CONTENUTI DEL BLOG

venerdì 29 dicembre 2023

SU ISRAELE E PALESTINA CONTINUA LA DISCUSSIONE

(Parti 4-6 di 6)

di Piero Bernocchi (4ª) e Roberto Giuliani (5ª e 6ª)

 

link all’articolo di Albertani: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-1-di-3.html  

link alla risposta di Nobile: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-2-di-3.html  

link alla risposta di Massari: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-3-di-3.html

 

di Piero Bernocchi

 

Negli ultimi giorni si è sviluppata una discussione molto interessante, serena e aperta, priva di asprezze o punte polemico-aggressive, sul conflitto israelo-palestinese (genesi, cause, stato attuale, possibili prospettive future), in connessione e con scambi di materiale tra alcune liste Cobas e il sito di Utopia Rossa. Iniziata con la pubblicazione sul sito di UR di un articolo di Claudio Albertani, che troverete di seguito e da me girato a varie liste Cobas, insieme ad un mio commento a carattere generale (che rimanda anche al mio scritto sull'argomento pubblicato qui nel mio sito  I palestinesi sottomessi a Israele ma anche ad Hamas e ANP. Come uscirne?) è proseguita da una parte con i contributi Cobas di Roberto Giuliani, Carlo Dami e Giovanni Bruno e dall'altra, sul sito di UR, con le risposte ad Albertani di Michele Nobile e Roberto Massari. 


Dopo l'invio dell'articolo di Albertani, ho dovuto aggiungere alcune precisazioni in seguito alla prima risposta di Giuliani, oltre a far circolare le risposte di Nobile e Massari su Utopia Rossa, della cui Redazione internazionale Albertani (che vive in Messico) fa parte: testi teorici che a volte condivido, altre no, ma di cui apprezzo in genere la rigorosità delle documentazioni e lo sforzo costante di elaborazione, scevro di retorica o sloganistica e luoghi comuni, oltre all'assenza di censure e di "dannazioni" a priori, inserendo l'intero carteggio in questo mio sito, perchè vedo l'insieme e la diversità delle posizioni come un buon contributo all'approfondimento del tema.

Da parte mia, aggiungo di non aver letto Storia del sionismo, e che dunque l'invio dello scritto di Albertani non implicava alcun mio consenso sul libro in questione, che, peraltro, mi dice Massari che ne è l'editore, essere stato nel frattempo rivisto e ripensato dall'autore. Nel merito dell'articolo di Albertani, non condivido la possibile sua negazione del diritto di Israele ad esistere: solo che non ritengo sia necessario o possibile dimostrare che la collocazione in Palestina dello Stato di Israele è legittima perchè in Palestina ci stavano 20 secoli fa gli ebrei e un loro Stato. Nuovi Stati sono stati creati artificialmente decine di volte negli ultimi due secoli, intere popolazioni sono state dislocate e trasferite anche di forza e hanno ricostruito etnie , tradizioni, religioni e storia altrove dai loro siti originari. E la "legittimità" di Israele, in particolare, deriva in realtà dalla volontà generalizzata "occidentale" (ma condivisa ampiamente da  un consesso come quello Onu che quasi mai si esprime con larghe maggioranze "trasversali" - ad approvarla ci fu anche l'Unione Sovietica- come per la creazione di tale Stato) di "risarcire" gli ebrei dallo sterminio nazista, in un posto storicamente caro alle loro tradizioni e ove si pensava potessero convivere con la popolazione stanziale. Insomma, non credo che sia quanto è successo 20 secoli a dare di per sè legittimità all'insediamento, ma che esso sia assai più motivato dalla Shoah e dalla decisione dell'Onu di accettare e avviare tale processo di insediamento "artificiale".

martedì 26 dicembre 2023

DISCUSSIONE SU ISRAELE (Parte 3ª di 3)

di C. Albertani, M. Nobile, R. Massari

Risposta ad Albertani

di Roberto Massari

 

link all’articolo di Albertani: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-1-di-3.html

link alla risposta di Nobile: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-2-di-3.html

 

Caro Claudio, 

come ben sai, in tempi recenti e prima del tuo articolo, Utopia rossa aveva già pubblicato alcuni testi che parlavano apertamente di un solo Stato, multietnico, democratico, laico e se necessario anche federale. E mi fa piacere che citi favorevolmente analoghe posizioni da parte di israeliani o ebrei antisionisti, di sinistra o semplicemente democratici (peraltro posizione non nuove ma sempre esistite), così coincidenti con le nostre. Tu ricordi che anche Martin Buber aveva una posizione analoga o simile - uno Stato democratico binazionale - ma non mi risulta che abbia mai negato la legittimità d’esistenza dello Stato d’Israele, per quanto critico possa essere stato sulla risoluzione 181 dell'Onu.

Veniamo al tuo articolo, partendo dalla questione della legittimità di esistenza dello Stato d'Israele.

Questo Stato, sorto nel 1947-48, in senso giuridico ha un’esistenza più che legittima perché gliel’ha conferita il massimo organo sovranazionale esistente al mondo: le Nazioni Unite (belle o brutte che siano, e bella o brutta che sia stata quella decisione). Non fu un atto di occupazione militare o di conquista territoriale con la forza. E nemmeno un compromesso di potenze coloniali, come invece fu per Iraq, Siria e Giordania i cui confini vennero in gran parte decisi a tavolino (in primis dalla Gran Bretagna) tracciando delle linee sulla carta geografica. La nascita di Israele (risoluzione n. 181) fu votata il 24 novembre 1947 dalla maggioranza dei Paesi all’epoca membri dell'Onu: 33 a favore (compresa l’Urss, e questo è fondamentale che non lo si dimentichi, e non certo per mia simpatia verso un antisemita come Stalin), 13 contro (per lo più Stati arabi o mussulmani) e 10 si astennero. La risoluzione prevedeva anche la nascita di uno Stato palestinese e altre clausole che furono disattese (da Israele, ma non solo, Onu compresa).


La nascita di Israele non poteva essere formulata più chiaramente, vale a dire con un testo «giuridico-politico» di natura internazionale, approvato dalla grande maggioranza dei Paesi rappresentati all'Onu. Chi vuole contestare quella legittimità (se la parola legittimità ha un senso giuridico prima che politico) deve battersi quindi perché le Nazioni Unite rivedano quella decisione, e non tentare di annullarla col terrorismo, i missili sui civili e sulle città israeliane, i pogrom antiebraici (come quello del 7 ottobre). Tutte azioni che servono solo a peggiorare le condizioni di vita del popolo palestinese e non hanno alcuna speranza o diritto di annullare la decisione dell’Onu: una decisione ormai storica, visto che ha superato i tre quarti di secolo (siamo quasi a 77 anni da allora).

Non mi sembra che questa posizione (annullare la decisione dell’Onu: l’unica «legittima», per chi contesta quella legittimità), sia la posizione di Hamas. Ad Hamas non solo non frega niente del popolo palestinese di Gaza (che ha consegnato inerme alla rappresaglia israeliana dopo aver dichiarato guerra a Israele nel modo barbaro che sappiamo), ma dichiara ufficialmente che il suo scopo principale è distruggere Israele e uccidere gli ebrei che vi abitano. Dopo anni di missili sui civili, attentati e scavamento di tunnel militari sotterranei (tutto pagato con il denaro, anche UE, che avrebbe dovuto utilizzare per costruire scuole, ospedali e abitazioni per i palestinesi di Gaza), Hamas ha cominciato a farlo alla grande il 7 ottobre e vorrebbe continuare a farlo. Per questo ha scatenato la guerra asimmetrica cui stiamo assistendo in questi giorni, applaudita da gran parte del mondo mussulmano ma aiutata a combattere (più simbolicamente che altro) solo dagli houthi, gli sciti filoiraniani dello Yemen.

In realtà, il vero obiettivo realistico che Hamas si riproponeva massacrando gli ebrei dei kibbutzim - e che potrebbe anche raggiungere se non viene distrutta - era scalzare l’Autorità Nazionale Palestinese nelle zone A e B della Cisgiordania (la vecchia OLP di al Fatah), presentandosi al mondo islamico come la sola e unica rappresentante della lotta per distruggere Israele. Insisto che l’effetto propagandistico c’è stato e che se non viene distrutta, Hamas potrebbe raggiungere il suo vero scopo.

Anche per questo Michele, Antonella io e altri abbiamo scritto che Hamas è uno dei principali nemici del popolo palestinese (di Gaza e non solo) che va cancellato dalla faccia della terra in primo luogo nell’interesse degli stessi palestinesi di Gaza e della Cisgiordania e non solo per il suo feroce antisemitismo di matrice islamica.

 

lunedì 25 dicembre 2023

DISCUSSIONE SU ISRAELE (Parte 2ª di 3)

di C. Albertani, M. Nobile, R. Massari

 

Risposta ad Albertani

di Michele Nobile

 

link all’articolo di Albertani: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-1-di-3.html

 

Caro Claudio

Siamo d’accordo sul punto più importante: che la soluzione dei due Stati – uno ebraico, l’altro arabo-palestinese – non è affatto una soluzione ma qualcosa che riproduce il conflitto fra le due nazionalità, senza rendere giustizia ai palestinesi. En passant, sono a conoscenza della maggior parte degli studiosi che citi (e di qualcun altro), della ICAHD e della One Democratic State Campaign

È proprio considerato da questo punto di vista che il tuo articolo è contraddittorio. 

Tu contesti la validità delle pretese sioniste basate sulla storia antica. Non entro nel merito della storiografia antica perché, in realtà, è irrilevante. Quel che invece importa è la realtà del sionismo, un modernissimo movimento nazionalista prodotto dalla persecuzione degli ebrei, prima nel territorio dell’Impero russo e poi da parte del nazismo sterminatore in tutto il continente europeo. Il punto è che, in quanto movimento politico – laico e al suo interno perfino con correnti socialiste – il sionismo è profondamente contraddittorio: da una parte è movimento di un gruppo - etnico o religioso-culturale - atrocemente perseguitato; dall’altra movimento che rientra nella categoria del colonialismo, precisamente nella categoria delle colonie di popolamento. Da ciò il rapporto ambiguo con l’imperialismo britannico. Non poteva fare a meno dell’appoggio britannico, ma poi si risolse a combatterlo. E l’imperialismo britannico appoggiò l’attacco degli Stati arabi al momento della proclamazione dello Stato di Israele, la ragione per cui Stalin sostenne Israele, facendo in modo fosse rifornito d’armi dalla Cecoslovacchia. Ma questo ti è noto, lo ricordo giusto per completezza.

domenica 24 dicembre 2023

DISCUSSIONE SU ISRAELE (Parte 1ª di 3)

di C. Albertani, M. Nobile, R. Massari

Contro il sionismo, contro l'antisemitismo, per l'umanità*
di Claudio Albertani
BILINGUE: ITALIANO - ESPAÑOL
L'antisemitismo è il socialismo degli idioti
Auguste Bebel

Qualche giorno fa, durante una protesta davanti all'ambasciata israeliana di Città del Messico, qualcuno ha gridato degli slogan antisemiti. Era un provocatore ed è stato subito isolato. Tuttavia, la questione è delicata perché lo Stato sionista sta sfruttando l'innegabile recrudescenza dell'antisemitismo dopo l'invasione di Gaza per giustificare i propri crimini. Tale narrazione è legittimata da un fatto storico: gli ebrei sono stati vittime di uno dei più grandi massacri della storia, l'Olocausto (Shoah in ebraico), compiuto dai nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale. Ciò giustificherebbe il fatto che i sopravvissuti si siano rifugiati in Palestina, una regione che in teoria apparterrebbe loro per ragioni storiche e teologiche.
È qui che inizia il groviglio, perché il problema di Israele è duplice: non solo il suo attuale governo è impresentabile, ma anche la sua legittimità storica è discutibile. Secondo Netanyahu, i palestinesi sarebbero un gruppetto di persone senza storia che perseguitano gli ebrei proprio come facevano i nazisti. In queste condizioni, Israele non avrebbe altra scelta che difendersi, se necessario, con una forza spropositata. E naturalmente tutti noi che ci opponiamo saremmo antisemiti o, per essere più precisi, antiebraici.
Eppure, a quanto pare, tra gli antisionisti ci sono anche molti ebrei. Nella stessa Israele, la nuova scuola di storici ha smontato i miti fondanti del sionismo. Uno di questi è la cosiddetta diaspora, il presunto esilio degli ebrei dopo la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme (70 d.C.), quando sarebbero stati dispersi in tutto il Mediterraneo. In The Invention of the Jewish People (2008) e The Invention of the Land of Israel (2012), Shlomo Sand dell'Università di Tel Aviv dimostra che questa dispersione non è mai avvenuta e che i Romani non li hanno mai espulsi.
Sulla base dei documenti lo storico israeliano dimostra che le comunità ebraiche che esistevano ed esistono tuttora in molte parti del mondo sono il prodotto di diverse ondate di conversioni avvenute a partire dal IV secolo d.C. e non di flussi migratori  provenienti dalla Palestina. È vero che c'erano e ci sono ebrei sparsi per il mondo; è vero che sono stati vittime dell'antisemitismo, che è una terribile macchia nella storia dell'umanità, ma sostenere che il popolo ebraico abbia dei diritti ancestrali sulla Palestina è così assurdo come sostenere che i buddisti abbiano dei diritti ancestrali sulla terra di Siddharta Gautama.

venerdì 22 dicembre 2023

UN’ALTRA DONNA VITTIMA DELL’ISLAMISMO IRANIANO


di Roberto Massari, Antonella Marazzi, don Ferdinando Sudati


Carissimi/e,

oggi [21/12/23] fremo di ira e orrore a vedere cosa il regime iraniano sta facendo alle sue donne, impiccandole a decine.

Vorrei reagire, anche per stigmatizzare il rifiuto dei presunti «kompagni» di solidarizzare con le donne oppresse dall’islamismo (non dall’integralismo islamico, ma dall’islamismo tout court, che anche in Iran è un islamismo di regime). Ma sono così inferocito che rischio di dire degli sfondoni. Fatico però a tacere.

Possibile che anche su una questione così umana ci si trovi ad essere isolati rispetto alla sinistra reazionaria che nel suo viscerale antiamericanismo finisce col dare copertura politica anche a questi immensi crimini verso le donne? E un po’ anche verso gli uomini iraniani che a loro volta vengono impiccati a centinaia per ragioni spesso di puro libero arbitrio.

C’è poi la lugubre ironia che l’Iran ha assunto da poco la presidenza del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni unite (Unhrc). Gli è toccato per avvicendamento come prevede il regolamento. Ebbene, una logica minimamente «politica» avrebbe voluto che, avendo assunto questo incarico da poche settimane, sospendessero momentaneamente le esecuzioni, almeno quelle delle donne, almeno quella di ieri che grida vendetta al cospetto dell’umanità ancora umana: una madre di due figli, costretta a sposarsi a 11 anni e che ha reagito alle violenze del marito uccidendolo.

Ma appare chiaro che a loro dell’opinione internazionale non interessa nulla. Nel loro attuale Medioevo non esiste alcuna preoccupazione per l’opinione pubblica internazionale. Loro hanno Allah dalla loro parte…

Se qualcuno se la sente di scrivere un testo di denuncia, sarò lieto di associarmi. Io non me la sento.

Roberto

____________________________


Capisco l'orrore di Roberto e da donna dovrei trovare la forza e le capacità per scrivere io una lunga e argomentata protesta di fronte a queste manifestazioni di terribile disumanità, ma mi vengono meno sia la forza che le capacità.  Che si può dire di altro oltre ciò che si è scritto a più riprese sul nostro blog a proposito di questi crimini bestiali?

Francamente mi mancano le parole, i pensieri, le riflessioni appropriate e pacate. Sento salire al mio interno una furia irrazionale e tremenda contro questi regimi islamici immersi in una loro dimensione barbarica e arcaica fuori del tempo e tragica. Ho voglia di vomitare tutto il mio furore più aggressivo verso questi uomini, comunque appartenenti al genere umano, che si arrogano il diritto di torturare e uccidere in nome di un dio, che tra tutte le divinità inventate nel corso del tempo è certamente il più diabolico e vendicativo e anche il più idiota.

E il furore mi porta al desiderio di uccidere con le mie mani tutti costoro. Con una furia tremenda e irrazionale come la loro. E ciò non deve accadere perché si diventerebbe simili a loro. Ma debbo confessare che la mia disapprovazione, se non la mia furia, tocca anche le donne islamiche, quelle che non si ribellano, quelle che si coprono completamente divenendo dei fantasmi mortiferi e che giungono a convincersi che tutto ciò sia giusto e santo. Quelle che perpetuano nelle famiglie di fronte a figli e figlie la propria profonda subordinazione, come se fosse un motivo di vanto, e ne fanno oggetto di esempio ed educazione. Certo, conosciamo bene i meccanismi psicologici per cui le vittime divengono complici dei loro tortutatori in una società che da secoli si muove sulla base di questi canoni. Ma la mia furia rimane e finisce per avvolgere anche le donne che sempre sono vittime, ma spesso, inconsapevolmente, complici, appunto della società assassina. 

Tutti i governi degli stati borghesi cosiddetti democratici dovrebbero richiedere a gran voce la rimozione dell'Iran dalla presidenza del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, ma la ragione di Stato e l'opportunismo osceno politico impedisce tutto ciò. Se credessi in qualche ente superiore urlerei: che siano maledetti! E che sia sottolineata sempre e con forza l'idiozia politica della sinistra reazionaria che nella sua furia antiamericana non si ferma di fronte ai massacri dei civili palestinesi ed ebrei, né a quelli del popolo ucraino e delle donne che hanno avuto la sorte perversa di nascere in terre islamiche. Che sia maledetta anche lei di fronte agli occhi dell'umanità intera!

Antonella

__________________________________

Anch’io, Roberto, ho provato indignazione (e umiliazione) alla notizia dell’impiccagione di quella giovane donna. Tanto più che è avvenuta dopo 10 anni di durissimo carcere e che potrebbe aver avuto tra i 28 e i 32 anni - il figlio maggiore ne ha 17 e il più piccolo 10 - ed essere stata data in sposa a un energumeno a non più di 11 anni (cfr. Francesca Paci, La Stampa del 21-12-2023). E non sapevo, come tu riferisci, che proprio all’Iran è toccata la presidenza del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite!

Siamo al fallimento delle istituzioni di più alto livello, oltre di singole personalità, e pure del senso comune.

Qualche giorno fa, a fine novembre, ti scrivevo della conversazione telefonica tra papa Francesco e il capo di Stato dell'Iran, Ebrahim Raisi, su richiesta di quest'ultimo, per una mediazione del papa per un cessate il fuoco a Gaza. E della mia aspettativa che il papa gli avesse risposto: “Lo farò, anzi, continuerò a farlo volentieri e ti ringrazio di avermelo chiesto, però tu cerca di portare il tuo Paese fuori dal Medioevo e, in particolare, fai cessare lo stupro, la tortura e l’assassinio di ragazze per motivi di velo portato un po’ di traverso - e lascia che pure non lo portino -, e la condanna a morte di giovani che fanno dimostrazioni, lecite in quasi tutti i Paesi del mondo, a favore di elementari diritti”. 

Non ho, però, letto o sentito notizia del genere; forse la diplomazia non lo consentiva, ma di che dannata diplomazia parliamo?  Oppure gliel’ha detto “in privato”, che sarebbe già qualcosa, ma non lo si può divulgare, e allora serve a poco!

Ci manca solo che, passo dopo passo, ma abbastanza velocemente, il Medioevo ritorni in Europa. Lo farà, e probabilmente lo "meritiamo", ma sento dispiacere per le future generazioni.

Ti saluto e oso inviare anche un augurio di pace in questo Natale che assomiglia così tanto a un Venerdì santo.

don Ferdinando


P.S. Ho letto ora il commento di Antonella, che mi trova del tutto d'accordo. Salvo scusare - ma lo fa anche lei - un po' di più la mancata iniziativa delle donne islamiche, sia per la loro educazione fin da piccole sia soprattutto perché quei regimi sono davvero spaventosi.



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

giovedì 7 dicembre 2023

SCAMBIO DI IDEE SUL NUCLEARE

di Roberto Massari e Michele Nobile

 

Una cosa d’altri tempi: A scrive una lettera a B. B risponde facendo notare gli errori di A. A si rende conto che B ha ragione e passa sulle sue posizioni. Ma decide anche di rendere pubblico lo scambio di idee, visto che contiene ben due autocritiche (in realtà una e mezza). Ve lo immaginate se facessero o facessimo tutti così? (r.m.) 

 

Caro Michele,

dopo la nostra chiacchierata telefonica riguardo all’incontro di Dubai, mi sono andato a documentare un po’ meglio sullo stato della produzione di energia elettrica da nucleare nel mondo.

Tale produzione cresce molto (ma non tanto come sarebbe necessario) e si amplia molto anche il numero dei paesi che in un modo o in un altro vi fanno ricorso. In https://it.wikipedia.org/wiki/Energia_nucleare_nel_mondo c’è una bella cartina a colori che chiarisce visivamente la situazione. A parte l’intera Africa e una fetta occidentale dell’America latina, quasi tutto il mondo sta usando o progettando di usare il nucleare. In nero sono invece raffigurate l’Italia, la Germania, l’Austria, la Danimarca e l’Irlanda che il nucleare lo hanno abbandonato per scelta politica e in qualche caso referendaria.

Inutile dire che prima o poi anche questi paesi dovranno tornare al nucleare per ovvie ragioni economiche, di concorrenza ecc. E nell’attesa che l’umanità trovi altre fonti non fossili produttrici di energia (a parte le rinnovabili già in uso), questa rimane la principale misura che può rallentare significativamente il riscaldamento della terra.

Quindi contrariamente a posizioni del passato che ho condiviso con la ex estrema sinistra, io spero ormai da qualche tempo che la produzione nucleare cresca rapidamente, si estenga anche ai Paesi poveri, e ovviamente abbia caratteristiche sempre più sicure in modo che non si ripetano i tre disastri (quello degli Usa 1979, dell’Ucraina sovietica 1986 e del Giappone 2011). Per il futuro si parla di fusione invece che di fissione, ma purtroppo non ho la competenza scientifica per capire veramente di cosa si tratti, ma capisco abbastanza che gli impianti di nuova generazione offrono garanzie di sicurezza sempre maggiori.

A fronte della grande diffusione di centrali nucleari funzionanti da decenni nel mondo (Usa, Francia, Russia, Cina ecc.) direi che il bilancio del passato (quei tre soli disastri) è tutto sommato accettabile visto che le previsioni per il 2050 sono che circa 21 milioni di persone dovranno morire in conseguenza del cambio climatico. Quante esplosioni delle centrali nucleari previste a Dubai per il 2050 (dove si è parlato di triplicare la produzione) equivalgono in vittime a questi 21 milioni?

Domanda scema.

Ma se nessuna delle centinaia di centrali in funzione o previste dovesse subire disastri?

Domanda un po’ meno scema, anche perché si combina col mio inguaribile ottimismo nei confronti del progresso scientifico. E qui tu ed io possiamo risparmiarci tutte le fesserie scritte nel passato, non da noi ma da altri, sulla presunta scienza «borghese» distinta da quella «proletaria»: pazzie marxologiche che qualcuno non mancherà di ripetere. 

Il fatto che in misura crescente ci si libererà dalla dipendenza petrolifera - quindi dal ricatto di paesi megaproduttori come la Russia e alcuni Paesi arabi (Venezuela a parte perché politicamente non tocca l'Italia) - avrà delle forti conseguenze politiche, comprese quelle cui accennavi tu.

Ed è qui che la mia mente si è imbarcata in un altro tipo di ragionamento che mi fa piacere comunicare a te e, per ora, a pochissimi altri.

Ed ecco l’altro ragionamento.

Noi della ex estrema sinistra italiana le battaglie le abbiamo perse praticamente tutte. Ciò non ha mai avuto una grande importanza perché la società dello spettacolo esige solo che l’estrema sinistra conduca le battaglie, ma che le vinca o le perda le è indifferente. E del resto le carriere politiche degli esponenti della ex estrema sinistra si sono costruite tutte sulle battaglie condotte a perdere, e mai su delle vittorie. Qualcuno ci prova ancora.

Ma è vero che le abbiamo perse proprio tutte?

No. La nuova generazione contestatrice e antisistemica nacque proprio con una vittoria, la prima e l’ultima veramente sua: abolimmo nel 1968 la legge 2314 del ministro della Pubblica istruzione Luigi Gui. Quella fu l’unica vittoria «nostra», fatta cioè dall’estrema sinistra (all’epoca non ancora corrotta e veramente di massa). I risultati di quella vittoria, però, non si videro mai e la scuola è diventata il mercimonio «aziendalistico» che sappiamo: simbolicamente vincemmo, ma materialmente perdemmo anche nel nostro mondo specifico, cioè la scuola e l’università.

In tempi più recenti abbiamo vinto il referendum sull’acqua (non da soli), ma la cosa non ha cambiato veramente nulla. La «vendita» privata dell’acqua continua ad essere quasi come prima. Ed io, forte di quel referendum vinto, dopo aver rifiutato di pagare la ditta Talete per ben 11 anni, alla fine mi sono dovuto arrendere quando mi hanno tagliato l’acqua, e ho dovuto pagare tutti gli arretrati (ma senza interessi e quindi un po’ ci ho anche guadagnato…)

La terza vittoria che mi viene in mente è quella del movimento contro la centrale nucleare di Montalto di Castro che è poi confluita nella vittoria al referendum del 1987 per la fine dell’energia nucleare in Italia.

Ebbene, delle tre «nostre» vittorie, questa è stata l’unica effettiva, reale. Di centrali nucleare non se ne sono più costruite e si sono spente quelle in funzione.

Perché solo questa vittoria è stata risparmiata dall’avversario? E poi, concretamente, chi era l’avversario?

Queste non sono domande sceme, perché prima o poi (spero prima che poi) in Italia si porrà nuovamente il bisogno di tornare al nucleare, come del resto fanno allegramente e da decenni nostri vicini importanti (come la Francia) e meno importanti (come la Slovenia; la Svizzera non ho capito bene come si stia muovendo). Sorgerà quindi un possente movimento di massa intenzionato a impedire che ciò accada, diretto da persone che sapranno benissimo di dover perdere, ma comunque faranno la loro carriera: gli Ermete Realacci e i Chicco Testa del futuro.

Probabilmente ci sarà una saldatura con gli eredi degli attuali sostenitori del traffico degli esseri umani, della distruzione di Israele e della sconfitta dell’Ucraina, oltre ai vari no Vax, no Tav, no Ponte, no Mose (a quando «no Tax»?), no a questo e no a quell’altro. Probabilmente perderanno, ma a me farebbe piacere sapere perché è stata rispettata la precedente vittoria.

Il no al nucleare ci ha rafforzati nella nostra dipendenza dalla Russia e dai Paesi arabi. C’era forse lo zampino di qualcuno di questi dietro quella vittoria? Me lo chiedo, consapevole di peccare di dietrologia e complottismo. Ma i conti non mi tornano.

La domanda non è scema perché c’è stato il grande precedente di Enrico Mattei, fondatore e capo dell’Eni, ucciso a ottobre 1962 proprio perché stava cercando di rendere l'Italia indipendente dal controllo petrolifero delle Sette Sorelle. Delle quali, all’epoca, la Russia non faceva parte.

Insomma, per strani meandri della mente, la mia riflessione sull’incontro di Dubai mi ha portato a ripensare sulla natura di questa vittoria contro il nucleare, la «nostra» unica vera vittoria (movimentista dapprima, referendaria poi) che la ex sinistra ha nel proprio paniere.

Quando questa decisione - che ormai considero retrograda e dannosa per l’ambiente - dovrà essere rivista, sorgeranno forze oscure intenzionate a difenderla, strumentalizzando i prevedibili movimenti locali. E avranno buon gioco perché sulle prime nessuna città italiana vorrà avere una centrale nucleare nelle proprie vicinanze, nell’ingenua convinzione che se esplodessero le centrali francesi o slovene (e nel futuro forse nuovamente svizzere) la loro città non sarebbe raggiunta dalla nube radioattiva.

Shalom

Roberto

 

* * *

 

Caro Roberto,

pensavo anch’io da tempo all’eventuale ricorso all’energia nucleare come misura per affrontare la crisi climatica globale in corso. Il motivo, giusto per indicare approssimativamente il tempo a disposizione, è che stando a una stima del 2022 ci restano solo nove anni e un ammontare massimo di emissioni di 380 miliardi di tonnellate di CO2 per avere un 50% di probabilità di evitare che il pianeta raggiunga la temperatura di 1,5°C. I tempi sono dunque strettissimi, ma sventuratamente esistono ottimi motivi per ritenere che saranno superati.

Quando giustamente protestavamo contro il nucleare civile - oltre che militare - e la costruzione di nuove centrali, non esisteva ancora la conoscenza scientifica del problema del riscaldamento globale. Anzi, ricordo che si parlava della possibilità del raffreddamento globale del pianeta. Il contesto è quindi completamente diverso da quello degli anni ’70; perfino ai tempi del referendum italiano che portò alla chiusura delle centrali, era il 1987, la questione non aveva ancora la rilevanza che avrebbe avuto di lì a pochi anni. Allora il problema era la sicurezza e il dramma di Čornobyl.

In questo nuovo contesto occorre considerare tutti i modi possibili per ridurre tutte le emissioni di gas serra causate dall’attività umana - in particolare di CO2 - e tra questi anche l’utilizzo della produzione d’energia elettrica in impianti nucleari. Insomma, il nucleare civile non si deve più considerare un tabù. Su questo concordiamo.

Tuttavia, io intendo l’utilizzo dell’energia nucleare come misura parziale e temporanea in vista di una ristrutturazione complessiva della società che sia ecologicamente compatibile. Qui la parola decisiva è «parziale», a cui potrei anche premettere un «assai». Questa è una posizione diversa da quella che hai espresso nella lettera, circa il fatto che l’energia nucleare «rimane la principale misura che può rallentare significativamente il riscaldamento della terra». Non è così, questo entusiasmo è eccessivo; il nucleare è al più una delle opzioni da considerare insieme ad altre. Si può cambiare idea a fronte del fatto nuovo del riscaldamento globale, considerare l’opportunità del ricorso anche al nucleare, rompere un tabù – un tempo legittimo – ma è altro dal dire che la via principale sia il nucleare. 

Non dico questo per via dei problemi di sicurezza già noti, che pure non sono poca cosa: sicurezza degli impianti; rischio di proliferazione delle armi nucleari; rischio che impianti nucleari siano attaccati durante una guerra; rischio che terroristi si impossessino di materiale nucleare; difficilissimo problema dello smaltimento delle scorie nucleari in siti sicuri per centinaia di migliaia di anni.

Sorvolo su cambiamenti socio-economici e mi riferisco proprio alla questione specifica della riduzione delle emissioni di gas serra, a quanto il mezzo – nucleare - sia adeguato al fine, l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale.

Innanzitutto, bisogna dire che l’impiego del nucleare dovrebbe essere simultaneamente sostitutivo delle fonti d’energia fossile nel quadro della riduzione del consumo totale di energia. Il rischio, altrimenti, è che si avvalori la logica di chi vuole ridurre il consumo delle fonti fossili solo dopo il rilancio del nucleare.

In secondo luogo, occorre considerare i tempi di costruzione delle stesse centrali nucleari. Nelle condizioni tecnico-scientifiche e finanziarie migliori, che sono quelle dei Paesi a capitalismo avanzato e della Cina e della Russia, che hanno già esperienza e conoscenze nel settore, la costruzione di una centrale nucleare richiede minimo almeno cinque anni, più spesso sette-otto e anche più. Ciò senza contare tempi di progettazione e approvazione dei progetti. Considerando anche questi ultimi, l’eventuale effetto positivo dell’ampia diffusione della produzione d’elettricità mediante impianti nucleari deve collocarsi verso i vent’anni. Troppo. Dalla progettazione all’operatività, i tempi di grossi impianti solari o a vento sono fra i due e i cinque anni.

In terzo luogo, in quale rapporto si trovano ora le fonti di energia rinnovabili e la produzione nucleare? E in che misura dovrebbe aumentare la produzione di energia elettrica nucleare come alternativa alle fonti fossili? Nucleare ed energie rinnovabili sono in questo momento allo stesso livello: il 10% e qualcosa della produzione di elettricità. Una frazione maggiore va alla produzione idroelettrica e il resto - 60% ca. - a fonti fossili. In realtà non c’è una tendenza generale alla crescita della fonte nucleare: è in Cina che si trova almeno la metà delle nuove centrali costruite nell’ultimo ventennio. Dunque, difficile immaginare che il nucleare possa coprire in tempo utile una parte significativa di quel 60% e passa delle fonti fossili.

In quarto luogo, occorre considerare il costo relativo di produzione delle diverse fonti. Nel corso dei decenni, il costo delle rinnovabili è caduto tantissimo, il costo del nucleare è aumentato: per unità di produzione d’energia è almeno da tre a cinque volte quello delle fonti rinnovabili. Il nucleare è una opzione da Paesi industrializzati e ricchi, in grado di sovvenzionare la costruzione di centrali, certo non per quelli sottosviluppati.

In quinto luogo, il problema non è solo e forse neanche principalmente quello della trasformazione della produzione d’energia ma dell’utilizzo della stessa. Alla produzione di elettricità va circa un quarto delle fonti di energia primaria (delle fonti non ancora trasformate in energia elettrica), il resto va ai trasporti, usi industriali e domestici. È in questi ultimi campi che si potrebbe agire più rapidamente per ridurre il consumo totale di energia, che resta l’obiettivo fondamentale. Pensa ai trasporti pubblici, alla riduzione dei trasporti aerei (che scandalosamente possono costare meno del treno), ai pannelli solari per abitazioni, all’isolamento termico ecc.

In sesto luogo, mi risulta che le emissioni totali di CO2 dell’intera filiera di un impianto nucleare, dall’estrazione di uranio alla sistemazione del combustibile nucleare esaurito, siano di poco inferiori a quelle di una centrale a gas. Queste emissioni sono molto superiori a quelle risultanti da fonti rinnovabili. Inoltre, tutti gli impianti con combustibili fossili e a uranio producono calore (e vapore acqueo); quelli solari lo sottraggono.

In sintesi: volendo progettare la transizione a una società sostenibile il nucleare non deve essere escluso a priori, ma la sua utilità è da verificare in base a situazioni concrete, alle alternative disponibili, ai costi-opportunità. In nessun caso questo deve essere inteso come via principale o alternativa a fonti di energia rinnovabili, alla riduzione del trasporto su gomma e aereo, alla riduzione dei consumi energetici in tutti i modi possibili. Le rinnovabili possono conseguire effetti più rapidamente e a minor costo del nucleare, e senza gli altri problemi associati all’uranio e al plutonio, viceversa con effetti di riduzione delle esternalità negative. Non esiste una soluzione tecnica, ma una molteplicità di soluzioni in tanti campi.

Il che rimanda a cambiamenti nella produzione e nel consumo, uso del suolo e deforestazione che in definitiva sono l’obiettivo da conseguire.

 Michele


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

sabato 25 novembre 2023

A GROUND FOR RELIGIOUS AND POLITICAL PSYCHOPATHOLOGIES

by Sigmund Freud

[r.m.]

 

ENGLISH - ITALIAN - FRANÇAIS - ESPAÑOL - DEUTSCH

 

Civilization and its discontents  (1929)


Another procedure operates more energetically and more thoroughly. It regards reality as the sole enemy and as the source of all suffering, with which it is impossible to live, so that one must break off all relations with it if one is to be in any way happy. The hermit turns his back on the world and will have no truck with it. But one can do more than that; one can try to re-create the world, to build up in its stead another world in which its most unbearable features are eliminated and replaced by others that are in conformity with one’s own wishes. But whoever, in desperate defiance, sets out upon this path to happiness will as a rule attain nothing. Reality is too strong for him. He becomes a madman, who for the most part finds no one to help him in carrying through his delusion. It is asserted, however, that each one of us behaves in some one respect like a paranoic, corrects some aspect of the world which is unbearable to him by the construction of a wish and introduces this delusion into reality. A special importance attaches to the case in which this attempt to procure a certainty of happiness and a protection against suffering through a delusional remoulding of reality is made by a considerable number of people in common. The religions of mankind must be classed among the mass delusions of this kind. No one, needless to say, who shares a delusion ever recognizes it as such.

 

Il disagio della civiltà (1929)

 

Più energicamente e più radicalmente opera un altro procedimento: esso scorge nella realtà l’unico nemico, quello che è la fonte di ogni male, quello con cui è impossibile vivere, con cui occorre quindi troncare ogni rapporto, se in qualche modo si vuole essere felici. L’eremita volta le spalle a questo mondo, non vuole avere nulla a che spartire con esso. Ma si può fare di più, si può voler trasformare il mondo, costruendo al suo posto un mondo diverso in cui le caratteristiche più intollerabili risultino eliminate e sostituite da altre caratteristiche consone ai propri desideri. Chi in una rivolta disperata imbocca tale cammino verso la felicità, non ottiene di regola nulla; la realtà si dimostra per lui troppo forte ed egli diventa un pazzo, che non riesce a realizzare il suo folle desiderio e non trova perlopiù nessuno disposto a dargli una mano. È stato detto, tuttavia, che per qualche aspetto ognuno di noi si comporta come il paranoico, correggendo, tramite una formazione di desiderio, un lato del mondo che gli è intollerabile e iscrivendo nella realtà questo delirio. Importanza particolare riveste il caso in virtù del quale un numero notevole di persone si accinge insieme al tentativo di procurarsi una garanzia di felicità e un riparo dalla sofferenza mediante una trasformazione delirante della realtà. Alla stregua di deliri collettivi siffatti dobbiamo caratterizzare anche le religioni dell’umanità.Va da sé che il delirio non è mai riconosciuto come tale da coloro che ancora ne sono coinvolti.

 

Malaise dans la civilisation  (1929)

 

Un autre procédé est plus radical et plus énergique; il voit dans la réalité l’ennemie unique, la source de toute souffrance. Comme elle nous rend la vie impossible, on doit rompre toute relation avec elle, si l’on tient à être heureux d’une manière quelconque. L’ermite tourne le dos à ce bas monde et ne veut point avoir affaire à lui. Mais on peut aller plus loin et s’aviser de transformer ce monde, d’en édifier à sa place un autre dont les aspects les plus pénibles seront effacés et remplacés par d’autres conformes à nos propres désirs. L’être qui, en proie à une révolte désespérée, s’engage dans cette voie pour atteindre le bonheur, n’aboutira normalement à rien; la réalité sera plus forte que lui. Il deviendra un fou extravagant dont personne, la plupart du temps, n’aidera à réaliser le délire. On prétend toutefois que chacun de nous, sur un point ou sur un autre, se comporte comme le paranoïaque, corrige au moyen de rêves les éléments du monde qui lui sont intolérables, puis insère ces chimères dans la réalité. Il est un cas qui prend une importance toute particulière; il se présente lorsque des êtres humains s’efforcent ensemble et en grand nombre de s’assurer bonheur et protection contre la souffrance au moyen d’une déformation chimérique de la réalité. Or les religions de l’humanité doivent être considérées comme des délires collectifs de cet ordre. Naturellement, celui qui partage encore un délire ne le reconnaît jamais pour tel.

 

El malestar en la cultura  (1929)

 

Más enérgica y radical es la acción de otro procedimiento: el que ve en la realidad al único enemigo, fuente de todo sufrimiento, que nos torna intolerable la existencia y con quien por consiguiente, es preciso romper toda relación si se pretende ser feliz en algún sentido. El ermitaño vuelve la espalda a este mundo y nada quiere tener que hacer con él. Pero también se puede ir más lejos, empeñándose en transformarlo, construyendo en su lugar un nuevo mundo en el cual queden eliminados los rasgos más intolerables, sustituidos por otros adecuados a los propios deseos.Quien en desesperada rebeldía adopte este camino hacia la felicidad, generalmente no llegará muy lejos, pues la realidad es la más fuerte. Se convertirá en un loco a quien pocos ayudarán en la realización de sus delirios. Sin embargo, se pretende que todos nos conducimos, en uno u otro punto, igual que el paranoico, enmendando algún cariz intolerable del mundo mediante una creación desiderativa e incluyendo esta quimera en la realidad. Particular importancia adquiere el caso en que numerosos individuos emprenden juntos la tentativa de procurarse un seguro de felicidad y una protección contra el dolor por medio de una transformación delirante de la realidad. También las religiones de la Humanidad deben ser consideradas como semejantes delirios colectivos. Desde luego, ninguno de los que comparten el delirio puede reconocerlo jamás como tal.


Das Unbehagen in der Kultur  (1929)

 

Energischer und gründlicher geht ein anderes Verfahren vor, das den einzigen Feind in der Realität erblickt, die die Quelle alles Leids ist, mit der sich nicht leben läßt, mit der man darum alle Beziehungen abbrechen muß, wenn man in irgendeinem Sinne glücklich sein will. Der Eremit kehrt dieser Welt den Rücken, er will nichts mit ihr zu schaffen haben. Aber man kann mehr tun, man kann sie umschaffen wollen, anstatt ihrer eine andere aufbauen, in der die unerträglichsten Züge ausgetilgt und durch andere im Sinne der eigenen Wünsche ersetzt sind. Wer in verzweifelter Empörung diesen Weg zum Glück einschlägt, wird in der Regel nichts erreichen; die Wirklichkeit ist zu stark für ihn. Er wird ein Wahnsinniger, der in der Durchsetzung seines Wahns meist keine Helfer findet. Es wird aber behauptet, daß jeder von uns sich in irgendeinem Punkte ähnlich wie der Paranoıker benimmt, eine ihm unleidliche Seite der Welt durch eine Wunschbildung korrigiert und diesen Wahn in die Realität einträgt. Eine besondere Bedeutung beansprucht der Fall, daß eine größere Anzahl von Menschen gemeinsam den Versuch unternimmt, sich Glücksversicherung und Leidensschutz durch wahnhafte Umbildung der Wirklichkeit zu schaffen. Als solchen Massenwahn müssen wır auch die Religionen der Menschheit kennzeichnen. Den Wahn erkennt natürlich niemals, wer ihn selbst noch teilt.

 

 

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

martedì 21 novembre 2023

VOY A LLORAR POR TI ARGENTINA

por Tito Alvarado

 

Voy a llorar por ti, Argentina. Así titulé un artículo publicado en algunos medios alternativos, a pocos días de efectuadas las PASO en Argentina y resultara elegido por su grupo, con una gran cantidad de votos, el Sr. Javier Milei. Un niño, una niña pueden llorar por muchas razones, que generalmente se olvidan, hay algunos que lloran con profunda pena y ese llanto es señal de una mala vida, lo que deja una huella indeleble. Cuando una persona crece hay menos razones para llorar y pueden darse por malos tratos, un desamor o la impotencia. Se hace normal decir que los hombres no lloran, pues el llanto se le quiere asociar a una supuesta debilidad femenina. La vida ha demostrado que no es así, los hombres también lloran, pocos se enteran de su llanto y este, generalmente, se fundamenta en impotencias, asuntos no resueltos o imposibles de solucionar. Todo llanto es pasajero, al igual que la vida o al igual que todo lo que nace, al final muere.

En mis tiempos de joven, soñador y revolucionario, vivimos el más terrible asalto a la convivencia democrática que se haya registrado en Chile, el golpe de estado propiciado por el gobierno estadounidense y ejecutado por las fuerzas armadas del país, se dio la desgracia que los institutos armados, supuestamente están para defender al país contra ataques del exterior, emplearon las armas para agredir a quienes se suponía debían defender. El argumento fue que debían combatir el enemigo interno, cosa que hicieron con esmero y dedicación de asesinos profesionales. Ahora se ha dado una puñalada mortal a la democracia en Argentina, esto ha sido posible pues mucha gente vota por sus enemigos, razón más que suficiente para llorar. De nada han servido las verdades, en determinados momentos puede más la sinrazón del odio, la mentira mil veces repetida y los argumentos fáciles de soluciones que esconden lo fundamental: no hay soluciones para todos en una sociedad dividida en clases sociales, las soluciones que implementará el “elegido” son un experimento muchas veces implementado, cuyo final es conocido: más pobres, menos ricos con más riqueza. En el intento de la aplicación de sus no soluciones, correrá sangre, pues este caballero sin caballo es inestable, sus exabruptos costarán vidas. Cuenta con el apoyo de la Sociedad Rural Argentina, la casta militar, los dueños de algo, sean industrias o capital financiero, el poder judicial, los políticos de derecha, los “periodistas” mercantiles de las noticias falsas, que son formas de expresión del poder local, lacayo del poder central, el imperio. Quienes no estén en estos segmentos sociales y hayan votado por este señor fuera de serie y sobre todo fuera de sí, están en peligro, pues son parte del pueblo que verá mermados sus derechos y posibilidades de vida. La libertad del capital es siempre la libertad de aumentar su riqueza en desmedro de las mayorías y de la naturaleza.

Nos encontramos frente a la encrucijada de dos verdades, una hora de la verdad se vivió este pasado 19 de noviembre, solo que algunos se obstinan en vendernos humo, la derecha siempre vota por la derecha, aunque por momentos están en bandos distintos. Las izquierdas hace mucho que no saben como definir su rumbo, algunos se acomodan, otros se pasan a servir al mejor postor y la mayoría desprotegida, falta de recursos y a veces de conocimientos, aunque estos estén a la mano, no atina a reconocerse en el drama del otro y luchar por las soluciones de su clase social ¿Falta un Zapata, un Sandino, un Fidel, un Che Guevara, un Allende, un Chávez, un Evo Morales, un Petro, un Lula? en realidad, no, cada tiempo tiene sus propios modos de ser y formas de expresión. Falta conciencia, organización, desarrollo de capacidades de lucha y participación para implementar las soluciones que vengan de abajo, falta atreverse a mirar de frente la cara de Dios: el peronismo o se renueva con vientos y participación del pueblo o muere. Nada podemos esperar de los tibios que mil veces intentan descubrir lo ya descubierto, sea este el hilo negro, el agua tibia o la certeza que el humo termina por desvanecerse, la socialdemocracia nunca se atreverá a ir por más, siempre termina pavimentando el camino del fascismo, este último se viste de diversos colores y en muchos lados logra imponer su discurso con palabras adecuadas a la situación, no acontecerá lo mismo al momento de la segunda verdad. Hace sesenta o más años Argentina era una potencia, tenía un nivel de vida superior a Canadá, ahora no es ni la cola del tigre. La pobreza aumentó a un nivel alarmante, en otros lados los trenes vuelan, en Argentina casi no existen. Asunto que aconteció en casi todos los países latinoamericanos, seguramente obedeciendo a una política de los amos de gobiernos de morondanga. ¿Qué logró hacer el gobierno del señor Fernández para revertir, a lo menos, las cifras de la pobreza? En buen romance, nada, el problema sigue sin solución. Dolarizando la economía, suprimiendo el banco central, priorizando las relaciones con Estados Unidos y el estado genocida de Israel no se solucionan los asuntos de dar bienestar a toda la población, al contrario se acelera el desplome del país. El dólar pronto dejará de ser la moneda dominante (habría que ver si en Ecuador, Panamá o El salvador, la dolarización ha sido solución), el banco central aporta cierta estabilidad, es asunto de mejorar las políticas económicas, Estados Unidos es el país más endeudado del mundo, su economía es artificial, pronto entrará en recesión, allí tenemos 50 millones de pobres muchos de ellos viviendo en las calles, estar hoy con Israel es estar con la matanza de civiles en Palestina, entre los cuales ya se cuentan 5.500 niños, estar con Israel es tener las manos manchadas de sangre. Como un asunto nos lleva a otro, Argentina acaba de entrar al BRICS, sin duda saldrá de esta nueva forma de intercambio, romperá relaciones con países catalogados de comunistas por el nuevo líder, lo cual incidirá en cierta soledad y menos socios comerciales, léase menos recursos para el país, la solución mágica será más deuda. Y luego que otros la paguen.

Para empeorar el cuadro, la mayoría de votos que ha conseguido este aprendiz de esperpento, al momento en que él tome sus funestas decisiones, cuentan tanto como una minúscula miga de pan en la milanesa. Habrá que juntar agua para apagar el incendio, juntar bronca para una explosión social, juntar comida para no morir en el intento, pero sobre todo aprender que cuatro años de un Macri, que dejó la mayor deuda en la historia del país, no es nada en comparación con el desastre que esta persona, fuera de sí, causará. Por causa de apostar a caballos cojos, ahora hemos perdido la carrera. Hacia adelante nos queda aprender a ser nosotros ejerciendo nuestro sentido de supervivencia junto a los millones que en el país, en el continente, en el mundo, también luchan por sobrevivir, nos queda el camino de la creación heroica, armar una revolución cultural para defender la vida en el planeta y tener gobiernos con sentido de sociedad, no esperpentos que necesitan mirarse cada hora al espejo. Seamos nosotros mismos construyendo, junto con nuestros iguales, ese lugar soñado, al cual llegaremos si hay vida. Hoy se trata de la vida de todas y todos luchando juntos o de la muerte, si actuamos por separado.



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

domenica 19 novembre 2023

THE GAZA CARNAGE

by Samuel Farber*


BILINGUE: ENGLISH - ESPAÑOL 


The only truly democratic and equitable solution to the conflict between Palestinians and Israel is the creation of a single state.

 

A great tragedy is taking place in Gaza where more than two million Palestinians are being bombarded daily by the Israeli armed forces, with scarce or no water, electricity, and medicine because of the siege imposed by the Israeli army to prevent the entry of every kind of goods and services to the area. Gazans are also confronting an Israeli army invasion that has killed many more innocent civilians than those who perished in southern Israel on October 7, and that appears to be an attempt to eliminate by whatever means the Hamas and Palestinian presence in Gaza.

The U.S. mass media (newspapers, radio and television) have become an almost northern version of Granma, the Cuban Communist party newspaper, with a virtually unanimous political line, although in this case, in their uncritical defense of Israel while entirely blaming Hamas for the conflict. This is a fundamentalist Islamic organization that has governed the small (141 square miles) but densely populated territory located on the Mediterranean coast since 2007. The territory is surrounded by Israel on the north and east, and on the south by Egypt, which has for a long time been an ally of Israel in the systematic mistreatment of Gaza’s inhabitants.   

The immediate origin of this massacre took place in the early hours of October 7 when the Hamas armed forces penetrated Israeli territory and committed many grave war crimes. Aside from attacking military posts, legitimate targets in war operations, the Hamas army massacred hundreds of unarmed people that were attending a rock concert in Israel’s southern border zone. As a result of these incidents, more than 200 young people were killed, an important part of the 1,300 people killed and 3,600 injured on October 7. These were not the spontaneous “excesses” that have historically been associated with popular uprisings infused with the hatred of the oppressors, but a highly organized and efficient operation carried out by the troops of an organized government with a well-defined political and religious orientation.

The Hamas government is a fundamentalist Islamic dictatorship ruling over a territory where no elections have been held since 2006 and where the government has on various occasions repressed dissident Palestinian groups and individuals. Although a spokesman for Hamas, Ghazi Hamad, who is also the deputy foreign minister of the Gazan government, said that the troops that invaded southern Israel on October 7 had no intention to kill Israelis and that these deaths were due to “clashes and confrontations,”  Hamas sympathizer Zubayr Allikhan was much more frank when commenting about the events of October 7. He stipulated that those targeted by the Hamas army “were, are, colonizers, settlers, the primary agents, actors, impellers of the colonization and genocide of Palestine” and that “the term “Settler-Colonialism” is not without reason, and that a colonizer is a colonizer, in uniform or out.” Allikhan concludes that “we must raise the banner of searing bullets and blood-stained knives. [emphasis in the original] We must utilize every tool towards collective liberation, from Haifa to Al-Naqab, from the river to the sea.” In other words, according to Zubayr Allikhan, for the Hamas government and the Palestinian movement all Israelis, without any exception, are legitimate targets of justified Palestinian violence.

giovedì 26 ottobre 2023

IMPERIALIST WARS AND “PACIFISM” (Part 1)

by Oleg Vernyk (from Kiev)

[abridged version]

 

The Russian aggression against Ukraine that started on February 24, 2022 has raised a number of problematic issues in Marxist theory, as well as problems putting into practice basic principles that initially seemed clear to all Marxists. There are organizations that vindicate Leon Trotsky and the Fourth International and have produced many documents on the nature of the Russian-Ukrainian war which sometimes differ diametrically from each other. At the same time, there are organizations that do not come from this tradition but have adopted political positions quite close to those of revolutionary Marxism.

At a certain level of the discussions to obtain a positive result it is necessary to return to the basic categories of 20th century Marxism. And to be clearly defined in regards to our attitude towards such concepts, often speculative, which are used by supporters of imperialist aggression to disguise their transition to the camp of the imperialist bourgeoisie and to justify the new colonial aggressions of the 21st century.

Sometimes it is very difficult to cut through the thorns of the “anti-imperialist” rhetoric and discover behind them the support for the recent aggressive imperialisms. It is no less difficult to reveal the interests of one or another imperialism under the apparently attractive rhetoric of pacifism. And it is even more complex to reveal between the deafening growls of revolutionary defeatism the real work of the imperialist agents within the labor movement. We will have to do it, because only the truth is revolutionary as it can point us to the mistakes of the past and guide us correctly towards the future.

 

Imperialist wars

One of the key elements of current discussions is the category of imperialist wars and the problem of shaping the attitude of Marxist organizations towards them. 

[…]

Some are trying, based on Ukraine’s economic and military dependence on the NATO imperialist bloc countries, to deny the Ukrainian people their right to self-determination and free development. This is accompanied by false statements that Ukraine does not have its own rights, interests, and its own subjectivity. They try to point out that it is not the Ukrainian people who are face to face with a terrible aggressor on the battlefield, but rather the NATO imperialist bloc that is fighting against Russian imperialism. But it is quite obvious that the NATO bloc has no intention of directly entering this war. It prefers to limit participation to the supply of arms to Ukraine, which is not enough to liberate the Ukrainian territories occupied by the aggressor.

In this sense, the approach of the Leninist wing of the Zimmerwald Left of 1915 in relation to Serbia and its national liberation struggle against the Austro-Hungarian Empire will be very indicative for our analysis. In his work «The collapse of the Second International Lenin» noted in particular: “In the present war the national element is represented only by Serbia’s war against Austria (...) It is only in Serbia and among the Serbs that we can find a national-liberation movement of long standing, embracing millions, “the masses of the people”, a movement of which the present war of Serbia against Austria is a “continuation”. If this war were an isolated one, i.e., if it were not connected with the general European war, with the selfish and predatory aims of Britain, Russia, etc., it would have been the duty of all socialists to desire the success of the Serbian bourgeoisie; this is the only correct and absolutely inevitable conclusion to be drawn from the national element in the present war.

As we can see, Lenin does not support the national liberation struggle of the Serbs only (!) because the inter-imperialist war of the main imperialists powers is already raging and in it Serbia is an integral part of the Entente imperialist bloc (England, France, Italy, Russia, Usa). It is not about the supply of weapons from the Entente countries to Serbia: it is about the fact that all the Entente countries are fighting directly in the European theater of operations, and the Serbian front against Austria-Hungary is only one of the fronts of the inter-imperialist war.

I consider it theoretically mistaken and practically harmful not to distinguish between types of wars. We cannot stand against the wars of national liberation. You take an example: Serbia. But if the Serbs fought alone against Austria, would we not stand with the Serbs?” Lenin wrote in 1915. As we see, the key aspect of the formation of his political position is once again the fact of Serbia’s involvement in the united front on the side of the Entente imperialist bloc.

The club of supporters of Russian imperialism will fail in their attempt to pass off the heroic resistance of the Ukrainian people and their army against Russian imperialist aggression for a NATO war against Russia. As I have already pointed out, the fact that there is an imperialist war in no way defines its imperialist character for all its participants. Even in the vile and greedy world massacre of 1914 there were peoples for whom participation in the war was associated with self-determination and national liberation.

 

Can the current Russian-Ukrainian war change its character and be transformed from a national liberation war of the Ukrainian people in one part to a global inter-imperialist war and under what conditions? Alejandro Bodart gives clear answer to this question: “If any of the imperialist countries in NATO were to declare war on Russia, for whatever reason, the character of the entire conflict would change (...) We would effectively enter an inter-imperialist armed conflict and would have to adapt our policy and orientation to the new situation”.

Do we see the premises for the development of the situation in this direction? Not yet. Should we always be prepared for such a possible transformation of the situation? Obviously yes.



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com