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sabato 26 giugno 2021

SULLA PALESTINA

di Piero Bernocchi


I palestinesi sono sottomessi a Israele ma anche ad Hamas e all’Anp. 

Come uscirne?

 

Durante l’esplosione del conflitto israelo-palestinese delle settimane scorse, sia a ridosso del lancio di razzi da parte di Hamas su Israele sia durante i ben più micidiali e spietati bombardamenti israeliani su Gaza, e successivamente, quando al momento della tregua Hamas ha festeggiato una sua presunta vittoria (non nei confronti di Israele ovviamente, ma dell’Anp, l’Autorità nazionale palestinese di Fatah, sua dichiarata rivale) malgrado le centinaia di vittime palestinesi, mi sono interrogato, per l’ennesima volta in questi anni, sulla sensatezza della posizione che la sinistra antagonista e antimperialista italiana (e internazionale) ha tradizionalmente sostenuto sul conflitto tra Israele e i palestinesi, oscillante tra le velleità di distruzione di Israele e la fragile teoria dei “due popoli e due Stati”. Arrivando, dopo tanti anni di iniziative a fianco del popolo palestinese, a conclusioni non ortodosse e anzi decisamente controcorrente, che avanzo senza fanfare o granitiche convinzioni ma con un ragionevole margine di dubbio, a cui gli auspicabili feedback di chi vorrà interloquire daranno, spero, un valido contributo in un senso o nel’altro.


Tre storie

 

Per introdurre il cuore delle mie attuali riflessioni e prime conclusioni in materia, farò ricorso a tre storie, apparentemente non collegate, due delle quali credo poco note a gran parte di chi leggerà, mentre la terza si sta svolgendo in questi giorni e invece è certamente in buona parte conosciuta dai più. La prima storia l’ho ricavata da un recente libro di Matti Friedman - un giornalista piuttosto famoso che scrive per molti giornali a diffusione internazionale, a partire dal New York Times - dal titolo Spie di nessun paese. Le vite segrete alle origini di Israele: testo che non mi avrebbe mai interessato se non svelasse le identità di personaggi significativi nell’affermazione dello Stato israeliano e con esse illuminasse un aspetto assai rilevante delle caratteristiche etniche di una parte corposa del popolo di Israele. Scrive Friedman:

giovedì 24 giugno 2021

ARTURO SCHWARZ, HASTA SIEMPRE...

di Roberto Massari

Se solicitan gentilmente traducciones en otros idiomas/ Translations in other languages are kindly requested

Arturo Schwarz ci ha lasciato il 23 giugno all’età di 97 anni.
D’ora in poi saremo tutti un po’ più soli sul terreno culturale e rossoutopico. Ma il patrimonio che egli ci lascia sopravviverà a lui e alle generazioni future.

Ebreo del Cairo (dov’era nato nel 1924), fu tra i costruttori della sezione egiziana della Quarta internazionale, pagando di persona alti prezzi alle autorità militari britanniche (prigionia, torture, internamento e finalmente espulsione verso l’Italia). Nel nostro Paese militò nella sezione italiana della Quarta (i Gcr), dalla quale uscì per divergenze sull’orientamento politico.
Munito di doppia laurea (Sorbona e Oxford) diede vita nel 1952 alla celebre casa editrice «Schwarz» che rappresentò la prima vera fucina editoriale del pensiero d’avanguardia in questo Paese dilaniato tra due potentissime fonti di arretratezza culturale: la Chiesa cattolica e il togliattismo. E fu proprio Togliatti che riuscì a far chiudere questa eroica casa editrice che, per gli italiani reduci dal fascismo, pubblicava Breton, Trotsky, Naville, Nadeau, il primo Giorgio Galli e altri esponenti del pensiero antistaliniano, o poeti come Luzi, Merini, Quasimodo… La chiusura fu realizzata facendogli togliere il credito bancario (in qualche modo entrò nella congiura anche la Lega delle cooperative).
Eppure la corrente editoriale rappresentata da Schwarz non morì e rinacque sotto non tanto mentite spoglie con la Samonà & Savelli, che a sua volta fece da madrina all’attuale Massari editore.
Schwarz-Savelli-Massari, una linea di continuità editoriale che vive ed è proiettata nel futuro, a differenza del moribondo togliattismo (vecchio e nuovo) e degli ostacoli che la Chiesa incontra in campo culturale. Questa linea di contiinuità fa ben sperare per il futuro del pensiero razionale e rossoutopico e una parte del merito dovrà sempre essere riconosciuto a chi ha aperto la strada, cioè ad Arturo Schwarz.
Verso la fine degli anni ’50, Arturo abbandonò la Quarta, ma la sua ammirazione per Trotsky continuò sino alla fine dei suoi giorni. Suo è il bel libro sull’amicizia fra  Breton e Trotsky, tradotto in più lingue, che dal 1997 è nel catalogo della Massari editore, insieme con il suo L’avventura surrealista. Amore e rivoluzione, anche (a sua volta del 1997).
A un certo punto Arturo si definì anarchico e credo che lo sia stato profondamente, nel senso migliore del termine. E infine sionista, anche questo nel senso migliore del termine, secondo un iter attraversato da molti altri esponenti dell’intelligentsia ebraica di sinistra o comunista, sempre comunque internazionalista.

Era un convinto e commosso ammiratore della nuova cultura israeliana ma anche, come mi confessò una volta, dell’accoglienza che la sua personalità culturale aveva in quel Paese, dove lo facevano addirittura insegnare all’università, mentre in Italia continuavano l’ostracismo o il silenzio nei suoi confronti.
Non si faccia caso alle commemorazioni ipocrite che si leggeranno nei prossimi giorni, perché Arturo è rimasto sostanzialmente un emarginato sulla scena culturale italiana, nonostante il suo grande prestigio a livello internazionale. Più che il suo trotsko-anarco-sionismo, non gli è mai stato perdonato il suo precoce e duraturo antitogliattismo: proprio questo tratto culturale che deve restare come un suo titolo di grande merito, indipendentemente da altre considerazioni politiche.

Si tenga conto che grazie alla sua pionieristica opera di collezionista e ai suoi studi sull’arte d’avanguardia, Schwarz aveva aperto una galleria a Milano, nella quale aveva raccolto un’enorme quantità di pezzi del dadaismo e del surrealismo di tutto il mondo, ma che portavano a volte le firme prestigiose di Duchamp (il più rappresentato), Tzara, Ray, e dello stesso Breton (un suo collage ebbi modo di vederlo nella sua casa museo di via Giuriati a Milano e l’ho poi adottato - su riproduzione datami da Arturo - come copertina del libro di Breton, Entretiens, altro capolavoro dell’editore Schwarz trasmigrato nella Massari editore).
Arturo è stato considerato uno dei massimi studiosi del dadaismo e del surrealismo, e non c’è stata praticamente nessuna grande mostra su questi temi (dagli Usa, alla Francia, all’Italia, a Israele ecc.) che non si sia avvalsa dei suoi prestiti e della sua consulenza, sia per l’allestimento, sia per il catalogo.
A un certo punto Arturo decise di donare una parte della sua grande collezione all’immeritevole Galleria d’Arte moderna di Roma (ormai degenerata a livelli impensabili per chi in quel Museo ha imparato a conoscere e amare l’arte del Novecento). Ma a me disse che quella donazione all’Italia la faceva soprattutto per superare gli ostacoli giuridici alla donazione più grande e corposa che riuscì a fare nel 2000 per il Museo di Tel Aviv.

Arturo scrisse molti libri. Io stesso vado accumulando da anni alcuni suoi testi (inclusa la conversazione con Marcuse) che mi permetteranno di includerlo ben presto nella collana degli «eretici e/o sovversivi», nella speranza che qualche studioso rediga una sua affascinante biografia. Scrisse di alchimia, di misticismo ebraico e orientale, scrisse poesie e scrisse di donne, da lui amate nella concretezza corporea, ma anche in una sorta di fantasiosa proiezione ideale. 
E amò molto se stesso, e a tale riguardo non fu mai ipocrita o modesto. Chi lo ha frequentato, sa che ebbe un carattere  brusco, imprevedibile e a volte intrattabile. Io che sono riuscito miracolosamente a restargli  amico (nonostante un diverbio che avemmo per una questione di dettaglio dopo gli indimenticabili incontri avvenuti nella villa/antico convento «incantato» nei pressi di Badia al Pino [Arezzo] ) posso assicurare che era questo il suo modo di difendersi dalla più infida minaccia per un uomo della sua celebrità internazionale: la discesa nella banalità, il cedimento alla società dello spettacolo. E per questo grande e anomalo intellettuale morto quasi centenario, possiamo dire che almeno lui ce l’ha fatta a vincere la battaglia più difficile.
Hasta siempre, Arturo... 


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

martedì 22 giugno 2021

NICARAGUA, OTRO ZARPAZO Y... ¿OTRO SILENCIO?


Es difícil saber si Daniel Ortega se enfermó por el poder o está enfermo por mantener el poder o ambas cosas, pero esto –ahora y a efectos prácticos- no importa. Lo cierto es que un hombre que en su historia registra hechos loables (como su participación en la lucha antisomocista o cuando, aceptando su derrota electoral de 1990, entregó –como corresponde- la presidencia a su sucesora, Violeta Barrios de Chamorro, de la alianza opositora), se ha transformado en un presidente autócrata y autoritario, aliado hasta hace poco, a las grandes fortunas (Consejo Superior de la Empresa Privada – Cosep- mediante) capaz de reprimir sin piedad a su pueblo junto al cual no supo, quiso o pudo, construir calidad de vida ni una institucionalidad democrática, transparente, que le permitiera realizar, en libertad, pacíficamente su destino.

Visto desde nuestras latitudes los sucesos actuales pueden parecer una inesperada “caída al abismo”, sin embargo no lo es. Ortega y el sector del Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN) que lo sigue, fueron transitando un largo proceso de deterioro que registra episodios de corrupción, abandono de principios, enriquecimiento ilícito, maniobras y acomodos junto con la peor derecha, destinados a amasar fortunas y a perpetuarse en el poder. Todo esto fue pasando, para la mayoría de nosotros que lo observamos desde la lejanía poco informada, bastante inadvertido. No obstante había hechos contundentes que sí se conocían, entre otros:

- su enorme enriquecimiento a partir de 1990 y más aún desde su vuelta al poder en 2007 en una fórmula cuyo candidato a la vicepresidencia era un banquero vinculado a la “contra”;

domenica 13 giugno 2021

Lo público: malo, lo privado: bueno. ¿Quién dijo tamaña estupidez?

por Marcelo Colussi

 

Desde hace ya algunas décadas, aproximadamente alrededor de los 70/80 del siglo pasado, es decir: desde que se instaló en todo el mundo la ideología neoliberal, hoy día entronizada globalmente con fuerza apabullante, todo lo que sea público pasó a ser sinónimo de malo, deficiente, corrupto, incapaz, paquidérmico. Junto a ello, lo privado se exhibe como super eficiente, rápido, de alta calidad. 

 

Las generaciones crecidas en este caldo de cultivo identifican sin más "Estado" con "despilfarro y corrupción, ineficiencia y burocratismo extremo". Idea, por cierto, que es muy difícil de criticar, dado que la experiencia empírica confronta por todos lados con esa realidad: los servicios públicos son deficientes. ¿Quién podría negarlo acaso? La realidad pintada por Franz Kafka hace un siglo -la lentitud enfermante y los laberínticos procesos que se hacen interminables- son la moneda corriente en cualquier trámite en una oficina pública. 

 

¡¡Pero hay ahí una falacia bien montada!! Si se quiere ejemplificar: Chile era el modelo por antonomasia de "eficiencia" privatizadora. Allí, supuestamente, las privatizaciones que impulsó la sangrienta dictadura del general Augusto Pinochet convirtieron al país en un "modelo de éxito" (con Milton Friedman en persona supervisando las políticas fondomonetaristas). Según repetía insistente la corporación mediática internacional, la nación trasandina había entrado ya en el selecto club del Primer Mundo. La experiencia del 2019, con formidables explosiones populares que demandaron el final de los planes neoliberales, vinieron a demostrar que todo eso era un repugnante engaño, una monstruosa campaña de desinformación mediática. Hace años que esa machacona prédica privatista neoliberal nos inunda, habiendo convertido lo estatal en sinónimo de fracaso. Pero no es así. Si lo público quiere funcionar, si quienes deciden la marcha de las cosas (los grandes capitales, tanto en lo interno de cada país como a nivel planetario), desean que el Estado funcione, pues funciona.

martedì 8 giugno 2021

WE ALL HAVE THE RIGHT TO LIFE

No one has the power to violate it

by Riccardo Petrella
ENGLISH - FRANÇAIS - ITALIANO

A. The unacceptable
1. Patents

The Agora of the Inhabitants of the Earth has always contested the legitimacy of the World Trade Organization (WTO), a separate and independent organization from the UN, to decide the world rules in the field of health, instead of the UN and, in particular, the WHO (World Health Organization, a specialized agency of the UN). The WTO is the place where the rules of trade, imposed by the most powerful economies of the planet, reign in the financial interests and the economic domination of the world's oligarchies.

These rules, in particular through the patents, give profit-making private subjects the exclusive right of ownership and use for 20 years of knowledge about living organisms (cells, molecules, genes, etc.). Since their imposition in 1994, they have prevented the development and fair and equal use of medicines and vaccines against pandemics such as Ebola, influenza A (H1N1) and AIDS. Millions of people have died unduly or suffered severely in human and social terms, not to mention the millions more who die each year from diseases related to the lack of safe drinking water and poor sanitation due to impoverishment. Even today, almost half of the world's population is not guaranteed basic health coverage. In the meantime, the private (Western!) global pharmaceutical industry has only accumulated profits, wealth and power. Unacceptable. 

2. Testing and experimentation

We denounce the politically, economically and socially irresponsible behaviour of the managers/owners of the pharmaceutical companies that hold the patents on life (and on artificial intelligence). They know that almost all the costs of R&D, testing and experimentation, as well as the production and distribution of vaccines and other medical devices against Covid-19, have been paid for by the state budget, public money, among others through the guaranteed public advanced market commitments of billions of doses.

domenica 6 giugno 2021

POR UN CHILE POSIBLE, VER CRECER LA HIERBA

por Tito Alvarado

Algo tremendo ha acontecido en la pasada elección, los electores tuvieron que tomar cuatro decisiones con resultados sorprendentes que mueven a muchas interrogantes. El asunto de fondo es que ha cambiado la situación política y este cambio se produce con mayor rapidez de lo que cambia la capacidad de los seres humanos para ver esos cambios y verse en ellos. Cuando algo inesperado sucede, tendemos a verlo a la tremenda o con cierto aire de triunfalismo, según nos perjudique o nos beneficie. Casi siempre la verdad va por otro lado. La historia está llena de acontecimientos mayores, con intención de cambio radical, que al tiempo terminan en un pequeño salto, pero sin cambios esenciales. Y también tenemos registros de cambios radicales que luego han terminado en una vuelta atrás. Quizá todo esto demuestre que la vida avanza a saltos y retrocesos. En este sentido mucho depende de que tan preparados estemos para la victoria o para la derrota.


En una elección, y más si son cuatro en una, las cifras demuestran que tan arraigadas están ciertas ideas o que tanta capacidad de manipulación tienen algunos. Chile ha demostrado con la última elección (15 y 16 de mayo, 2021), que las cifras son contradictorias, aun así, se pueden tomar como una señal poderosa, dependiendo de cómo las leamos. Podemos decir que nada es definitivo hasta que no se producen cambios radicales. En Chile solo tenemos un resultado que muestra una marcada tendencia: el desmorone de los partidos políticos, la ausencia de la mayoría, 57 % de los electores no fue a votar, si le agregamos los votos nulos y blancos estamos rozando el 60 %, lo que muestra que todo candidato a algo que haya resultado electo representa un porcentaje mínimo de la voluntad del pueblo. Otra tendencia sería que la gente se organiza al margen de los partidos y logra un cierto éxito, lo cual nos dice, de una parte, el nulo respeto que se le tiene a los partidos políticos y de otra, que se comienza a entender y organizar un asunto de mínima inteligencia: para lograr resultados distintos hay que hacer las cosas de distinta manera y es lo que hizo la lista del pueblo.

giovedì 3 giugno 2021

DESDE EL ORIENTE

NARCISAZO: MEMORIA, VERDAD Y JUSTICIA

por Rafael Pineda


Los años de la década del 70 representaron la época en que los dominicanos se expresaron con mayor fluidez reclamando espacios para respirar el aire de la libertad, plantar con firmeza las raíces no solo de la patria grande, de su árbol soberano, sino también el de la democracia plena, igualitaria, similar a como la pensaron los antepasados que sembraron el origen de nuestra nación.

En esos años, los dominicanos no eran indiferentes a nada y luchaban, se organizaban, enfrentaban la represión y marchaban  anhelantes, buscando esos caminos que conducen a la libertad.   

Años aquellos cuando no había garantía de que la policía, al servicio del represivo y brutal régimen imperante, respetara los derechos del otro; los derechos de pensar y de expresarse conforme a la interpretación de la realidad mundial.

El gobierno de entonces, encabezado por Joaquín Balaguer, un hombre que no representaba para nada el interés nacional, que se había instalado en el poder mediante métodos fraudulentos, le imponía a los ciudadanos de la República adherirse a su mandato o mantenerse en sus casas o en sus trabajos (si los tenían), mirando para otro lado si estaban matando a su vecino y decirle amén a todo; y no protestar por los bajos salarios, por el saqueo, por la represión, por el reparto de las riquezas entre jerarcas políticos y militares, por la extranjerización de las tierras, por el impacto negativo del latifundio, por la venta de la soberanía; y guardar silencio frente al crimen.

A los hombres y mujeres humildes del pueblo, el dictador les inhibía abordar esos temas humanos,  políticos, económicos, sociales.