Da Bush a Obama
A fare il danno, a monte, non è stato tanto Obama
quanto George W. Bush, attraverso l’invasione del 2003 e lo scioglimento delle
Forze Armate irachene, disposto con l’Ordinanza n.
2 del 23 maggio 2003 dell’Autorità Provvisoria di occupazione. È
cominciata da lì buona parte della successiva rivolta sunnita, di cui
l’avanzata di ad-Dawlah al-Islāmīyah
fī al-‘Irāq wa-al-Shām - ovvero lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (l’acronimo arabo è Diish) – rappresenta solo l’ultimo
atto in ordine di tempo, ma non il definitivo. Se quello scioglimento è stato frutto
di una decisione “imperiale” presa dopo aver valutato ogni aspetto possibile e per
meglio piegare l’Iraq, la conclusione dev’essere che anche i conseguenziali problemi
erano stati messi in conto; e allora il giudizio critico s’incentra su come sia
stata globalmente gestita la situazione. Una gestione pessima, senz’ombra di
dubbio.
Se invece non è
avvenuto quel che i Romani chiamavano omnibus rebus
perpensis, e la cosa è stata decisa alla cieca, deve dirsi che si è trattato di
una somma manifestazione di imbecillità: cosa peraltro non atipica nella
politica estera di Washington. Gli Stati della Mezzaluna Fertile sono per lo
più artificiali costruzioni dell’imperialismo anglo-francese dopo la Prima guerra
mondiale, e in essi - piaccia o no, e per quanto possa risultare anomalo a
osservatori occidentali - le Forze Armate sono la spina dorsale di pesudonazioni
estremamente fragili, e in certi casi (come in Iraq) s’identificano con esse.
Distruggere queste Forze Armate significa scompigliare un puzzle poi di
difficilissima ricomposizione. Nell’Iraq di Saddam Husayn, gestito (lasciamo
stare in che modo) da una dittatura formalmente sunnita ma in concreto laica,
le Forze Armate fungevano un po’ da tampone nelle immemorabili diatribe
religiose e politiche fra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita,
mettendo un certo freno a quelle che i media occidentali
definiscono (alquanto riduttivamente) lotte settarie.
In più erano queste Forze Armate a fare in modo che lo stesso Iraq svolgesse
una funzione di equilibrio nell’area tra le diverse e spesso contrapposte
ambizioni egemoniche dell’Iran sciita, dell’Arabia Saudita sunnita e di una
Turchia ufficialmente laica e oggi governata da islamisti ma con la
preoccupazione (riguardante anche i laici kemalisti) di evitare il sorgere di
uno Stato curdo unitario per i Curdi di Turchia, Iraq, Iran e Siria.