[…] Nella macchina/cinema ci sono autori di un certo livello estetico, avvezzi a riconoscimenti, premi, considerazioni di genialità, anche quando fanno un film brutto, inutile e, al meglio della comprensione mercenaria, imbecille. Alejandro González Iñárritu, messicano di talento, affabulatore di film caratterizzati da una notevole forza figurativa (Amores perros, 2000; 21 grammi, 2003; Biutiful, 2010), pluripremiato in molti festival del cinema, con Birdman (2014) si è portato a casa quattro Oscar (film, regia, sceneggiatura originale, fotografia)… è costato circa 16,5 milioni di dollari e in poco tempo ne ha già incassati 102 milioni di dollari [dei quali 42 in patria, tenendo conto che negli States la visione nelle sale è stata vietata ai minori di diciassette anni se non accompagnati da un adulto, per la presenza di contenuto sessuale, linguaggio scurrile e violenza (?!)]. Vero niente. Il film è un pacco-regalo e un salvacondotto per quanti vanno al cinema (con il pop corn e la Coca-Cola) affascinati dalla struttura delle nuove tecnologie. Il linguaggio della seduzione, quando è veicolo dello spettacolare-integrato, è il linguaggio della vendita, cioè della prostituzione.
Dopo il debutto di Birdman a Venezia, nel 2014, la critica velinara è esplosa in lodi sperticate e sermoni biblici… ad una lettura non viziata dal "comune sentire", è difficile arrivare alla fine del film senza addormentarsi o ridere di tanta vaghezza espressiva. I situazionisti ci ricordano che lo spettacolo è il capitale giunto a un tale grado di accumulazione da divenire immagine, e la mercificazione dell'esistente è l'alienazione della vita umana sotto forma di merce. Non disprezziamo il fascio di cineasti per quello che dicono, ma per ciò che sono: merdre! (Ubu roi!, diceva Alfred Jarry). Il destarsi del genio esonda da un'opera che nulla ha a che fare con l'utilitarismo… l'uomo di genio è sempre in contrasto con il proprio tempo.