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mercoledì 21 agosto 2013

I FRATELLI MUSULMANI, di Pier Francesco Zarcone

Per saperne di più
Essere noti non vuol dire essere anche conosciuti; considerazione che si attaglia perfettamente ai Fratelli Musulmani. Conoscerli - al di là del saperli islamici radicali - contribuisce meglio a una maggiore comprensione delle dinamiche egiziane di questi giorni. In proposito si ricorda che comprendere non è sinonimo di condividere.

Le origini
Alla base del contemporaneo radicalismo islamico - fenomeno essenzialmente sunnita - vanno annoverati il Wahhabismo (dominante nell’Arabia Saudita e da essa poi diffuso nel resto del mondo islamico) e il movimento dei Fratelli Musulmani di origine egiziana. La Società dei Fratelli Musulmani (tamii’at al-ikhwaan al-muslimuun), spesso indicata solo con la denominazione Fratelli Musulmani (ikhwaan al-muslimuun), oppure solo i Fratelli (al-ikhwaan), è l’organizzazione diventata (insieme al Wahhabismo) una specie di lievito per le ondate di radicalismo religioso iniziate dopo gli anni ’60 del secolo scorso. Venne fondata nel 1928 nell’Egitto occupato dai Britannici a opera di un insegnante, al-Hasan al-Bannaa (1906-1949), come strumento della reazione islamista alle coeve e forti spinte occidentalizzanti, volto a dare vita alla mobilitazione di una massa di credenti di stretta osservanza per bloccare i movimenti di riforma e instaurare un ordine sociale considerato strettamente islamico. Quasi dieci anni prima in Egitto c’era stata la cosiddetta “rivoluzione del 1909”, a carattere strettamente laico. Estesasi a tutto il paese (Sudan incluso) contro gli occupanti britannici. Vi parteciparono elementi di varie classi sociali (studenti, impiegati pubblici, commercianti, contadini, operai, cristiani e anche esponenti religiosi). Ad accendere la miccia era stato l’esilio comminato al leader nazionalista Sa‘d Zaghlūl Pasha e ad altri membri del partito liberale Wafd. Nel ’22 i britannici dovettero concedere l’indipendenza (solo formale, però) all’Egitto e consentirono che venisse promulgata una Costituzione. La Gran Bretagna tuttavia rifiutò di riconoscere la sovranità dell'Egitto sul Sudan e di ritirare le sue forze armate dalla zona del Canale di Suez.
La Fratellanza sorse come reazione religiosa anche in rapporto alla rivoluzione del 1909. E fu altresì reazione politica. Quasi subito l’organizzazione manifestò idee di destra e simpatie per i nazismo. La forte ammirazione di Hasan al-Bannaa per le SA naziste gli fece adottare per i suoi seguaci camicie di uno stesso colore - nella specie il verde islamico - e alle loro formazioni fu dato il nome di kataib, «falangi».
Nella Fratellanza Musulmana sono sempre rimaste l’opposizione alla laicità, la chiusura in un’interpretazione letterale del Corano, la difesa di istanze a tutela dei ceti popolari mischiata con la prospettiva di una ben maggiore islamizzazione della società e, dal punto di vista tattico, le manovre verso i vertici politici ed economici della società e verso il basso con nuclei islamisti collegati con le moschee. Fin dagli esordi al-Bannaa si impegnò personalmente sul piano sociale, iniziando con la promozione della dignità e del riscatto dei lavoratori della zona del Canale di Suez, ovviamente in base a valori islamici. La sua organizzazione crebbe con una certa rapidità ed ebbe un ruolo importante in seno al movimento nazionalista egiziano. Il suo motto: “Allah è il nostro obiettivo, il Profeta è il nostro capo, il Corano è la nostra legge, il jihād è la nostra via, morire nella via di Allah è la nostra suprema speranza”.

martedì 20 agosto 2013

POWER POINT: ¿SIMPLE HERRAMIENTA O TRIUNFO DE LA IMAGEN A COSTA DEL ANÁLISIS RAZONADO?, por Marcelo Colussi

Que el desarrollo científico-técnico surgido en Europa y luego expandido por todo el mundo en estos dos últimos siglos ha sido fabuloso y cambió la historia de la humanidad de una manera sin precedentes, es incontrastable. Los cimientos intelectuales de ese cambio -la moderna ciencia matemática que se mueve por conceptos- llegaron para quedarse, y su impronta en la cultura humana ya no puede tener retrocesos. En esa línea, entonces, son pensables descubrimientos, inventos e innovaciones sin un límite preciso: ¿se llegará a producir vida artificial?, ¿a viajar en el tiempo?, ¿a acumular tanto poder destructivo como para terminar con el sistema solar o la galaxia completa? Tal como se perfila hoy el desarrollo de nuestra capacidad productiva, todo esto es pensable -¡y posible!-.
Ahora bien, despejemos rápidamente un espejismo: cuando hablamos de un desarrollo casi sin límites de la revolución científico-técnica moderna, debemos tener muy claro dos cosas: a) que la misma está al servicio de la gran industria, del gran capital, y b) justamente por lo anterior, sus beneficios no llegan a la totalidad de los seres humanos. Por el contrario, si bien la potencialidad de la acción humana hoy por hoy podría resolver de cuajo problemas que aún continúan siendo endémicos (el hambre, muchas enfermedades, el trabajo forzado, muchas formas de los miedos más primitivos), la realidad nos confronta con que los avances de las ciencias no se reparten con equidad.

domenica 18 agosto 2013

L’EGITTO CAMPO DI BATTAGLIA INTERARABO, di Pier Francesco Zarcone

Facciamo il punto politico: fu golpe
Nell’attuale tragica situazione di stallo della crisi politica egiziana, e con i massacri in corso, fare il punto è più agevole di prima ed è meno facile commettere errori di interpretazione. All’inizio si poteva essere perplessi sul qualificare o no l’intervento dell’esercito come uno dei soliti golpe, a motivo della massiccia partecipazione popolare contro Morsi e i Fratelli Musulmani. Una volta deposto il Presidente, eletto in termini di democrazia parlamentare, l’Egitto si è trovato in una situazione che formalmente giustifica la posizione dei pro-Morsi nel considerarlo ancora il Presidente dell’Egitto: Morsi, infatti, non si è dimesso, né è stato costretto a farlo (cosa a cui invece il generale al-Sisi avrebbe dovuto puntare decisamente e subito: non si capisce cosa ne facciano di Morsi i militari se non lo “usano”). Poiché il diritto si basa su formalismi – non privi di rilevanza politica – con le dimissioni di Morsi (quand’anche coatte) la formazione del nuovo governo su impulso dei militari avrebbe potuto essere spacciata per iniziativa di salute pubblica, stante la vacanza sia del Parlamento (dissolto da mesi) sia del Presidente della Repubblica. Ma così non è stato. La conseguenza è che l’intervento dei militari ha posto in essere una palese rottura della legalità costituzionale ed è quindi una “rivoluzione” in senso strettamente giuridico; che tuttavia politicamente equivale a golpe.
I più delusi dagli avvenimenti egiziani – o sarebbe meglio dire basiti – sono rimasti Obama e il suo entourage, che vedono progressivamente franare i castelli di carta su cui avevano puntato: in Egitto con l’intesa fra Fratelli Musulmani e militari in un quadro di presunta palingenesi democratica di un Egitto notoriamente colmo di mali politici, economici e sociali; in Tunisia, in Libia e in Siria, dove Assad rifornito da Russia e Iran sta mettendo alle corde i ribelli. Sfumata l’illusione, seppure con evidente imbarazzo, si sono limitati a prendere atto della situazione egiziana e a invitare le parti alla mediazione. Parole, parole. Ma ancora una volta dimostrando che per Washington l’intervento militare è accettato o sollecitato quando non ne lede gli interessi economici, politici e militari; e che, come al solito, dall’Occidente non ci si deve mai aspettare niente di buono.
Morsi – anche per colpa della politica dissennata perseguita da lui e dai suoi - si è trovato alle prese con una massiccia e insistente campagna mediatica (a cui non può essere rimasto estraneo il Mukhabarat, o servizio segreto) scatenata da un gran numero di giornali legati al vecchio regime. Tutte le voci autorevoli – compreso Muhammad al-Baradei - sono state indirizzate non più contro i fulul, ancora in possesso delle vere leve del potere, ma solo contro Morsi e la Fratellanza Musulmana presentati come il vero nemico attuale. E ora si comincia a parlare delle commistioni tra i fulul e il mitizzato (in Occidente) movimento Tamarrod di Mahmud Badr, che dette vita alle manifestazioni di piazza Tahrir.

domenica 11 agosto 2013

¿TERRORISMO?, por Marcelo Colussi

Desde hace ya unas décadas, hacia fines del siglo XX, fue estableciéndose como una táctica militar un tipo amplio y difuso de acciones al que se le ha dado el impreciso nombre de “terrorismo”. Quienes otorgan ese nombre tienen una idea determinada de lo que entienden por él; pero quienes lo reciben en realidad jamás se autodefinen como “terroristas”. De hecho, el autor de estas líneas aparece mencionado en un listado de la Fundación contra el Terrorismo en la república de Guatemala, pudiendo afirmar que yo no me considero para nada un terrorista. ¿Lo seré sin saberlo? ¿En qué consiste exactamente ser un terrorista?
Si bien puede haber grandes diferencias entre los que así son designados, nadie que reciba ese mote se reconoce -mucho menos se ufana de ser- “señor del terror” sino, en todo caso, luchador social. Con lo que vemos que es muy difuso el término, equívoco, hasta incluso engañoso. En verdad ¿quién es “terrorista”? ¿Qué significa con precisión ser un “terrorista”?