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sabato 29 giugno 2024

AL AÑO DE LA MUERTE DE HUGO BLANCO

por Lucha Indígena


Hace un año, nuestro compañero Hugo Blanco decidió morirse. 
Con el cuerpo agotado por su incansable andar, aceptó la muerte con la misma valentía y naturalidad con que la había enfrentado tantas veces. 
Lo quiso matar el estado, el gran capital y también cada pequeño reyezuelo al que se enfrentó. Pero la gente le quería y le cuidaba. 
La madre tierra también lo quería y lo protegió en medio de la guerra contra los pueblos y sobrevivió siempre. 
Era terco Hugo y el 25 de junio quiso irse y se fue.

Quienes lo conocían lo vieron irse muchas veces.
Estaba sentado, tal vez en una plaza o comiendo en un mercado,
y se le acercaban para decirle,
“¿Es usted Hugo Blanco? En mi pueblo estamos luchando.”
Entonces sacaba su libretita, buscaba en su agenda
el día más próximo posible y para allá iba.
Sabía que su presencia daría fuerza y confianza.
Luego partía, hacia otra lucha local. La defensa de un río, de una laguna, de un bosque; la lucha por el acceso al agua, a la tierra.
No creía en partidos políticos, ni proyectos nacionales, ni grandes líderes.
“Ahora lucho por la Tierra con mayúsculas,
porque la humanidad no se extinga”, decía.
Era testarudo Hugo y tras conocer la experiencia de la lucha indígena
en toda el Abya Yala, el Kurdistán y el mundo,
no pensó nunca más en que hubiera otro camino para la humanidad
sino el que marcan los pueblos y las gentes arraigadas a un territorio.

Para entramar esas luchas y resistencias,
para visibilizar la gesta de los miles de pueblos y comunidades
que enfrentan el ataque del capitalismo contra la madre tierra
sobre sus propios ríos, sus propios campos, sus propios cuerpos;
Hugo fundó Lucha Indígena.
Hoy, al año de su muerte 
iniciamos una travesía que irá desde eso que llaman México hasta el Cusco, 
la tierra donde Hugo nació, nuestro territorio aún violentado,
con el mismo objetivo: recoger la voz colectiva de las hijas e hijos
de la madre tierra en resistencia contra la muerte y llevarla más allá,
a donde también luchan por la vida, por la humanidad y las generaciones futuras. 

Seguimos el camino recorrido por Hugo sobre este continente de maravillas atacado por la violencia de los ambiciosos, y lo hacemos de la mano y abrigados por la comunidad de pueblos, procesos, movimientos y resistencias, 
de luchadoras y luchadores que, como el mismo Hugo Blanco,
incansables e incorruptibles, creativas y resilientes,
son el espíritu y el corazón de esta humanidad.  

¡Tierra o muerte!
¡Venceremos!



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mercoledì 26 giugno 2024

LIBERTÀ PER LEONARD PELTIER





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domenica 23 giugno 2024

PUTIN: NUOVA CORSA AGLI ARMAMENTI

di Jurij Dunaev


Bilingue: ITALIANO - РУССКИЙ


Mentre completavamo questo articolo è giunta la notizia, dopo il viaggio in Corea del Nord e Vietnam che Putin intende rivedere la dottrina atomica russa, mettendosi sulla strada di una nuova corsa agli armamenti. Ciò conferma, nell’essenza, quanto scritto, anche se sarà indispensabile tornare su questa importante novità.

Nel primo week-end di giugno  a San Pietroburgo si è tenuto – organizzato dal governo russo – l’ “Eastern Economic Forum”. Il Forum è stata la celebrazione dello scampato pericolo in economia: malgrado la pioggia di sanzioni rovesciatesi sul Paese negli ultimi due anni e mezzo la Russia è ancora in piedi e la sua economia crescerà del 2,6% nel 2024.

Le ragioni di questo “miracolo” sono diverse. Potrebbero però essere sintetizzate in questo modo: 

1) La riduzione delle importazioni russe (dovute non solo alle sanzioni ma al cedimento delle catene della logistica) ha stimolato la produzione nazionale che ha potuto acquisire al contempo fette importanti del mercato interno.

2) L’alto livello dei prezzi del gas che ha pareggiato la riduzione al lumicino delle esportazioni verso i Paesi UE.

3) Il sostegno all’economia realizzato dal governo in presenza di un debito pubblico limitato che permette politiche di deficit-spending molto profonde. La spesa pubblica russa è a livelli senza precedenti e circa il 40% del bilancio statale viene speso per la guerra. Si prevede che la spesa militare totale raggiungerà più del 10% del PIL per l'anno 2023 (il dato del Regno Unito pe avere un raffronto è del 2,3%).

Tuttavia un ruolo fondamentale è stato giocato dall’espansione dell’economia di guerra, diventato un fattore di prima grandezza e permanente dell’economia russa. Ciò ha prodotto un circolo vizioso-virtuoso. La mobilitazione ha reso più cara la forza-lavoro, alzando i salari e l’inflazione oltre che la domanda mentre l’offerta di beni occidentali cresce senza trovare sbocchi significativi.  

Lo slogan – non ufficiale – della manifestazione di San Pietroburgo che si rincorreva di bocca in bocca era "Non esiste un'economia di successo senza un esercito di successo", ma i più accorti membri della nomenklatura hanno messo in rilievo i pericoli legati a una tale politica. 

I pregi dell’economia di guerra sono facilmente riassumibili nella sintesi “meno burro più cannoni”. L’industria bellica russa, secondo i dati forniti dallo stesso Putin qualche mese fa, impiega oggi 865.000 lavoratori che operano su impianti a ciclo continuo. Il taglio lineare dei comparti della sanità e dell’istruzione – assieme all’aumento del deficit di bilancio permettono al volano bellico di dare impulso a  una parte significativa dell’economia. Senza imporre delle analogie con altri fasi storiche e contesti diversi (su questo aspetto si legga l’interessante D.L. Robbins, «Nature of German Economy», in https://www.marxists.org/history/etol/newspape/ni/vol06/no07/robbins.htm) 

l’economia tedesca tra il 1938 e il 1944 (in miliardi di dollari del 1990) crebbe da 375 a 466 miliardi.  

Maksim Oreškin, il nuovo consigliere di Putin e già ministro allo sviluppo economico, ha ammonito: crescita non significa una buona qualità di vita in tutto il Paese. Ed è difficile contraddirlo: anche il PIL a parità di potere d’acquisto non prende realmente in considerazione la qualità dei beni e dei servizi. Inoltre, se la parità di potere d'acquisto viene utilizzata per giudicare non le dimensioni dell'economia, ma il tenore di vita dei suoi cittadini, i risultati della Russia saranno molto più modesti. In termini di PIL (PPP) pro capite, la Russia si colloca solo al 56° posto nel mondo.

In ultima analisi per l’economia russa anche in tempo di guerra resta aperta la falla della produttività del lavoro laddove lo sfruttamento delle risorse resta più estensivo che intensivo.  Si tratta di un limite già noto in epoca sovietica che Putin in un quarto di secolo di governo non è riuscito ad affrontare.

A cui si aggiunge la cronica mancanza di capitali. La vicenda siriana è stata paradigmatica. Dopo aver vinto la guerra, la Russia non è stata in grado di definire alcuna ricostruzione del Paese arabo. Putin a un certo punto chiese persino aiuto all’Unione Europea. In tal contesto la politica imperialistica russa è destinata a restare un elemento regionale. 

Paradossalmente quindi il problema principale dell'economia russa è la guerra stessa.

Per molto tempo, l'economia della Russia non è stata diversificata, basandosi molto sull'esportazione di risorse naturali come il petrolio e il gas. E uno dei motivi principali delle entrate relativamente elevate del governo russo oggi è proprio il fatto che la guerra ha portato a prezzi energetici elevati. 

Ciò può condurre a una sorta di economia di guerra permanente (“permanent war economy”) dove la Russia non è interessata neppure a vincere. Il costo della ricostruzione e del mantenimento della sicurezza in un'Ucraina conquistata sarebbe troppo alto mentre un “soft landing” con una ristrutturazione dell’industria bellica, potrebbe alimentare troppe tensioni interne. 

Uno stallo prolungato potrebbe essere l'unica soluzione per la Russia. Avendo trasformato la poca industria che aveva per concentrarsi sullo sforzo bellico, e con un problema di carenza di manodopera aggravato da centinaia di migliaia di vittime di guerra e da una massiccia fuga di cervelli, il Paese si trova nello stesso labirinto che l’aveva portata in guerra.

Trentacinque anni dopo la caduta del muro di Berlino, il confronto è diventato persino imbarazzante. La Russia, ricca di risorse, è molto più povera dei suoi vicini ex sovietici come Estonia, Lettonia, Polonia, che hanno perseguito la strada dell'integrazione europea.

Per questo al contrario di Chruščëv e di Gorbačëv, Putin non sembra avere alternative a un Paese orientato allo scontro, in Europa e nel mondo. Mentre completavamo questo articolo è giunta la notizia, dopo il viaggio in Corea del Nord e Vietnam, che Putin intende rivedere la dottrina atomica russa, mettendosi sulla strada di una nuova corsa agli armamenti. Ciò conferma, nell’essenza, quanto scritto, anche se sarà indispensabile tornare su questa importante novità.


РУССКИЙ

giovedì 20 giugno 2024

PRESENTAZIONE DI «LENIN E L’ANTIRIVOLUZIONE RUSSA»


Qui di seguito un nostro post del 2011, che il Circolo Matteotti di Sestri levante consiglia sul suo sito - https://circolo.noblogs.org - «per non arrivare “impreparati” al 22 Giugno!».

UTOPIA ROSSA E UN'IDEA NUOVA DI RIVOLUZIONE

di Roberto Massari

Il testo dell’intervista è comparso in appendice alla tesi di laurea di Michele Azzerri su Rivoluzione e internazionalismo discussa a luglio 2011 all’Università di Roma. Ringraziamo Azzerri per la gentile concessione e gli facciamo i nostri complimenti per l’impegno messo nella sua ricerca. [la Redazione]

Per iniziare, puoi presentarmi Utopia Rossa sotto il profilo nazionale e internazionale?

UR è un’associazione politica libertaria, di cui fanno parte al momento compagni e compagne di provenienza marxista, marxista libertaria, anarcocomunista, situazionista, trotskista, guevarista, leninista, femminista, sindacalista, cristiana e forse mi sfugge qualcosa. Ognuno è libero di mantenere la propria ideologia di provenienza e non è responsabile delle posizioni ideologiche altrui. Magari cerchiamo di fare in modo che ognuno si informi e si interessi agli aspetti positivi delle altre provenienze ideologiche. È quindi un’associazione non-ideologica (né tantomeno ideologizzata) nella quale non ci sono statuti, non ci sono congressi, dirigenti, gerarchie o apparati di sorta. Non c’è nemmeno obbligo di quote. A ben vedere non c’è obbligo di nulla, tranne il rispetto dei sei punti di principio rivoluzionari dei quali parleremo più avanti. In UR ci si sta perché si ha voglia di starci e ci si sta con i ritmi e nel modo in cui si ha voglia di starci, senza sacrifici, obblighi o complessi di colpa per «inattività».

domenica 16 giugno 2024

QUELQUES BRASSERIES AUTOGÉRÉES DANS L'ESPAGNE RÉVOLUTIONNAIRE DE 1936-1939

de Michel Antony


La guerre et la révolution espagnole (1936-1939) offrent la plus profonde expérience de démocratie directe libertaire de toute l'histoire sociale. Partout en Espagne restée républicaine (surtout la Catalogne et l’Aragon mais aussi le centre, la zone valencienne et murcienne, une partie de l’Andalousie et de la côte atlantique) fleurissent des milliers de collectivités et de centres plus ou moins acrates. La plupart des services, ateliers et entreprises sont réquisitionnés ou récupérés (incautación), et placés sous contrôle ouvrier et/ou syndical (sindicalización) ou purement et simplement autogérés (colectivización ce qu’on appellerait aujourd’hui autogestión) par leurs salariés. C’est particulièrement le cas en Catalogne où l’immense majorité des entités économiques, sociales et culturelles est en 1936 aux mains de leurs employés, sous le sigle des deux grandes centrales syndicales : d’abord la CNT – Confédération Nationale du Travail, syndicaliste-révolutionnaire à dominante anarchiste fondée en 1910 et qui est très largement majoritaire, et la socialisante UGT – Union Générale des Travailleurs, fondée en 1888.  

Le domaine brassicole n’est pas en reste, particulièrement les brasseries de Barcelona. Dans la capitale catalane c’est le cas d’une malterie, la Maltería La Moravia, et de 2 grandes brasseries CERVEZAS MORITZ et FÁBRICA DAMM : ces trois firmes fondent la Industria Maltera y Cervecera Sozializada. Elles sont particulièrement photographiées par Carlos PÉREZ DE ROSAS MASDEU (1893-1954) et/ou ses fils en 1937. Cet important reporter et photographe, d’origine droitière et bien malmené au début de la révolution, va pourtant avec ses deux fils, former un des groupes de photographes parmi les meilleurs de la révolution, auprès surtout de la CNT-FAI et de son service de la propagande, mais également au service du groupe anarcho-féministe Mujeres Libres. La plupart de ces photos socialement engagées n’ont été redécouvertes qu’en 2015. Dans la revue ¡¡Campo !! Organo del Comité Regional de Relaciones de Campesinos CNT-AIT (le numéro 1 sort à Barcelone le 6 février 1937), elles portent sur l’agriculture et le monde des paysans (campesinos).  Dans la revue Tierra y Libertad, organe principal de la FAI, les photos illustrent de nombreuses industries collectivisées (textile, transports, industrie alimentaire dont la brasserie) et s’intéressent précisément à ce regroupement économique d’un secteur clé.  Pour le mouvement libertaire, toute cette information illustre la rationalisation de l’économie libertaire et défend un fonctionnement unitaire qui s’oppose ainsi à la concurrence antérieure de l’économie de marché. 

Le numéro 37 de Tierra y Libertad du 09/10/1937 consacre sa page 6 au Sindicato de las industrias alimenticias CNT – Syndicat des industries de l’alimentation CNT. « Le secrétaire, le compagnon LÓPEZ, nous parle de l’œuvre réalisée et des plans pour le futur ». Le syndicat réorganisé après la révolution de juillet 1936 compte 11 sections effectives dont celle notée « Alcoholera y Cervecera » (secteur de la production d’alcools et de la brasserie). Il y a dans ce seul syndicat 45 000 syndiqués cénétistes. LÓPEZ est peut-être Andrès LÓPEZ AYESA (1906-1980), militant dans l’abattoir de Barcelone, membre du comité du Syndicat de l’alimentation, et exilé en France après 1939. Il évoque surtout l’industrie laitière, la plus collectivisée et la plus avancée, mais il met en avant pour la brasserie la belle réalisation du « salaire familial », donc salaire unique et ne faisant pas de différence homme-femme. Il rappelle les combats prioritaires pour la dignité ouvrière, l’éducation et la formation (bibliothèques, débats) et des conditions de travail plus ergonomiques et plus hygiéniques. Le bas de la page est un article sur La mujer en los sindicatos - La femme dans les syndicats de l’alimentation, mais les exemples sont tirés surtout de l’industrie laitière et des raffineries. Le mot d’ordre les concerne toutes cependant car « pour fournir la glorieuse armée du peuple, les femmes de toute l’Espagne travaillent activement. Ces volontaires de l’arrière-garde contribuent à la victoire avec leurs efforts journaliers sans mégotter sur les horaires ni attendre plus de récompenses que l’écrasement total et définitif du fascisme. À ces héroïnes de la nouvelle Espagne, filles de la révolution, les travailleurs du monde entier doivent exprimer leur gratitude ».

mercoledì 12 giugno 2024

SULLE ELEZIONI EUROPEE

di Piero Bernocchi


A mio parere, stanno circolando interpretazioni dei risultati delle elezioni europee decisamente affrettate e/o eccessivamente semplificatorie davanti ad una situazione che invece ha riservato anche sorprese non irrilevanti, che richiedono una lettura ponderata e approfondita, tanto più in presenza di alcune valutazioni del tutto ideologiche e strumentali, usate per dimostrare tesi che non hanno affatto ricevuto dalle elezioni una legittimazione acclarata, anzi, vi sono state per lo più smentite.

1) In primo luogo, bisogna intendersi sulla portata, qualità e quantità dell'avanzamento - ritenuto dai più il segno globale più rilevante di queste Europee - delle ultra-destre, e ancor più sui perché di tale eventuale avanzata. Innanzitutto, la quantità generale di tale crescita è decisamente inferiore alle previsioni dei più e, con l'eccezione francese, non appare perturbante degli equilibri politici europei. Certo, il giudizio è fortemente influenzato dal risultato francese e, seppur a mio avviso con una portata minore, da quello tedesco (l'AfD era già arrivato in precedenti elezioni nazionali al 14%, la notizia vera è il crollo dei partiti di governo). Ma, ragionando su scala europea globale, alla fin fine i due schieramenti dell'ultra-destra (ECR e ID) rispetto alle precedenti elezioni non registrano alcun avanzamento, anzi: nel 2019 ID ottenne 73 seggi e ECR 62, oggi c'è stato il sorpasso con ECR a 73 e ID a 58, ma nell'insieme addirittura 4 seggi in meno, anche se ci andrebbe sommato il numero di seggi della AFD tedesca, espulsa da ID; insomma, ben lontani dagli sfracelli che sembravano annunciare le trombe della destra estrema europea. Quindi, per quel che riguarda l'incidenza diretta sul Parlamento europeo (altro è ragionare sul peso che avrà una Francia nettamente orientata a destra, cosa che verificheremo nelle elezioni nazionali anticipate di fine giugno), essa, almeno sul piano numerico, appare pressoché irrilevante. Le tre componenti della cosiddetta "maggioranza Ursula" superano i 400 seggi e possono gestire il Parlamento più o meno come fatto finora, e persino ottenere un seppur complicato appoggio esterno da parte di ECR o dalla parte di essa più "fedele" a Meloni.

2) In ogni caso, al di là del peso specifico di tale avanzata a destra, nel merito delle motivazioni che avrebbero determinato tale crescita, sta circolando un dato di analisi che è al contempo superficiale e strumentale (oltre che sponsorizzato dai propagandisti russi ed europei di Putin): e cioè che ha perso chi ha sostenuto la difesa dell'Ucraina e hanno vinto i partiti "pacifisti" e/o anti-Ucraina. In realtà, guardando i dati principali, si nota che casomai è successo quasi sempre il contrario. Poiché il dito accusatorio è puntato (con i putiniani in prima fila) contro Macron e Scholz, sarà bene sottolineare come in realtà nessuno dei due abbia perso (perlomeno, non soprattutto) per aver sostenuto l'Ucraina. Macron da tempo era crollato nel sostegno popolare, e non già per la posizione sull'Ucraina (anche se le sue ultime uscite sono state decisamente insopportabili) ma per la sua politica economica anti-sociale, che ha avuto il culmine nell'imposizione dello sciagurato "pacchetto" pensionistico. Da tempo Macron era sceso ben sotto il 20% nei sondaggi: e tra le motivazioni di tale crollo le questioni economico/sociali sono sempre state dirimenti. Senza contare poi che, per più di un anno, Macron si è distinto nel panorama europeo per la volontà di dialogo, a volte persino ridicola, con Putin. Qualcosa di simile si può dire di Scholz: grande incapacità gestionale dal punto di vista delle politiche economiche e sociali e peraltro grande indecisione e confusione anche sul sostegno all'Ucraina, offerto in modo altalenante e a corrente alternata.

3) Poi, uscendo dal binomio Francia-Germania, va segnalato come la gran parte dell'ultradestra non si sia affatto giocata la carta del pacifismo, né dato centralità alle guerre in corso. Le Pen e Bardella hanno parlato il meno possibile di guerra, di Ucraina e Russia (stante pure la cattiva coscienza per il passato sostegno a Putin) o di Palestina e Israele; lo stesso ha fatto Vox in Spagna e gli austriaci del FPOE. E, per quel che riguarda l'Italia, Meloni è stata addirittura la più strenua sostenitrice (con ben più continuità e decisione di Macron e Scholz) dell'Ucraina e di Israele ed è stata premiata con una avanzata di tre punti percentuali rispetto alle politiche, da tutti i commentatori imprevista e, unico caso europeo di un partito al governo, dopo aver dovuto navigare per quasi due anni in mezzo ad una fase tempestosa, dovendo tamponare in continuazione la catena di autogol del suo miserabile e cialtronesco entourage; e analogo successo, seppur numericamente più contenuto, è spettato alla Forza Italia di Tajani, in primissima fila nell'impegno italiano a favore dell'Ucraina; mentre Salvini, che si è giocato pesantemente la carta "pacifista", è stato salvato dall'incredibile Vannacci che con i sui 530 mila voti (sui due milioni totali di votanti per la Lega) gli ha evitato la catastrofe di un 6-7% finale. Se poi guardiamo nel campo "pacifista" di centrosinistra (non riesco a considerare di sinistra il M5S), vediamo che l'ultra-"pacifinto" Conte ha registrato la più netta sconfitta tra i partiti italiani, perdendo più del 30% rispetto alle politiche e ai sondaggi pre-voto; mentre Santoro, che ha condotto una campagna elettorale parlando solo di "pace", e imbarcando una caterva di putiniani e odiatori dell'Ucraina, ha preso la solita batosta che queste liste improvvisate a pochi mesi dalle elezioni (a cui puntualmente dà, con pervicacia inusitata, il sangue il PRC, dovendosi pure nascondere come tale, di solito, mentre raccoglie le firme per tutti/e) ricevono puntualmente, bloccandosi su un povero 2%, malgrado la acclarata notorietà ed esposizione mediatica del megalomane ed autocentrato ex-protagonista pluridecennale dei talk show. E persino nel PD, peraltro comunque impegnato nel sostegno bellico all'Ucraina, a prendere i voti seri ci hanno pensato i Decaro, i Bonaccini, i Nardella, i Ricci, i Gori (e alcuni di loro come Decaro, più di 500 mila, o Bonaccini, circa 400 mila, con preferenze nettamente superiori a quelle della Schlein) mentre l'ultra-"pacifista" dell'ultima ora, Tarquinio, che chiedeva persino lo scioglimento della Nato, ha ricevuto ben pochi consensi ed è stato eletto per poche decine di voti in più della Morani. Non cito AVS perchè mi pare acclarato che il salto quantitativo non sia dipeso dalle posizioni sulla guerra ma da un fattore fino a ieri imprevedibile, e cioè la capacità di Nicola Fratoianni (ex-giovanotto già sveglio all'inizio del secolo, quando fu l'unico della "nidiata" bertinottiana nel movimento no-global a capire come muoversi nella politique politicienne) di cogliere al volo la straordinaria risorsa Salis (175 mila preferenze) e quella, certo minore ma sempre di rilievo, di Mimmo Lucano, (con un buon 30% di voti ad personam per i due, sul totale del 6,7%), arrivati sia dal M5S sia da giovani al primo voto e pure dal tradizionale astensionismo di tanta parte della "compagneria storica". Ultimo dato chiarificatore in questo senso è il risultato francese a sinistra. Il sorprendente Glucksmann (figlio del noto "ex-nouveau philosophe" d'antan), che ha fatto resuscitare il partito socialista, ha tenuto una linea filoucraina costante e, pur attaccando Netanyahu, ha riservato analoghi attacchi ad Hamas, all'islamismo jihadista e ai dittatori iraniani. E pur "assaltato" frontalmente da Melanchon, che gli ha dedicato una campagna elettorale ostile ad personam, tacciandolo di "guerrafondaio" e "sionista", ha raggiunto un sorprendente 14%, lasciando al palo Melanchon, ostile al sostegno all'Ucraina e assai indulgente nei confronti dell'islamismo radicale, il quale, con la sua France insoumise, ha superato di poco la metà dei voti del PS (circa l'8%). E infine, se serve un dato matematico che dovrebbe chiudere l'argomento, basta un calcolo elementare  sui seggi del nuovo Parlamento europeo: i gruppi parlamentari che sostengono l'Ucraina e si oppongono all'invasione russa sono il PPE (191 seggi), Socialisti e Democratici (135 seggi), Renew (83 seggi), Verdi (53 seggi), ECR (71 seggi), per un totale di 533 seggi su 720. Insomma, non pare che Putin abbia troppo da festeggiare per il tonfo di Macron e Scholz.

4) Un' altra vistosa sorpresa - a mio giudizio in prospettiva, e per le conseguenze che potrà avere, forse persino la maggiore di queste elezioni - assai poco considerata nei primi commenti, forse per imbarazzo dopo un triennio di esaltazione del climatismo "millenarista" alla Greta Thumberg, è stata quella di dover verificare come le questioni climatiche-ambientali, che avrebbero dovuto favorire una significativa ascesa verde, abbiano invece avuto per lo più effetto contrario. Quello che davvero in pochissimi avevano notato fino a ieri è che gran parte della destra europea come argomento-chiave in queste elezioni, dopo il sovranismo e gli allarmi securitari e antimigranti, ha dato massimo rilievo all'opposizione al "green deal" e cioè ad una forte messa in discussione di una trasformazione energetica accusata di imporre altissimi costi e una forte ricaduta depressiva sugli equilibri industriali e sociali. In altri termini, la destra radicale si è schierata quasi ovunque per bloccare significative trasformazioni in materia di approvvigionamento energetico, di fonti rinnovabili e di prezzi, considerati troppo onerosi, da pagare per varie categorie industriali e sociali: più o meno quello che Trump sta predicando da anni e che sarà uno dei principali cavalli di battaglia della sua campagna elettorale per novembre. Ebbene, tale propaganda ha pagato a destra, mentre ha penalizzato in maniera sorprendente i Verdi a livello europeo, il cui gruppo a Bruxelles registra una perdita netta di 20 seggi, circa il 25%.

5) E veniamo al voto in  Italia. A vincere nettamente (a parte l'exploit circostanziato di AVS) sono stati i due partiti maggiori, che riavviano una sorta di neo-bipolarismo (seppur con un polo ben assestato a destra e un altro ancora assai aleatorio a sinistra). FdI, che guadagna 3 punti rispetto alle elezioni nazionali, è una sorpresa, sia perché nessun partito che ha governato in questi anni in Europa è avanzato, sia per i tanti incidenti di percorso che la feccia che circonda Meloni ha messo sulla groppa della leader, che pur tuttavia ha tenuto pressochè da sola, pur penalizzata dalla sciagurata genia fascistoide di cui si è circondata. La giovanotta ha indubbia abilità dialettica e solido mestiere politicante, sa diveggiare e gestire ogni strumento comunicativo; e tutto ciò le deriva, a mio parere, da qualcosa che nessuno/a dei suoi competitor possiede: cioè, l'esperienza di chi fa, dall'età di 14 anni, politica nei movimenti e organizzazioni di estrema destra, con l'allenamento alla piazza, al dialogo continuo con pezzi di società, oltre ad un talento istrionico naturale che è andata via via affinando. Abilità che personalmente non vedo in Schlein, l'altra vincitrice con il PD di queste elezioni italiche, che però ha avuto il merito di tenere tutti insieme i pezzi del "puzzle PD", non dando seguito alle "sparate" iniziali contro quelli che chiamava i "cacicchi" del PD e che annunciava di voler emarginare. Salvo poi venir costretta a capire che la vera forza del PD, che lo rende partito governativo di fatto, è proprio quella rete fittissima di amministratori locali, comunali e regionali che al dunque, se ben motivati, portano voti a valanga non solo a livello locale ma anche a livello nazionale: con un Decaro che spopola a Sud con il suo bottino di mezzo milione di voti (più del doppio di Schlein che per giunta gareggiava in due circoscrizioni) o Bonaccini con i suoi 400 mila voti, sempre in una sola circoscrizione, e gli altri già citati, tutti sopra le duecentomila preferenze. In quanto a Salvini, è l'altro sconfitto sostanziale, oltre Conte, tra i partiti maggiori. Certo, ha salvato per ora la pelle, ma solo massacrando la sua base strutturale, quella nordico-autonomista che aveva prodotto anch'essa uno stuolo di amministratori non irrilevante, e che ha pagato pesantemente l'aperta scelta fascistoide di quel Vannacci che di suo ha preso più di un quarto dei voti della Lega ma annichilendo i nordisti della Lega storica bossiana: al punto che il Veneto, regno storico leghista, ha prodotto la più grande avanzata di sempre di FdI, con i meloniani che hanno sfondato la barriera del 37%, riducendo ai minimi termini la "Lega degli amministratori".

6) Degli altri sconfitti minori, dei "due capponi di Renzo", come qualcuno li ha brillantemente definiti, visto che hanno continuato a beccarsi per tutta la campagna elettorale e non hanno smesso manco dopo, cioè Renzi e Calenda, non varrebbe la pena manco parlare, se non - oltre che per esternare il nostro disprezzo per i due più megalomani, narcisisti e solipsisti personaggi della politica italiana - per aggiungere che la loro miserabile "figuretta" e il loro auto-massacro dovrebbero ricevere gli omaggi e i ringraziamenti di Tajani che, grazie ai due sciagurati che gli hanno sgomberato il campo centrista autoannullandosi, ha ridato vita, anche qui a sorpresa, ad una Forza Italia che sembrava defunta con il suo fondatore. FI diviene così, anche grazie allo scavalco della Lega, forza stabilizzante del governo Meloni che, sull'onda di un quasi 48% globale (4,5 punti in più rispetto alle politiche) si candida a durare, salvo clamorosi imprevisti, fino al termine della legislatura, data la permanente frammentazione delle opposizioni che il successo del PD non credo basterà a colmare, almeno a livello nazionale. Resta da dire di AVS. L'exploit europeo, come altri casi del passato di voto di opinione alle Europee, potrebbe rimanere circoscritto e non dare effetti significativi a livello nazionale, oppure fare da starter per un ruolo significativo nella politica italiana. Spetterà alla coppia Fratoianni- Bonelli (definita sovente del "gatto e la volpe", laddove però è piuttosto il primo ad aver già dato, fin dalla militanza nel movimento no-global di inizio secolo, prova della propria abilità manovriera) dimostrare di aver forza e progetto strategici, oltre che buone trovate tattiche, evitando di venir cooptati come ruota di scorta del PD, ma soprattutto dotandosi di strutture locali forti e significative e di una presenza costante nei movimenti e nelle lotte sociali e sindacali (e ivi, magari evitando, o almeno ridimensionando, l'evidente collateralismo attuale con la Cgil).

Piero Bernocchi


p.s. non ho dedicato rilievo ad una fatto comunque "storico", la prevalenza, per la prima volta nella storia delle elezioni nazionali italiane, dell'astensionismo che ha battuto la partecipazione elettorale: ben 26 milioni e trecentomila italiani/e non sono andati a votare (il 51% circa). Pur essendo il sottoscritto un militante politico e sindacale con circa 58 anni di, spero rispettabile, impegno sociale globale e permanente, nazionale e internazionale, innumerevoli volte mi sono astenuto alle elezioni politiche. Pur tuttavia, non ho dato mai all'astensione (anzi ho scritto un saggio contro questa visione illusoria delle elezioni , che si può leggere nel mio sito www.pierobernocchi.it) valenza salvifica o progressista, tanto meno in Italia dove i partiti hanno imparato da tempo a scrollare le spalle di fronte a cifre di astensione persino così abnormi, continuando tranquillamente per la propria strada. Resta il fatto però che, seppur ininfluente sui comportamenti dei singoli partiti, è fuor di dubbio che il fatto di verificare, come politica istituzionale, il distacco dal voto del 51% della popolazione, fottendosene poi alla grande, getta un vistoso discredito sulla democrazia liberale e agevola indubbiamente la propaganda dei regimi illiberali, autoritari o apertamente dittatoriali nei confronti di quella che avranno sempre più credito a definire "democrazia illusoria e non sostanziale", per la quale, dunque, non varrebbe manco la pena di battersi in sua difesa.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

lunedì 10 giugno 2024

ZIONISM/ANTI-ZIONISM

and the penetration of Jihadist Islamism in the wealthiest US and European universities

by Piero Bernocchi


BILINGUE: ENGLISH - ITALIANO


Frankly, some themes and issues in today's national and international debate regarding the Israeli-Palestinian war do not captivate me. I find them entirely "inextricable" and consider their hypothetical resolution unnecessary: for example, the fierce dispute over what Zionism has been and currently is. It's certainly a complex discussion, academically fertile, given that there are dozens of books, more or less interesting or "decisive," on the subject. However, it is utterly unproductive, as it should be common knowledge that there was a "left-wing" Zionism (summarized by the "socialist" kibbutzim) and an opposite, fascist-like one, particularly highlighted in recent months by Netanyahu and the thugs even to his right. Neither variant can claim the copyright on the term. Likewise, it seems unprofitable to discuss the opposite term, anti-Zionism, as it is equally evident from global events that there are "genuine" anti-Zionists who are not anti-Jewish, and fake anti-Zionists (of which there are many in the world recently, often unsuspected until recently) who use the term to mask their outright anti-Jewish hatred.


Another discussion that seems entirely academic and resolves nothing is the one about the "historical right of return" of Jews to Palestine. If approached on the level of epochal discourse, the problem appears intricate and complex: historical excursions attempted on this topic in recent months have only demonstrated the elusiveness and fundamental "non-decisiveness" of any argument. However, in my humble opinion, it is mainly a useless debate because Israel's legitimacy as a State did not come from "past historical merits," i.e., based on what happened a couple of thousand years ago, but from a United Nations resolution that overwhelmingly decided that part of Palestine should become the State of Israel. To exemplify the level of universal consensus obtained on this decision, the first two countries to recognize the Israeli State were the USA and the USSR, despite being globally hostile to each other: the Soviet Union even sent weapons when, in 1948, the Arab states that did not accept the UN decision waged war against Israel. The UN and almost all the nations of the time did not do this because they were inspired by the Old Testament but because not only the West but almost the entire world knew that the Holocaust was perpetrated by the Germans, but anti-Judaism had infected almost every country for many centuries, and the Holocaust was ultimately the sum and horrendous "apotheosis" of this. Thus, assigning a nation to the Jews, who never had one (and were historically accused of not identifying with any nation), was an attempt to erase a centuries-old and universal sense of guilt: and they certainly could not place a Jewish nation in Bavaria or the Rhineland or Saxony, i.e., in the home of their greatest massacres. In short, the choice of Palestine was not due to the collective acceptance of the Old Testament as historical truth but simply because there was no Palestinian State at the time, the Arabs in those areas were divided into small communities with different ethnicities or customs, and the neighboring Arab States had no intention of allowing the creation of a Palestinian State, each intending to take a piece of that land: so much so that in 1948 they opened hostilities against the newborn State.


But beyond these general considerations, the further and predominant reason why I dedicate little or no interest to all this is that what concerns me most here and now is what can be effectively intervened upon, particularly the issue that currently seems the real wound on the left (which is certainly not the lack of pro-Palestinian mobilization, which is indeed decidedly adequate, unprecedented, and unmatched for the Kurds, Syrians, against Erdogan, or the Iranian executioners, etc.): that is, the progressive penetration of Jihadist Islamism (which, simplifying, we can translate as "Islamism of the Holy War") on the left (no matter how you mean it) internationally, starting from the United States and its most prestigious and wealthiest universities. I have already written several articles on this topic recently, and the most recent and comprehensive one was published a few days ago on my website (Islamist Propaganda in Universities and Islamophilia: www.pierobernocchi.it).


However, enhancing these concerns of mine in the past week and motivating this new writing, were the words (published on his X, formerly Twitter, account) of Ali Khamenei, the self-declared Supreme Leader of Iran, addressed to the students of the most famous and wealthy US universities last week: "Dear university students in the United States of America, this message is an expression of our empathy and solidarity with you. You are on the right side of history, you have formed a new branch of the Resistance Front, you have started an honorable struggle against the ruthless repression of your government that openly supports the Zionists... My advice to you is to become familiar with the Quran." Plain and simple: clearer than that?! Imagine how much this commonality of intent between the number one Iranian executioner and the US students cheering for Hamas and its sponsors could have pleased an Iranian student hearing about "ruthless repression" on US campuses after seeing the truly ruthless and horrifying repression of hundreds of his colleagues massacred, tortured, and hanged from cranes for peacefully protesting against the monstrous dictatorship of the ayatollahs; or a young woman who saw many of her peers meet the same fate for not wearing the veil or not wearing it correctly; or a gay, lesbian, or trans person who remembers how many from their communities were literally torn to pieces in recent years for their sexual and affectionate preferences. Yet, from the Ivy League universities, there has been not a line or a breath to send back the "solidarity and empathy" of such a global executioner, almost as if, indeed, the students in struggle received encouragement and appreciation from a world political leader of high and universally recognized political, intellectual, and moral stature. Thus, he can legitimately hope that the "familiarity with the Quran" by the future leadership of US society will provide even greater satisfaction to the monstrous Iranian theocracy and its "subordinates" around the world.


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mercoledì 5 giugno 2024

APPEAL FROM RUSSIAN COMRADES

by Jurij Dunaev


ENGLISH - ITALIANO - РУССКИЙ


Dear comrades, please spread this text, written by Russian comrades and friends, enemies of the Putin regime. Jurij Dunaev.

 

Dear European comrades and friends,

this note is the result of discussion among Russian activists of socialist, social-democratic, liberal-democratic, communist-democratic orientation in Moscow. In a few days we know that you will be called to vote in the European elections. You are lucky. In spite of all the limitations that even we know, it is possible for you to choose from different orientations and positions. As far as we are concerned, we hope that the democratic and leftist forces that have unhesitatingly championed the cause of Ukrainian independence and freedom and against Russian imperialism will be able to achieve a significant result. It will help in our battle for democracy in Russia and against the Putin regime.


We are well aware that there are so-called “pacifist” positions in Europe that would like an end to the war at “any cost,” even at the cost of Ukrainian territorial cessions and a victory for Russia. For us these are unacceptable positions. As Comrade Boris Kagarlitsky, who is in jail today for his opposition to the war, put it, “This is an unacceptable position for us because it would strengthen the regime and make the chances for change in Russia much more distant.” These are not “pacifist” positions but openly flirt with those reactionary and conservative forces that we find in both the European right and left.


The road to a revival of ideas of progress is long across Europe. Let us hope that on June 8-9 a positive signal will come from the European Community.  



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