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sabato 28 gennaio 2017

IL SISTEMA ITALIANO DI ACCOGLIENZA, di Andrea Vento (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)

Politiche emergenziali, inefficienze e malaffare sulla pelle dei migranti

La morte della giovane ivoriana nel centro di accoglienza di Cona, in provincia di Venezia, e del 38enne somalo nell'incendio del mobilificio abbandonato a Sesto Fiorentino, avvenute nei primi giorni del 2017, hanno riportato al centro dell'attenzione mediatica e del dibattito politico la questione dei migranti e dell'accoglienza. Cerchiamo di ricostruire il percorso, individuare le tipologie di strutture e focalizzare le normative a cui vanno incontro i migranti una volta sbarcati nel nostro Paese.
Il sistema di accoglienza attualmente in vigore è regolamentato dalla cosiddetta Roadmap italiana1, emessa dal Ministero dell'Interno il 28 settembre 2015, ed è strutturato su tre livelli, suddivisi in Prima e Seconda accoglienza, con strutture e funzioni di diversa tipologia.

La Prima accoglienza prevede come strutture gli Hotspots e i Regional Hubs:
- Gli Hotspots hanno finalità di primo soccorso e identificazione. Le funzioni di tali nuove strutture sono fissate dallo stesso documento del Viminale, il quale prevede che
«Al fine di gestire i flussi ininterrotti di cittadini di Paesi terzi che raggiungono le coste italiane dall'inizio del 2014, e in linea con l'Agenda europea sulle migrazioni, l'Italia ha messo in atto il nuovo approccio "hotspot". Essenzialmente questo è stato fatto attraverso un piano volto a canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri. Subito dopo tutte le persone saranno foto-segnalate come CAT 2 (ingresso irregolare) e registrate in conformità con la legislazione nazionale ed europea (ad eccezione di quelle ricollocabili che saranno registrate come CAT 1). Saranno foto-segnalati come CAT 1 (richiedenti asilo) anche coloro che manifestano la volontà di richiedere la protezione internazionale e pertanto, successivamente, formalizzeranno la propria intenzione compilando il modello "C3" nelle strutture per richiedenti asilo (cioè i cd. regional hubs presenti sul territorio nazionale) dove verranno trasferiti dopo la conclusione delle menzionate attività di registrazione. Successivamente all'espletamento delle attività di screening sanitario, pre-identificazione, di quelle investigative/intelligence, e sulla base dei relativi esiti, le persone che richiedono la protezione internazionale saranno trasferite nei vari regional hubs presenti sul territorio nazionale; le persone che rientrano nella procedura di ricollocazione saranno trasferite nei regional hubs dedicati; le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.)».
- I Regional Hubs (Centri Regionali) sono in pratica Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) e Centri di Primo Soccorso e Accoglienza (CPSA) riconvertiti. Anche questi sono previsti e regolamentati dalla Roadmap italiana:
«Il sistema di prima accoglienza è composto da strutture appartenenti ad ex centri governativi (CARA/CDA e CPSA), che attualmente si stanno riconfigurando come Regional Hubs. I cosiddetti Regional Hubs sono stati concepiti come un meccanismo-chiave preposto a facilitare la gestione di grandi arrivi di cittadini di Paesi terzi. Gli Hubs sono strutture aperte da utilizzare nella prima fase di accoglienza, destinate a ricevere quei cittadini di Paesi terzi - già registrati e sottoposti alle procedure di foto-segnalamento - i quali devono compilare il cd. modello C3 per la formalizzazione della domanda di protezione internazionale. Normalmente il periodo di permanenza va dai 7 ai 30 giorni, in modo da assicurare un rapido turnover dei richiedenti asilo i quali, in ogni caso, una volta presentata la domanda di protezione, potranno lasciare l'hub per essere trasferiti nei centri di seconda accoglienza, vale a dire nelle strutture della rete SPRAR».

giovedì 19 gennaio 2017

HASTA SIEMPRE, CIRO BUSTOS, por Alfredo Helman

© Erik Gandini
El tiempo inexorable, implacable, va terminando uno a uno con aquellos sobrevivientes de la epopeya boliviana del Che que han tenido la fortuna de no caer en los memorables combates.
Ciro Bustos era uno de aquellos combatientes y nos ha dejado su testimonio en el bello libro El Che quiere verte, que la tenacidad y el entusiasmo admirable de Roberto Massari ha permitido fuese apreciado por los lectores italianos.
Ciro era el hombre del Che en la Argentina. Bajo sus ordenes expresas tenía a su cargo la coordinación de todos los grupos que en ese país se aprestaban a incorporarse a la guerrilla.
Su figura alcanzó trascendencia universal por la polemica que en los tiempos de la derrota de la guerrilla y el encarcelamiento de Bustos y Debray se desató sobre quién de ellos dos había delatado la presencia del Che en Bolivia y facilitado la intervención consecuente de la CIA.
Personalmente yo siempre he sostenido públicamente y en mis escritos la absoluta fe en la integridad revolucionaria de Ciro.
Massari editore, 2016
No tengo elementos para afirmar la culpabilidad de Régis Debray, sí los tengo para afirmar la inocencia de Ciro. Nadie traiciona a mitad y Bustos tenía en sus manos toda la información necesaria para aniquilar a todos los grupos guevaristas de la Argentina y nadie en ese país, ni en ese momento ni después, tuvo alguna persecución atribuible a Bustos.
Bustos, que vendiendo esa información habría obtenido libertad y dinero, pasó en cambio largos años de detención en la cárcel boliviana y luego el destierro en Suecia.
Ciro pasó esta etapa de su vida con un rictus amargo. Se sentía abandonado por sus compañeros argentinos y cubanos. Peleando duramente para romper la capa de desconfianza que aún lo perseguía. Para afirmar la limpidez de su honor revolucionario.
Los que lo conocimos y apreciamos no podemos dejar de participar en esta póstuma batalla para que su memoria de combatiente sin mancha pase a ser patrimonio de las nuevas generaciones.
Compañero Ciro, ¡PRESENTE!

lunedì 16 gennaio 2017

INDIVISIBILI (Edoardo De Angelis, 2016), di Pino Bertelli

Non è grazie al genio ma grazie alla sofferenza,
e solo grazie ad essa, che smettiamo di essere una marionetta.
(E.M. Cioran)

Ci si può immaginare un politico, un prete o un intellettuale che non abbiano un'anima di assassini? Nel cinema poi (specie quello italiano) lo sterminio delle idee passa da un film all'altro ed è riprovevole che produttori, registi, attori, tecnici, critici e spettatori non siano processati per eccesso di stupidità. Bisognerebbe essere fuori di testa come un angelo o come un idiota per credere alla mediocrità, alla banalità, alla superficialità di quanto scorre sugli schermi nostrani… ognuno si aggrappa come può alla cattiva stella del mercato e così anche i registi più accreditati dalla critica ossequiosa al padronato di destra e di sinistra (premiati perfino con l'Oscar dal baraccone hollywoodiano) continuano a sfornare prodotti di illuminante bruttezza etica ed estetica… il cinema è altrove. Finché vi sarà il potere dell'odio, della violenza o della domesticazione sociale ancora in piedi, il compito dell'artista del disinganno non sarà finito (rubata a Cioran)! La poesia (anche del cinema) è il vero delitto d'indiscrezione ed è il primo strumento per dissotterrare tutte le vergogne del potere e passare alla sua liquidazione.
Indivisibili è il terzo film di Edoardo De Angelis, autore talentuoso e visionario di Mozzarella stories (2011) e Perez (2014)… attraverso un piccola storia del napoletano riesce a costruire un autentico ritratto antropologico di un pezzo d'Italia e, forse, dell'Italia tutta… il bisogno di credere a una fede, un partito o alla criminalità organizzata dispensa dal disgusto e dall'indignazione e invita alla rassegnazione della vita quotidiana! Al culmine del successo o dell'insuccesso, occorre ricordare che non c'è niente di meglio che tacciare d'imbecillità i teatranti dell'ordine costituito, così per perdere l'abitudine a sputare controvento. Solo i pesci morti vanno con la corrente.
Il film di De Angelis è un piccolo gioiello di ironia e una radiografia di un popolo dalla cultura millenaria che con fatica cerca di cancellare la soggezione atavica alla paura e alla servitù nella quale versa. Indivisibili racconta la storia di Viola e Dasy, due sorelle siamesi che cantano ai matrimoni, alle feste di quartiere, per qualche camorrista, e sono la principale fonte di guadagno per l'intera famiglia… padre, madre e due gay che si occupano della comunicazione (scenografie, fotografie, manifesti, CD). Quando scoprono che possono separarsi e vivere una vita "normale" (specie una delle due)… capiscono che sono tenute prigioniere nella loro condizione di freaks e cercano aiuti (prima uno squallido prete affarista, poi un lugubre impresario depravato) per uscire dalla loro situazione di sfruttamento… il lieto fine mette tutto a posto (forse un po' troppo facilmente) e le ragazze potranno incamminarsi verso l'innocenza del divenire.

domenica 15 gennaio 2017

¡WELCOME, MR. TRUMP! AUNQUE… ¿REALMENTE “WELCOME”?, por Marcelo Colussi

Lo que es bueno para la General Motors
es bueno para los Estados Unidos, y viceversa.
(Charles Wilson, Secretario de Defensa con el presidente Eisenhower, 1953)

Desde el campo popular, en cualquier parte del orbe, es difícil, cuando no imposible, saludar alegre la llegada de un nuevo presidente a la Casa Blanca en Washington. Cuenta la historia que algún mandatario estadounidense salió la mañana de un lunes a hacer una gira por países amigos…, y a la tarde ya estaba de vuelta. El imperio no tiene amigos: ¡tiene intereses! Y los defiende a muerte, por cierto. Para eso están, entre otras cosas, las más de 6.000 cabezas nucleares que posee, posibles de hacer volar el mundo.
Si bien su pujanza de otras épocas está en declive (después de la Segunda Guerra Mundial aportaba el 52% del Producto Bruto global, hoy solo el 18%), lejos se está de poder decir que sea un país en bancarrota: Estados Unidos continúa siendo la primera potencia hegemónica, en lo económico, lo político, lo cultural y en lo militar. Sus decisiones siguen marcando muy buena parte de lo que ocurre en el mundo, y su influencia se siente en cada rincón del planeta. Si bien el dólar como patrón no está inamovible como años atrás, las principales marcas comerciales que recorren la aldea global siguen siendo de origen estadounidense, por lo que el inglés continúa siendo la lingua franca obligada, y la cultura y valores emanados de Hollywood son mercadería de consumo universal. La clase dirigente estadounidense (banqueros, dueños del complejo militar-industrial, propietarios de las petroleras y de otras grandes megaempresas globales) apuestan a que el siglo XXI siga siendo, como el anterior, otro “siglo americano”.
El presidente de esta gran potencia, como cualquier mandatario de cualquier país de las llamadas “democracias” (democracias representativas, caricaturas de democracias reales), no es sino un administrador del gobierno central que, en definitiva, más allá de la ilusión -mediáticamente bien presentada- de gobernar para todos, beneficia siempre al verdadero poder, el que pone las condiciones y termina dando las órdenes: el capital.
Pero con Donald Trump sucede algo particular: para las recientes elecciones parecía ganadora obligada su contrincante demócrata: Hillary Clinton. Ella representaba, por antonomasia, a los factores dominantes del país: grupos financieros de Wall Street y complejo militar-industrial. Para sorpresa de muchos, ella no ganó. Triunfó Trump levantando un discurso que, de algún modo, se le podría decir populista. Pero que, imprescindible aclarlo, de preocupación real por las penurias populares no tiene nada, absolutamente nada.
Trump, sin ningún lugar a dudas -como todo vendedor de casas (es un magnate inmobiliario)- es un hábil vendedor. O, dicho en otros términos, un buen embaucador, mercader de ilusiones. Ese “oficio” fue el que le permitió imponerse en las elecciones, pues “vendió” a la clase trabajadora y sectores medios empobrecidos la ilusión de un resurgir económico del país. Ahora bien: el empobrecimiento de sus trabajadores, la desocupación y la creciente caída del poder adquisitivo real se debe a la forma que el mismo capitalismo actual fue tomando en su desarrollo, trasladando muy buena parte del parque industrial fuera de su territorio, simplemente por conveniencia económica, y priorizando de un modo afiebrado las finanzas por sobre la producción. La grandeza de Estados Unidos asienta hoy, básicamente, en su poder militar. “Para defender Mc Donald’s necesitamos los McDonnell Douglas”, sentenció jactanciosa la ex Secretaria de Estado Condoleezza Rice.
Si Donald Trump se impuso contrariando los pronósticos y la apuesta del gran capital, no fue por la pretendida injerencia rusa en el hackeo de las elecciones sino por la gran masa de desocupados y empobrecidos trabajadores que quisieron escuchar en sus cantos de sirena proselitistas una promesa cierta: el renacer de la gran potencia y la recuperación de los beneficios perdidos. Ahora bien: nada indica realmente que ese bienestar puede recuperarse, porque la forma que el sistema-mundo ha ido alcanzando con el actual imperialismo globalizado -a costa de los trabajadores de todo el orbe, incluido los estadounidenses- no parece posible de ser revertido. ¿Volverán acaso las otrora fábricas del pujante Cinturón de Acero del Medio Este al ahora empobrecido y abandonado Cinturón Oxidado? ¿Dejarán los megacapitales de los paraísos fiscales de hacer sus negocios financieros para volver a invertir como los cuáqueros recién desembarcados del May Flower?

mercoledì 4 gennaio 2017

EL “ACUERDO NACIONAL” EN PERÚ, por Hugo Blanco

Los últimos días del 2016 en el Perú fueron preocupantes por los efectos del calentamiento global por la emisión de gases de efecto invernadero por los dueños del mundo: Las grandes empresas transnacionales:
“Diez regiones del país han sido escenario de incendios forestales en tan solo una semana. Los departamentos afectados por el fuego son La Libertad, Pasco, Lambayeque, Áncash, Tumbes, Piura, Ayacucho, Lima, Huancavelica y Cajamarca.”
“Flora y fauna vienen siendo devastadas por los siniestros. Además, dos personas murieron el domingo 20 en Cajamarca producto de un incendio que todavía no puede ser controlado, según información del alcalde de Querocoto.”
“Noviembre del 2016 fue el más seco de los últimos 30 años en la sierra centro occidental. Fue el más seco de los últimos 20 años en la sierra norte.”
“Los agricultores del valle de Tambo, en Arequipa, sufren la escasez de agua causada por El Niño y sus cultivos agonizan. La represa de Pasto Grande, Moquegua, disminuye drásticamente sus niveles y hay alerta de emergencia para Arequipa, Tacna, Moquegua y Puno.”
¿Qué actitud toman el gobierno y el parlamento ante eso? ¿Protestan por ese ataque del gran capital a nuestro país? ¡Ni pensarlo! El ejecutivo y el legislativo están al servicio del gran capital transnacional. Se ponen a su servicio para arremeter contra la naturaleza y la población peruana.
La principal riqueza peruana es su biodiversidad. De las 104 zonas de vida que hay en el mundo, en el Perú existen 84. Tenemos desde una porción de la selva más grande del mundo hasta los desiertos de la costa. Cordillera oriental lluviosa, cordillera occidental seca. Para fortuna nuestra, la cordillera andina va de sur a norte y no de este a oeste; esto hace que el clima a 1000 m. de altura en el norte sea más cálido que a 1000 m. de altura en el sur.
Como si esto fuera poco, el mar peruano debiera ser cálido, pues estamos en el trópico de capricornio. Sin embargo, la corriente de Humboldt que viene del sur es fría, ocurre un movimiento del agua horizontal y vertical, pues el agua caliente sube y el agua fría baja. Esto produce gran variedad de fitoplancton y zooplancton, que son vegetales y animales microscópicos que a su vez alimenta a gran variedad de peces.
Esta asombrosa variedad climática produce gran variedad vegetal y animal, que se refleja en diversidad cultural humana.
Esa biodiversidad debía ser protegida y aprovechada para la alimentación y la economía de nuestro pueblo. Desgraciadamente no es así. ¿Por qué? Porque no es el pueblo quien gobierna, sino los sirvientes del gran capital transnacional.