Essere noti non vuol dire essere anche conosciuti; considerazione che si attaglia perfettamente ai Fratelli Musulmani. Conoscerli - al di là del saperli islamici radicali - contribuisce meglio a una maggiore comprensione delle dinamiche egiziane di questi giorni. In proposito si ricorda che comprendere non è sinonimo di condividere.
Le origini
Alla base
del contemporaneo radicalismo islamico - fenomeno essenzialmente sunnita - vanno
annoverati il Wahhabismo (dominante nell’Arabia Saudita e da essa poi diffuso
nel resto del mondo islamico) e il movimento dei Fratelli Musulmani di origine
egiziana. La Società dei Fratelli Musulmani (tamii’at al-ikhwaan al-muslimuun),
spesso indicata solo con la denominazione Fratelli Musulmani (ikhwaan al-muslimuun),
oppure solo i Fratelli (al-ikhwaan), è l’organizzazione diventata
(insieme al Wahhabismo) una specie di lievito per le ondate di radicalismo
religioso iniziate dopo gli anni ’60 del secolo scorso. Venne fondata nel 1928 nell’Egitto
occupato dai Britannici a opera di un insegnante, al-Hasan al-Bannaa
(1906-1949), come strumento della reazione islamista alle coeve e forti spinte
occidentalizzanti, volto a dare vita alla mobilitazione di una massa di credenti
di stretta osservanza per bloccare i movimenti di riforma e instaurare un ordine
sociale considerato strettamente islamico. Quasi dieci anni prima in Egitto c’era
stata la cosiddetta “rivoluzione del 1909”, a carattere strettamente laico. Estesasi
a tutto il paese (Sudan incluso) contro gli occupanti britannici. Vi
parteciparono elementi di varie classi sociali (studenti, impiegati pubblici, commercianti,
contadini, operai, cristiani e anche esponenti religiosi). Ad accendere la
miccia era stato l’esilio comminato al leader nazionalista Sa‘d Zaghlūl Pasha e ad altri membri del partito liberale
Wafd. Nel ’22 i britannici dovettero concedere l’indipendenza (solo formale,
però) all’Egitto e consentirono che venisse promulgata una Costituzione. La
Gran Bretagna tuttavia rifiutò di riconoscere la sovranità dell'Egitto sul
Sudan e di ritirare le sue forze armate dalla zona del Canale di Suez.
La
Fratellanza sorse come reazione religiosa anche in rapporto alla rivoluzione
del 1909. E fu altresì reazione politica. Quasi subito l’organizzazione
manifestò idee di destra e simpatie per i nazismo. La forte ammirazione di Hasan
al-Bannaa per le SA naziste gli fece adottare per i suoi seguaci camicie di uno
stesso colore - nella specie il verde islamico - e alle loro formazioni fu dato
il nome di kataib, «falangi».
Nella
Fratellanza Musulmana sono sempre rimaste l’opposizione alla laicità, la
chiusura in un’interpretazione letterale del Corano, la difesa di istanze a
tutela dei ceti popolari mischiata con la prospettiva di una ben maggiore
islamizzazione della società e, dal punto di vista tattico, le manovre verso i
vertici politici ed economici della società e verso il basso con nuclei
islamisti collegati con le moschee. Fin dagli esordi al-Bannaa si impegnò
personalmente sul piano sociale, iniziando con la promozione della dignità e
del riscatto dei lavoratori della zona del Canale di Suez, ovviamente in base a
valori islamici. La sua organizzazione crebbe con una certa rapidità ed ebbe un
ruolo importante in seno al movimento nazionalista egiziano. Il suo motto:
“Allah è il nostro obiettivo, il Profeta è il nostro capo, il Corano è la
nostra legge, il jihād è la nostra via, morire nella via di Allah è la nostra suprema speranza”.
Bannaa fu ucciso al Cairo a febbraio del 1949. Sarebbe stato il futuro Presidente Anwar as-Sadat, all'epoca ufficiale nei servizi segreti del re Faruk a catturarlo e ucciderlo.
La seconda
fase della storia di questa organizzazione può essere datata dal 1952, quando
gli “Ufficiali Liberi” organizzati dal colonnello Gamaal Abd an-Nasser
(1918-1970) - ma apparentemente sotto la guida del generale Muhammad Naghib (1901-1984)
- rovesciarono la corrotta monarchia di Faruq I (1920-1956) e instaurarono la
repubblica. Messo da parte Naghib, Nasser prese le redini del potere e divenne
Presidente della Repubblica. Pur essendo un devoto musulmano, egli non aveva
niente del fanatismo dei Fratelli e non intendeva lasciare spazio politico alla
Fratellanza, ma anzi voleva un Egitto in cui non vi fosse posto per pregiudizi
religiosi e discriminazioni su tale base. Lo scontro con i Fratelli Musulmani –
che combattevano l’emancipazione femminile, il teatro, il cinema, le
canzonette, il gioco, per non parlare della musica e del ballo – era nella
logica delle cose.
In quel
tempo i Fratelli formavano una realtà poderosa, con almeno mezzo milione di
aderenti, infiltrazioni in vari settori della società e finanziatori occulti;
la loro espansione era arrivata in Siria, Giordania e Marocco. Tutt’altro che
alieni dalla violenza, disponevano anche di formazioni paramilitari e avevano
affiliati anche nel movimento degli Ufficiali Liberi con loro affiliati (fra
cui Anwar as-Sadat). Caduta la monarchia puntarono decisamente alla conquista
violenta del potere, dando luogo a una serie di omicidi di avversari politici. Ma
Nasser non aveva nessuna intenzione di farsi scalzare. Nel 1954 i Fratelli
Musulmani organizzarono un primo attentato contro di lui, che li colpì con
immediatezza e decisione: sciolse la Società dei Fratelli Musulmani, scatenò
un’ondata di arresti (decine di migliaia) e tutti i capi della Fratellanza
furono condannati a morte. Una seconda ondata di repressione si scatenò dopo un
ulteriore fallito attentato contro di lui verso la metà degli anni Sessanta, e
anche in questa occasione molti dirigenti del movimento, fra cui l’ideologo
Sayyid Qutb (1906-1966), successore di al-Bannaa, furono impiccati.
Dopo la Guerra dei Sei Giorni
La
sconfitta egiziana nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 creò una crisi di
consenso verso il regime laico di Nasser, favorendo la ripresa dei Fratelli
Musulmani, che dal 1969 avevano abbandonato le più radicali posizioni di Qutb
inclusa la pratica della lotta armata. Il successore di Nasser, Anwar as-Sadat
(m. 1981) – definito da Igor Man “un corrotto sulla terra” - optò per una
politica di apertura verso i movimenti islamici al fine di contrastare le
organizzazioni di sinistra. Tuttavia formalmente non legalizzò i Fratelli
Musulmani, i quali in quel periodo ebbero una perdita di consensi in favore di
realtà più estremiste (da cui proverranno gli uccisori di as-Sadat). Con il
nuovo presidente Hosni Mubarak, dal 1984 i candidati dei Fratelli cominciarono
a partecipare alle elezioni a titolo individuale, e nella società egiziana
l’organizzazione conobbe una nuova fase espansiva acquisendo adepti anche fra i
professionisti urbani. Il ricorso alla lotta armata era stato messo nel
cassetto, a differenza di altri gruppi islamisti egiziani che lo propugnavano e
praticavano riprendendo le teorie del defunto Sayyid Qutb.
Già in
questo periodo la stampa egiziana dava notizia di relazioni in atto fra membri
del Congresso degli Stati Uniti ed esponenti dei Fratelli Musulmani, di modo
che era naturale l’impressione che Washington stesse considerando la
Fratellanza come possibile alternativa al vigente, e alleato, regime egiziano.
Con la
sostanziale quiete offerta da Mubarak i Fratelli sono stati in grado di penetrare
nei settori popolari attraverso una gamma di attività sociali che vanno ben
oltre l’organizzare gruppi di preghiera e di studi religiosi, riguardando anche
l’insegnamento, l’assistenza sanitaria e altre iniziative socialmente utili il
cui valore pratico è accresciuto dal fatto di riempire, in contesti abbandonati
a sé stessi dai governi locali, un vuoto di servizi oggettivamente necessari. Un
vuoto materiale, ma anche un vuoto identitario. Infatti, una certa “modernità
esistenziale”, più che altro negativa e tipica delle società occidentali, è
penetrata nelle società musulmane - estrema e insicura mobilità, disgregazione
delle comunità locali, instabilità, standardizzazione coatta della
comunicazione - condizionandole pesantemente col mettere in crisi tutta una
serie di preesistenti parametri socio/identitari. Questo in contesti già
squilibrati diffuse sentimenti di frustrazione, di rabbia e di pulsioni
revansciste confuse ma forti, indotte dalla prepotenza imperialista e dal ruolo
di colonizzazione etnico/religiosa svolto da Israele. In Occidente si era
sicuri che l’atomizzazione conseguente a questa modernizzazione depauperante
avrebbe prodotto - come conseguenza della perdita dei vecchi parametri di
identità - nuovi e più amorfi moduli di presenza sociale. Ma, così come la
disgregazione capitalista non ha prodotto da nessuna parte la fine dei
nazionalismi, del pari nelle società musulmane non ha dato luogo né a
sconvolgenti fenomeni di secolarizzazione, né al formarsi della mitizzata
società di consumatori, né infine all’emergere di una realtà proletaria di
massa consapevole della propria realtà di classe. C’è stato invece il
rafforzamento dei fondamentalismi religiosi.
Mubarak è
caduto per la forza delle manifestazioni popolari contro di lui e per essere
stato “mollato” dalle Forze Armate e dal Dipartimento di Stato Usa, ma gli
avvenimenti si sono svolti senza che la Fratellanza Musulmana ne fosse un reale
attore. Si è fatta viva in piazza quando ormai i giochi erano fatti. Poi però
ha vinto sul piano elettorale. Il commento più calzante è comparso sulla stampa
portoghese, nel senso che per un paradosso della democrazia a vincere in Egitto
è stata una forza settaria. Una forza settaria i cui elettori, con tutta
probabilità, non sono a conoscenza dei vecchi collegamenti con servizi segreti
occidentali, sempre nell’usuale ottica dell’anticomunismo e della lotta a
Nasser e ad altri capi di Stato arabi della lista nera di Washington. Risulta,
per esempio, che già all’epoca di Eisenhower il genero di al-Bannaa, Said Ramadan, si
incontrò col Presidente statunitense addirittura nella Sala Ovale della Casa
Bianca, e che successivamente fu arruolato dalla Cia.
L’ideologo Saiyyd Qutb
Il dato
ideologico di partenza di tutto il radicalismo islamico - e che lo accomuna con
certe correnti della destra estrema europea - consiste nel ritenere l’identità
dei popoli impermeabile alle vicende storiche, e quindi immutabile. A ciò si aggiungano
la riduzione dell’identità dei popoli al fattore religioso (anch’esso
considerato immutabile) e il disprezzo per la razionalità umana svincolata dalle
fonti religiose. Un ulteriore elemento si trova in una chiara e colta
esposizione fatta nel 1957 da un politico egiziano che con i Fratelli era stato
in stretto contatto, cioè Anwar as-Sadat: si tratta della distinzione fra
“civiltà” e “modo di vita”. In Occidente ci sarebbe solo un modo di vita, perché
la civiltà si definisce in base all’esistenza di valori spirituali alti, mentre
il modo di vita sovrappone il progresso meramente materiale a scapito dei valori
umani. Il corollario di Sadat era che l’Occidente vive solo sulle rovine
dell’Oriente e se non ne succhiasse il sangue non fiorirebbe.
L’obiettivo di
islamizzazione integrale della società, con la Sharī’ah quale unica
fonte del diritto, implica una struttura istituzionale che non sia di tipo
occidentale. E allora il progetto specifico islamista si riduce alla riproposizione
acritica di un’antica e fallimentare istituzione musulmana: il Califfato. Dopo
la vittoria (che speriamo non accada mai) dovrà essere nominato un Califfo con
poteri temporali assoluti per il governo e l’amministrazione della giustizia,
ma subordinati all’osservanza del Corano e della tradizione profetica, essendo
egli il “deputato” della comunità musulmana per l’attuazione della legge divina
Venendo a
Qutb, egli è importante per la diffusione avuta dalle sue idee, la cui “summa”
sta nel libro Pietre miliari del nostro cammino (ma'aalim fii al-ţariiq).
La sua concezione è che per fare uscire il mondo dalla situazione di ignoranza
religiosa (jaahiliyya) in cui versa, si deve imporre la sovranità divina
attraverso la Legge islamica. Questa imposizione non può prescindere dal
controllo della sfera politica. L’unità islamica costituisce lo sbocco e il
coronamento dell’indipendenza conseguita dai paesi musulmani. La jaahiliyya
viene vista peggio dell’ateismo, e coloro che versano in tale situazione non
sono più da considerare dei veri musulmani. Quindi possono essere
legittimamente combattuti (con quel che segue e si è visto in Algeria). Qutb ha
attribuito alle sure medinesi del Corano
il valore di perfetta costituzione (dustuur)
della comunità islamica. Per lui la guerra santa restava attuale in presenza di
quattro situazioni: difesa dai tentativi di allontanare i Musulmani dalla
religione con la forza; difesa della libertà di propagandare la fede;
realizzazione della giustizia; instaurazione del potere di Dio sulla terra.
Soprattutto gli ultimi due presupposti equivalgono a una frase molto semplice:
“sempre e dovunque”.
Secondo la
mentalità occidentale il concetto di unicità di Dio (tawhīd) ha una valenza essenzialmente metafisica, ma da essa Qutb
deduceva una serie di conseguenze politiche e sociali. Innanzi tutto
l’uguaglianza, poiché se Dio è unico, gli esseri umani gli stanno di fronte
tutti nella stessa condizione, cioè uguali. E poi la giustizia sociale. Ma si
tratta di una concezione totalitaria, antitesi di quel pluralismo su cui si è
attestata la civiltà europea. Qutb ha trasferito infatti l’unicità di Dio alla
sfera del mondo, che deve essere ordinato secondo la sua volontà unica. Il che
significa che l’umanità-una deve dirigersi verso il Dio unico. Realizzare ciò è
il compito dell’Islam, la sua ragion d’essere. Su queste basi tanto Qutb e i
suoi seguaci, quanto il resto degli estremisti musulmani hanno rifiutato il
ricorso alle elezioni, viste come apostasia. Infatti, i Musulmani dovrebbero
essere governati dalle sole leggi religiose islamiche. Secondo Qutb nel mondo
c'è solo un partito, il partito di Allah; tutti gli altri sono partiti di
Satana e della ribellione. Quelli che credono combattono per la causa di Allah,
e quanti non credono combattono invece per la causa della ribellione. Votare
alle elezioni o fare una scelta pratica diversa è sfida alla suprema autorità
di Dio riguardo alla condotta degli esseri umani.
Si
potrebbe dire che il concetto di sovranità di Dio (hakimiyya) sostenuto da Qutb sia diverso da quello di “signoria di
Dio” poi adottato dai Fratelli Musulmani. Nel senso che metterebbe in rilievo
l’aspetto politico della sovranità (Dio unico legislatore e unico autentico
dirigente della Comunità), mentre per i Fratelli di oggi a essere valorizzato
sarebbe l’aspetto etico della direzione divina, quale punto di riferimento
dell’agire umano. In tutto questo, dove sarebbe il progetto economico
alternativo al capitalismo e al marxismo? La risposta è semplicissima: non
esiste, e quindi non vi è nulla di alternativo o di originalmente islamico.
Qutb prospetta una società armonica con un ordinamento economico equo e
un’organizzazione equilibrata. Armonica perché senza classi con tutti i
cittadini uguali davanti alle leggi; equa perché ammette la proprietà privata,
anche dei mezzi di produzione, ma con qualche limite per non renderla
antisociale. Il cosiddetto meccanismo riequilibratore di fronte a distribuzioni
della ricchezza sociale sbilanciate consisterebbe nell’equità fiscale, dovendo
i ricchi pagare allo Stato di più degli altri. Inutile dire che prevedeva pure
una non meglio specificata “equa divisione” del profitto tra lavoratori e
datori di lavoro. Logicamente Qutb ammetteva il libero mercato con la fisiologica
dicotomia fra capitale e lavoro salariato. All’accusa di non possedere un reale
progetto economico/sociale Qutb ha sempre risposto ribadendo semplicemente che
nella legge di Dio è racchiuso il benessere dell’umanità.
Oggi gli
anti-Morsi hanno riesumato, nei confronti della Fratellanza, la vecchia accusa
di “fascismo religioso”. Probabilmente dal punto di vista della corretta
classificazione politica la definizione non è appropriata; ma lo diventa se la
si assume – come accade anche da noi nel parlare corrente – quale sinonimo di
intolleranza e prepotenza ammantata da ideali più o meno alti.
Le ramificazioni della Fratellanza
Nel mondo
musulmano la Fratellanza è ramificatissima – anche nella penisola araba - mediante
una serie di organizzazioni “sorelle” che ne condividono l’ideologia.
Attualmente è al governo in Tunisia con la Harakat
an-Nahdha (Movimento della Tendenza islamica), nella striscia di Gaza con
Hamas e in Turchia con il partito di Erdoğan, l’Adalet ve Kalkınma Partisi-Akp (Partito della Giustizia e
Sviluppo); in Marocco l’Hizb al-adaala wa
at-tanmia (Partito Giustizia e Sviluppo) detiene la presidenza del
Parlamento; in Giordania la sua diramazione, il Fronte di Azione Islamico, è rappresentata
in Parlamento.
In Siria
la locale Fratellanza Musulmana è assai combattiva, anzi jihadista. Nel
1979-1982 portò il paese sull’orlo della guerra civile, tentando di imporsi con
la violenza, ma mal gliene incolse. Al massacro di sessanta cadetti della
scuola militare di Aleppo e all’uccisione di molti militanti del Baath il governo di Hafiz al-Assad rispose
con una durissima repressione ad ampio raggio, culminata nel 1982 nella
semidistruzione della città di Hama e all’eliminazione di decine di circa
30.000 radicali islamici.
Oggi
l’altro governo della Fratellanza che corre il rischio di fare la fine di Morsi
è quello tunisino.
Potenza finanziaria
La Fratellanza è anche una potenza finanziaria estesa anche all’Europa. Per
esempio, dopo i famosi attentati alle Twin Towers di New York, nella ricerca
delle fonti e dei canali di finanziamento di al-Qaida, furono perquisite le
abitazioni di dirigenti di al-Taqwa, una banca islamica con sede a Lugano, e fu
trovato un documento sulla strategia finanziaria dei Fratelli Musulmani. Venne
fuori che in Europa era stata costituita una rete finanziaria dagli anni
Settanta, di cui un momento importante fu nel 1977 la fondazione della Banca Islamica
del Lussemburgo. Sei anni più tardi la rete della Fratellanza disponeva di sette
società finanziarie tra Lussemburgo, Danimarca, Londra, isole Cayman e gli
Stati uniti, con un capitale che all’epoca era di circa 100 milioni di dollari.
Oggi sarà sicuramente aumentato.
La Presidenza di Muhammad Morsi: una fallita
“prova del nove”
Se s’interroga
sulla Fratellanza un egiziano a essa ostile, si riceverà sicuramente una
risposta che sottolinea il trattarsi di persone false, a cui interessa solo il
potere e per questo manipolano l’Islam. Certo è che sono sempre stati bravissimi ad atteggiarsi ad agnellini, a
passare per vittime e a nascondere la mano dopo aver lanciato il sasso.
Riciclatisi i Fratelli mediante parvenze democratiche dopo le persecuzioni
nasseriane, eletto Presidente dell’Egitto Morsi con tante belle promesse volte
a rassicurare gli oppositori (praticamente mezzo Egitto), si è rapidamente
visto che i discorsi elettorali erano solo un paravento dietro cui si
nascondeva il vecchio progetto di islamizzazione della società secondo i tipici
moduli della Fratellanza. Ovviamente la deposizione di Morsi ha dato il destro
per accusare di ipocrisia i democratici e liberali laici egiziani schieratisi
con il golpe militare. Formalmente il ragionamento non fa una grinza: dite di
essere democratici e poi plaudite al rovesciamento di un Presidente
democraticamente eletto. L’indignazione viene spontanea, come pure il biasimo
per chi voglia fare dei distinguo politicamente scorretti e l’accusa di essere
in favore di al-Sisi.
Tuttavia
lo spazio per qualche obiezione esisterebbe, se si mette sotto osservazione la
Presidenza di Morsi. Poi ciascuno tiri le proprie conclusioni. Certo è che dopo
tanti classici marxisti e anarchici volti a demistificare le elezioni borghesi,
trasformare in feticcio i risultati elettorali è un po’ eccessivo; tanto più che,
pur restando nell’ottica liberaldemocratica, i fatti egiziani dimostrano che
qualcosa non andava proprio nella gestione “democratica” del potere da parte di
Morsi & C.
Qui una
premessa teorico-pratica è indispensabile. Il corretto funzionamento della democrazia
borghese si ha col realizzarsi di una duplice tutela: quella della maggioranza
vittoriosa alle elezioni e quella delle minoranze sconfitte, le quali un domani
potranno essere a loro volta maggioranza dovendo essere fisiologico il gioco
delle alternanze. In questo quadro si presume che le parti in causa siano
avversarie anche acerrime e spregiudicate; ma se si trasformano in vere e
proprie nemiche allora il quadro si altera e cominciano le disfunzioni,
suscettibili di portare alla rottura del sistema. Le inimicizie –
schematicamente ragionando – possono sorgere o per un abnorme eccesso di
rilevanza degli interessi materiali e relative personalizzazioni, oppure per
ragioni politiche. Quest’ultimo caso si sostanzia nel fatto che una delle parti
– o tutte, nel peggiore dei casi – sia portatrice di una visione del mondo e
della vita (singola e sociale) antitetica alle altre e risulti (o sia
ragionevolmente sospettata) di volerla imporre coattivamente a tutti quanti in
virtù della conquista elettorale di una posizione maggioritaria. Ciò si traduce
in atti e fatti orientati non tanto a sconfiggere i concorrenti alle elezioni,
bensì orientati a modellare la società in un certo modo ed a volgere anch’essa
contro i propri nemici politici in modo da metterli a tacere o espungerli
dall’ambito delle forze sociali attive, al massimo riducendoli a testimoni di
sé stessi.
Il sistema
liberal-democratico comincia a funzionare male anche quando chi governa vuole
farlo contro tutta quella parte di società che ha votato contro; quando si
escludono alleanze e mediazioni; quando per principio si tagliano fuori dai
processi decisionali le opposizioni. Giacché essere democratici non vuole dire
solo vincere le elezioni e non impedire l’effettuazione di nuove tornate
elettorali alle scadenze previste, ma soprattutto non gestire il potere come
“cosa propria” contro tutti gli altri.
Lo stesso
Hitler arrivò al potere per via elettorale e lo stesso dicasi per i governi
salvadoregni contro cui infuriava la guerriglia. E poi c’è sempre l’esempio
della Spagna della II Repubblica, dove il modo di agire dei governi della
sinistra repubblicana e poi della Ceda di Gil Robles – governando proprio nel
modo sopra stigmatizzato – posero le basi per la guerra civile.
Morsi non
è caduto perché incapace: se per ogni governante inetto e pasticcione si
dovesse avere un golpe militare, allora nessun paese al mondo ne sarebbe
esente, e gli interventi militari prolifererebbero come i virus. Milioni di
egiziani sono scesi in piazza contro di lui per la convergenza di due cause: la
disastrosa politica economica in un paese alle corde, e l’evidente tentativo di
realizzare il dominio della Fratellanza Musulmana a danno di tutte le altre
componenti della società egiziana. A certi manifestanti interessavano o l’una o
l’altra delle due cause, ad altri entrambe. E quando ci si trova – come Morsi –
a essere stato eletto col 51% dei voti espressi, ma con un tasso di astensione
addirittura del 49% (Morsi ha avuto 13.230.131 voti contro i 12.347.038 di Ahmed Shafiq, ultimo Primo ministro di Mubarak) in un paese arabo, si rischia
di brutto se non si riesce, come promesso, a essere il Presidente di tutti gli
Egiziani, giacché in realtà l’eletto è il Presidente espresso da una minoranza
di poco superiore al 25% del corpo elettorale.
Innegabilmente
i Fratelli Musulmani hanno conseguito molto seguito e prestigio in Egitto (e
non solo) mediante le loro attività sociali, supplendo in certo modo
all’inerzia dello Stato; pur tuttavia si tratta di iniziative collocabili fra
il caritativo e l’assistenziale, senza la futura prospettiva di riforme
socio-economiche di struttura. Difatti la Fratellanza è conservatrice e
assolutamente aperta al capitalismo, e
lo stesso Morsi – per musulmano che sia – in precedenza aveva fatto
carriera negli Stati Uniti (aveva lavorato alla Nasa) e di quel paese aveva
acquisito la nazionalità. Se sul piano sociale non ha fatto niente per le masse
popolari, in termini più ampi ha aperto ancora di più l’economia egiziana al capitalismo selvaggio.
Per fortuna non ha fatto a tempo a realizzare il suo progetto di vaste di privatizzazioni
che avrebbero dovuto raggiungere il diapason con quella del Canale di Suez, da
vendere successivamente al Qatar.
L’Occidente
neoliberista non aveva sbagliato nell’inquadrare i Fratelli Musulmani come
possibili alleati economici, a motivo della comunanza di vedute in ordine al capitalismo
neo-liberista e alla compartecipazione di interessi concreti, essendo la
Fratellanza espressione di una rampante e influente borghesia medio-alta, di
commercianti, industriali e professionisti. Il milionario Khairat al-Shater,
uno dei fondatori del braccio politico della Fratellazna, il partito Giustiza e
Libertà (hizb al-hurriyya wa l-‘adaala),
con l’avvento al potere di Morsi si è affrettato a dare garanzie a Usa e Unione
Europea circa le intenzioni economiche del nuovo governo. Il modello economico
offerto dai Fratelli Musulmani non è differito di molto da quello dell’era
Mubarak: è stato solo peggiore e a unico vantaggio di una parte dell’alta
borghesia. Non stupisce, quindi, che tra
i manifestanti anti-Morsi ci sia stata un’enorme massa di disoccupati e sottoproletari
le cui condizioni economiche sono sempre più insopportabili: salari da fame, da
tre a cinque ore di fila per il pieno di benzina, continue interruzioni di
corrente tali da aggravare le condizioni di vita della popolazione e rischiare
di paralizzare l’economia, il turismo al collasso (e non è stata certo un
elemento attrattivo la nomina a governatore di Luxor di un personaggio legato
proprio ai gruppi terroristici che nel 1997 avevano ammazzato circa sessanta turisti),
e infine lo spettro che l’incompetenza di Morsi & C. compromettesse anche
le vitali importazioni di frumento.
In
politica estera la situazione è rimasta tale e quale quella del periodo di
Mubarak, il che ha colpito il
nazionalismo di masse già ostili per le suddette cause: inalterati i rapporti
con Israele, continuazione del condizionamento statunitense, ostilità verso la
Siria fino alla rottura delle relazioni diplomatiche con Damasco e
all’incitamento al Jihad contro Assad. Come sovrappiù era diventato palese
l’intento di imporre a laici e cristiani l’inserimento della Legge islamica nella
nuova Costituzione.
Se la
Fratellanza è arrivata al potere sfruttando un’enorme domanda di libertà e
democrazia, sta di fatto che Morsi & C. hanno fatto di tutto perché tale
domanda entrasse in urto con il loro islamismo. Si è voluto correre il rischio
di governare all’insegna di una religione diventata ideologia politica, da cui
però non provengono né miglioramenti di vita né riduzioni dei privilegi dei
soliti pochi. L’occasione storica è andata perduta.
I Fratelli Musulmani non hanno letto Machiavelli
Insegnava
il grande fiorentino che quando un avversario o nemico è troppo forte per
“spegnerlo”, allora lo si deve blandire. Basta la cronologia della crisi
egiziana per rendersi conto che né Morsi né i suoi hanno letto Il principe. Ecco la cronologia ridotta
all’osso:
2011=
Febbraio: Mubarak si dimette e lascia il potere a un consiglio militare.
Marzo: Vengono approvate
riforme costituzionali per aprire la strada a nuove elezioni.
Aprile: Mubarak e i suoi figli
vengono arrestati con l'accusa di corruzione. Continuano le proteste in piazza
Tahrir per la lentezza del cambiamento politico. Vengono alla ribalta gruppi
islamici.
Agosto: Mubarak va sotto
processo con l'accusa di aver ordinato l'uccisione di manifestanti.
Novembre: il Primo ministro
Sharaf in seguito a disordini. Iniziano le consultazioni parlamentari.
Dicembre - Entra in carica il nuovo governo di unità nazionale guidato dal primo ministro Kamal
al-Ganzouri.
2012=
Gennaio: i partiti islamisti vincono le elezioni parlamentari.
Giugno: Morsi vince le
elezioni presidenziali. Mubarak viene condannato all'ergastolo per complicità
nell'uccisione di dimostranti nelle manifestazioni all’inizio del 2011.
Luglio: La Corte Suprema
annulla le elezioni parlamentari vinte dai Fratelli musulmani e il Consiglio
supremo delle forze armate scioglie l'assemblea parlamentare. Morsi revoca
l'ordine di scioglimento.
Agosto: Il nuovo primo
ministro Hisham Qandil forma un governo composto di tecnocrati, islamisti
e membri del vecchio governo, escludendo le forze laiche e liberali. Morsi
allontana il Ministro della Difesa e il Capo di Stato maggiore, e
impedisce ai militari di intervenire su legislazione e nuova Costituzione.
Novembre: Morsi
emette un decreto che impedisce alla magistratura di contestare le sue
decisioni, ma rinuncia dopo le proteste popolari.
Dicembre: La
nuova Assemblea costituente, con maggioranza islamica, approva la bozza della
nuova Costituzione, che aumenta il ruolo dell'Islam e limita la libertà di
parola e di riunione. Un referendum approva la nuova Costituzione: proteste
dell'opposizione laica, dei cristiani e delle associazioni femminili.
2013=
Marzo: Un
tribunale amministrativo annulla le elezioni parlamentari indette da Morsi per
il 22 aprile, per non aver trasmesso alla Corte Costituzionale la legge
elettorale emendata dalla Camera alta.
Giugno: Morsi nomina
governatori islamisti in 13 dei 27 governatorati. Grandi proteste suscita la
nomina di un membro di un gruppo islamista armato legato al massacro di turisti
a Luxor del 1997. In
seguito alle proteste il neo governatore di Luxor si dimette.
Luglio: Dopo continue e
massicce manifestazioni di piazza i militari destituiscono Morsi.
In buona sostanza, Morsi ha agito come se avesse avuto - tra appoggio di
masse popolari, infiltrazioni di suoi seguaci nel gangli dell’amministrazione
pubblica e solide connivenze ai vertici di magistratura, esercito e polizia –
il potere di fare e disfare. La situazione invece era tutta di segno contrario,
con gli uomini di Mubarak ancora ai posti giusti e per niente disposti da
lasciargli vita facile. E poi c’è stato il palese prendere di petto le Forze
Armate, cioè un organizzatissimo Stato nello Stato, punto di riferimento storico
del massiccio nazionalismo popolare, che oltre alle armi dispone di un potere
economico immenso ed è fortemente radicato nel territorio.
Sin dal 1952, durante il governo di Nasser e il suo programma esteso di
nazionalizzazioni, l’esercito prese il controllo diretto dell’economia “in
nome del popolo”; con l’avvento di Sadat, questo ruolo si è trasformato ma non è affatto venuto meno. Il
finanziamento Usa alle Forze Armate (un miliardo e 300 milioni dollari l’anno)
- il cui uso non soggiace ad alcun controllo - ha portato alla creazione del Nspo (National Service
Project Organization) fondatore di imprese dirette da generali e colonnelli
in pensione, alle quali sono andati sussidi e privilegi fiscali. Al riguardo gli
studiosi parlano di Military Industrial Business
Commercial Complex, giacché i vertici delle Forze Armate
controllano una serie di settori che nulla hanno a che vedere con la difesa del
paese: produzione di pasta, acqua minerale, olio, latte, pane, bottiglie d’acqua, cemento, bombole
di gas, carburante e veicoli; agenzie di compravendita di immobili per conto
del governo (inserendosi così nei processi di urbanizzazione); complessi
alberghieri di lusso. Enormi profitti sono pure ricavati dai terreni direttamente
controllati e valutati in almeno un milione di chilometri quadrati, dei quali è
coltivato solo il 5%. Naturalmente i militari possono espropriare qualsiasi
terreno con la motivazione della difesa nazionale. Si ritiene che i militari
controllino tra il 25% e il 40% dell’economia. Dispongono di una forza-lavoro
grazie alla leva, talché molti soldati verso la fine del periodo di leva
(obbligatorio e di due anni) lavorano in fabbriche, aziende agricole e agenzie sotto
il controllo delle Forze Armate per una paga che va dai 17 ai 28 dollari al mese;
quindi con grande profitto per chi li impiega. Non sono migliori le condizioni
di lavoro degli altri dipendenti, e quando scioperano (cosa che accade)
finiscono davanti ai tribunali militari.
Oltre tutto le Forze Armate egiziane sono essenzialmente laiche e
impermeabili ai fumosi sogni islamisti della Fratellanza. Era ovvio che
scatenare contro di sé mezzo Egitto e fare sprofondare ancora di più l’economia
del paese nel caos voleva dire costringere le Forze Armate a intervenire, non
foss’altro per la difesa del proprio potere e dei propri interessi.
Caduto Morsi, la posizione assunta dalla Fratellanza si è rivelata debole,
ingenua e noncurante sul piano umano. Debole perché non è stata in grado di
contrapporre ai militari uno sciopero generale, ma solo una massa di isterici
fanatici pronti a farsi ammazzare in nome di Morsi ululando “Allah è grande”.
Non disponendo di alleati - e anzi, abbandonati dagli stessi Salafiti di an-Nur - ha scelto la strada peggiore,
più ingenua e incurante dei morti che sicuramente ci sarebbero stati fra le
proprie fila: lo scontro frontale senza nessuna speranza. Se la Fratellanza
dovesse passare al terrorismo, neanche nell’opinione pubblica occidentale -
emotiva, volubile e di scarsa memoria - troverebbe più molti disposti alla
benevolenza; come accadde per l’Algeria.
Staremo a vedere se i Fratelli si sono messi da soli con le spalle al muro.
19 agosto 2013
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