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venerdì 6 marzo 2020

COVID-19: DA SEMPLICE INFERMIERE…

di Paolo Bernardini*

Cari compagni di Utopia rossa,
sto leggendo con molta attenzione la discussione sulla attuale urgenza sanitaria che sta colpendo l'umanità a livello globale e l'Italia a livello locale. La questione, interessando libertà di mobilità delle persone, diritto di sciopero e di aggregazione, diritto alla libera fruizione di spazi collettivi e di socialità in genere non può essere ridotta a semplice questione di statistica epidemiologica. Trovo gli interventi di Bernocchi e Nobile esemplari, pur se da fronti interpretativi, se non opposti in alcuni punti e conclusioni, diversi.
Da semplice infermiere mi pongo alcune questioni di metodo epidemiologico che non sono di poco conto. Da quello che i corsi di aggiornamento obbligatorio mi obbligano, appunto, a sapere, so che non è possibile, con il criterio di conteggio attuale per i contagi ed i decessi attribuiti al covid19, stabilire un confronto statisticamente rilevante tra le epidemia di influenza, chiamiamola standard (in generale riferibile al ceppo H1N1), e quella di covid19. L'unica differenza, non da poco in verità, è che per l'influenza un vaccino c'è e per l'altra no.
Ma allora come mai tutti i non vaccinati per l''influenza (vaccino consigliato ma non obbligatorio) non sono stati sottoposti al DASPO sociale imposto ora a livello nazionale dal covid19 gli scorsi anni (quando al riparo dall'esposizione mediatica l'influenza ha ucciso eccome) essendo, dai dati a disposizione, i numeri - difficilmente confrontabili, Sic -confrontabili? Non mi ricordo bene ma nel 2015 o 2016, un lotto di vaccini anti influenzali destinato per lo più a malati cronici (cardiologici, BPCO - broncopneumopatie cronico ostruttive - e asmatici) e over 65 risultò, passatemi il termine, difettoso. Fatto sta che l'adesione alla vaccinazione ( una vaccinazione senza effetto gregge è fallimentare)  fu un fallimento. Lavoravo allora in una unità operativa di medicina generale e l'incremento percepito di decessi di assistiti da parte di noi operatori sanitari, fu rilevante.
Mi ricordo che su quotidiano sanità apparvero diversi articoli ed anche su riviste scientifiche nazionali ed internazionali. Fu solo una discussione poco più che tra esperti e, a parte i diretti interessati, trasparente a tutta la popolazione. Questo per fare un esempio di indifferenza sociale, clinica in questo caso, ma se ne potrebbero fare altri come le vittime da antibiotico resistenza e quelle determinate dalla sciagurata decisione unilaterale neoliberista di ridurre a oltranza i posti letto disponibili sul territorio nelle strutture nosocomiali (chissà quanti sono, saranno e sono stati i decessi relati a queste decisioni, ci sono solo ipotesi di calcolo) senza implementate alcuna contromisura a livello territoriale parlando di finanziamento e azione reali e non di chiacchiere. In una parola i motivi per imporre misure urgenti giustificate da altre emergenze che provocano globalmente (sai che novità) ma anche localmente morti a profusione già ci sono da un pezzo, ma allora perché proprio ora e proprio con il covid19?
Se si ha paura dei possibili effetti biologici dell'attuale modello di sviluppo (e la quantità di studi e pubblicazioni riguardo le misure per contenere una eventuale pandemia sembrerebbero andare in questa direzione) lo si deve dire chiaramente, se c'è una bomba biologica innescata (il covid19 chiaramente non ne è l'esplosione, non ancora) che può saltare da un momento all'altro è bene saperlo e decidere se difendere il modello sociale ed economico imposto a livello globale ed abituarsi a convivere con i livelli di sicura insicurezza cui esso obbliga oppure cambiarlo se non per desiderio di giustizia sociale almeno per la sopravvivenza della specie, quella umana.

* Infermiere USL1 UMBRIA Hospice/cure palliative.
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