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mercoledì 25 marzo 2020

12 TESI CONTRO LA PANDEMIA POLITICA E SOCIALE

di Michele Nobile

Caro Roberto, qui a Bergamo siamo in stato d'assedio ma la vita continua. Stanno sbocciando i bulbi di tulipano che ho comprato ad Amsterdam a ottobre. E si fanno lezioni in videoconferenza. Meglio di niente per salvare l'anno scolastico.
In allegato un primo bilancio sulla pandemia e una riflessione sulle epidemie, facilitata dalla mia antica passione per l’evoluzionismo e la genetica. 
Tra qualche giorno finirò un pezzo un po’ più lungo e che si potrebbe dividere. 
Ciao.
Michele


I punti che seguono sono un primo bilancio della situazione determinata dalla pandemia. Sono considerazioni stringate il più possibile, alle quali seguiranno interventi più articolati e documentati.
1) La pandemia del nuovo coronavirus sta causando una gravissima crisi sociale mondiale dai caratteri del tutto inediti. Molto velocemente e in tutti i continenti viene stravolta la vita quotidiana di molte centinaia di milioni di persone, e il processo continua. Si tratta di un fatto sociale totale, che coinvolge tutte le dimensioni della vita sociale. Un modo per descrivere la situazione è che i rapporti sociali sembrano come sospesi, congelati.
In altre situazioni storiche, una crisi totale dei rapporti sociali è il prodotto della guerra o della rivoluzione o di un crollo economico. In questo caso la causalità è invece invertita, perché il detonatore appare qualcosa d’esterno ai rapporti sociali. Ma non è così: il virus è un agente naturale, ma la pandemia è un prodotto sociale.
2) La spettacolarizzazione della pandemia è decisiva nel dar forma alla sua percezione di massa, di cui è aspetto essenziale la compressione dello spazio-tempo individuale e sociale. Senza alcun dubbio questo ha l’effetto di focalizzare le menti sul presente dell’emergenza e sulla sopravvivenza individuale; nello stesso tempo, tende a rimuovere la ricerca delle cause pregresse della pandemia e ad alimentare l’idea che «siamo tutti sulla stessa barca», creando un’atmosfera da unione patriottica. Tuttavia, la reazione d’autodifesa alla spettacolarizzazione, che a sinistra minimizzava il rischio sanitario, era completamente errata e in pochi giorni è diventata intollerabilmente irresponsabile e politicamente suicida. La pandemia è un fatto reale e realissimi i suoi rischi. Non è la cosiddetta «spagnola» ma, altrettanto certamente, non è «un’influenza come le altre».
3) La pandemia non era un evento improbabile o imprevedibile, che possa rientrare nella categoria del «cigno nero». Era stata annunciata da altre importanti epidemie («aviaria», «suina», Mers solo per indicare epidemie note al grande pubblico) ed è almeno dai primi anni Novanta del secolo scorso che gli specialisti hanno preso atto dell’emergere di nuove malattie e del riemergere di d’altre che si ritenevano confinate.
Il tasso di letalità del nuovo coronavirus è senza dubbio molto inferiore a quanto si possa desumere dal rapporto tra casi clinicamente accertati e i decessi dichiarati, perché gli infetti sono molto più numerosi: non so di quanto, ma non sarei affatto sorpreso se fossero circa dieci volte più dei casi ufficiali. Tuttavia, è anche fuor di dubbio che la letalità del coronavirus è ben superiore a quello d’una normale influenza stagionale (la cui letalità diretta e indiretta è 0,1%) e che i morti in conseguenza della pandemia sono ben più numerosi di quelli dichiarati: chi vive a Bergamo se ne rende conto facilmente, basta parlare con amici e conoscenti. Per un virus facilmente trasmissibile, una letalità del 2% è estremamente pericolosa (su un milione di contagiati implica 20 mila decessi); ma su grandi numeri anche una letalità pari a 0,5% può produrre molte migliaia di fatalità e un eccesso di mortalità, come sta accadendo (il valore indicato è solo un esempio; ma è possibile che sia vicino alla letalità reale del coronavirus). È chiaro che la letalità effettiva d’una epidemia - tanto più quando manca un vaccino - dipende anche dalla tempestività, ampiezza e coerenza delle misure di contenimento adottate.
Dev’essere altrettanto chiaro che questa pandemia non è un fenomeno meramente naturale ma che è il prodotto dell’interazione tra attività umana e ambiente; e che la tragedia poteva essere evitata con misure tempestive e ben mirate, e preparando i mezzi materiali per affrontare un’emergenza.
Il nocciolo della questione è che tutte le grandi trasformazioni della società determinano cambiamenti ecologici i quali, a loro volta, comportano l’emergere e il riemergere di malattie. I virus si evolvono insieme alla società e ai cambiamenti del ricambio organico tra società e natura. Sono passati oltre trent’anni da quando gli specialisti hanno preso atto dell’emergere di nuove malattie e del riemergere di malattie che si pensavano contenute o in via di sparizione. Da quarant’anni, la diffusione del virus Hiv e della conseguente sindrome, l’Aids, è un esempio tragicamente ben noto.
4) I fattori sociali all’origine delle nuove epidemie sono molteplici e sono stati bene evidenziati nella letteratura scientifica. Di questi sono specialmente importanti: l’arretramento degli spazi non-antropizzati e l’espansione delle superfici agricole, che agevolano il contatto con virus prima confinati; l’industrializzazione dell’allevamento, in particolare di pollame, perché i grandi allevamenti monoculturali sono incubatori di virus influenzali; le pratiche usuali negli allevamenti industriali, come l’utilizzo d’antibiotici a scopo preventivo e lo sterminio degli animali quando insorgono le epidemie, rafforzano l’effetto patogeno di questo tipo d’allevamento; sia nell’allevamento che nell’agricoltura e nella natura selvatica la riduzione della biodiversità favorisce le epidemie; la concentrazione di grandi masse umane in megalopoli, in cui le condizioni di vita e di lavoro sono degradate, agevolano la diffusione delle malattie.
Anche il cambiamento climatico globale, che riassume gli effetti complessivi dell’attività umana sul deteriorarsi degli equilibri ecologici è, a sua volta, causa o concausa della diffusione del proliferare dei vettori di alcune malattie. 
5) L’impreparazione degli Stati nell’affrontare una massiccia emergenza sanitaria come la pandemia da Covid-19 non si può spiegare con l’imprevedibilità e la repentinità della diffusione internazionale del virus. I gravi problemi mostrati dai sistemi sanitari dei Paesi più ricchi del mondo, ovvero dei capitalismi più avanzati, sono il risultato di decenni di ri-regolazione legislativa - del cosiddetto neoliberismo - la cui priorità non è il miglioramento dei servizi sanitari ma l’equilibrio dei bilanci pubblici; nello stesso tempo, è stata favorita la privatizzazione della sanità e l’introduzione di criteri di mercato nei servizi sanitari statali. La subordinazione della salute dei cittadini agli interessi finanziari e dell’imprenditoria sanitaria privata ha quindi ridotto la resilienza dei sistemi sanitari a fronte dell’impatto con la pandemia.
6) Nella gestione politica e sanitaria di un’epidemia è di fondamentale importanza l’informazione corretta e tempestiva ai cittadini, ma tutti i governi hanno cercato di minimizzare il rischio. Si può discutere se nella Repubblica popolare cinese le responsabilità maggiori siano delle autorità locali oppure di quella centrale, ma lì il problema di fondo è stato e continua ad essere la censura e la dittatura politica. A fronte di quanto stava accadendo in Cina, è stata tanto più grave la sottovalutazione del rischio da parte dei governi degli Stati liberali o postdemocratici.
Non si tratta solo d’un problema cognitivo. La percezione soggettiva del rischio è stata plasmata da priorità diverse da quella della sicurezza della salute dei cittadini, si tratti dei meccanismi interni alla gerarchia burocratica, dell’esigenza di non turbare il quadro politico, delle necessità di non danneggiare i flussi turistici e commerciali, di non ridurre la produttività e di non intaccare produzione, vendite e profitti. Da qui anche le violente e ipocrite oscillazioni, come in Italia, tra opposti atteggiamenti (dal «tutto aperto!» al «chiudere tutto!»), i conflitti di competenza, la subordinazione al dettato della Confindustria, l’impunita fuga di notizie a proposito delle ordinanze restrittive. 
La sottovalutazione del rischio è la ragione per cui, quando l’epidemia sfugge al controllo, si deve tentare di controbilanciare la superficialità, l’inerzia e l’impreparazione con il ricorso a misure estreme, di quarantena su ampia scala e, infine, di «sospensione» della vita sociale.
7) Durante questa pandemia, nella sinistra non governativa si sono manifestate due posizioni opposte. Secondo una di queste due posizioni l’epidemia - o addirittura la deliberata invenzione d’un rischio epidemico - può essere usata strumentalmente per finalità politiche che nulla hanno a che fare con la salute dei cittadini: come alibi o deviazione dell’attenzione da altri e più concreti problemi, oppure come ragione e precedente per legittimare misure d’emergenza pericolose per le libertà democratiche.
L’altra posizione rivendica invece la generalizzazione delle misure di protezione e contenimento del contagio, in particolare enfatizzando i rischi degli operai delle imprese industriali.
Andando oltre la schematizzazione ed entrando nel merito, si potrebbero notare confusione d’idee, coesistenza d’entrambe le posizioni (nei primi tempi almeno come ipotesi) e voltafaccia (senza autocritica) quando, di fronte a 100 morti giornalieri, non è stato più possibile sostenere che si trattava d’una forma artificiale d’allarme sociale.
Benché completamente errata nella comprensione del fenomeno pandemico e politicamente suicida se testardamente sostenuta, la preoccupazione al fondo della prima posizione è seria: è un appello a non rifugiarsi nella mera sopravvivenza e, ancor più, alla critica della gestione politica e ideologica della crisi. Ad esempio, si comprende la necessità d’agire velocemente, ma è grave che limitazioni di diritti costituzionali fondamentali - come la libertà di movimento e di riunione - non siano sottoposte a dibattito parlamentare e vengano attuate col particolare strumento dei decreti del Presidente del consiglio dei ministri, precedente pericolosissimo. A chi vorrebbe atteggiarsi a Churchill usando facebook e Dpcm, si deve ricordare che in piena guerra mondiale la Camera britannica continuava a discutere seriamente, anche «nell’ora più buia». Gli organi legislativi non dovrebbero mai andare in quarantena, rinunciando al dovere d’indirizzo e di controllo sull’operato dell’esecutivo. La postdemocrazia italiana si è dimostrata ancora una volta come la più squallida all’interno dell’Unione europea.
8) In una situazione d’epidemia dilagante, la seconda posizione è corretta nella situazione presente. Si deve respingere con la massima determinazione la differenziazione di trattamento tra lavoratori del settore pubblico e del settore privato e, all’interno del secondo, tra lavoratori dei servizi e dell’industria. Gli scioperi dei metalmeccanici italiani sono giustissimi; semmai, andavano fatti prima e per ottenere subito il blocco effettivo di tutte le attività non essenziali. 
Tuttavia, tra i sostenitori della seconda linea si vede di frequente una contrapposizione tra il modo cinese d’affrontare l’epidemia - d’intervento rapido, drastico ed efficace - e quello «occidentale», lento, debole, incoerente, inefficace; esplicitamente o no, qui si contrappone l’approccio statalista - quando non viene contrabbandato come socialista - a quello liberale e liberista. Tale contrapposizione è inaccettabile.
Primo, perché passa sopra il fatto che, per tutto dicembre e fino al 22 gennaio, la linea delle autorità cinesi, sicuramente di quelle di Wuhan, è stata tesa a ridurre i timori circa la pericolosità del virus e l’estensione del contagio, così sprecando tempo prezioso in cui sarebbe stato ancora possibile circoscrivere l’epidemia.
Secondo, perché questa posizione si presta perfettamente a una gestione tecnocratica e autoritaria della crisi. Dopotutto, almeno relativamente all’inerzia d’altri governi, perfino il governo Conte e i sindaci lombardi potrebbero passare per imitatori del virtuoso «modello cinese».
9) Le osservazioni precedenti sono importanti perché la radicalità della «cura» che ovunque si tende ad attuare - quarantena, distanziamento, blocco delle attività - è necessaria per evitare il peggio ma non è affatto una cura. Piuttosto, assomiglia a chiudere la stalla quando i buoi - in questo caso il virus - sono già scappati. Come lo sterminio degli animali infetti, è un rimedio d’emergenza che non intacca affatto il meccanismo causale della patogenesi. Anzi, lo sterminio degli animali rafforza ed estende il meccanismo patogenetico, attraverso il danno inflitto ai piccoli allevatori e alla contrapposizione della presunta biosicurezza dei moderni allevamenti industriali ai metodi tradizionali d’allevamento.
Insomma, seppur necessaria, la quarantena ci trasforma in polli d’allevamento da fare alla griglia, in broilers dicono in Nordamerica. Per cui è politicamente pericoloso enfatizzare la «virtuosità» della quarantena e dell’intervento in stile militare. Questo atteggiamento rischia di lavorare a favore della postdemocrazia asservita agli interessi del capitale, in sé un fattore patogeno, oppure di adottare un’ipocrita e schizofrenica doppia morale: criticare l’autoritarismo nazionale ed esaltare quello pseudosocialista.
Ovunque nel mondo, queste reazioni dei regimi politici - più o meno forti, più o meno coerenti - sono i segni d’una clamorosa bancarotta nella prevenzione dell’epidemia: ai cittadini e ai lavoratori spetta liquidarli.
10) La «sospensione» della vita sociale imposta dall’alto a causa della pandemia evoca scenari distopici e totalitari, oppure di una depressione economica tale che porti al crollo del cosiddetto neoliberismo. È ancora presto per una previsione ben fondata, ma in linea di massima si tratta di scenari improbabili. La depressione è già in atto, ne vedremo le conseguenze, ma l’esperienza del 2008-9 e degli anni seguenti dimostra che il riorientamento delle politiche economiche e sociali non è affatto scontato. Anzi, nonostante il dramma reale, il risultato finale più probabile è che si torni alla solita normalità, non senza aver incorporato nell’arsenale della politica pubblica l’esperienza d’uno stato d’emergenza.
Già durante la pandemia occorre agire perché questo non accada. Non sto qui a formulare obiettivi specifici, compito dei diversi soggetti, ma una logica generale. Nell’immediato, si tratta di rivendicare l’uguale diritto alla salute di tutti i cittadini: e quindi che per tutti i cittadini questo diritto deve essere anteposto alla produttività e al profitto, senza compromessi. Allo stesso modo devono essere mobilitate - senza costi per i cittadini - le strutture sanitarie private e le imprese private e pubbliche con capacità tecniche e produttive utili alla lotta all’epidemia. 
E subito si deve porre l’obiettivo di rovesciare i termini fondamentali della politica sanitaria in atto da decenni, sia in termini di risorse materiali e umane sia di costi per la cittadinanza.
11) Fatti sociali totali come la guerra e la pandemia creano un’esperienza comune di massa, nello stesso momento in cui schiacciano l’individuo sotto il loro peso. Tuttavia, per quanto sommerse, le contraddizioni continuano ad operare e, alla lunga, neanche l’union sacrée patriottica può impedire che si manifestino. È allora che la natura totale e sociale del fatto pandemico può rovesciarsi in una presa di coscienza collettiva delle responsabilità politiche e delle ragioni storiche della tragedia. Attraverso il vissuto della patologia straordinaria si può far luce sulla patologia del normale funzionamento della società: sulla subordinazione della salute dei cittadini agli interessi della finanza e del profitto, sulle ragioni non occasionali ma sistemiche per cui questo accade. La pandemia fa vivere in modo immediato la natura globale dei problemi epidemiologici ed ecologici: apre uno squarcio su quell’insieme di fenomeni che alterano gli equilibri mondiali tra società e natura. È una ragione per mettere in discussione cosa e come si produce e si consuma, per contestare l’industrializzazione dell’allevamento e dell’agricoltura su scala mondiale, fattori di povertà e di patologia.
La pandemia di Covid-19 è simmetrica al cambiamento climatico globale: microscopico e macroscopico ci dicono che la società è mondiale e che gli Stati nazionali sono obiettivamente superati, ostacoli sulla via della gestione razionale dei problemi ecologici, epidemiologici e sociali del mondo, che sono tra loro in sinergia. Ci dicono anche che le forze produttive sociali possono funzionare come forze di distruzione, perché sono al servizio del profitto e dell’accumulazione del capitale anziché dei bisogni umani.
12) Infine, questa pandemia dovrebbe insegnare che la soluzione al problema dell’emergere di nuovi virus e del riemergere di vecchie malattie non è solo farmacologico; e che la prevenzione e la gestione delle epidemie non possono essere affidate all’espertocrazia e alla mera potenza statale. Quest’ultima può reagire in modo più o meno efficace, ma non prevenire né rimuovere le cause socioeconomiche patogene: al contrario, la potenza degli Stati è al servizio del sistema sociale che crea i problemi ed è essa stessa concausa dei problemi. 
     La giustizia sociale e un rapporto razionale e sostenibile con la natura microscopica e macroscopica nella quale viviamo richiedono la socializzazione della gestione delle forze produttive della società. E questa non può darsi senza la socializzazione della politica, il massimo ampliamento della libertà politica. Anche per la prevenzione e la migliore gestione delle epidemie la democrazia non è un’opzione a cui si può rinunciare, a meno di non accettare che i cittadini e i lavoratori siano ridotti a oggetti ai quali imporre restrizioni invece che attivati come soggetti della prevenzione e della rimozione delle patologie biologiche e sociali.
     Per questo le quarantene e la «sospensione» della vita sociale sono testimonianza di un fallimento sistemico dell’ordine sociale capitalistico del mondo.



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