Recientemente detenido por la policía de Putin
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Il problema etico-politico e militare
di Michele Nobile
Per chi sostiene il diritto all’autodifesa del popolo ucraino nei confronti dell’aggressione di Putin la fornitura e l’utilizzo delle cosiddette bombe a grappolo (cluster bombs) all’Ucraina pone un problema etico-politico, che si riconduce alla classica questione del rapporto tra fine e mezzi.
Dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina nel 2014, e ancor più dall’inizio dell’invasione su ampia scala nel febbraio 2022, la Russia si è resa responsabile di numerose e gravissime offese alle norme elementari del diritto internazionale (innanzitutto scatenando la guerra), e di innumerevoli crimini di guerra e contro l’umanità. La guerra di Putin non ha solo calpestato lo jus ad bellum ma anche lo jus in bello: con i bombardamenti delle città e delle infrastrutture energetiche, con la distruzione di intere città e villaggi, con le esecuzioni a freddo di centinaia di civili, le torture e gli stupri, con l’occupazione della centrale nucleare di Zaporižžja, con il sabotaggio della diga di Novaya Kakhovka, con l’attacco al porto di Odessa e il tentativo di bloccare le esportazioni di prodotti agricoli ucraini. A questo si devono aggiungere la distruzione e il furto del patrimonio culturale ucraino, il rapimento e l’esecuzione di sindaci, l’imposizione di leggi russe nei territori illegalmente annessi. E molto altro ancora. Le violazioni dello jus in bello da parte delle forze armate russe sono sistematiche, alimentate da una campagna d’odio nei confronti della popolazione ucraina a cui la propaganda russa e russofila nega il diritto d’esistere e che disumanizza assumendola come «nazista» e un pericolo esistenziale per la Russia. Questo genere di propaganda corrisponde a un implicito invito a pratiche genocide, in alcuni casi perfino esplicito su organi di comunicazione importanti come RIA Novosti e la televisione di Stato. Il trasferimento forzato di bambini ucraini in Russia costituisce una chiara violazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio. Putin e l’intero gruppo dirigente politico e militare della Federazione Russa sono chiaramente dei criminali di guerra da perseguire e punire.
THE LAST GREAT MARXIST*
Roberto Massari
Ernest Mandel died on July 20th 1995, 28 years ago...
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Marxologistsare those who study in depth the theoretical heritage of Marxism (of Marx and after Marx) and sometimes some of them (very few actually) also make the effort to apply that heritage to the analysis of the political, local or global context. University faculties around the world are now teeming with adepts of the discipline «Marxism» and, ironically, the primacy of this crowding goes to US universities, although the rest of the academic world is not joking about it either. The publishing houses are well aware of this, as they continue to churn out heaps of books on Marxology, spreading the false belief that Marxism is still alive and kicking, and that the world is full of «Marxists». In reality it is not Marxism that is alive and kicking, but Marxology. Which is something quite different from Marxism.
Add the aggravating circumstance that the title of «Marxist» (in the sense of «Marxologist») is often arbitrarily assigned to scholars who have never assimilated the theoretical heritage of the main Marxist of the twentieth century (after Luxemburg), namely the thought and literary legacy of Trotsky: in reality one is not a Marxist, but not even a true Marxologist, if he doesn’t measure himself seriously with the immense theoretical heritage left to us by the «Old Man» - apart from the immensity of some of his «historic» political errors.
di Piero Bernocchi e Roberto Massari
L'assoluta dipendenza di putin dai mercenari wagner e l'ingigantimento della nato
Sulla sorte di Gerasimov e dei vari "generaloni" russi, chissà. Ma quello che oramai è certo è l'assoluta dipendenza fisiologica del putinismo dai mercenari Wagner, come e peggio di un signorotto medioevale o rinascimentale. Altro che Prigozhin strapazzato, sconfitto, emarginato, mandato in esilio, forse processato, o addirittura a rischio di esecuzione sommaria! Ricevuto al Cremlino in pompa magna da Putin il 29 giugno, cinque giorni dopo il presunto "golpe", dopo aver scorazzato tra San Pietroburgo e Mosca (altro che in esilio carcerario in Bielorussia!), ha contrattato da posizioni di forza il ritorno dei "wagneriani" sul campo di battaglia ucraino, senza il quale ritorno l'esercito "regolare" russo è alla frutta, privo di motivazioni, mandato allo sbaraglio da chi follemente aveva creduto alle favole che le intelligences raccontano spesso ai propri satrapi per assecondarli: e cioè che in Ucraina folle festanti avrebbero atteso e sostenuto i "liberatori" e che l'invasione sarebbe stata una passeggiata. E senza contare il ruolo decisivo dei mercenari in Africa per il controllo di vasti territori e delle ricchezze saccheggiabili per l'imperialismo "neozarista" russo.
Nel frattempo, si ingigantiscono gli effetti pro-Nato della demenziale impresa putiniana. Non solo il boia Erdogan, fino a ieri assai ben disposto verso la Russia, si "gonfia" sempre più, dando il placet (e ne avrà in cambio, si può ragionevolmente temere, mano libera nei confronti dei nostri carissimi/e curdi/e) all'ingresso nella Nato della Svezia, dopo quello già "concesso" alla Finlandia, ma addirittura si pronuncia a favore pure dell'ingresso dell'Ucraina. Ci mancano solo Svizzera e Austria...In un colpo solo la Nato, mai così screditata dopo l'abbandono/tradimento Usa, in sequenza, dei siriani, dei curdi e soprattutto degli afgani, usati e poi lasciati alla mercè dei talebani, e proprio quando gran parte del mondo filostatunitense pensava di non potersi più fidare degli Usa, è stata rilanciata dalla sciagurata impresa di Putin. Con lo sconcertante effetto di veder divenire il novello Zar di fatto il miglior "propagandista oggettivo" di Nato e Stati Uniti, consentendo loro di ottenere in poco più di un anno il massimo di presenza, di diffusione, di forza e di prestigio globali, a livelli mai raggiunti in precedenza, neanche nei momenti più drammatici della "guerra fredda" e delle paure occidentali nei confronti dell'"orso sovietico".
Immagino con quanta "gioia" da parte del governo cinese che tanto aveva cercato, e in parte ottenuto (cfr. il successo in Europa della "Via della Seta" e degli accordi con la Cina), l'effetto opposto, cioè il massimo indebolimento possibile del mondo Usa/Nato , ben sapendo di essere il vero "bersaglio grosso" di quel mondo. Che, in effetti, fino alla sciagurata impresa putiniana, su tale bersaglio era concentrato.
Piero Bernocchi
Caro Piero, come ti capisco.
Per ragioni anagrafiche e scelte politiche tu ed io cominciammo a lottare nella seconda metà degli anni ’60 quando la Nato era vista come il nemico numero uno da alcuni di noi, o come il male minore da alcuni altri. C’era il Vietnam, c’erano i golpes della Cia in America latina, c’erano i piani eversivi di destra foraggiati da soldi statunitensi, c’era l’incubo nucleare e c’era la cosiddetta «guerra fredda». Come non lottare contro la Nato (ma anche contro il Patto di Varsavia per quelli di noi - minoranza assoluta in Italia - che sapevano quanto reazionario fosse il regime sovietico e i regimi fantoccio che lo circondavano nel suo Impero).
Bisognava essere di destra o di centro-destra per parlar bene (apertamente, intendo) della Nato, ma non dell’estrema destra che ne parlava malissimo. Sapevamo che anche nel mondo socialdemocratico e piccista italiano c’erano degli strenui sostenitori della Nato (dal veccho Saragat a Ugo Pecchioli), ma l’atmosfera generale (anche per il discredito dovuto ai piani Solo, Stay-behind ecc.) li costringeva a tenere un profilo basso, così basso da rasentare la segretezza. Fu il caso di Pecchioli (di cui all’epoca, 2ª metà degli anni ’70, esaminavo attentamente le mosse e gli spostamenti negli Usa). [Per i giovani che possono non sapere di chi sto parlando, Pecchioli era l’incaricato speciale per le questioni militari e poliziesche del Pci, riparato dietro lo schermo della «Riforma dello Stato e della lotta a mafia e terrorismo». In realtà fu il vero e primo dirigente «comunista» filo-Nato che spalancò la strada a Enrico Berlinguer, a D’Alema ecc.]
Non tutti i Paesi europei erano entrati nella Nato negli anni della Guerra fredda, e qualcuno recalcitrava (la Francia gollista uscì dal comando Nato nel 1966 e de Gaulle non mandò mai giù veramente il rospo).
Insomma tu ed io siamo di una generazione che ha sempre ritenuto che fosse interesse dei popoli uscire dalla Nato. E credevamo che così la pensasse la maggioranza della sinistra a sinistra del Pci. E invece arrivò Rifondazione comunista a rimescolare le carte, togliendo l’uscita dalla Nato dai temi del suo programma e, giunta al governo, esigendo dai suoi parlamentari la disciplina nel votare tutte le missioni di guerra italiane, comprese quelle sotto il cappello della Nato. (Sono i famigerati Forchettoni rossi, di cui si può consultare l'elenco e vedere come votarono nel 2006 nel libro omonimo da me curato.)
Furono tempi duri per chi continuava a lottare contro la Nato. Noi dei Comitati Iraq-libero (anni ’90 e primi Duemila) fummo oggetto di campagne diffamatorie da parte della ex sinistra e della stessa Rifondazione, e a me toccò anche un’ispezione poliziesca per il mio ruolo in quei comitati. Negli anni ’60 non sarebbe accaduto perché all’epoca la lotta contro la Nato non costituiva un fattore d’isolamento morale o culturale, per lo meno a sinistra, ma anche per gran parte del mondo cattolico. Certo restava sempre l’indifferenza se non una vera e propria complicità nei riguardi del Patto di Varsavia della quale la ex sinistra italiana non si è mai liberata. Un peccato originale che si continua a pagare.
Antijudaismus versus Antisemitismus?
Part 2. BILINGUE: ENGLISH - DEUTSCH
by Peter Gorenflos(Berlin)
The strictly confidential contact between Hitler and the Holy Father through the middleman showed results. The anti-clerical Foreign Minister Ribbentrop now also supported an agreement, the German press was ordered to cease its attacks and Hitler demanded information on the state of the church in order to negotiate with the Vatican about its concerns. In another secret conversation, Hitler let it be known that the “racial question”, his greatest concern, could be avoided if the new Pope did not comment on it.
por Jan Lust
Hilda, una vida por una utopía* [de Ricardo Gadea Acosta, Editorial Inti, La Paz 2022] es un libro sobre una revolucionaria. También es un relato sobre la convivencia y las aventuras de una revolucionaria peruana y un revolucionario argentino. Es un libro de amor por la revolución y una obra sobre el amor entre Hilda y el Che.
La historia de la vida de Hilda está presentada en conjunto con sucesos políticos, económicos y sociales en América Latina. Eso ayuda a entender a Hilda y su desarrollo. El libro también es una historia social y política de América Latina.
Hilda fue una revolucionaria, aunque formó parte del partido aprista peruano e inclusivo del Comité Ejecutivo Nacional del mismo partido. También fue miembro del Movimiento de Izquierda Revolucionaria (MIR) del Perú y fue su delegada en la Primera Conferencia de los Pueblos de Asia, África y América Latina (OSPAAAL) y en la Conferencia para la Solidaridad Latinoamericana (OLAS) en 1966 y 1967 respectivamente.
Ella fue clave para que los lideres del entonces APRA Rebelde fueron in- vitados por las autoridades cubanas. Eso fue el inicio de una importante relación entre los futuros guerrilleros del MIR y la Revolución Cubana. Además, Hilda fue el representante del Movimiento 26 de Julio de Cuba en el Perú.
El libro está poniendo a Hilda Gadea en su lugar adecuado: como revolucionaria peruana, como internacionalista. El hecho de que ella era la primera esposa del Guerrillero heroico ha opacado, en cierta manera, la contribución de Hilda a los procesos revolucionarios en América Latina y sobre todo en Guatemala. Aunque estaba exiliada en el mencionado país, no significaba que ella dejó de contribuir a cambios sociales. En Guatemala trabajó a servicio del gobierno de Arévalo y apoyó al gobierno de Árbenz. Luchaba también contra el gobierno golpista de Castillo Armas. Después de la Revolución Cubana empezó a trabajar en el Instituto de Reforma Agraria en Cuba y también en Prensa Latina.