CONTENUTI DEL BLOG

giovedì 9 maggio 2013

SPORT, RECORD, FAIR PLAY E CONTROLLO SOCIALE, di Marco Piracci



 The Philosophers' Football Match
(
Monty Pithon, 1972)
Sono felice di notare che  sulla tematica dello sport, si sia aperto un interessante dibattito. L’ email che mi sono pervenute ancora prima dell’articolo di Enzo Valls intitolato  “Il carattere essenzialmente sociale e collettivo del gioco” testimoniano la presenza di un interesse a riguardo, il desiderio di esprimere il proprio punto di vista. Le mie considerazioni sullo sport, non possono che partire da che cosa sia lo sport oggi, in un contesto definibile in termini temporali e spaziali. Enzo Valls sottolinea gli aspetti sociali e collettivi del gioco. Aspetti facilmente visibili e riscontrabili. Quello che però l’articolo non coglie, è il condizionamento economico-culturale presente nel gioco così come negli altri vari ambiti dell’esistenza. In ambito psico-pedagogico perfino autori comportamentisti come Mario Di Pietro o Monica Dacomo, sottolineano i limiti presenti in attività competitive ed in particolare nei giochi di squadra. Secondo questi autori si rende necessario limitare l’aspetto agonistico proprio per non generare ulteriore ansia nei bambini1. È interessante notare che anche in alcuni approcci allo sport negli U.S.A. sono sottolineati i limiti della competizione. Tra pochi giorni sarà nelle sale cinematografiche il film “Parental Guidance”  diretto da Andy Fickman. Nel film è presente una scena di circa dieci minuti in cui è mostrata una partita di baseball dove non esistono punti. Il battitore continua a battere finché non colpisce la palla ed in questo modo “conquista” la base. Anche nella patria del made self man l’ideologia dominante viene necessariamente messa in discussione proprio dove mostra con più evidenza tutti i suoi limiti: il rapporto con i bambini. È un dato importante, destinato a pesare nel tempo. 

Pierre Laguillaumie, traccia una netta divisione tra attività fisica e sport proprio perché nel secondo sono presenti gli aspetti culturali del capitalismo. È una costruzione astratta necessaria per far comprendere i limiti dello sport e mostrare, nello stesso tempo, le sue alternative possibili. La frase più volte citata “Sportivo non è colui che corre a piacer suo in una natura libera e selvaggia – questo libero di fermarsi quando vuole, libero nella direzione, nella velocità, nello slancio, nella respirazione, è l’immagine della gioia del bambino in un gioco fisico libero.continua proprio delineando cosa è necessariamente lo sport in un contesto capitalistico: “Lo <<sportivo>> anche se non partecipa direttamente ad una competizione organizzata, è necessariamente condizionato dal campione, dalla sua tecnica, dai suoi records e dalla sua ideologia. Il bambino sportivo nasce campione.”3 Quale sia il ruolo dei media nella creazione e amplificazione dell’ideologia sportiva è stato da me ampiamente argomentato nell’articolo “Spettacolo sportivo e sfruttamento di massa” pubblicato in questo blog. Qui analizzerò invece gli elementi che caratterizzano lo sport (nella società borghese e capitalistica in cui viviamo) prescindendo dal rapporto con i media. Con queste argomentazioni, ripeto, non voglio negare gli aspetti positivi a cui lo sport può rimandare, come la sua componente ludica o collettiva. Voglio però sottolineare che tutti gli elementi che lo compongono sono determinati dal quadro economico-sociale-ideologico d’insieme e non è dunque possibile considerare solo una parte del tutto isolandola dal resto. In particolare, il ruolo ideologico-culturale che implicitamente svolge lo sport, riguarda la sua funzione di coesione là dove c’è contraddizione. Ciò si esplica lungo tre linee di fondo:
a)     Lo sport è organizzato tramite strutture di carattere mondiale
Storicamente, l’unificazione dello sport si è realizzata progressivamente e definitivamente solo dopo la seconda guerra mondiale. Attualmente, lo sport è un’unità gerarchica che si diffonde e si estende continuamente, dominata da un gruppo internazionale dello sport. Sono le federazioni internazionali, il Comitato olimpico internazionale, la  Fédération Internationale de Football Association e tutti gli organismi pubblici o privati di questo tipo. I giochi olimpici, i mondiali, i tornei internazionali etc. sono l’espressione dell’unità dello sport mondiale nell’organizzazione di una competizione cosmopolitica permanente. L’intera struttura organizzativa dello sport è fondata su
questa realtà di vertice.
 
b)     L’unità dello sport è cementata da record, il suo linguaggio universale
Il record assume un ruolo centrale nell’organizzazione dello sport. È il suo elemento cementificatore. Tutti possono misurarsi a livello mondiale con lo stesso criterio. “Il record è il linguaggio che unisce lo sportivo principiante al campione dalla fama intramontabile. È il legame e l’unico legame concreto che unifica, centralizza la pratica sportiva e le dà un contenuto obiettivo. Il record impone agli organismi sportivi di stabilire dei regolamenti uniformi che precisino l’organizzazione delle competizioni e codifichino le tecniche specifiche di ogni specialità. Il record è per lo sport ciò che il denaro è per l’economia politica: il mezzo astratto di confronto e scambio”.3 Lo sport può così esplicare la sua importante funzione politica: unificare i popoli là dove ingiustizie e sfruttamento li dividono.
 
c)     Lo sport nasconde lo sfruttamento di classe
Con il mito del successo, lo sport offre una speranza di riuscita sociale. Il successo sportivo è legato alla logica del lavoro. La promozione sportiva è inseparabile da quella del lavoro. Il campione sportivo, è colui che con la sua pazienza è riuscito, contro tutto e tutti,  a salire i gradini della scala sociale. Sportivo è colui che sa integrarsi in una gerarchia. I valori gerarchici sono dappertutto: tra dirigenti e coloro che vengono diretti, tra i concorrenti etc. Questo principio si basa su una selezione spietata: impone ai deboli di restare nell’ombra, dimenticati, schiacciati come l’operaio che non ha avuto la fortuna di ereditare da un padre ricco. L’educazione sportiva, abituando le persone a muoversi lungo un quadro gerarchizzato, le induce ad accettare ulteriormente, con sempre meno resistenze, il quadro socio-politico autoritario e repressivo.  Il fair play, la lealtà nel gioco sportivo, non apre la strada al rispetto reciproco, all’intesa, alla leale cooperazione tra popoli come qualcuno vorrebbe.  Questa mistificazione infatti, non  fa che rinforzare la pratica della collaborazione tra le classi  e non è che lo strumento per nascondere la realtà della giungla capitalistica in cui l’unica legge è la guerra. Di tutti contro tutti. 
Di fronte al controllo delle masse per mezzo della pratica sportiva, bisogna sempre tener presente che non esiste lo sport in astratto ma solo questo sport. Questo “[…] è borghese nella sua essenza, nella sua finalità, nella sua ideologia, nella sua organizzazione. In queste condizioni, parlare di umanesimo sportivo, di sport educativo o di cultura sportiva, significa ammettere che l’educazione, la morale  e la cultura borghese sono fattori di umanesimo”. L’accettazione ideologica e politica dello sport sarebbe insomma una completa capitolazione all’ordinamento esistente. Esaltare l’educazione sportiva (tout-court), significa rivendicare l’integrazione dei giovani disoccupati, dei precari, degli immigrati ad un ordinamento che obbliga milioni di uomini ad una vita che umana non è.


1: A tal proposito si possono consultare i volumi: Mario Di Pietro, L’ABC delle mie emozioni. Giochi e attività per l’educazione razionale emotiva, Erickson, Trento, 2010; Mario Di Pietro, Monica Dacomo, Giochi e attività sulle emozioni”, Erickson, Trento, 2009.
2: Pierre Laguillaumie, Sport & Repressione, La Nuova Sinistra Samonà e Savelli, 1971, p.44.
3: Ibidem: p.44.
4:Ibidem: p. 42.
5: Ibidem: p. 60.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com