è imposto il surrealismo… “.
Da
questo manifesto presero avvio scissioni e costituzioni di gruppi e movimenti
tra cui la rivista Reflex, il
gruppo De Stijl, la rivista Cobra . Abbiamo poi la confluenza
dell'Internationale lettriste nel movimento per la Bauhaus Imagista.
Siamo nel 1956. Nel 1957 G .
E. Debord comincerà a parlare della costruzione di situazioni .
1.5.3
Il testo di Debord Sur la construction des situations et sur
les conditions de l'organisation et de l'action de la tendance situationniste
internationale è un rapporto del Comité Psychogéographique de Londres presentato, nel 1957, ai membri
dell'Internationale lettriste del
movimento per una Bauhaus Imaginiste come base di discussione e come documento per la propaganda (in L. Caruso S. M.
Martini cit). Con questo documento Debord traccia l'ambito teorico di base del
Situazionismo individuando due prospettive di indubbia valenza strategica: un rinnovato valore politico dell'arte di
là da ogni valore di scambio borghese e la critica serrata dell'industria
culturale, proseguendo, in un
certo modo, sulla via aperta dalla
Scuola di Francoforte. L'unificazione delle due prospettive avviene nell'ambito
di una propugnata rivoluzione da attuare attraverso i
partiti operai. Punti fondamentali di questa rivoluzione saranno la
costruzione di situazioni (situazioni che, per inciso, sono naturalmente
compatibili con l’unica forma organizzativa possibile che è quella dei Consigli
formulata dai teorici del Socialismo), un diverso assetto del territorio
mediante il concetto di urbanismo unitario, la deriva intesa
come gioco spaziale-emotivo riguardante un uso creativo degli ambienti e
la delineazione di una nuova area di ricerca, quella psicogeografica relativa
al rapporto tra l'ambiente ed il comportamento individuale. Abbiamo infine il détournement
(vedi punto 1.5.a), una pratica di spiazzamento, di decontestualizzazione e di
riutilizzo creativo di elementi della
civiltà borghese. Si tratta chiaramente
di un documento che definisce già tutte le direttrici critiche presenti nella
rivista Internationale Situationniste. Il documento si divide in sei
parti che sono:
-rivoluzione
e controrivoluzione nella cultura moderna;
-il disfacimento, stadio supremo del pensiero borghese;
-verso una Internazionale Situazionista;
-piattaforma per una opposizione provvisoria;
-ruolo delle tendenze minoritarie nel periodo di riflusso;
-i nostri compiti immediati .
Nella prima parte l'assunto principale è che
ciò che si
chiama la cultura riflette e prefigura, in una società data, le possibilità di
organizzazione della vita. La nostra epoca è caratterizzata principalmente dal
ritardo dell'azione politica rivoluzionaria rispetto allo sviluppo delle
possibilità moderne di produzione, che
richiedono una superiore organizzazione del mondo.
Questo
perché
ogni anno si pone sempre più decisamente il problema
del dominio razionale delle forze produttive
e della formazione della civiltà su scala mondiale.
Il
capitalismo, inoltre,
inventa nuove forme di lotta-dirigismo del mercato
e
ciò sfruttando
le degenerazioni delle direzioni operaie e neutralizzando mediante
tattiche riformiste le opposizioni di
classe.
È
evidente la proiezione in avanti di queste analisi che prefigurano i problemi
connessi con la globalizzazione dell'economia, con le strategie del capitalismo
mondiale e con l'avanzata di una borghesia che Debord inquadra come impegnata a détourner
il gusto del nuovo verso forme
inoffensive e confuse.
Debord
quindi esamina i percorsi del futurismo, del dadaismo e del surrealismo ponendo
in evidenza le loro degenerazioni. La conclusione di questa prima parte è che
bisogna andare più avanti e razionalizzare di più il
mondo, condizione prima per renderlo più appassionante.
In
tale ambito M. Löwy (2001) sottolinea come Debord, rispetto a Breton, sia più
razionalista e vicino al materialismo francese dell’Illuminismo
1.5.4
Nella
seconda parte viene ulteriormente sviluppata una analisi critica della cultura
borghese per ciò che riguarda le varie tendenze letterarie e artistiche in generale, ma anche religiose.
Il punto centrale di queste analisi è
che
la crisi della cultura moderna si conclude come
disfacimento ideologico. Niente di nuovo è costruibile su queste rovine e il
semplice esercizio dello spirito critico diviene impossibile dato che ogni
giudizio è in conflitto con altri, ognuno si riferisce a residui di sistemi d'insieme
ormai vecchi, oppure a imperativi sentimentali personali. Il disfacimento si è
esteso a tutto. Appare così l'uso massiccio della pubblicità commerciale
influire sempre di più sui giudizi relativi
alla creazione culturale, ciò che era un antico processo. Si è giunti ad
uno stato di assenza ideologica in cui agisce solo l'attività pubblicitaria,
escluso ogni giudizio critico preliminare, ma non senza attivare un riflesso
condizionato del giudizio critico.
Siamo,
in effetti, alla stessa chiaroveggenza della Società dello spettacolo,
alla denuncia di stereotipi imposti all'immaginario collettivo di
cui il fenomeno Sagan-Drouet ne è uno dei più rilevabili alla fine degli anni
'50. Anche l'architettura non sfugge a questo disfacimento che ha tout gagné.
Debord
conclude accennando ad una possibile
presa di coscienza della decadenza del
pensiero borghese da parte delle minoranze
dell'avanguardia come punto di partenza
per un rinnovato pensiero critico.
1.5.5
Nella
terza parte Debord centra le sue proposte d'intervento anzitutto sulla
costruzione di
ambientazioni contingenti della vita e della loro trasformazione in qualità
passionale di ordine superiore.
Da
qui il concetto di urbanismo unitario
da realizzare attraverso l'impiego dell'insieme delle
arti e delle tecniche, come mezzi che possono portare ad una strutturazione
integrale dell'ambiente.
Ciò
in modo dinamico e sperimentale, non escludendo, ad esempio, la costruzione di quartieri
stati-d'animo per cui è
possibile pensare che
ogni quartiere di una città dovrà tendere a provocare
un sentimento semplice a cui il
soggetto si esporrà con conoscenza di
causa.
Debord
scrive poi del gioco situazionista come di una attività che recupera
l'unità della vita di là dalle separazioni poste in atto dalla borghesia e
riscontra
nell'abbondanza di bassezze televisive una
delle ragioni dell'incapacità della classe operaia americana a politicizzarsi.
Il
comportamento della deriva (in tale ambito Debord postula l'uso
creativo della televisione e del cinema come rappresentazione diretta di un attualità
giocata) e le analisi psicogeografiche rientrano per Debord
in una pratica relativa al fatto che
la vita di un uomo è una successione di situazioni
fortuite di cui si ha, sia che le une non sono proprio simili alle altre che
esse, nella gran maggioranza, tanto indifferenti e appannate, danno
perfettamente l'impressione della somiglianza.
Particolare
rilievo assume il conflitto
tra il desiderio e la realtà ostile a tale desiderio:
ciò che sembra essere la sensazione del deflusso temporale.
1.5.6
La
quarta e la quinta parte strutturano un approccio organizzativo e delineano l'analisi
dei percorsi delle avanguardie artistico-rivoluzionarie per tutto quello che
riguarda il rapporto tra creazione culturale e rivoluzione mondiale.
1.5.7
Nell'ultima
parte brevemente Debord si occupa delle forme di opposizione al modo di vivere
capitalistico e in particolare della necessità di
distruggere, con tutti i mezzi iper-politici, l'idea
borghese di felicità.
Si
tratta di presentare una alternativa rivoluzionaria alla cultura dominante.
Perché
si sono interpretate abbastanza le passioni: si tratta
ora di trovarne altre.
1.6
Correlati
a queste analisi i successivi film di
Debord, Sur le passage de quelques personnes à travers una assez courte
unité de temps, del 1959 e Critique de la séparation del 1961 in cui è ormai
affiorante il tema del tempo che, unitamente a quello della soggettività
ed all’ambito dell’oggettivazione, della
reificazione e dell’ideologia, delinea uno degli insiemi polari intorno a
cui ruota una parte delle teorie debordiane.
1.6.a-
Il problema del tempo prenderà forma in vario modo nei lavori di
Debord, qui (in Sur le passage.. e Critique..), come nell’altro
film In girum imus nocte et consumimur igni, la temporalità, la
nostalgia, il rifiuto, vengono ad essere gli elementi centrali di
una narrazione che Löwy colloca nel
genere del romanticismo nero con riferimento a
quella tradizione utopica e sovversiva del
romanticismo che va da William Blake a William Morris e da Charles Fourier ad
André Breton… al romanzo nero del XVIII secolo (M. Löwy
cit.).
1.6.b-
I problemi del tempo- e del suo consumo libero- sono presenti,
direttamente e/o indirettamente in quasi tutti i lavori di Debord.
Non abbiamo niente di nostro tranne il tempo di cui
godono gli stessi che non hanno alcuna dimora. (B. Graciàn in G. Debord 2002).
Esso
è strettamente connesso con la soggettività e con lo
scenario sociale della sua epoca. Tra vari riferimenti alla temporalità
troviamo il rifiuto del tempo e dell’invecchiamento e
la
sensazione che tutto si perde nella polvere del tempo.
In Sur le passage.. del 1959 Debord scrive
Ho lasciato fare al tempo. Ho lasciato perdere ciò che
bisognava difendere.
E
in quel film sistematicamente iconoclasta che è In girum… - film in cui abbastanza opportunamente Lowy (2001)
individua “un testo splendido nella scrittura, dal linguaggio poetico,
filosofico, sociale e politico a un tempo“ - Debord (1978) afferma che
La sensazione dello scorrere del tempo è sempre stata
per me molto viva .
1.6.c-
Anche per quanto riguarda l’arte l’orizzonte temporale diventa una dimensione
fondamentale. Per Debord (e Costant) l’arte rappresenta ciò che eternizza
l’evento vissuto sottraendolo al flusso temporale. Ossessionato da ciò che
è oggettivazione e reificazione Debord ritiene che quello
che conta è l’opera d’arte nel suo consumo immediato, rifiutando la sua
forma-merce e la sua conservazione (M. Perniola 1998). Il soggetto creatore e
l’atto creativo sono (come per i primi surrealisti) il tutto dell’arte per Debord (ma
anche un limite come sostiene opportunamente Perniola cit.), si tratta di uno
spazio-tempo situazionale che è parte costitutiva dell’evento artistico. Il
momento del vissuto appassionante e creativo prevale sulla reificazione e sul
narcisismo individualistico (M. Perniola
cit.). L'attività estetica si realizza così con la costruzione di situazioni
spazio-temporali, di ambienti in cui le
persone condividono e interagiscono in un gioco di sensazioni e di desideri. La situazione costruita - come
Debord la definisce – viene a trasformarsi in evento, con la sospensione del tempo economico e produttivo, liberando l'eros
e il gioco reciproco tra soggetti in un ambito festivo in cui si annulla ogni
differenza di classe. Una vita autentica dovrebbe essere, per Debord, una
vita intesa come sommatoria dei transiti da realizzare attraverso la continua
dilatazione temporale della serie di questi eventi.
1.6.d- Ne La società dello spettacolo i capitoli 5 e 6 si occupano della dimensione
temporale (che tratteremo nel capitolo
seguente) mentre vediamo che vari sono i riferimenti al tempo nell’ambito
della critica della vita quotidiana. Nel n. 6 dell’IS (1961) in Prospettive di modificazioni
coscienti della vita quotidiana Debord affronta il problema del consumo del tempo
vissuto, denunciando il fatto che nelle società capitalistiche il
tempo che il soggetto non dedica alla produzione- e alla accumulazione del risparmio- è considerato tempo perduto. Questo in
una vita quotidiana caratterizzata da alienazione e sfruttamento e da una
povertà imposta, in cui vi è rarità di tempo libero. Debord sottolinea come nella
quotidianità viene lasciata gran
parte della ricchezza
e dell’energia vitale: ciò che
costituisce un problema politico che richiede la trasformazione
rivoluzionaria della vita quotidiana.
1.6.e- Per quanto riguarda il soggetto
debordiano esso è marcato profondamente dallo scorrere del tempo. È il soggetto
del desiderio, quello che coniuga quartieri e stati d’animo. È il soggetto
creativo che costruisce situazioni appassionanti. Questo soggetto cerca di
resistere alla reificazione imperante e la sua classe sociale è il proletariato,
ovvero quella
immensa maggioranza di lavoratori che hanno perduto
ogni potere sull’impiego della propria vita. (G. Debord 2002).
I
situazionisti nei loro scritti insistono spesso sulla negazione continua della
soggettività ridotta a sopravvivenza (R. Vaneigem 2002), generalmente
accettata e condivisa nel sistema capitalistico. A tale negazione, dopo averne
posto in evidenza le strategie, essi oppongono una soggettività radicale
(R. Vaneigem cit.) che nasce da un rovesciamento di prospettiva storico-sociale
in cui la povertà della vita quotidiana diviene un’area di investimento
politico (P. Stanziale 1995)
e
il vissuto individuale illuminato dal valore sovversivo dei sentimenti (R.
Vaneigem cit) .
2- Per un deturnamento
(in qualche modo) de La società
dello spettacolo
2.1
La società dello spettacolo di Debord
rappresenta inconfutabilmente un punto di non ritorno nell’ambito di una teoria
critica della società, critica, nel senso che sarà sempre della Sds che
occorrerà tener conto per comprendere correttamente le strategie di autoriproduzione e
accumulazione capitalistiche.
Proposte
di analisi come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano, di new
economy, di alienazione
biotecnologica, di economia finzionale, viste in una loro
collocazione critica, non possono non essere ricondotte alle concezioni di
fondo della Sds, unitamente alle analisi di R. Vaneigem e degli altri situazionisti ortodossi e non.
2.1.a-
È possibile inoltre verificare come vi sia una corrispondenza tra elementi teorici debordiani ed alcuni
significativi ambiti analitici contemporanei. In particolare la distinzione debordiana
tra società in cui lo spettacolo è concentrato, diffuso e integrato (Sds e Commentari del 1988) viene, per molti aspetti ad avere un riscontro
con le fasi dello sviluppo del capitalismo dei consumi esaminate da Lipovetsky (2007) ovvero: 1) la
fase della nascita dei mercati di massa, 2) la fase del ciclo storico che inizia negli anni ’50
caratterizzata dalle società del consumo di massa- e che richiama ampiamente lo spettacolare diffuso
debordiano, 3) la fase infine che va oltre lo standing ed è caratterizzata dai consumi
emotivi ed è pertinente alla organizzazione economica post-fordista e al turboconsumerismo segnando
il destino felice dell’ homo consumericus. Questa terza fase
corrisponde, per moltissimi aspetti a quella dello spettacolo integrato
nel suo senso ultimo (G. Debord 1988), quando la spettacolarità
si è mescolata ad ogni realtà…. perché l’esperienza
pratica del compimento sfrenato della
volontà della ragione mercantile mostra, rapidamente e senza eccezioni, che il
divenir-mondo della falsificazione era (è) anche un divenir-falsificazione del
mondo. (G. Debord cit.).
2.2
La
lettura che quindi è possibile proporre oggi della Sds può anche essere giocata attraverso un
détournement, ovvero:
1)
partire dalle analisi critiche legate al dibattito teorico proprio del
movimento operaio alla fine degli anni ‘60;
2)
prendere atto di un processo critico che abbraccia temi quali il tempo
(di cui già ci siamo occupati), il territorio e la cultura;
3)
approdare quindi all’ambito profetico della fenomenologia della società
dello spettacolo, fondamentale riferimento per la critica del capitalismo
colto nel suo sviluppo storico.
Avendo
premesso che il lavoro di Debord va pure visto nel contesto di varie elaborazioni teoriche proprie della variabile compagine
situazionista, ci si potrà accingere alla sua lettura, percorrendone la sua
caratteristica struttura articolata nelle note 221 tesi raccolte in nove capitoli.
2.3
La
definizione di una base storico-filosofica da cui partire è fornita certamente
dal lungo capitolo 4. Esso inizia individuando l’orizzonte storico come spazio
proprio per la costruzione di una prospettiva di analisi e di azione politica,
e termina affermando che
ogni teoria rivoluzionaria è nemica di ogni ideologia
rivoluzionaria
un
concetto fondamentale questo che avrà un ruolo non secondario nella veritable
scission dell’IS.
Muovendo
da Hegel e Marx, Debord mostra le carenze proprie dei socialismi e
dell’anarchismo. Egli fornisce una critica del burocratismo staliniano, ma
anche delle illusioni neoleniniste e del
Trotzky ispiratore della Quarta Internazionale (Tesi 113), affermando invece la
validità dei Consigli operai come la realtà più alta del movimento
operaio (Tesi 118). Il percorso debordiano risente, qui, come molti hanno già scritto, delle analisi
del primo Lukàcs, di Korsch, di Gramsci
e di Pannakoek, unitamente alle idee portate avanti, in quegli anni da Socialisme
ou Barbarie e Arguments.
2.4
Nei
capitoli 5 e 6 il rapporto fra tempo e storia viene da Debord esaminato nel suo
sviluppo, procedente da un tempo ciclico senza conflitti ad un tempo
irreversibile proprio del medioevo. Con l’ascesa della borghesia si afferma il
tempo storico, anch’esso irreversibile, ma il cui uso è vietato alla società
dalla borghesia padrona (Tesi 144). A
tale tempo irreversibile corrisponde il tempo-merce della produzione
corrispondente, a sua volta, al tempo pseudociclico del consumo. Si tratta del
tempo spettacolare proprio di un’epoca senza festa (Tesi 154), una dimensione
in cui lo spettacolo viene a porsi come “falsa coscienza del tempo” (Tesi 158).
2.5
Nel
capitolo 7 Debord mostra come lo spazio divenga lo scenario del
capitalismo e come la strutturazione del territorio, alterando in modo
strumentale il rapporto tra città e campagna, miri a realizzare un maggior
controllo delle persone e quindi il loro isolamento. Una rivoluzione che
tenderebbe ad affermarsi nell’ambito dell’urbanismo viene individuata da Debord
in un ritorno ai bisogni ed alle condizioni dei lavoratori fatte proprie dai Consigli.
2.6
Nel
capitolo 8 il consumo spettacolare viene da Debord denunciato come consumo
della cultura-merce anche nei suoi correlati sociologici di comodo.
La cultura che viene ad affermarsi va negata
unitamente al linguaggio che la veicola
mentre
“il plagio necessario” e il “détournement” vengono a costituire prospettive di recupero
creativo del senso.
2.7
L’ultimo
breve capitolo tratta in nove tesi del trionfo dell’ideologia (qui, come in
tutta la Sds ,
il termine ideologia va inteso in senso rigorosamente marxiano) nella
sua materializzazione che è lo spettacolo. La falsa coscienza, in tal modo,
celebra il proprio trionfo che è il trionfo di
una base materiale relativa ad una verità capovolta.
La
lotta è dunque per un’effettiva verità e per l’emancipazione da questa base
materiale.
2.8
Questo
tragitto del détournement si conclude aprendosi e ritornando ai primi tre
capitoli che disegnano tesi il cui valore è continuamente avvalorato dal
riscontro periodico con la realtà del capitalismo contemporaneo.
Le
72 tesi dei primi tre capitoli tracciano un percorso organico, partendo dal
concetto di separazione - che riprende in una prospettiva innovativa sia
il concetto di alienazione (sulla linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il
concetto di scissione (del Lukàcs della Teoria del romanzo 1920)
- per giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta la
realtà spettacolare. La separazione che si compie per Debord (con riferimento
anche all’eccesso di metafisica lukàcsiano) sembra portare a compimento
quel processo di scissione tra il soggetto e se stesso originato dalla
rottura dell’unità presente nel mondo greco e ormai in via di compimento nel
capitalismo. La separazione è dunque tra il vissuto e la sua
rappresentazione, ovvero la rappresentazione tende ad accumularsi e a
predominare sul vissuto che, nella società capitalistica, viene sempre di più a
marginalizzarsi e a diventare, nella sua verità, solo il momento di una
rappresentazione totalizzante che sappiamo falsa.
2.8.a-
Qui è possibile accennare ad alcune convergenze tra il situazionismo con alcune
teorie psicoanalitiche (malgrado Debord) sviluppatesi in Francia in quegli anni.
Una
convergenza, ad esempio, è il rifiuto di Debord e di Lacan del maoismo – Lacan
ai maoisti che lo contestavano : “volete un padrone, l’avrete!”- E. Roudinesco
1995).
Vediamo,
poi, che anche Lacan usa il termine deriva dall’inglese
drive come traduzione del termine
trieb che significa pulsione, istinto.
Freud aveva parlato-
relativamente all’economia della psiche di
una soddisfazione allucinatoria, che tende a prendere il posto
della realizzazione del desiderio: lo spettacolo, secondo Debord, viene, in
modo sempre più organizzato (a misura di marketing), a sostituire una
possibilità reale di vita con immagini
fantasmatiche. E Lacan (1974) aggiunge che la realtà soggettiva è
supportata e sostituita dal fantasma che
la sostiene a livello del desiderio (J. Lacan 1974) .
2.8.b- Ci sembra opportuno, a questo punto, un riferimento alla teoria lacaniana per cui il soggetto (Es),
orientato naturalmente verso l’oggetto del desiderio, è costretto a rivolgersi
a sostituti dell’oggetto del desiderio per realizzare il suo Io
immaginario secondo una processualità in
cui chi dirige il gioco è l’Ordine simbolico o grande Altro. Teoria
che costituisce certo un contributo teorico forte. In questa struttura
soggettiva operano i registri del reale,
dell’immaginario, e del simbolico comprendente, quest’ultimo,
l’economia e la sua egemonia, un Ordine che ben contribuisce alla costituzione dell’Io fornendo
identificazioni, gadget, fiction, in una parola agisce, in gran parte attraverso lo spettacolare debordiano.
Il
soggetto, insomma, deve necessariamente alienarsi se vuole essere accettato
dalla società, dato che questa richiede
una fedeltà sempre mutevole, una serie di adesioni
continuamente deludenti a prodotti fasulli (G. Debord 1997)
rimuovendo
in tal modo i suoi autentici bisogni e
desideri.
In tale ambito l’inconscio non è più parte di una topica che
lo vede interno al soggetto ma viene da Lacan esternalizzato come
grande Altro che, certo ha una ipoteca strutturalista, ma che ha un
notevole ruolo relativamente al rapporto tra il reale desiderante (senza
fine) del soggetto e l’ideologia materializzata (G. Debord 2002) dell’economia
capitalista che, attraverso lo spettacolo, fagocita continuamente l’immaginario.
2.9
Debord
tratta del dominio proprio di una
società che è dello spettacolo, in cui
più tende ad affermarsi l’apparire, più l’uomo è
separato dalla vita (G. Debord 2002).
Lo
spettacolo allora si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e
pervasivo il suo essere capitale.
Sono
presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni tratte dal giovane
Marx, quando scrive dell’alienazione nella società borghese, mentre il secondo
capitolo riprende il concetto di feticismo della merce sulla linea
Marx-Lukàcs.
Debord
afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l’occupazione
della vita sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del
valore di scambio sul valore d’uso in una società che sancisce la vittoria
dell’economia autonoma.
Ma
è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma
di riscatto là dove, infine, l’economia finirebbe col dipendere pur sempre
dalla società e dalla lotta di classe. Parafrasando Freud, Debord scrive che
là dove c’era l’es economico deve venire l’Io (G.
Debord cit.)
e
afferma che “il desiderio della coscienza” e “la coscienza del desiderio”
costituiscono un unico progetto mirante all’abolizione delle classi.
Questo
passaggio, in genere abbastanza ignorato, rappresenta invece un punto
importante dato che, malgrado l’avversione di Debord per le scienze umane in
generale, rispecchia ancora una volta un nucleo critico importante della
psicoanalisi di Lacan. Questi, mostrando
come in effetti la spaltung, la scissione, sia costitutiva
dell’essere umano e rappresenti una condizione per cui il soggetto deve alienarsi
per accedere - ed essere riconosciuto - all/dall’Ordine simbolico. Siamo
qui sul piano di una alienazione strutturante (P. Stanziale 1995).
2.9.a- È inevitabile, a questo punto, affrontare un importante nodo
teorico riguardante quel rapporto indissolubile tra economia, spettacolo
e immaginario. Nodo borromeo che si fa struttura divenendo
un nucleo dialettico in grado di articolare in modo evolutivo le intuizioni
debordiane. Questa struttura traduce fondamentalmente il significato e il significante
della merce ovvero l’immagine-merce, il feticcio-merce, ovvero
fascinazione, illusione, scambio, consumo.
Ciò in una fase di evoluzione strutturale dell’economia verso una
evidente ed affermata sua autonomia che può essere ben correlata alle marxiane
due astrazioni/alienazioni (A. Jappe 1999) ovvero lo Stato e il Denaro
riguardanti il divenire membro di una comunità e l’accesso al mondo del lavoro.
L’ipostatizzazione di queste astrazioni/alienazioni si concreta nello spettacolo
da intendersi come ideologia materializzata (G. Debord 2002). Questi
riferimenti che attualizzano, attraverso Debord, le istanze del giovane Marx
vengono riaffermate- come giustamente sottolinea Jappe (cit)- nel Capitale
che individua nell’astrazione, corrispondente alla forma-merce,
ciò che muove l’economia moderna.
2.9.b-
Come nota, poi, M. Pezzella (1996) il
potere economico richiama immediatamente un immaginario inseparabile dal
desiderio, un immaginario che va oltre il valore d’uso realizzando il
valore di scambio. Si tratta
qui di individuare “ l’economia nella sua cultura” (W. Benjamin 1986 in Pezzella cit.) che
mostra come economia e immaginario siano
termini legati da un indissolubile
legame funzionale nell’ambito di quella economia libidinale di cui parla
Lyotard (1978).
Per
quanto riguarda lo spettacolo esso non è una sovrastruttura - nel
tradizionale linguaggio marxista - e neanche una simulazione (J. Baudrillard
1979). Esso, nel contesto della Sds, è allo stesso tempo: una
figurazione dell'immaginario, una tecnica di produzione e un motore della circolazione
del capitale.
2.9.c- Versante di articolazione di questa struttura, e
costituente importante di essa, è il desiderio. Il desiderio rappresenta
un tema centrale nell’ambito delle
scienze umane in Francia a partire dagli anni ’30 a seguito delle famose lezioni di A. Kojéve
sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel.
È il Desiderio (cosciente) di un essere a costituire questo essere come
Io e a rivelarlo come tale ….. l’Io del Desiderio è un vuoto che riceve un
contenuto positivo reale solo dall’azione negatrice che soddisfa il Desiderio..
(A. Kojéve 1947).
Ed è sul desiderio che
teorizzeranno, tra molti, G. Deleuze, F.
Guattari e Lacan che scrive
Lo sfruttamento del
desiderio è la grande invenzione del discorso del capitalista, perché dopotutto
bisogna indicarlo col proprio nome. Devo dire che è un marchingegno
maledettamente riuscito... (1974).
2.9.d- Anche nei situazionisti il desiderio ha una ruolo centrale sia in Debord che in
Vaneigem il quale struttura una vera e propria antropologia del desiderio
(P. Stanziale 2004) risvolto inevitabile
di una soggettività radicale (R.
Vaneigem 1996 2004).
2.10
Il
terzo capitolo probabilmente è il più francofortese. Nella sua unità fittizia,
lo spettacolo maschera le contraddizioni e le lacerazioni della società e dei
poteri che la dominano. La banalizzazione, la vedette specializzata nel
vissuto apparante, le finte lotte spettacolari: tutto ciò rappresenta un artificiale
che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita sociale. Uno
spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso
a seconda della miseria che smentisce o mantiene.
3- Note per una estetica del disgusto
3.1
Nel
1959 Debord ha ventotto anni, da sette abita a Parigi,
una città che
era così bella che molti hanno preferito vivervi da poveri piuttosto che
trascorrevi un’esistenza agiata da qualche altra parte… adesso non ne rimane niente … Chi
altro potrebbe sapere le fatiche e i piaceri che abbiamo conosciuto in questi
luoghi dove tutto è diventato così malvagio (G. Debord 1978).
In
questi anni parigini è divenuto
definitivo e circostanziato in Debord il rifiuto della realtà sociale del suo
tempo.
Debord
vede la piccola borghesia caratterizzata da una ”..dignità infelice..” (G.
Debord 1959), e vede quartieri “..estranei alla sua storia..”, avverte la
necessità di una critica globale della corrente idea di felicità, insomma
Debord è già a buon punto nel suo “..assalto al cielo..” (G. Debord 1978).
Debord
e i suoi amici in quegli anni esercitano “il dubbio sistematico” e sono
interessati unicamente ad una “espressione sufficiente di loro stessi”,
vogliono “reinventare tutto ogni giorno; impadronendosi totalmente della loro
vita..” (G. Debord 1978).
Questo gruppo era ai margini dell’economia.
Tendeva a un ruolo di puro consumo, e innanzitutto di consumo libero del suo
tempo. Era così interessato direttamente alla variazioni qualitative del quotidiano, ma sprovvisto di ogni mezzo di
intervento su di esse .. (G. Debord cit).
Così
scrive Debord all’inizio degli anni ‘60, sulla strada della decisa idea di realizzare il viaggio della sua vita
attraverso la critica sistematica della società capitalistica unitamente alla
ricerca di “continue situazioni poetiche da conoscere..” (G. Debord 1993). E
ciò già struttura alcuni elementi di
quella che proviamo a definire un’estetica del disgusto debordiana.
3,2
Dai
primi film di Debord emergono certamente i suoi
tratti personali, come
giustamente sostiene Jappe (1999). Una
persona, Debord, molto selettiva nelle amicizie, senza nessuna concessione ai
poteri e agli intellettuali della sua epoca, una persona che ha costruito
accuratamente la sua solitudine piuttosto
aristocratica, certo non scevra da una chiara megalomania nell’edificazione del
suo personaggio.
La mia cerchia è stata composta solo da quelli che
sono venuti da sé, e hanno saputo farsi accettare. Non so se esista un altro
che abbia osato comportarsi come me, in questa epoca. Bisogna anche riconoscere
che la degradazione di tutte le condizioni esistenti è appunto apparsa allo
stesso momento, come per dare ragione alla mia follia singolare.. (G. Debord
1998).
3.3
La
sensazione di disgusto che prova Debord per le società capitalistiche avanzate-
e che si traduce in dichiarate forme di disprezzo- è stata ampiamente esaminata
da vari autori. Tra tutti ancora Jappe (cit.) che esamina questo aspetto in modo esauriente, sia
sottolineando l’estrema coerenza personale di Debord, sia illustrando l’al di
qua del disgusto ovvero il background di
Debord con i riferimenti culturali relativi.
Debord viene da Jappe accostato a personaggi come Karl Kraus, con cui ha in
comune il disprezzo per lo spettatore, colui che ha delegato la
sua vita, qualcosa di inconcepibile per Debord.
Altro
personaggio chiamato in causa è Paul Gondi, Cardinale di Retz che rappresenta
per Debord un ambito di gratificanti identificazioni in cui vediamo la prassi
della teoria che innesca storiche
avventure unitamente al ruolo di deus ex machina in ambiti strategici sofisticati che
andrebbero al di là della teoria.
E
quindi il noto riferimento al barocco o meglio a quella che si potrebbe
definire una certa lettura debordiana del barocco. Centrali, riteniamo, il
concetto barocco di tempo che, come abbiamo già visto, è elemento
importante della sensibilità debordiana- e situazionista in generale- e il passaggio
alla realizzazione dell’arte. Una certa lettura, quindi, dato che il barocco
(accostato spesso all’epoca attuale – tra tutti F. Berardi 1994) è anche cambiamento
comunicativo, trionfo dell’artificio e della decorazione. Il trionfo di un sogno (divino)
che subordina la realtà (P. Stanziale 1995), il trionfo della particolarità e
dell’empirismo dell’evento (G. Deleuze 1953). Il barocco è portatore di un
principio contingente che scopre un mondo in cui diventa evanescente ogni unità
politica e religiosa. Con esso prende
forma un’arte sempre più individualizzata e tesa verso eversioni formali. Un’arte
propria dell’aristocrazia, connessa al suo potere.
Ma
Debord, tutto sommato, è pure una specie di controriformista ed è anche “un
uomo che sa mettersi in mostra” secondo i precetti del suo spesso citato
gesuita spagnolo del ‘600, B. Graciàn (che, per un ironico deturnamento, è oggi
molto stimato dai dirigenti d’azienda USA).
Vi sono uomini generosi nei quali il poco riluce
molto, e il molto abbaglia addirittura. Quando l'ostentazione si sposa
all'eccellenza, può passare per un prodigio…
L'ostentazione
delle proprie qualità completa e integra molto, e dà ad ogni cosa una seconda
vita, soprattutto quando la realtà la sostiene. Il Cielo che dà la perfezione,
prepara la via all'ostentazione, perché se essa dovesse rimaner sola,
risulterebbe intollerabile. Anche nel mettersi in mostra occorre arte: persino
le cose più eccellenti sono condizionate dalle circostanze, e non sempre
possono risplendere; così l'ostentazione stessa riesce male quando è fuori di
tempo. Nessuna dote richiede d'essere meno affettata di questa; ed è
l'affettazione quella che la rovina, perché vive sempre sul confine della
vanità, e questa sul confine del disprezzo. Dev'essere tenuta bene a freno
perché non faccia cadere nella volgarità, e il suo eccesso è alquanto
discreditato presso gli uomini saggi….
È una grande
abilità, quella di non svelare la perfezione tutta in una volta, ma di andarla
scoprendo a poco a poco, come si fa con le carte da gioco, e crescendo di mano
in mano, sì che un ornamento sia la premessa e la promessa. di un altro ancor
più grande, e l'applauso con cui è salutato il primo lasci in tutti
l'aspettazione per quelli che verranno dopo. (B. Graciàn 1991).
Così
scriveva Graciàn nel ‘600 e ci sembra che il Debord stratega abbia fatto tesoro
degli insegnamenti del gesuita spagnolo anche nell’ambito di un’estetica del
disgusto cui cerchiamo di accennare, ciò che ha i suoi risvolti anche riguardo
alle relazioni interne all‘IS. A tale proposito ci anche sembra utile
riportare quanto scriveva di Debord Asger Jorn (1964)
Dalla fine della guerra non ho trovato nessun altro
che Guy Debord che, ignorando tutti gli altri problemi che potrebbero imporsi
all’attenzione, si concentrasse esclusivamente, con una passione maniacale e
con la capacità che ne deriva, sul compito di correggere le regole del gioco
umano secondo i nuovi dati che si impongono a noi nella nostra epoca. Egli si è
dedicato, con precisione, ad analizzare questi dati, e tutte le possibilità che
oramai si escludono e quelle che si aprono, senza alcun attaccamento
sentimentale per un passato che si è già abbandonato da sé.
Egli fornisce la dimostrazione di queste
correzioni e indica le regole che ha deciso di seguire. Invita anche gli altri,
che vogliono avanzare nell’avanguardia di questo tempo, a seguir e queste nuove
regole, ma rifiuta radicalmente di imporle, con qualcuno dei numerosi
procedimenti e prestigi dell’autorità, a coloro che non ne vedono ancora
l’interesse. Su di un punto preciso nondimeno egli è temuto, giustamente, da
tutto l’ambiente artistico. Non accetta che qualcuno possa fregarsene di lui
facendo finta di accettare quelle regole e poi utilizzandole come gettoni di un
altro gioco: quello della mondanità, nel senso più lato – dell’accordo con il
mondo dato. In casi simili, egli è senza indulgenza; e tuttavia si può dire che
questi problemi di compromissione o di sottomissione si sono posti, un giorno o
l’altro, come fine di quasi tutte le sue relazioni. Egli ha lasciato queste
persone definitivamente. Ne ha trovate delle altre. È il motivo per cui
quest’uomo di una generosità non comune si è trovato incasellato, nella mitologia
mondana del dopoguerra, come l’uomo senza alcuna pietà.
3.4
In
effetti Debord proprio per la sua rigorosa coerenza non ha fatto altro che
ritornare continuamente, anche se a livelli diversi, sugli assunti di fondo che
caratterizzarono la sua eroica avventura lettrista degli anni ’50,
quando già aveva tracciato un cerchio di
demarcazione tra lui- e i suoi quattro amici- e la società del tempo
ritagliando il suo ruolo.
I giochi più belli dell'intelligenza non
sono niente per noi. L'economia politica, l'amore e l'urbanismo sono dei mezzi
che dobbiamo dominare per la risoluzione di un problema che è anzitutto di
ordine etico. Niente può dispensare la vita dall'essere assolutamente appassionante.
Noi sappiamo come fare. Nonostante l'ostilità e le falsificazioni del mondo, i
partecipanti ad un'avventura temibile da tutti i punti di vista si
rassomigliano, senza indulgenza. Consideriamo
generalmente che al di fuori di questa partecipazione non c'è modo
onorevole di vivere. (Potlach 17-18 1985 1996).
E successivamente esplicita che
quasi tutto quel che succede nel mondo suscita la
nostra rabbia e il nostro disgusto, tuttavia sappiamo sempre di più divertirci
di tutto (Potlatch 156 in
A. Jappe cit.).
Si
è potuto anche parlare, a proposito di
Debord, di un'estetica della sconfitta con riferimento al fatto che “quasi
che ogni successo contenga un elemento di insopprimibile volgarità” (M.
Perniola 1998): ciò che, in gran parte, giustifica la sua polemica contro i
pro-situ.
4- Le risposte invertite della
storia
4.1
Abbiamo
visto come il manuale di B. Graciàn, un
autore-guida di Debord, sia divenuto una lettura classica per i manager USA. Questa
è
una di quelle situazioni per cui
le domande di Debord hanno ricevuto dal capitalismo delle risposte invertite
.
Allo
stesso modo le teorie debordiane sono fatte proprie dal marketing di
aziende (Negozi Hollister ecc. - M.
D’Ambrosio 2008), la deriva è sperimentata ed istituzionalizzata da Facoltà
di Architettura romane e torinesi ed è presente
in alcuni format TV nei quali vengono costruite situazioni
emozionanti da attraversare.
Il
gruppo Luther Blisset (oggi Wu Ming), anche,
ha fatto la sua parte (P. Stanziale 1998) con le relative denigrazioni e con
critiche di cui qualcuna, a nostro avviso, fondata.
Che
dire poi di quel gigantesco dètournement
pervasivo che prende il nome di postmoderno,
figurazioni che assemblano stili
precedenti secondo un progetto ludico,
partecipando ad uno spettacolo globale, ad un immenso “simulacro
immaginifico” (F. Jameson 1994) tra stereotipizzazioni e nostalgie.
4.2
I
parchi a tema, i villaggi disneyani, i villaggi-outlet cos’altro
sono se non progetti paradossalmente
deturnati dell’urbanismo unitario…
4.3
E
le vedette, poi, di cui parla Debord nella Sds, fenomeno che nel
tempo si è ampliato fino a riempire, ai nostri giorni, interi pomeriggi di
trasmissioni televisive in cui storie ed ambiti
privati di veline e di personaggi dello spettacolo vengono
scrutati con dovizia di particolari anche creando artificiose situazioni in
cui queste persone sono costrette a muoversi
ed agire, universi in cui queste vedette spesso perdono ogni forma di decoro personale in
nome di un finto realismo spettacolare.
4.4
Queste
solo alcuni esempi di risposte invertite della storia alle domande debordiane
(vedi anche G. Agamben 1999), un percorso che giunge fino ad una spettacolarità
integrata che può assumere varie forme: si va dalla strategia del terrorismo-spettacolo
(R. Massari 2002)- che consente alle classi di potere, nei vari paesi
dell’imperialismo, di ridisegnare l’ordine mondiale in funzione dell’interesse
delle multinazionali- sino a un voyeurismo televisivo generalizzato, in
cui la fiction si installa sempre più nella realtà, sotto l’occhio onnipresente
delle telecamere, confermando ulteriormente l’Hegel deturnato debordiano per
cui “il vero è un momento del falso” (G. Debord 2002).
4.5
Ma
le intuizioni debordiane- come
sottolineato da più parti- avvenivano in un momento in cui anche il capitalismo
stesso stava cambiando- secondo quanto aveva scritto Marx sul fatto che
il capitalismo è fondato sul cambiamento (innovazioni produttive,
produzione di nuove merci, ricerca di nuovi mercati ecc.). Un cambiamento
che, facendo sue tutte le innovazioni
emerse nelle varie aree della conoscenza, procedeva alla realizzazione di nuovi
assetti economico-produttivi (vedi punto 4.8). Rispetto a questo andamento l’IS
si trovava in ritardo, come ammesso da Debord stesso, un andamento che vedeva il potere procedere rapidamente nello sviluppo
delle sue strategie di dominio corrispondenti ai nuovi meccanismi economici.
4.6
Ne
i Commentari del resto Debord
prende atto di tutto ciò e sottolinea una serie di fatti :
4.6.a-
come in Francia e in l’Italia lo spettacolo integrato sia
maggiormente presente rispetto ad altre nazioni, questo per una serie di
parametri storicamente determinati; noi aggiungiamo che in Italia più che in
Francia, venti anni di televisione commerciale (studi specifici sarebbero utili
su questo argomento), hanno contribuito certamente a quella mutazione di cui Debord stesso parla (G. Debord 1997) a
proposito di generazioni ormai fortemente sottomesse alle leggi dello
spettacolo;
4.6.b-
anche i cinque punti che Debord indica
nella Tesi V dei Commentari come parametri combinati propri dello spettacolare
integrato trovano un’area di verifica proprio nell’Italia degli ultimi decenni: la
continuità di un rinnovamento tecnologico, l’alleanza e la combinatoria tra economia e stato nell’ambito di
interessi di potere, il segreto generalizzato, affermato anche
recentemente da un Presidente del Consiglio italiano, la falsificazione
indiscutibile, rilevabile marcatamente in taluni universi di discorso, la scomparsa
dell’opinione pubblica di cui si parla frequentemente ai nostri giorni, con
le gravi conseguenze politiche connesse (scoperta recente e tardiva di alcuni intellettuali italiani), il vero
che diviene, in tali ambiti, una ipotesi;
4.6.c-
un presente dilatato, con la rimozione del passato e con l’eliminazione di ogni aspettativa per il
futuro, è avvertibile in modo netto nella realtà delle società contemporanee,
unitamente al rifiuto della storia ed
alla sua manipolazione, situazioni denunciate da Debord e rilevabili nell’Italia di tempi recentissimi;
4.6.d-
appare pure evidente il fatto che le democrazie nello spettacolo integrato-
come quella italiana- presentano una fragilità di fondo (Tesi
VIII) che ha come risvolto l’insofferenza per tutto ciò che è
opposizione, domanda di cambiamento, critica
alle loro espansioni ed alle loro spettacolarizzazioni mercantili.
4.7
Il
monitoraggio debordiano dei Commentari continua con una serie di
riflessioni che vanno dalla critica all’eccesso di predominio dell’economia- che tende a perdere
di vista l’umano (tema caro a S. Ghirardi - 2005)- alla delineazione di una società
della sorveglianza e dell’incertezza, alla mafia che si
presenta come modello organizzativo nello spettacolo integrato, al ruolo dei servizi
segreti nel terrorismo. Le ultime
pagine dei commentari trattano della recente storia europea e di come lo spettacolo abbia cambiato l’arte
di governare (Tesi XXXII) e di come
ci sarà un ricambio nella classe cooptata
che gestisce il potere, nell’epoca della
spettacolarità compiuta, verso nuovi sofisticati traguardi di dominio- ciò che
si è puntualmente realizzato.
4.8
In effetti ci sembra che si
possa dire che l’intellettuale d’avanguardia Debord nella seconda metà degli
anni ’60, attraverso i percorsi cui abbiamo accennato nei punti precedenti,
abbia individuato genialmente l’andamento di alcune direttrici
sociopolitiche delle società
capitalistiche avanzate - con annesse strategie di nuove e più pervasive forme
di asservimento- ed abbia reagito al suo
meglio, strutturando con altri compagni di viaggio, un nucleo teorico-critico
rivoluzionario nell’ambito di un movimento, quello del ’68, che in varie
nazioni contestava il capitale, l’imperialismo e la burocrazia (R.
Massari 1998), esigendo cambiamenti radicali dal punto di vista socioculturale
e politico.
Noi pensiamo anzitutto che occorra cambiare il
mondo, vogliamo il cambiamento più liberatore della società e della vita in cui
siamo compressi. Sappiamo che questo cambiamento è possibile con azioni
appropriate.
Nostro compito è
precisamente l'impiego di certi mezzi d’azione e la scoperta di nuovi, più
facilmente riconoscibili, nel dominio della cultura e dei costumi, ma
applicati nella prospettiva di un’azione reciproca di tutti i mutamenti rivoluzionari.
Ciò che si definisce
cultura, riflette, ma anche prefigura, in una data società, le possibilità
d'organizzazione della vita.
La nostra epoca è
caratterizzata fondamentalmente dal ritardo dell'azione politica/rivoluzionaria sullo sviluppo
delle possibilità moderne di produzione che esigono
un'organizzazione superiore del mondo.
Viviamo una crisi essenziale
della storia, in cui ogni anno si pone più nettamente il problema del dominio razionale delle nuove
forze produttive e della formazione di una civiltà su scala mondiale. (G.
Debord 1957).
Ciò tenendo presente quanto
Marx aveva scritto nel Manifesto delineando profeticamente le future
dinamiche del capitalismo.
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare
continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque
tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi
industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema
di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto
scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni
contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si
dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e
di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano
prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo
e di stabile, viene profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente
costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri
reciproci rapporti.
Il bisogno di
uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a
percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto
deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.
Con lo
sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta
cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto
i piedi all'industria il suo terreno nazionale, con grande rammarico dei
reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora
adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove,
la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni
civili, da industrie che non lavorano più soltanto materie prime del luogo, ma
delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo nel paese
stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti
con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti
esigono i prodotti dei paesi e di scambio universale, un'interdipendenza
universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, così per quella
intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene
comune. (K. Marx F. Engels (1848) 1998-
vedi anche punto 4.5) .
4.9
La
storia ha confermato molte delle
intuizioni critiche debordiane essendo queste la percezione di un naturale
sviluppo del capitalismo spettacolista avanzato il quale ha anche utilizzato
alcune di esse - come abbiamo visto- invertendone
ovviamente la polarità secondo i suoi disegni di guadagno economico e di
neutralizzazione della critica. In ogni caso restiamo sempre, nella teoria situazionista per la quale il potere si limita a recuperare, non
riuscendo ad inventare nulla.
Anche
se Debord, poi, ammette l’esistenza di
una arretratezza dell’azione politica (vedi punto 4.5) rispetto alle mutate
forme produttive- ed al loro dominio- è pur vero che le sue teorie certamente
rappresentano una delle poche narrazioni dell’epoca contemporanea all’altezza
del problema (G. Agamben 1999).
5- Firewall, ideologie e dissolvenze
5.1
Un
dato di fatto è che lo scioglimento
nel popolo dell’IS si presenta
coerentemente con l’inizio e con gli sviluppi dei suoi assunti pur prestando il
fianco ad una serie di critiche.
Vanno
opportunamente considerate alcune situazioni.
5.1.a- La storia dell'IS dal 1957 in poi è storia di
scomuniche, di espulsioni, di settarismo: gioca qui il suo ruolo l’eredità
surrealista ma anche è necessario tener conto di quanto ha scritto A. Jorn (
1964 cit. vedi 3.3) a proposito di Debord.
5.1.b-
Il Situazionismo si è sempre presentato come una pratica teorica a cui Debord
ha posto sempre direttrici analitiche
proprie ispirate ad una rigorosa
ortodossia.
5.1.c- Sono emerse evidenti scollature fra teoria e prassi, con la palese mancanza di condizioni effettivamente rivoluzionarie dopo il
Maggio francese.
5.1.d-
Come sostiene Gianfranco Marelli (1996)
L’Internationale Situationniste incarrnò questa sfida
sul cambiamento e la condusse sino alle estreme conseguenze.
5.1.e-
I Situazionisti spesso scivolarono nell’autocontemplazione tendendo ad esagerare
la loro influenza sugli eventi del
maggio francese.
5.1.f-
Altra imputazione all’IS è quella
relativa ad una critica della quotidianità che non aveva
tenuto conto del fatto che
I profondi cambiamenti avvenuti nei primi anni ‘60
avevano lasciate irrisolte le domande sul futuro assetto sociale del sistema
capitalistico, non tanto riguardo alla classe proletaria ed al suo ruolo nella
società, quanto piuttosto nei confronti degli strati intermedi schiacciati
sempre più dalla proletarizzazione delle funzioni intellettuali e burocratiche
attuate dallo sviluppo economico capitalista. (G.F. Marelli cit.).
5.1.g-
In ogni caso dopo il maggio ‘68 l’IS divenne molto popolare. Molte
persone, seguendo un certo vezzo intellettuale, cominciarono a definirsi
situazionisti e molti cercarono di entrare a far parte dell’IS.
5.1.h-
A Venezia nel 1969 l’8a Conferenza dell’IS vede il massimo del successo. In tale
occasione per arginare la pressione dei pro-situ viene adottato un nuovo
statuto in cui viene affermato che l’IS
è un’associazione internazionale di individui uguali
in tutti gli aspetti della sua gestione democratica [...] le decisioni della
maggioranza vengono eseguite da tutti, la minoranza ha il dovere di scindersi
se pensa che l’opposizione sia su una questione fondamentale (G. Debord G.
Sanguinetti 1999).
5.1.i-
L’11 novembre 1970 Debord dichiara di voler lascire l’IS. Vaneigem si dimette tre giorni
dopo. Nel 1972 Debord e Sanguinetti, i due soli membri superstiti dell’IS,
pubblicano La veritabile scission.
(In
ogni caso, dopo, Debord continuò poi ad
attribuire all’avanguardia IS un
ruolo strategicamente valido in senso prerivoluzionario, intendendo con ciò la messa in atto di una pratica teorica di critica
radicale delle società capitalistiche moderne anticipatoria di una
possibile rivoluzione).
5.l.l
- A questo punto Debord, esperto stratega, comprende che: a) la situazione gli è, in qualche modo,
sfuggita di mano, b) è necessario storicizzare opportunamente la fine dell’IS
attraverso una narrazione in cui emerga il ruolo fondamentale dell’IS nell’ambito
del maggio francese e l’evidente successo internazionale delle sue tesi, c) è
possibile quindi affermare che ormai il popolo ha assimilato le
teorie situazioniste (“.. la teoria dell’IS è passata nelle masse..” tesi 22 - G. Debord G. Sanguinetti 1999) per
cui l’IS ha assolto il suo compito e, coerentemente con la sua pratica
teorica, eliminare ogni possibilità che l’IS divenga la cosa situazionista con la relativa
ideologizzazione. In effetti si era giunti ad un punto di non-ritorno per cui
continuare con l’IS avrebbe implicato la presenza di un potere –
con annessa ideologia (vedi punto 1.6) - all’interno del movimento. Ciò
che adombrava negativamente il movimento
dei pro-situ, i quali
sono stati i 'primi disinformatori', perché
dissimulavano il più possibile le manifestazioni pratiche attraverso cui si era
affermata la critica che sostenevano di condividere; e, senza farsi scrupolo di
indebolire l'enunciato, non citavano mai niente o nessuno, per dare
l'impressione di aver trovato qualcosa da sé stessi.. (G. Debord 1997).
5.1.m-
Malgrado l’ironia dei lutherblissettiani- che definiscono “kitch e un’occasione
mancata” (1995) le Tesi sull’Internazionale situazionista e il suo tempo
di Debord e Sanguinetti (firma congiunta voluta da Debord come omaggio a
Sanguinetti – G. Debord 1999 2007)- il documento in questione risente
certamente di quanto abbiamo indicato in precedenza ma presenta alcuni punti che, tra altri, vanno sottolineati.
5.1.m.a-
Debord afferma che le teorie dell’IS
hanno espresso ‘il movimento reale che abolisce le condizioni
esistenti’, e ha saputo esprimerlo; ha cioè saputo cominciare a far
comprendere alla parte soggettivamente negativa del processo, al suo ‘lato
cattivo’, la sua propria teoria sconosciuta... non si tratta di una teoria
dell’IS ma della teoria del proletariato.. (tesi 3).
5.1.m.b-
Il movimento delle occupazioni, intese come coscienza situazionista della storia,
rappresenta, per Debord, l’abbozzo di una pratica della rivoluzione (sulla scorta della lotta di classe in
corso, a quel tempo, nelle periferie di Los Angeles), ovvero il momento in cui “una
generazione ha iniziato ad essere situazionista” (tesi 7).
5.1.m.c-
Debord rileva che
oggi l’inquinamento e il proletariato sono i
due lati concreti della critica dell’economia politica. Lo
sviluppo universale della merce si è interamente verificato in quanto
compimento dell’economia politica, cioè in quanto ‘rinuncia alla vita’ (tesi
17).
E
denuncia il fatto che l’economizzazione delle risorse naturali ha
mostrato il male economico. Inoltre nocività e malattie connesse
con la produzione sono sempre più frequenti e troppo care per il sistema
mercantile. L’incompatibilità, infine, tra rapporti di produzione e forze
produttive, nelle sue punte massime, comporta un deterioramento sempre più
marcato di tutte le condizioni di vita (tesi 17).
5.1.m.d-
Nelle tesi 36 e 37 i quadri della società borghese, con le loro inquietudini, i loro
comportamenti, la loro mancanza di una coscienza dell’asservimento alla droga
spettacolare e la loro quotidianità,
vengono descritti in modo
efficace e rimandano alla contemplazione dei pro-situ ed alla
propagazione di quella “peste emozionale”,
connessa con lo spettacolare,
di cui parla S. Ghirardi (2005) richiamando
W. Reich.
5.1.m.e-
Nella tesi 43 si afferma che “i
situazionisti erano sulla breccia per combattere lo spettacolo, non per
governarlo”, ciò contro il fatto che l’attaccamento all’IS
e il riferirsi in qualche modo all’ambito situazionista potesse comportare quella che si potrebbe definire una rendita
di posizione degna di riguardo particolare:
ciò che non ha senso, scrive Debord, nell’azione rivoluzionaria (ma che
acquistarà, successivamente, senso
referenziale e valore per impieghi in ambito mediocratico).
5.1.m.f-
Nella tesi 32 Debord esamina il
meccanismo per cui i pro-situ
sono tali perché si tratta di soggetti
che rappresentano una reazione e una ricerca di riscatto rispetto alla loro condizione
di immobilità reale. Essi si beano dell’illusione di possedere una teoria (quella situazionista
) che un giorno “li porterà alla terra promessa” attraverso una “scorciatoia
turistica”, il che vuol dire, sottolinea Debord, che ormai il consumo
spettacolare della radicalità ideologica è simile al consumo di tutte le
altre merci spettacolari.
5.1.m.
g- Debord scrive, infine, che l’IS
non
ha saputo dire tutto ciò che era, e non ha saputo essere tutto ciò che ha
detto.. (tesi 49).
6- Verso una economia politica
dell’immaginario
6.1
Il
situazionismo era il portato di un disagio intellettuale reattivo ad uno
scenario socioculturale che vedeva forme di benessere coniugarsi con un
progressivo impoverimento culturale e con una omologazione consumistica che procedeva in modo
esponenziale. Il situazionismo si proponeva quindi come una alternativa
culturale avente come fine la creazione di una nuova società e l’affermazione
di soggettività liberate.
…il programma situazionista… non propone agli uomini
nessun’altra ragione di vivere se non la costruzione autonoma della propria
vita. Questo implica non soltanto che gli uomini vengano liberati dai bisogni
materiali, ma soprattutto che comincino a proiettare davanti a sé dei desideri,
invece delle compensazioni attuali, che rifiutino tutte le condotte dettate
dagli altri per reinventare continuamente la propria realizzazione individuale;
che non pensino più che la vita sia il mantenimento di un certo equilibrio, ma
che pretendano un arricchimento senza limite alle loro azioni. (P. Canjuers G. Debord 1998)
6.2
La
narrazione situazionista ebbe indubbiamente successo ma la sua spinta si
infranse contro la massiccia affermazione del dominio capitalista in espansione,
vittoria e sconfitta dunque- come affermato da molti- ma anche lo stabilizzarsi
di un nucleo di teoria critica di riferimento, tappa importante di un
itinerario che, partito da lontano, deve
essere ripreso e organicamente integrato con nuovi e più incisivi strumenti di
analisi a fronte di scenari contemporanei stagliati sullo sfondo di reticoli
schizoidi in cui il soggetto è frammentato,
risucchiato tra forme di estetizzazione
di massa ed edonismi mercificati, tra godimenti autoritari, esaltazioni
narcisistiche ed esplosioni nichilistiche. Il tutto costituendo le nuove
frontiere dello spettacolo che tende in modo sempre più pressante a
saturare quella totalità che R. Vaneigem (1994) in Banalità di base (Tesi 24) intende
come “la realtà oggettiva nel cui movimento la soggettività può inserirsi sotto
forma di realizzazione” e “là dove non vi è realizzazione vi è lo spettacolo”.
6.3
R.
Vaneigen in Banalità di base (cit.) pone in evidenza il legame dialettico
esistente tra quotidianità, sopravvivenza e spettacolo. Il tutto nell’area di
un potere che a suo vantaggio stabilisce le regole del gioco. Tra queste regole vi è l’organizzazione della
vita come sopravvivenza (tesi 17), vi è la diffusione di paure, di terrori, di
malattie, unitamente alle
relative benevole terapie. Queste
terapie spettacolari si attuano in modo soft: partecipazione apparente, forme
di immaginario prefabbricato, identità fittizie. È lo spettacolo degli specialisti che spiegano,
interpretano, coinvolgono e che innescano, alla fine, “l’isteria del
mondo spettacolare” (tesi 20).
6.4
La
vita quotidiana, nella sua povertà trova il suo riscontro nel vuoto dello
spettacolo (tesi 29). Essa è stata sempre collocata al di sotto di una vita apparente
sostenuta da miti. Ma alla fine quello che viene fuori è che più che vivere si sopravvive
in un mondo in cui tutto si equivale, in cui spettacolo e vita
quotidiana sono intercambiabili. Il tempo stesso è ridotto ad un presente
pre-occupato e teso verso un futuro che si realizza come riproduzione del passato.
Scrive Vaneigem che la vita ridotta a sopravvivenza costituisce il coronamento
dell’alienazione (tesi 6) e il lavoro
come tale è misura di separatezza e di accettazione di una condizione servile
che si è storicamente affermata. Ciò che rimane inalterato è la soddisfazione
dei bisogni elementari, il resto rientra nel regno dell’alienazione senza fine,
dei falsi bisogni e della eterna insoddisfazione.
6.5
Queste
alcune situazioni che Vaneigem riscontra come costitutive delle realtà del
capitalismo avanzato. Scenari che, come quelli debordiani, costantemente hanno
accompagnato lo sviluppo ed i
cambiamenti del capitalismo relativamente
ai modi di produzione, fino al postmoderno con i suoi giochi
di prestigio (P. Virno 1999) rispetto a cui il situazionismo è pure in
grado di fornirci, attraverso la propria specificità (P. Virno cit.) di pratica
della teoria, “le armi della critica”-
non divenute “la critica delle armi” (G.
Debord 1997)- ancora una modalità di lettura
produttiva e consapevole delle realtà contemporanee.
6.6
Il
concetto di società dello spettacolo rappresenta indubbiamente un
riduttore di complessità nell’articolazione di un comprensione critica
dell’universo socio-politico attuale. Questo perché lo spettacolo- come abbiamo
gia visto- ha acquisito un valore
strutturale con tutto ciò che ne deriva sia per l’economia del soggetto
che per l’ambito sociale e politico. Il passaggio dalla società
post-industriale alla società del dominio spettacolare ha avuto una duplice
conseguenza: l’emergere di una diversa strategia di potere basata su
parametri, che sono andati a modificare vari ambiti tra cui quelli biologici, politici e comunicativi, e il
fatto che tutto questo è avvenuto nel cuore stesso del sociale che il potere ha
potuto ristrutturare secondo i sui nuovi indirizzi. Lo spettacolare
integrato debordiano è stato il risultato di questo stato di cose, riuscendo
ad imporsi in modo autonomo e articolato divenendo una funzione vitale costitutiva della volontà individuale.
6.7
La
conseguenza di questa realtà di dominio
trova nel campo politico la sua evidenza
più devastante nella crisi della democrazia che, avendo perso quelle connotazioni che la accreditarono pienamente
nel mondo occidentale, presta, nella forma odierna, il fianco a tutta una serie
di critiche verificabili. Tra queste due sono particolarmente significative:
anzitutto il fatto che la delega
non garantisce in pieno la rappresentanza democratica (K. Popper 2003) e poi
che esiste uno sfasamento informativo
per cui i cittadini non sempre sono in grado di acquisire una effettiva
informazione politica (G. Edelman M.
Tononi 2000), ovvero non vi è un diffuso sapere che si sviluppi parallelamente allo sviluppo all’azione
politica (confermando ancora una
volta le critiche debordiane dei Commentari). E questo unitamente al
fatto che la spettacolarità
mass-mediale veicola una informazione
politica caratterizzata da scoop ad
effetto, parzialità, vuota razionalità, senza passioni civili (G. Sartori
2000).
6.8
D’altra
parte la politica stessa nella sua spettacolarizzazione inevitabile si pone sul
piano dell’intrattenimento, della pubblicità e della personalizzazione del
potere, un piano in cui il video-leader più che trasmettere il messaggio è
il messaggio (G. Sartori cit). Il potere
spettacolarizzato ha l’immagine del personaggio che lo esercita. Non sono le
idee a contare, bensì chi le deve impersonare e come. Il connubio media-spettacolo-politica
è certo un dato di fatto rispetto al quale un ritorno al passato appare
piuttosto improbabile.
Pare
dunque impensabile che si decida di rinunciare ad organizzare
professionalmente, con strategie studiate fin nei dettagli, le modalità di
comunicazione con i mass media e, attraverso questi, con l’opinione pubblica (C.
Crouch 2003). La politica-spettacolo comprendendo ciò che è personalizzazione
mediale ha messo in discussione quella cultura che era alla base del fare
politica in senso tradizionale. In questo scenario postdemocratico (C.
Crouch cit.) hanno naturalmente avuto la meglio
partiti e formazioni che non
erano legati alla tradizione cattolica o marxista e che si sono rapidamente attrezzati per rispondere efficacemente ai nuovi bisogni (in
parte indotti) che stavano emergendo.
6.9
Quelle sopra-accennate sono solo alcuni
aspetti delle strategie comunicative costitutive della politica nell’epoca dello spettacolo
“integrato” con i suoi picchi di “concentrazione” e con la sempre
più compiuta “diffusione” (G. Debord 1997). L’obiettivo
è quello di una penetrazione continua e strumentale nell’immaginario da
parte dell’ideologia del potere. In tal senso strumento di importanza
strategica fondamentale della società dello spettacolo nella nostra epoca è la televisione. Nella tesi 18 della Sds
Debord descrive in modo preciso il far
vedere che ben si attaglia alla fenomenologia televisiva della nostra epoca
e nei Commentari, alla tesi X,
partendo dalla non-logica che regola lo spettacolare integrato, mostra
come certa metodologia spettacolare si
serva della strumentazione tecnica per
giungere alla psicologia di massa della sottomissione. Questa tesi critica in modo radicale il mondo
dell’informatica con i suoi codici e le sue mitologie. Ma è il mondo delle
immagini che viene preso di mira in modo diretto.
Il flusso delle immagini travolge tutto, e
analogamente è qualcun altro a decidere a suo piacimento questa sintesi
semplificata del mondo sensibile; a scegliere dove andrà la corrente e anche il
ritmo di ciò che dovrà manifestarsi in essa, come eterna sorpresa arbitraria,
senza voler lasciare tempo alla riflessione, e prescindendo completamente da
ciò che lo spettatore ne può capire e pensare. In questa esperienza concreta
della sottomissione permanente sta la radice psicologica dell’adesione così
generale a ciò che è presente; adesione che arriva a riconoscergli ipso facto
un valore sufficiente. Ovviamente il discorso spettacolare tace, oltre a ciò
che è propriamente segreto, tutto ciò che non gli conviene. Isola sempre da ciò
che mostra la cornice, il passato, le intenzioni, le conseguenze. Quindi è
totalmente illogico. Dato che nessuno può più contraddirlo, lo spettacolo ha il
diritto di contraddirsi da sé, di rettificare il suo passato. (G. Debord 1997).
Quanto
scrive Debord nel 1992 ci rimanda direttamente al flusso delle immagini
televisive, al primato delle immagini nella comunicazione globalizzata (A. Drinceanu
2005). Tale flusso produce “..il
prevalere del visibile sull’intelligibile che porta ad un vedere senza capire..”
(G. Sartori 1999). È il prevalere del consumo delle immagini rispetto alla
conoscenza razionale, la televisione stabilizza il potere dell’immagine
rispetto alla comunicazione scritta e parlata.
In
questo mondo rovesciato lo spettacolo–merce oltre ad essere separazione è anche scissione all’interno del
soggetto secondo quanto aveva già scritto Debord e secondo la teoria lacaniana
del soggetto cui abbiamo precedentemente fatto riferimento. Questa scissione,
originata dal prevalere del vedere, come già accennato, a discapito
delle altre forme sensoriali, delega la propria soggettività alla
forma-spettacolo in maniera irreversibile (R. Massari 2008), abdica se
stessa a vantaggio della proiezione dei propri sogni nello spettacolo gestito
dal potere.
6.10
La società dello spettacolo, attraverso la televisone, attua
quella che Sartori (1999) definisce una “mutazione antropogenetica”, producendo
l’homo “videns” che a differenza
dell’homo sapiens è limitato nel pensiero razionale, difetta di capacità di astrazione e di capacità
simbolica, ha difficoltà, infine, nel rappresentare
attraverso il linguaggio. Si tratta del passaggio ad un “postpensiero a-logico”
senza capacità di connessioni, che
ha immaginabili conseguenze negative e rischi per la democrazia. La televisione
stessa, a questo punto, rappresenta, di fatto, un quarto potere svuotato
della sua funzione di controllo e denuncia (A. Drinceanu cit.) e, tutto sommato,
funzionale ad un capitalismo globale di mega-aggregazioni finanziarie di
dimensioni imperiali che controllano quasi tutto l’universo dei media,
dai giornali al cinema, alla musica, interessate alla veicolazione di una
edulcorata cultura-merce.
6.10.1
Esito attuale della società
dello spettacolo è la “spettacolarizzazione dell’interiorità” come
scrive da U. Galimberti (2008). La televisione, con la spettacolarizzazione
dell’interiorità, ha fatto crollare quel diaframma che separava l’interiore
dall’esteriore, l’intimo dalla sua spettacolarizzazione. Galimberti sottolinea il fatto che la “pubblicizzazione
dell’intimo” è pertinente alla “mostra delle merci”, al mostrare in cui
i soggetti esistono in quanto esibiscono la loro interiorità di là da ogni
pudore. Nella società dello spettacolo televisivo l’essere è
fondato dall’apparire, un
apparire che nel suo spettacolarizzare
sentimenti e sensazioni
contribuisce, tutto sommato, alla vittoria di una omologazione in cui le soggettività sono completamente
soggiogate. Si assiste poi al fatto che, in certi format, persone in condizioni-limite sono portate a spettacolarizzare non la loro normalità ma le
loro “patologie” (U. Galimberti cit.): si tratta della nuova frontiera della degradazione spettacolare che pure ha un suo nutrito pubblico il quale vede
rispecchiate in questi format le proprie vicissitudini quotidiane anche le più banali (vedi anche
punto 6.18.a).
6.11
Per quanto riguarda la teorie della Società dello spettacolo
alla prova dei nuovi esiti del capitalismo contemporaneo, nella prospettiva di
delineare una possibile economia dell’ immaginario, è necessario
fare alcune premesse.
6.11.1
Nell’era del capitalismo cognitivo e della produzione dell’immateriale,
corrispondente alle modalità produttive postfordiste, troviamo un sistema di
accumulazione nel quale il valore produttivo del lavoro intellettuale e
immateriale diviene dominante, prevale la rendita finanziaria e la conoscenza
si trasforma in merce. In tale ambito sono da segnalare tre situazioni significative:
- si delinea un andamento schizoide per cui da
un parte, funzionale al sistema è la
presenza di una massa omologata di persone asservite, poco critiche e
soprattutto turbo-iper-consumatori, da un’altra vediamo che il sistema
necessita di una crescente quantità di forza-lavoro cognitiva/creativa in grado
di articolare una economia della conoscenza all’altezza del nuovo capitalismo
cognitivo;
- la potenzialità emancipativa del general intellect, intesa come
produzione collettiva e condivisa di conoscenza, viene soffocata dallo sviluppo
del capitalismo cognitivo che cerca si subordinarla ai propri interessi ( A.
Gorz 2003).
6.11.2
Va inoltre rilevato il fatto che vari autori (tra tutti Gorz cit.) individuano nell’orizzonte di
questo capitalismo dell’immateriale il fatto che il sapere diviene merce
in quanto
le competenze e i procedimenti possono essere
trasmessi o formalizzati anche separatamente, da chiunque ne faccia uso;
possono essere trascritti in forma digitale e informatizzati per fini produttivi
senza alcuna apporto umano aggiuntivo. Da questo punto di vista, il sapere è
capitale fisso, è mezzo di produzione. Ma rispetto ai mezzi di produzione del
passato presenta una differenza determinante: è riproducibile, praticamente a
costo zero, in quantità illimitata. Per quanto possano essere state costose le
ricerche alla sua origine, il sapere digitalizzabile tende a diventare
accessibile e utilizzabile a costo zero. ( A. Gorz. cit. ma vedi anche J. Rifkin 2001).
Per
quanto riguarda la conoscenza invece
Consideriamo innanzitutto le capacità
artistiche, la fantasia e la creatività, molto richieste nell'ambito
pubblicitario, nel marketing, nel design, nell'innovazione, dato che riescono a
conferire alle merci -anche a quelle più comuni - un valore artistico,
simbolico e incomparabile. La pubblicità e il marketing costituiscono una delle
maggiori - anzi probabilmente la maggiore industria cognitiva: nella misura in cui attribuiscono alle merci
qualità uniche e incomparabili, le imprese possono vendere i loro prodotti,
almeno per qualche tempo, a prezzi maggiorati. Detengono una sorta di
monopolio, e si procurano così una rendita monopolistica, aggirando
temporaneamente la legge del valore; in altri termini, frenano il calo del
valore di scambio delle merci, anche se queste vengono prodotte a costi sempre
minori in termini di ore di lavoro e di personale. (A. Gorz cit.).
6.12
Il testo di Gorz già ci rimanda ancora allo spettacolare
di Debord e Vaneigem. Quell’area di comunicazione, conoscenza,
intelligenza e creatività, che non può
essere trattata dalle macchine ma richiede la “cooperazione di esseri
viventi” (P. Virno 1999). Questa area si
presenta nel capitalismo dell’immateriale in
forma reificata mostrando
che lo spettacolo assume un eclettismo ed una flessibilità in grado di
manipolare la potenza sovversiva del general intellect (non coprendo però
tali strategie tutto il general intellect, ne resta pur sempre una parte che non
può essere utilizzata dal sistema).
6.13
Le tecnologie informatiche, a loro
volta, sono tra i fattori principali
dell’economia dell’immateriale e si
presentano, per l’assunzione di talune direttrici tecnologico-comunicative, come
uno degli effetti collaterali
della società dello spettacolo (P. Stanziale 2001), responsabili di un
universo in espansione in cui l’aspetto
decontestualizzante, il qualunquismo culturale e la chiacchiera
spettacolarizzata si connettono a quella
economia del soggetto per cui l’ordine simbolico interagisce con l’immaginario
nell’ambito di una processualità di cui ci occuperemo più avanti.
6.14
I principali ambiti strategici
attraverso cui l’economia dell’immateriale principalmente opera e si realizza-
e con cui viene messo ulteriormente alla
prova il concetto di società dello spettacolo (con richiami all’economia
dell’immaginario)- sono: l’industria culturale, la pubblicità
e il marketing.
6.14.a- Non ci soffermeremo molto
sull’industria culturale quale si presenta ai nostri giorni perché il discorso
ci porterebbe lontano ed esulerebbe dall’economia delle presenti note.
Vogliamo accennare al fatto che,
rispetto agli scenari dell’epoca di
Adorno e Horkheimer, l’industria culturale attuale si presenta
naturalmente molto più complessa, più diffusa e pervasiva e con un alto livello
di sofisticazione, di contro però resta sempre di grande attualità l’impianto critico-
con le sue articolazioni- presente nella terza parte di Dialettica
dell’Illuminismo relativamente ai contenuti
tecnologico-repressivi dell’industria culturale ed alle sue implicazioni di ordine psicologico-sociale.
6.14.a.a-
È utile anche sottolineare il fatto che l’industria culturale è una industria
che fornisce norme, simboli, miti ed immagini che l’individuo interiorizza.
Essa si serve di scambi intellettuali,
di proiezioni e di identificazioni relativamente a simboli, a miti
ed immagini della cultura. L’industria della cultura fornisce punti di
riferimento pratici alla vita immaginaria
attraverso cui i soggetti strutturano una parte importante del proprio essere (E. Morin 1963). Essa si presenta basata:
sull’innovazione continua (vedi il punto 6.11), sulla convergenza
integrata di vari linguaggi (H. Jenkins 2007), quotidiana, nella sua
continuità, interattiva e/o partecipativa a seconda dei vari ambiti comunicativi, globale.
In Italia, in particolare, l’industria culturale vede la convergenza tra potere politico e potere mediale: si
tratta, in altri termini, di quel laboratorio avanzato di sperimentazione di
nuove forma di dominio di cui parlava Debord nei Commentari. Ciò che ci
conduce al fatto che l’industria culturale come tale è
ideologia o meglio ideologia in forma di merce che trova
nella società dello spettacolo il suo habitat naturale secondo i
meccanismi di massima teorizzati da
Debord.
6.15
Il
marketing- e la pubblicità, che ne è una parte come promozione del prodotto-
sono le aree principali dell’economia dell’immateriale.
6.15.a-
Il marketing si presenta con tecniche sempre più sofisticate (tra le ultime
quella del marketing esperenziale) tendendo a quel marketing virale di cui parla W. Gibson
(2005) in un suo romanzo. Questa affermata tecnica assume, nel capitalismo del
terzo millennio, quasi l’aspetto dell’heideggeriano compimento della metafisica nel suo
essere parte di una diffusa strategia di controllo e di dominio che vede l’uomo è ridotto a risorsa
disponibile, sfruttabile e manipolabile.
Nell’epoca
del capitalismo cognitivo le strategie di marketing hanno strutturato
un’economia basata sulla domanda. Ciò significa che il soggetto viene
posto sempre più al centro
dell’attenzione nello sviluppo di consumi che vedono il soggetto stesso come iperconsumatore
con l’affermarsi di un’ethos
consumeristico che mira a orientare continuamente i comportamenti umani.
Il
marketing, quindi, orientato verso la cultura di massa, vede l’affermarsi dei consumi
emotivi, il turboconsumerismo, il formarsi di società edonistiche,
l’ossessione della performance. Si giunge infine ad un homo felix
“che ormai ha la felicità a portata di mano..” (G. Lipovetsky 2007 cit.). Un
percorso, questo che ha sempre nuove prospettive avanti a sé a misura, appunto,
di marketing e in cui il feticismo della merce, il desiderio,
l’immaginario e l’economia sono strettamente collegati. Le nuove
frontiere dell’alienazione (spettacolare)
vedono il consumo come una fuga dalla banalità quotidiana, vedono
la costruzione di identità attraverso la merce, vedono il consumo ormai come una “trascendenza della
soggettività, il sogno di una eterna giovinezza” (G. Lipovetsky cit.).
Ci
sembra invece che tutto ciò, oltre ad
essere il prodotto di decenni di marketing e di conseguente colonizzazione
del desiderio e del relativo immaginario
(J. Lacan 1974 - S. Latouche 2004), sia anche un esito attuale della società dello
spettacolo che richiama direttamente alcune tesi debordiane: 1) mostra il
livello “di subordinazione dei viventi all’economia” (Sds tesi 16), ed è il suo “monologo
elogiativo” (tesi 24), 2) verifica la tendenza della merce ”all’occupazione
totale della vita sociale” (tesi 42), 3) rileva “il desiderio di dormire” della
società di cui l’universo spettacolista delle merci è ”il guardiano” (tesi 21).
6.15.b-
La pubblicità come comunicazione, con la sua funzione ideologica, è una delle forme culturali dominanti (R.
Sassatelli 2004).
Nota
Baudrillard che
La pubblicità e la propaganda acquistano tutto il loro
vigore a partire dalla Rivoluzione d'Ottobre e dalla crisi mondiale del '29.
Entrambe sono linguaggi di massa, nati dalla produzione di massa delle idee o
delle merci, i cui registri, prima separati, tendono progressivamente a
ravvicinarsi.
E che
ciò che stiamo vivendo è l'assorbimento di tutti i
modi virtuali d'espressione in quello della pubblicità. Tutte le forme
culturali originali, tutti i linguaggi specifici sprofondano nel modo
d'espressione della pubblicità, poiché esso è senza profondità, istantaneo e
istantaneamente dimenticato. Trionfo della forma superficiale, minimo comun
denominatore di ogni significazione, grado zero del senso, trionfo
dell'entropia su tutti i tropi possibili. Forma più debole di energia del
segno. Questa forma inarticolata, istantanea, senza passato, senza avvenire,
senza metamorfosi possibile, poiché è l'ultima e ha potere su tutte le altre.
Tutte le forme attuali d'attività tendono verso la pubblicità, e la maggior
parte di esse vi si esaurisce. Non si tratta necessariamente della pubblicità
nominale, quella che si produce come tale - ma della forma pubblicitaria, quella
di un modo operativo semplificato, vagamente seduttivo, vagamente consensuale
(tutte le modalità vi sono mescolate, ma in un modo attenuato, indebolito). Più
generalmente, la forma pubblicitaria è quella dove tutti i contenuti
particolari si annullano nel momento stesso in cui possono trascriversi gli uni
negli altri, laddove la caratteristica degli enunciati "pesanti" e
delle forme articolate del senso (o dello stile) è di non potersi tradurre
reciprocamente, così come le regole di un gioco. (J.
Baudrillard 1994)
La
pubblicità fornisce continuamente supporti alla metonimia del desiderio
il quale è preda di opportune e strumentali strategie estetico-spettacolari, tutto
in una spirale senza fine. La pubblicità traduce i beni in immagini, in simboli che, a loro volta
richiamano la merce con un continuo gioco di rimandi (W. Gibson cit. e F.
Carmagnola 2006) in cui il prodotto tende a perdere d’importanza a vantaggio della
commercializzazione. Dinamica, questa, propria di un affermato regime del segno-valore della merce,
terzo stadio strutturale dopo il naturale valore d’uso e il mercantile
valore di scambio (J. Baudrillard 1974). Questi
beni simbolici partecipano ad un universo sociale e retorico (A. Appadurai
1996) in cui il marxiano rapporto tra
struttura e sovrastruttura diviene fluido nel quadro di una economia culturale
globale basata su disgiunture relative a flussi culturali tra cui il mediorama relativo
a
’mondi immaginati’, cioè mondi multipli che sono
costituiti dalle immaginazioni storicamente situate di persone e gruppi sparsi
intorno al globo… forme che caratterizzano il capitale internazionale (A.
Appadurai in M. Featherstone 1996).
6.16
Homo videns, homo consumericus, homo
felix, homo sucker infine (S. Žižek 2002) sono figurazioni che riguardano
lo spossessamento, il desiderio, il consumo, la merce,
il godimento e, infine, l’utopia della felicità (G.
Lipovetsky cit). In quest’ultimo
universo si inserisce anche l’homo ludens, quello dell’espressività
edonistica, il quarto uomo (P. Dell’Aquila 1995) quello che è stato post-materialista
negli anni ’80 ed è il neo-materialista degli anni ’90: quello
dell’affermazione ultima dell’Io narcisista che è però diverso
dall’Io narcisista post-industriale. Tutte queste dinamiche
rispecchiano le strategie di marketing ma sono inequivocabilmente sempre
riconducibili all’economia, allo spettacolo, al feticismo
della merce (nella sua evoluzione dal feticismo tradizionale delle merci al
feticismo in cui la merce tende a perdere la sua consistenza materiale assumendo
la consistenza di entità virtuale - S. Žižek 2004), in ultima analisi riconducibili
a quell’immaginario ed alla sua economia
che proprio negli anni del Situazionismo aveva trovato vari interpreti (tra
tutti C. Castoriadis 1975 e J. Lacan cit.). È proprio incidendo
sull’immaginario dell’homo sapiens che si sono verificate le mutazioni
cui abbiamo accennato. Questo in
relazione all’apparato economico, da una parte e, dall’altra, orientando
comportamenti, opinioni e gusti. La società dello spettacolo come esito
del capitalismo moderno è stata elemento strategico e risultato di questi
processi.
6.17
Nel
percorso verso una economia dell’immaginario, con i connessi risvolti
politici- da intendersi come tassello di una coerente e innovata critica
dell’economia politica- troviamo la società
dello spettacolo come nodo teorico
fondamentale ed imprescindibile. Il marxiano feticismo della merce, le
immagini, il far vedere, si incontrano con le traiettorie del desiderio
nell’universo dell’immaginario sociale il quale consente quindi la
lettura delle sue simbolizzazioni politiche e istituzionali.
Un
primo risultato di questo approccio può essere un inquadramento critico
delle ideologie
(A. Mangano 1988) intese come visioni del mondo e ciò ci riporta ancora a Debord
quando parla dello spettacolo come di “ideologia materializzata”.
6.18
A
nostro avviso un contributo fondamentale alla definizione di una economia politica
dell’immaginario, di là dai
riferimenti al rapporto tra struttura e sovrastruttura (M. Pezzella cit), è
dato, ancora una volta, da Lacan che,
partendo dai registri soggettivi di immaginario, simbolico e
reale (vedi punto 2.8.b), nel matema L individua quella economia
(aperta) del soggetto che è in grado di
rendere conto sia delle dinamiche soggettive sia delle relazioni tra l’Ordine
simbolico e il soggetto. Riprendendo questa teoria vediamo che il desiderio
originario ed impossibile del
soggetto (ciò che si iscrive nell’ambito del reale) trova un suo
appagamento sostitutivo nelle relazioni
immaginarie con cui struttura il suo Io. È in questa apertura necessitante
che il soggetto trova nel grande
Altro i supporti funzionali alle sue relazioni immaginarie. E
questo in una processualità senza fine. In questa teoria sono chiaramente
presenti elementi utili per un approccio ad una economia dell’immaginario
che si fa politica nella misura in cui il desiderio umano viene
manipolato e il soggetto si presenta con un Io spossessato dalle realtà
di dominio dal potere/ordine
Simbolico/grande Altro, realtà che comprendono le strategie connesse
con la società dello spettacolo.
6.18.a-
Avendo come punto di partenza i lacaniani registri del soggetto troviamo
un’importante area di ricerca che, prendendo spunto dalle torsioni
operate da Žižek su parte delle teorie lacaniane, si è sviluppata di recente
anche con i contributi di vari studiosi italiani tra cui M. Senaldi (1999 2003 2008), e F. Carmagnola (1999
2003 2006). Questi studiosi hanno strutturato un approccio all’economia
dell’immaginario sul versante dell’estetica la quale è da tempo parte
strutturale nei processi di valorizzazione della fiction economy (F.
Carmagnola 2006).
Va
rilevato in questi studi che quello che
si definisce il comportamento estetico (F. Carmagnola 2006)- nel suo farsi
critico- e nel cercare di eludere sia le strumentalizzazioni mediali che il marketing virale- giunge a strategie (tricky)
che presentano forti analogie con la deriva e il deturnamento debordiani.
6.19
Non
è possibile escludere dal quadro degli esiti contemporanei della società
dello spettacolo il contributo importante offerto dalla psicoanalisi lacaniana-
cui ci siamo frequentemente richiamati- all’economia dell’immaginario con il
concetto di godimento. Questa
jouissance riguarda ciò che va al di là del principio del
piacere ed è connessa con il reale lacaniano.
Questo
perché l’approccio psicoanalitico all’ideologia di
dominio- nei suoi rapporti con la cultura di massa- si presenta abbastanza esplicativo nella
direzione di una visione politica dell’immaginario contemporaneo connesso con
l’universo spettacolare, ciò che pure e emerso sul versante dell’estetica
(punto 6.18.a).
6.19.a-
Il concetto di godimento trova la
sua centralità in Žižek (2001 2004) che lo intende, con riferimento alla
psicoanalisi lacaniana (Lust
im Unlust), come oscuro
supplemento superegoico, come dato proprio dell’ideologia,
riscontrabile come la segreta oscenità presente nell’esercizio
del potere- e delle relative forme di linguaggio, nei risvolti della cultura di
massa e, quindi, nell’ambito dello spettacolare contemporaneo. Tenendo presente
quanto scrive Žižek:
quand’è che io incontro l’altro nel Reale del suo
essere… solo quando incontro l’altro nel suo momento di jouissance, cioè quando
scopro in lui/lei un piccolo dettaglio- un gesto compulsivo, una eccessiva
espressione del volto, un tic- che segnala l’intensità della realtà della sua
jouissance ...l’incontro con il Reale è sempre traumatico, c’è qualcosa perfino
di minimamente osceno in esso.. (S. Žižek 1999)
ecco
che, seguendo la metodologia žižekiana, troviamo, ad esempio, come il potere
spettacolista televisivo si tradisca come godimento nel ghigno-sorriso
involontario che appare in alcuni
momenti-clou spettacolari sul volto di una ideatrice-conduttrice di format
d’intrattenimento pomeridiani. Personaggio proprio della videocrazia contemporanea,
esperta nell’organizzare artificiali
cortocircuiti emozionali tra persone e nella spettacolarizzazione di continui outing di
adolescenti che saranno famosi.
Questo emergere del godimento, nella teoria lacaniana dei quattro discorsi (J. Lacan
1998), è proprio del discorso del maître in cui un significante-padrone
(la presentatrice iscritta nell’ordine simbolico come espressione del potere)
agendo nell’alterità spettacolare (espressione di un sapere),
rimuove sia la produzione di godimento (objet petit a)-
che però affiora- che la sua verità di soggetto
barrato (mancanza a essere). Questa
dinamica introduce la dimensione del godimento nella dimensione mediocratica
della società dello spettacolo ma anche apre, in Žižek, al rapporto tra cultura di massa e Ordine
Simbolico. Sullo sfondo della società dello spettacolo tale rapporto si presenta nel quadro di una
complessa processualità nella quale la cultura di massa rappresenta l’immaginario
del Simbolico che, nel suo farsi godimento,
tradisce il Reale del Simbolico mostrandone le oscenità di fondo (S. Žižek cit.).
Il godimento allora, come reale del Simbolico rivela l’altro lato di
questo, le modalità di mascheramento del suo vuoto
costitutivo.
6.19.b-
Su questo percorso troviamo anche una lettura žižekiana del crollo delle Torri
Gemelle dell’11 settembre che coincide in parte con l’analisi di Baudrillard e Morin (2004). Per il filosofo di Lubiana si
tratta di un affare interno al capitalismo (S. Žižek 2002) con il reale che buca lo spessore
della serie delle fantasmatizzazioni mediali e diviene evento.
Paradossalmente, sostiene Žižek, abbiamo che con questo evento è la realtà che copia lo spettacolo
aprendo un nuovo ciclo in cui
una superpotenza che combatte un misero
paese deserto e che allo stesso tempo è ostaggio di batteri invisibili: questa,
e non le esplosioni del WTC, è la prima immagine della guerra del XXI secolo. (S. Žižek cit.).
È questo il deserto del reale che per Žižek
si connette ad altri scenari pertinenti
all’epidemia dell’immaginario. E il fatto che la realtà
si ispira allo spettacolo costituisce una inversione che, pure a
livello di comportamenti sociali ed a livello linguistico, è ampiamente
rilevabile e riferibile a quanto affermava Debord (che Žižek- non cita
mai).
Lo spettacolo….. è piuttosto una Weltanschauung
divenuta effettiva, materialmente tradotta.. (G. Debord Tesi 5 Sds).
..lo spettacolo costituisce il modello presente della
vita socialmente dominante non è un
supplemento del mondo reale, il suo sovrapposto ornamento. Esso è il cuore
dell'irrealismo della società reale(G. Debord tesi 6 Sds).
(Trionfo dell’immaginario simbolizzato a misura di
simbolico... direbbe Žižek)
Non si possono opporre astrattamente lo spettacolo e
l'attività sociale effettiva; questo sdoppiamento è esso stesso sdoppiato. Lo
spettacolo che inverte il reale è effettivamente prodotto. E nello stesso tempo
la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo,
e riprende in se stessa l'ordine spettacolare, offrendogli un'adesione
positiva. La realtà oggettiva è presente su entrambi i lati. Ogni nozione così
fissata non ha per fondo che il suo passaggio all'opposto: la realtà sorge
nello spettacolo e lo spettacolo è reale. Questa reciproca alienazione è
l'essenza e il sostegno della società esistente. (G. Debord tesi 8 Sds).
6.20
Non
proseguiremo nella direzione Lacan- Žižek anche se
in quel percorso sono presenti spunti e teorizzazioni, oltre quanto
abbiamo richiamato, riguardanti variamente
problematiche pure trattate nel presente lavoro. Spunti e
teorizzazioni che, in una prospettiva di
ricerca più ampia, rappresentano certamente imprescindibili ambiti di
riferimento per quella economia
politica dell’immaginario di cui la
società dello spettacolo debordiana rappresenta, riteniamo, uno dei nuclei teorici portanti.
6.20.a-
Vogliamo quindi accennare al narcisismo,
effetto direttamente collegato alle dinamiche dello società dello spettacolo,
ma anche portato dei vari ambiti del marketing. Il narcisista, come scrive Pezzella (1996 cit.) è il soggetto
che, nella società dello spettacolo, nell’apparire debordiano, è
il più adeguato ad essere risucchiato dalla “fantasmagoria delle merci” (W.
Benjamin 1986) e dalle loro euforiche offerte di possibilità e di metamorfosi.
Si tratta di un Io indebolito che presenta un risvolto aggressivo
proprio della psiche narcisista (J. Lacan cit.). Il narcisista è il soggetto
dell’esperienza degradata e ipotrofica sul piano del reale, colui in cui prevale la visione rispetto
all’azione e alla riflessione. Il suo mondo è quello in cui la restrizione dell’autonomia soggettiva si
accompagna alla progressiva perdita del principio
di realtà (M. Pezzella cit.).
6.20.b-
A questo narcisismo si accompagna, nella temperie della crisi attuale, il
nichilismo come tragico sfondo culturale, esito del disincanto del mondo, che
viene a chiudere un orizzonte di disagio che si è accentuato in questi
ultimi anni contribuendo a far emergere le contraddizioni del sistema globale con
le sue paure calcolate e le sue felicità fantasmatiche. Un’epoca delle passioni tristi (M.
Benasayag G. Schmit 2004 e U. Galimberti
2007) in cui il futuro-promessa è stato sostituito dal futuro-minaccia
per cui il desiderio tende a bloccarsi in un presente in cui la libido narcisistica
prevale sulla libido oggettuale in una diffusa, dominante insicurezza.
In tale spazio hanno certamente buon gioco la regressione feticistica
e le seducenti offerte identificatorie
dello spettacolare integrato.
6.21
Il quadro generale rimane, infine,
quello che vede il dominio generalizzato dell’impresa che si
propone come spettacolo globale di un ordine e di una logica che gli
individui si trovano a condividere come attori dello spettacolo vincente.
6.21.a- L’impresa, come struttura
costitutiva del potere imperiale (M. Hardt A. Negri cit.), è
fondamentalmente comunicazione di massa nella società dello spettacolo.
Tra le molte cose, ciò significa in primo luogo che la medialità spettacolare
costituisce un ambito proprio della società del controllo come la
intende Foucault (1978), ovvero una
società in cui s’instaura un nuovo paradigma di potere basato sulle
macchine che
colonizzano direttamente i cervelli (nei sistemi della comunicazione, nelle
reti informatiche ecc.) e i corpi (nei sistemi del Welfare, del monitoraggio
delle attività ecc.) verso uno stato sempre più grave di alienazione dal senso
della vita e dal desiderio di creatività. (M. Hardt. A. Negri cit..).
La
medialità spettacolare, come esercizio del potere imperiale, opera quindi
attraverso la merce che tende ad occupare il desiderio, attraverso la biopolitica
(M. Foucault 1997) attraverso le tecnologie della comunicazione che veicolano
saperi atti a fondare soggettività fittizie, ad alimentare bisogni e consensi
verso la merce e l’impresa: uno spazio in cui il vero non ha più alcuna
attrattiva.
Queste
nuove servitù (A. Burgio 1994) - per cui più i servi si sentono
padroni più affermano la loro condizione servile (P. Stanziale 2002 ) -
trovano la propria spiegazione nella strategia del grande Altro lacaniano
con le sue dinamiche, il suo ordine e i suoi collassi.
6.22
La birra ha perso il suo sapore, sosteneva Debord.
E
quindi, come in un suo film
Ventiquattro minuti di silenzio durante i quali lo
schermo rimane nero.
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eccezionale per il Chianti. Ed io ho ancora due damigiane, per un totale di più
di cento litri, che non ho voluto toccare mai dal ‘75, sperando di annaffiare
bene, come dicono i contadini dell'Auvergne, il nostro incontro nelle migliori
condizioni. E per finire ecco le parole di un madrigale del Cinquecento, la cui musica è molto bella, da dedicare agli
operai nel tuo prossimo film: "Io non compro più speranza / ch’egli è falsa
mercanzia./ A dar solo attendo via / quella poca che m’avanza./ Cara un tempo la
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