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martedì 3 giugno 2014

LO TSUNAMI NAZIONALISTA DI GRILLO, di Roberto Massari e Michele Nobile


Michele,
sarebbe meraviglioso se tu facessi un breve articolo (anche una o due pagine) di definizione e descrizione dell'Ukip (e non tanto di personalizzazione su Farage).
La discussione nel Mov. 5 stelle è scoppiata in forma pessima ed è tutta concentrata su questa o quella frase di Farage.
In realtà basterebbe andare a cercare la voce Ukip in wikipedia (voce che si presume l'abbiano scritta loro stessi e nel leggerla si vede che è proprio così) per capire che ci si trova davanti a un partito nato dalla tradizione dei conservatori inglesi (quindi dal mondo della Thatcher), che è profondamente nazionalista, ma alla maniera degli inglesi: cioè vogliono essere estranei a qualsiasi forma di collaborazione internazionale che non sia da loro dominata (nostalgie del Commonwealth), a qualsiasi abbassamento delle frontiere della Gran Bretagna insulare, secondo una tradizione di isolazionismo imperialistico che l'Inghilterra ha sempre avuto e che anche i laburisti appoggiarono. Non dimenticherò mai l'anno delle prime elezioni europee (1979) in cui addirittura Ernest Mandel andò a fare campagna per i laburisti e per l'uscita della Gran Bretagna dalla Cee.
Insomma, ci troviamo davanti a un partito filocapitalistico in forma esplicita, nazionalista e profondamente conservatore (loro si definiscono anche liberali, ma nel senso di fautori del liberismo). E se mi mettessi a parlare dell'Irlanda del Nord (di cui stranamente si sono tutti dimenticati) si vedrebbe che l'Ukip la pensa come la stragrande maggioranza dell'establishment politico britannico, e cioè che l'Ulster è loro e guai a chi lo tocca (a me basterebbe questo per condannare l'Ukip e tutti coloro che lo sostengono). 
Le loro preoccupazioni per le politiche di controllo dell'immigrazione sono cosa seria - da non confondere quindi con il razzismo (casomai la xenofobia) - ma hanno il difetto di puntare alla difesa degli interessi capitalistici (imperialistici) britannici visti in opposizione a quelli «stranieri». Dopodiché è vero che non si può proseguire con l'immigrazione selvaggia: ma se questa preoccupazione la esprimo io che sono per la rivoluzione mondiale e che vorrei investire energie per risolvere il problema degli immigrati nel loro paese d'origine, è un conto. Se lo dice un difensore dell'imperialismo (italiano o britannico poco importa) è un'altra cosa. La differenza è di classe - si sarebbe detto un tempo.
Attenzione però a questo insopportabile metodo volgare e cialtrone della ex sinistra, consistente nel bollare tutto come «fascismo», «razzismo» ecc. Esistono anche partiti conservatori «seri» (pensa a Monti in Italia, benché si situi all'opposto dell'Ukip sull'Europa, e soprattutto al vecchio Partito liberale). E magari può darsi anche che l'Ukip sia un partito reazionario e conservatore «serio» (sulla serietà reazionaria dell'Ukip, però, preferisco ancora non pronunciarmi - vorrei documentarmi meglio).

Ora lascio qui, ma voglio ricordare ai compagni (ai quali ho deciso di mandare copia) che, senza usare toni forti o categorie obsolete, considero una posizione grave il voler uscire dall'Europa per tornare di fatto alla presunta sovranità nazionale di uno Stato capitalistico e imperialistico come l'Italia, per giunta ultracorrotto in tutte le sue manifestazioni partitiche, religiose e presidenziali. Considero grave voler uscire dall'Euro, per tornare di fatto alla moneta nazionale, sempre all'interno di una società capitalistica (posizione tecnicamente impraticabile, ma, se per disgrazia lo fosse, implicherebbe anche un crollo del livello di vita delle masse lavoratrici senza precedenti nella storia italiana). Considero precapitalistico tutto ciò che riporta il sociale all'interno dei confini nazionali. Considero precapitalistiche molte delle esternazioni «anticapitalistiche» della Chiesa. Considero precapitalistiche molte delle posizioni euroscettiche, che in Italia accomunano la destra fascista - quella vera - a quasi tutta la gruppettologia dell'ex estrema sinistra.
Attenzione, hanno motivazioni diverse per cercare la stessa cosa: cioè un ritorno allo Stato nazionale, per giunta «questo» Stato nazionale che mai è stato così orrendo nella storia d'Italia - a parte l'era mussoliniana. Bisogna farsi beffe di quelli che dicono: «voglio uscire dall'Europa ma non per tornare al capitalismo italiano, bensì al socialismo ecc. ecc.» Frasi semplicemente dementi, perché l'Italia è capitalistica e tale resterà anche dopo l'uscita dall'Europa. Anzi regredirà sul piano della struttura capitalistica, vista la necessità di tornare a politiche ultraprotezionistiche, difesa della lira (che sarebbe ultrasvalutata rispetto all'era pre-euro). Il suo capitalismo peggiorerebbe, la sua corruzione partitica peggiorerebbe (e non vi dico dell'aspetto culturale di cui mi sembra che non importi niente a nessuno, ma a me e chissà quanti altri sta invece molto a cuore).
A chi dice che questa Europa fa schifo (e ha ragione), bisogna rispondere che l'Italia fa ancora più schifo, per non parlare dello «schifo» che in me suscitano i vari nazionalismi britannico, francese o polacco che sia.
In generale mi fa schifo il nazionalismo e ritengo che rispetto all'epoca della Prima internazionale (quando si cominciò a sognare la fine delle barriere nazionali da parte non solo di Marx e Bakunin - quest'ultimo con il limite panslavistico - ma anche di Garibaldi, Herzen, Proudhon, i fourieristi ecc. - per non parlare degli Wobblies statunitensi agli inizi del Novecento) uno dei più grandi crimini dello stalinismo e della socialdemocrazia, sia stato di aver reinserito il nazionalismo nel movimento operaio dove era stato assente alle origini: colpevole più lo stalinismo che la socialdemocrazia. In Italia si sarebbero salvati da questo veleno i seguaci di Rosselli, di Giustizia e Libertà e del Partito d'Azione, se fossero sopravvissuti nel dopoguerra.
Insomma, questa mia tiritera per riassumere il tutto nella frase semplificatrice, schematica e il più settaria possibile: tutto ciò che riporta al nazionalismo è reazionario punto e basta. Mentre tutto ciò che rompe le barriere nazionali è da esaminare, cioè da combattere o da approvare secondo i casi
Il movimento di Grillo era attraversato dalle due anime (nazionalista e altreuropeista). Grillo aveva addirittura ammesso che tra lui e Casaleggio c'era questa differenza. Ed io mi sono astenuto alle Europee anche perché non avrei mai potuto dare il mio voto a un gruppo di deputati che non fossero stati chiari (cioè antinazionalisti) su tale questione. Grillo aveva certamente avviato i rapporti con l'Ukip prima delle elezioni (niente di male in questo). Ora però sta cercando di imporre questa scelta al M5S usando metodi di manipolazione del consenso infantili, che si ritorceranno contro il Movimento stesso, bloccandone parzialmente la crescita politico-culturale: negli anni a venire basterà operare uno stillicidio di informazioni (vere o plausibili) su ciò che l'Ukip fa nel Parlamento britannico (o, attenzione: che suoi singoli membri fanno nel Parlamento britannico) per demolire l'immagine di onestà e pulizia di cui il M5S ha goduto in Italia. La società dello spettacolo - di cui tanto si è finora avvantaggiato Grillo - sotto questo profilo non perdona.
Su questa deriva del M5S saremo purtroppo costretti a tornare. Politicamente, però, dobbiamo trovare un ponte con quella parte del M5S che su questo scontro interno crescerà: ovviamente con la parte antinazionalista (ma non per questo necessariamente internazionalistica - la coscienza dell'internazionalismo è una conquista molto più difficile, dura e lunga nel tempo).
Caro Michele, avevo cominciato a scriverti per spingerti a fare l'articolo, ma poi pensando che altri compagni leggeranno questa lettera mi sono lasciato andare a considerazioni libere e spontanee, purtroppo affrettate. Resta il fatto che una descrizione puntuale dell'Ukip (magari unita a brani di questo mio sfogo) sarebbe utilissima in questo momento. Se non vuoi farlo per me, fallo per quel qualche milione di giovani che in Grillo hanno creduto perché sembrava indicare loro un futuro diverso, migliore, anche se non rivoluzionario o anticapitalistico.
Bacioni omofoni ed extracomunitari

Roberto

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Caro Roberto,
provo a risponderti tra un impegno lavorativo e l’altro. Quindi anch’io con relativa improvvisazione.
L’avvicinamento di Grillo a Farage è una forzatura maldestra e dannosissima nei confronti della sua base simpatizzante ed elettorale, che non può che prestare argomenti a quanti, a destra e sinistra, sono terrorizzati dalle potenzialità del M5S.
A sinistra, farà contento chi non ha capito nulla della complessità, eterogeneità e contraddittorietà del fenomeno M5S e, specialmente, delle ragioni per cui esso è possibile e del suo significato obiettivo nel contesto italiano. Non potranno mai ammettere che le potenzialità residue del «popolo di sinistra» in questo paese sono state bruciate in vent’anni di codismo strategico nei confronti del centrosinistra (preceduti da decenni di codismo nei confronti del Pci), giunte a maturazione finale nell’appoggio al secondo governo Prodi. Chi, a sinistra, ha urlato «Grillo fascista!» «Reazionario!», troverà ora conforto alla sua insicurezza e attaccamento senza senso (anticapitalistico) ai partitini nostrani. A destra, cioè il Pd e forse anche il Pdl, potranno tirar fuori con maggior forza gli argomenti del populismo, dell’irresponsabilità, dell’inconcludenza ecc., facendo passare nell’ombra il fatto che ciò che ha realizzato il Pd e i suoi predecessori è il più duro attacco contro i diritti sociali e democratici del secondo dopoguerra, con responsabilità reali ben maggiori dello stesso centrodestra.
Ciò che appare contraddittorio è che, tutto sommato, il M5S in Italia è apparso, fino ad ora, come l’alternativa progressista alla strumentalizzazione del disagio sociale e del malcontento politico da parte di partiti realmente reazionari o conservatori, che però si atteggiano demagogicamente a nemici dell’establishment (penso in primo luogo alla Lega, ma anche a certe frange del berlusconismo). Il successo del M5S ha un significato opposto a quello dell’Ukip. Quest’ultimo non è certamente fascista, e nemmeno reazionario e xenofobo nello stesso senso della Lega. Su The economist, settimanale di sicura fede liberale e non favorevole all’Ukip, scrivono riguardo a una parte della base elettorale dell’Ukip, che si tratta di «deeply pessimistic, working-class white men» e l’Ukip «is much less objectionable than many of the popuist outfits growing across Europe. This reflects Briton’s historic wariness of hate preachers, which Ukip’s rise has in fact reinforced, by hastening the demise of the racist British national party» (5 aprile 2014, p. 35, editoriale di Bagehot).
Per inquadrare questo giudizio, si deve tener conto del durissimo atteggiamento tenuto da The economist nei confronti di Berlusconi. Anche riguardo al problema dell’immigrazione, le posizioni dell’Ukip sono più dure ma non qualitativamente molto diverse da quelle di tanti partiti di governo in Europa. Il «popolo di sinistra» italiano non ha memoria, altrimenti ricorderebbe che i gruppi parlamentari del Prc, Pdci e Verdi hanno votato per la realizzazione dei campi di reclusione provvisoria per gli immigrati, i famigerati Cpt (seduta della Camera del 19/11/1997, ddl n. 3240).
Resta il fatto che l’Ukip nasce come costola ultraliberista del Partito conservatore e che la sua politica in materia di immigrazione è integralmente nazionalista, molto dura negli effetti possibili anche per i cittadini europei oltre che per i non-europei. Il punto è che su diverse e importanti questioni Ukip e M5S hanno poco o nulla a che spartire, come spiega bene un articolo del Fatto quotidianoEuropee. Nucleare, immigrati e mercati: programmi M5S, Verdi e Ukip a confronto», di Alessio Pisanò, 1 giugno) .
L’unico punto di rilievo che li avvicina è l’«euroscetticismo» di una parte del M5S (ma non tutto) e, anche in questo, non sono affatto coincidenti: l’Ukip ha una posizione chiarissima, favorevole all’uscita dall’Unione europea, il M5S no: ondeggia variamente, è contraddittorio con alcuni dei 7 punti del programma elettorale, ma nonostante i tentativi di Grillo di non prendere posizione chiara sull’Europa onde non spaccare il movimento, anche su questo tema il M5S è più vicino alla sinistra europea che all’Ukip (vedi la proposta degli Eurobond incompatibile con l’uscita dall’euro).
Lo stesso successo dell’Ukip, è stato fatto notare, pare strettamente legato alla posizione nazionalista antieuropeista e alla scadenza elettorale europea: nelle politiche nazionali del 2010 prese un milione di voti, il 3% dei voti validi, nelle europee del 2009 un totale di 2,5 milioni e in queste 4,3 milioni di voti validi. Una differenza enorme che, come scrivi, può esprimere la forte corrente anti-europeista presente da sempre nel Regno Unito, anche a sinistra (ma non dimentichiamo il Pcf, in questo tradizionalmente in concorrenza con i gollisti!). E di passata: con l’astensionismo britannico nelle europee al 66% e un corpo elettorale di 45 milioni (circa quanto l’Italia), 4 milioni di voti validi equivalgono al 9% dell’elettorato, meno della metà del consenso reale espresso per il M5S nel 2013. 
Da una parte mi chiedo cosa abbiano a lamentare di questo orientamento di Grillo i «sinistri» italici che proclamano l’uscita dall’eurosistema e dall’Unione europea come indispensabile panacea: in questo si trovano ad affiancare nell’errore la destra nazionalista. Ma non c’è da stupirsene troppo, visto che sono riusciti ad appoggiare i governi imperialisti del centrosinistra italiano e a negare che esista un imperialismo russo, convertendo Putin in un campione dell’antifascismo!
Dall’altra, questa mossa di Grillo è rivelatrice, non tanto di una sua essenza reazionaria, quanto di una mediocrità del suo orizzonte politico e, forse, perfino di ingenuità. Del resto non è un mistero che è privo di una solida formazione teorica e di esperienze politiche o di lotta degne del termine. Non che queste garantiscano alcunché, ma tu sai bene Roberto quanto invece sia negativo non averle
Mi viene alla mente un paragone con Berlusconi, in questi termini: entrambi bravi a far campagna elettorale, decisamente meno bravi ad amministrare il successo. La similitudine però finisce qui, perché mentre i contenuti della politica di Berlusconi sono sostanzialmente coerenti con la posizione sua e dei suoi accoliti nel sistema di potere italiano, quelli di Grillo e del M5S no, perlomeno ora rispetto all’Europa e a questa infatuazione improvvisa per un partito della destra nazionalista. E ancor più importante: se Berlusconi mirava e mira a rafforzare questo sistema di potere - il che è una ragione dei favori che gli sono sempre stati fatti dal centrosinistra - chi sta con il M5S si considera invece all’opposizione o anche fuori del sistema, magari punta addirittura a distruggerlo (limitatamente alla sfera politica e del sistema dei partiti, perché se ci mettiamo a parlare di capitalismo e rapporti di produzione non sanno più a che santo rivolgersi).
Sotto questo profilo puramente istituzionale, comunque, va riconosciuto che il M5S finora è stato coerente: cosa che non può assolutamente dirsi di Rifondazione, Pdci, Sel e Verdi (e prima di loro di Democrazia Proletaria, Pdup, Avanguardia Operaia ecc.). Questa è anche la ragione per cui è risibile la pretesa di questi partiti di poter fare una Syriza italiana: per i troppi compromessi con il Pci prima e col centrosinistra poi - onde poter entrare a far parte a pieno titolo della casta politica - hanno perso l’occasione storica data dalla mutazione del Pci e ora continuano a pagarne lo scotto, anche in termini elettorali (continuando anche nel 2014 a perdere voti – tanti, se si sommano le due liste delle precedenti politiche).
Per concludere. Grillo e il M5S sono confusi quanto alle prospettive, e l’apertura a un partito della destra nazionalista non solo non fa che aumentare la confusione, ma può bloccare l’evoluzione politica del M5S. Sicuramente lo dividerà all’interno seriamente e senza che nuove espulsioni possano impedirlo.
Che dire? La divisione su un tema politicamente così significativo in seno al M5S potrebbe essere un fatto positivo, se permettesse una vera discussione interna e non il solito smanettamento internautico. Ma potrebbe essere un disastro se invece questa venisse bloccata dai due capi «carismatici» (o da uno soltanto). In tal caso il M5S entrerebbe in contraddizione con se stesso, con le sue aspirazioni alla democrazia diretta interna e inizierebbe a perdere le caratteristiche di «movimento» per assomigliare sempre più ai partitini che vuole combattere e che funestano il mondo della lotta antisistema ormai da decenni.
Aggiungi a questo le possibilità di carriera politica aperte da un movimento con tutti quei voti, e la frittata è fatta. Non sarebbe certo la prima volta, ma non è una consolazione. Quando tu, prima delle elezioni, scrivevi denunciando il fatto scandaloso delle 5.091 autocandidature per una ventina di posti a Strasburgo, avevi già indicato questa possibile deriva del M5S: un concorsone di Stato che tradisce anche la massa di aspettative materiali che stanno alla base del movimento, oltre alla presunzione e alla mancanza di senso delle proporzioni da parte di una fetta così grande di iscritti al M5S.
Insomma: i prossimi giorni, quando sarà decisa l’adesione a un qualche gruppo del Parlamento europeo, potremo precisare meglio l’analisi. Resterà comunque il fatto imperdonabile, a imperitura memoria, che Grillo abbia potuto anche solo proporre la confluenza di un movimento giovane e originariamente antisistema come il M5S con un partito reazionario, esponente della destra nazionalista dell’imperialismo britannico.  

Michele

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