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martedì 15 marzo 2011

QUALUNQUEMENTE (Giulio Manfredonia, 2011), di Pino Bertelli

La stupidità, in generale, non è una qualità naturale,
ma un prodotto sociale e socialmente rafforzato.
(Theodor W. Adorno)

I. Il cinema della stupidità

Il cinema italiano ai tempi della stupidità spettacolare ha il successo che si merita... frotte di imbecilli decretano il consenso (non solo) economico ai cinepanettoni di Neri Parenti, Aldo Giovanni e Giacomo o ai deliri calcolati di Antonio Albanese, diretto (male) da Guido Manfredonia in Qualunquemente. A vedere bene queste operazioni commerciali è difficile non accorgersi che tanta sciatteria espressiva è figlia dello spettacolo televisivo che imperversa nelle case degli italiani... puttane, papponi, politici e ruffiani circolano impunemente nell’immaginario collettivo e fanno dimenticare le lotte sociali degli studenti, dei precari, dei disoccupati, dei migranti... attanagliati nell’infelicità della nostra epoca.
Il linguaggio dell’humour, l’ironia o il cinismo intelligente non sembra conosciuto a questi vassalli dello spettacolo integrato e nulla emerge dai loro film, se non l’apoteosi del vuoto o la promessa obbligatoria di ridere sul crepuscolo della comicità che morde il potere e non l’assolve dai suoi peccati seriali. La società dello spettacolo celebra la demenza accettata e i mezzi di comunicazione di massa organizzano magistralmente l’ignoranza con pseudo-avvenimenti mondani... l’impero della comunicazione accresce i propri sudditi nel mercantilismo globale e solo i poeti, i bambini o gli insorti della Rete... si chiamano fuori dal dominio dell’economia spettacolare, che ridotto gli uomini a merce.
Il cinema giovanilista e quello demenziale segnano i parametri ricettivi dell’analfabetismo cinematografico dei nostri tempi... il peggio non sta nell’ignoranza, ma nell’illusione di sapere... poiché il cinema degli imbecilli è innanzitutto un verminaio di sciocchezze e strumento di lusinga ininterrotta del potere (specie quando finge di morderlo alla gola), l’ubriacatura delle masse continua a riprodurre l’ineguaglianza sociale e il trionfo del dispotismo non teme incrinature. In questo senso i buffoni con la faccia da boia in attività, come Sergio Marchionne, possono avere ragione sui diritti calpestati dei lavoratori, in buona pace (e complicità) della sinistra (tutta) connivente con i crimini della politica istituzionale. Chi controlla la memoria degli ultimi, controlla il futuro... chi controlla il presente, alza la ghigliottina della disoccupazione, della carcerazione e dell’esclusione delle giovani generazioni. Una minoranza di caimani in doppio petto mercanteggia sulla sopravvivenza di una maggioranza asservita e non sono mai abbastanza le ondate di rivolta che scuotono alla base l’intero edificio sociale e vogliano dare fuoco ai palazzi del potere, non per cambiarlo, ma per distruggerlo dalla faccia della terra.
Qualunquemente è un film stupido... molto stupido... i loro realizzatori lo sanno di certo... gli interpreti anche. L’ambientazione “sudista” è congeniale... circoscritta a un piccolo comune della Calabria... il che vuol dire che in altri posti, altre città, la politica si fa con altri mezzi... tutto falso... i politici dell’italietta berlusconiana (sinistra inclusa), com’è nel costume di questo paese catto-fascista, sono sempre stati intrecciati e complici con mafierie d’ogni sorta... del resto, anche i loro elettori sono ben coscienti di sostenere questi pagliacci dell’ordine e contenti di sostenere il crimine nell’alveo del “buon governo”.
La stupidità è il pane quotidiano degli oppressi che permettono a chi dispone dei mezzi di produzione di trattarli da schiavi e non da uomini liberi... i padroni si sono accorti di valere quanto i loro porci, soltanto quando una rivoluzione sociale li ha appesi per il collo ai cancelli delle fabbriche... la sottomissione è gradita al potere. La paura, il disagio, il silenzio crescono in base alle costrizioni, alle limitazioni imposte e all’assurda continuazione dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. I fautori della tolleranza sono sempre inclini alla sopraffazione verso i dominati che non si adattano alla servitù volontaria... partiti, sindacati, chiese... invitano alla cancellazione della personalità e la sola coerenza che allevano è quella della genuflessione... la storia del terrorismo è scritta dallo Stato (l’assassinio di Giuseppe “Pino” Pinelli è un esempio per tutti) e la disinformazione è il cattivo uso della verità.
Il governo dello spettacolo canta le sue armi e falsifica l’immondezzaio dei bisogni... è padrone assoluto della memoria storica e terrorista incontrollato dei progetti vessatori che plasmano il divenire della sopravvivenza... i regnanti sono aggrappati agli scranni del parlamento e senza mezzi termini eseguono le loro sentenze sommarie... chi non sta al giogo è escluso dai banchetti e dai festini, la potenza della merce organizza magistralmente il falso di ciò che succede e, nel contempo, trasferisce tutto ciò che è menzogna e putridume, in una rappresentazione televisiva che tutto assolve e tutto conferma. Nessuno vive più secondo i propri piaceri o la propria creatività, ma è oggetto speculare della merce o della politica che consuma... i dominatori hanno bisogno della miseria per perpetuarsi e la mantengono per dare sempre più forza e risalto ai loro crimini impuniti... solo il ribaltamento di prospettiva di un mondo rovesciato ha la capacità di fare uscire gli sfruttati dal proprio stato di sottomissione e proiettarli verso la ricerca della felicità... non ci sono poteri buoni, ci sono servi imbecilli! La vera libertà è al di sopra delle leggi, del diritto e delle istanze sociali... si chiamino, patria, religione, stato o famiglia... si è uomini prima di essere studenti, precari, disoccupati, migranti o sfruttati... violenza aiuta dove violenza regna.

II. Qualunquemente

Qualunquemente celebra il qualunquismo e la politica mafiosa... a una lettura superficiale sembrerebbe il contrario... non è così. Cetto La Qualunque (Antonio Albanese) si candida sindaco di un paesino calabrese, è appoggiato dalla mafia locale... i cittadini lo vedono come l’“uomo della provvidenza” e lui, appena uscito di galera, è fiero delle sue amicizie criminali. Ha una moglie italiana un po’ stupida e un figlio idiota... una compagna brasiliana bella e inutile, e una bambina vestita come una bambola... ha una casa deliziosamente kitsch (di cattivo gusto) e un’azienda turistica tenuta (in sua assenza forzata) dalla cosca. I mafiosi scelgono Cetto La Qualunque per le elezioni a sindaco della città... per avvertire l’altro candidato di che pasta sono fatti, fanno saltare in aria la sua auto... Cetto La Qualunque, tra frizzi e lazzi insopportabili, elogia l’inquinamento del mare, saccheggia reperti archeologici, si appropria di terreni demaniali... fa comizi nelle strade, in chiesa, al bar... per vincere le elezioni ricorre a brogli elettorali e infine assume uno specialista del “nord” (Sergio Rubini) che lo educa all’acquisizione del consenso... non mancano nemmeno il bagno in piscina con un nugolo di ragazze nude e la carcerazione del figlio in sua vece... si vede, e bene, che Albanese e il regista allungano a dismisura gli spazi-temporali delle gag televisive e ne viene fuori una noia im/mortale.
La comicità di Albanese è ripetitiva, anche volgare... e il personaggio è piuttosto svilito e ugualmente futile di quello televisivo... non ci sono battute fulminanti né le facce dei comprimari sostengono Albanese nella sua furibonda sequela di luoghi comuni... non si ride né si piange, viene voglia anzi di uscire dal cinema, e in fretta. Il qualunquismo impera. E pensare che qualche critico lo ha scambiato per un film “impegnato”, di “denuncia” che ha scelto la via della satira anziché quella della tragedia. Vero niente. Qualunquemente è una bassa operazione commerciale che va ad alimentare la mediocrità splendente del cinema italiano, più ancora, e questo ci addolora, raffigura la gente del “Sud” alla stregua di coglioni al servizio della mafia.
La regia di Manfredonia è banale, adatta all’indirizzo televisivo per il quale il film è stato fatto... gli interpreti principali sono poco più di bozzetti, macchiette che poco hanno a che fare con l’afflato cinematografico... non c’è cattiveria epica ma solo artifici di benevolenza dispensata e dosata per il pubblico domenicale... Albanese esprime quanto di più triviale si possa vedere sullo schermo o in politica, ma non fa ridere... ci pare perfino la brutta copia di “Fantozzi”... ma l’intelligenza autoriale di Paolo Villaggio è su altri piani della comicità surreale. La sceneggiatura di Albanese e Piero Guerrera è sciatta e lo schermo la rigetta impietosamente... la fotografia di Roberto Forza è inesistente, sovraesposta, scialba come lo sono la scenografia, i costumi e il montaggio... la musica della Banda Osiris è roba da campeggiatori... gli autori si sono guardati bene di indirizzare il film nella provincia calabrese e non andare a sfiorare la casta dei politici... non si ride di Berlusconi, né di Fini, né di D’Alema e nemmeno del cane di La Russa... questa è gente senza scrupoli, buona per tutte le stagioni della politica autoritaria, sono capaci di farti sparare in bocca se qualcuno attenta alla loro apparente dignità... tuttavia l’assenza di talento non giustifica tanta cretineria vezzeggiata, né l’abuso di una presunzione estetica che non c’è... basta cambiare mestiere... tutti i lavori sono buoni, e specie in Calabria la mafia sa come utilizzare a basto costo e con il fucile puntato ad altezza d’uomo i migranti d’ogni arte... proprio quella mafia che Qualunquemente assolve in piena regola... ci vuole coraggio a vedere per intero questo film... o una buona dose d’inedia o d’imbecillità.
Qualunquemente, va detto, esprime tutto il male del cinema d’intrattenimento italiano... il cinema è un’altra cosa... un film che vale — comico, drammatico, documentario — lega il piacere col dolore, la gioia con la malinconia, la bellezza con la verità... e si accorda con l’inguaribile epifania del meraviglioso che lo contiene... l’ammirazione e lo stupore della “Lanterna magica” abitano i nostri sogni e nel dispendio magnifico della sala buia ci restituiscono l’incanto di un’infanzia eidetica mai perduta. Il cinema non è altro che il linguaggio simbolico delle passioni o un dispositivo mercantile che uccide il ludico senza grazia. Il cinema o mostra l’innocenza del divenire o non è niente. Col cinema non si fanno le rivoluzioni, ma il cinema può contribuire a crescere uomini migliori!

26 volte gennaio 2011