da Claudio Albertani
Compañeros:
no tengo una excesiva consideración para Maduro, pero es evidente que la información de que Guaidó cuenta con el 96 por ciento de las simpatías del pueblo venezuelano es una burda mentira. Tengo amigos en Venezuela. Y los tengo en los dos bandos. La gente de El libertario, por ejemplo, odia mortalmente todo lo que huele a chavismo. Uno de ellos vino aquí a México hace meses y ni él se atrevió a decir que Maduro cuenta con el 4 por ciento de aceptación. Yo soy anarquista y no comulgo con ningún gobierno, pero todo lo que se dice sobre Maduro en los medios de comunicación es una falsificación total. No es un gobernante totalitario por la sencilla razón de que el totalitarismo lo primero que hace es suprimir la prensa y los partidos políticos de oposición. Ahora bien: si hay un lugar del mundo donde la oposición es hiperactiva y la prensa antigubernamental también, sin hablar de la televisión, este lugar es Venezuela. En segundo lugar, no hubo fraude. Maduro ganó las elecciones presidenciales con el mismo sistema electoral que dio la victoria e la oposición en las elecciones parlamentarias anteriores. Si hubiera un sistema fraudulento -como existió en México durante más de un siglo- lo que hubieran hecho los chavistas era "ganar" desde el principio. Elemental, no? En realidad, la oposición ha ganado varias elecciones en los últimos años y sus triunfos siempre han sido respetados. Esto pocos lo han dicho y menos ahora. El caso es que las elecciones presidenciales las ganó Maduro como fue atestado en su momento por observadores internacionales e, incluso por algunos opositores, lo cual ocasionó una desbandada en las filas de la oposición. Lo que estamos viendo es un intento de dar la vuelta a esa derrota.
Lo repito: yo no comulgo con la retórica marxista-leninista de que usa y abusa el chavismo; tampoco me creo lo del socialismo del siglo XXI. Pero mucho menos le creo a la camarilla de políticos siervos de Estados Unidos que lo único que buscan es el control de las recursos naturales. No solamente petróleo sino también gas, minerales, etc. La culpa principal de Maduro a los ojos de "Occidente" no es no ser un demócrata, sino no ser dócil. En México los saldos de la guerra social en el sexenio anterior fue de unos 50,000 desaparecidos y unos 100,000 masacrados (no son números exactos, los cito de memoria). Comparen con las cifras de muertos por la represión en Venezuela (que también los hay) y van a ver la diferencia. ¿Alguien de estos canallas que ahora pegan el grito en el cielo sobre el "genocidio" de la oposición exigió la renuncia de Peña Nieto? Digo...
La situación en Venezuela es muy compleja: lo único que me queda claro es que hay una polarización terrible, pero no entre un 4 y un 96 por ciento, sino entre dos mitades encontradas. Si Estados Unidos y los infames gobiernos europeos que los apoyan logran tumbar a Maduro -lo cual está por verse- lo que habrá será una tremenda guerra civil.
Saludos fraternales desde México
Claudio
(6/02/2019)
da Pagayo Matacuras
Caro Roberto,
come sai non sono un “esperto” di Venezuela, per quanto ormai da una cinquantina di anni mi interesso di America Latina. Un “innamoramento adolescenziale” che è assai difficile, se non impossibile, mettere da parte. E all’epoca era “necessario” schierarsi, senza se e senza ma. Tu appartieni alla “generazione di Cuba”, io alla “generazione del Vietnam”. Ma oggi la realtà è decisamente più complessa e difficile da leggere in bianco e nero.
Vorrei partire da lontano. La settimana scorsa (che non è così lontana) ho letto sul manifesto la recensione alla traduzione di alcuni testi di Rudolf Rocker, socialista tedesco poi passato all’anarco-sindacalismo. Una sua frase mi ha colpito: “non c’è libertà senza socialismo, non c’è socialismo senza libertà”. Certamente legato alla Prima Internazionale, potrebbe essere letta come una visione socialdemocratica della storia (siamo a cavallo della Grande Guerra). In realtà chiariva che “anche la minima libertà conquistata con le lotte continue rappresenta una pietra miliare sulla strada della liberazione sociale”.
Non libertà borghesemente intesa, quindi, ma una conquista per tappe (o fasi). Che, a mio parere, contempla pure la crescita culturale (ideologica?) delle masse, se è vero che la teoria si approfondisce nella prassi.
Cosa c’entra questo con il Venezuela? Forse nulla, forse tutto.
Nelle basi originarie della “rivoluzione bolivariana” di Chávez mi pare che questo concetto fosse ben presente. Non dico basilare, ma importante per la realizzazione di una società costruita su una concezione lontana e opposta a quella vigente del neoliberismo imperante. Probabilmente in modo inconscio, ma era presente. Senza dover fare ragionamenti contorti, il mantenimento di un sistema pluralista e di economia mista (Stato-privati), con annessa libertà di stampa, ne è la prova. E la costruzione di un sistema economico internazionale alternativo (Alba) poteva rappresentare il primo passo verso quello che pomposamente è stato definito “Socialismo del siglo XXI”.
Però, mi sorge un dubbio: fino a che punto sono state coinvolte le masse proletarie venezuelane in questo processo di cambiamento? Quelle che possiamo chiamare “comunità di base”, poco a poco sono state, nella sostanza, relegate al loro ambito locale o “gremial” (settoriale), e a volte persino in “lotta” fra loro per ottenere benefici elargiti dall’alto e a scapito di altri. Bloccando non solo la spinta propulsiva dal basso verso l’alto, ma pure frenandone e limitandone la crescita culturale a cui accennavo sopra. Non è certo sufficiente insegnare a leggere e a scrivere, necessario passo verso l’appropriazione di una coscienza “altra”, e neppure costruire università per il popolo da contrapporre a quelle gestite dalla borghesia per la sua élite (senza chiuderle).
Eppure, l’esempio storico dei vecchi paesi dell’Est europeo (il deleterio socialismo reale) avrebbe dovuto insegnare che non è sufficiente uno Stato “Padre buono e generoso”, che pensa a tutto per il benessere della popolazione, senza che questa debba lottare e soffrire per conquistare i propri diritti e per difenderli. La casa mi spetta di diritto, la sanità mi spetta di diritto, l’istruzione mi spetta di diritto… e poi me ne sto sul divano con la tv selezionata su Tele Sur. Tanto alle mie necessità quotidiane ci pensa il Governo. Quel “Buon governo” dipinto da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo pubblico di Siena alla metà del Trecento? Sarà? Ma pochi anni dopo arrivò la Morte nera, che uccise anche Ambrogio. Se in ciò vuoi trovarci un riferimento all’attualità, è nel tuo diritto.
In realtà, stiamo parlando di un Governo che mantiene, e persino potenzia, il sistema economico neoliberista, credendo che concedere un ottimo welfare sia sufficiente per dichiararsi socialisti. E scambiare petrolio per medici e insegnanti cubani era il massimo che poteva fare? Forse in quel momento, sì. Non ho i dati e non so se esistano, ma quanti medici e quanti insegnanti venezuelani sono stati preparati in questi anni, mentre La Habana sopperiva alle necessità immediate e contingenti?
E noi italiani cosa dovremmo dire: avevamo il welfare migliore di tutto il Vecchio continente. Eravamo un paese “socialista”, se questo è l’unico metro di misura per definire un sistema politico-economico (e sociale). No, quel welfare era stato conquistato con dure lotte, persino con morti sulle piazze. Ciò non si è verificato in Venezuela e neppure nei paesi aderenti all’Alba (Alternativa bolivariana para las Américas). Tutto è piovuto dall’alto, dal “Padre buono”. Sto un po’ estremizzando, me ne rendo conto, ma nella realtà questo è ciò che è successo.
La stessa cosa capitò nella mia Bologna di tanti anni fa, quando il Comune rosso decise di “regalare” ai cittadini ambulatori di quartiere, luoghi di aggregazione culturale e sociale… e via dicendo. Dopo una decina di anni non c’era più nulla, perché non erano diritti ottenuti con le lotte, quindi non sentiti e vissuti come propri.
E, a questo proposito, si dovrebbe aprire una parentesi assai lunga e dolorosa (per i risultati ottenuti): gli aiuti ai paesi aderenti all’Alba (milioni di dollari) sono in realtà serviti per incrementare la già congenita corruzione e l’arricchimento di una fascia ristretta di “amici”. Senza creare concreti e duraturi benefici per le varie popolazioni, se non qualche elemosina da “Padre buono”: regalie di cibo, lamine di zinco per i tetti delle case quasi di cartone, galline o maiali… mentre qualcuno si costruiva una splendida villa nel “barrio alto” e organizzava feste da 50mila dollari a sera, cantando La Tosca per intrattenere gli ospiti (ogni riferimento a personaggi realmente esistenti è voluto).
Ma torno alla questione principale: nessun mutamento nel sistema economico e nessun mutamento nel livello di coscientizzazione. Al quale va aggiunto l’altro aspetto demenziale della eternità nel potere della stessa persona, con la eliminazione politica di chiunque possa fare ombra al “caro leader”. Il quale, per definizione, non sbaglia mai. Anche perché tutti i poteri dipendono da lui (militari, polizia, magistratura…) e si sopravvive solo con il garibaldino “obbedisco”.
Sappiamo bene che molti paesi latinoamericano basano la propria economia su un solo prodotto, la cosiddetta monocoltura, retaggio del colonialismo spagnolo ancora vigente dopo due secoli di indipendenza. Che sia lo zucchero a Cuba, lo stagno in Bolivia, il rame in Cile, il petrolio in Venezuela non fa molta differenza. Mentre, a mio avviso, la costruzione di un sistema economico diverso e contrapposto al neoliberismo presuppone come minimo una rapida uscita da questa condizione (rapida per quanto possibile). Non essendo un economista, non saprei indicare una “ricetta” (se mai ne esistono), ma di certo ogni paese dell’America latina possiede risorse “alternative” alla monocoltura. Che possono e devono essere utilizzate per spezzare la dipendenza dal prodotto unico.
E di certo né a Mosca né a Pechino interessa veramente liberare l’America latina dalla monocoltura e dal sottosviluppo, che è in primis essenzialmente mentale. Ma continuiamo a credere che il nemico del nostro nemico sia nostro amico. Per non parlare dei rapporti non solo diplomatici ed economici, ma pure militari e di collaborazione fra polizie, fra il “socialismo” di Ortega e Pechino (il tutto riconfermato nel settembre scorso).
Un altro aspetto di non secondaria importanza, è l’utilizzo di personale capace e preparato per dirigere o una industria o una istituzione. Non è automatico che un ottimo guerrigliero sia anche capace di reggere le sorti di una impresa (potrebbe capitare, ma sarebbe una eccezione, vista la storia del subcontinente). Se poi questa impresa è la Pdvsa, la questione è ancora più evidente. Non si può far gestire una risorsa come il petrolio a un semplice “uomo di fiducia”, occorre uno che sappia dove sta mettendo le mani. Con tutti i limiti e i difetti dei vecchi partiti comunisti, per lo meno avevano ben chiaro che si dovevano preparare i “quadri” nelle cosiddette “scuole di partito”. Dubito fortemente che un qualsiasi militante del chavismo abbia una preparazione politica e amministrativa in grado di risolvere le situazioni senza fare ricorso alle imposizioni dall’alto: “si fa come dico io”. Imposizioni troppo spesso errate, appunto per mancanza di preparazione e di conseguente visione a lungo termine. Mi viene da pensare al nostro “compianto” Andreotti. Eccetto due o tre ministeri, li aveva diretti tutti. Era per caso un genio? O semplicemente aveva capito che i dirigenti ministeriali erano persone capaci, per quanto a volte oppositori, ma che lui “comandava” politicamente per raggiungere i suoi scopi. Alla fine della fiera, sapeva che sarebbe stato lui a fare bella figura. E quindi non li sostituiva con personaggi fedeli, ma inetti.
Invece, se poi tutto va a catafascio a Caracas come a Managua, come in qualsiasi altro luogo governato dalla sinistra, mica è colpa del compañero incapace o di chi lo ha messo a dirigere, ben conoscendo le sue insufficienze, ma del poderoso vicino del Nord che mette sempre i bastoni fra le ruote.
E, a questo punto, viene la nota più dolente. Washington sa esattamente cosa fare, e non con uno schema identico per qualsiasi situazione come qualcuno crede ingenuamente, recitando il mantra del golpe blando per l’Argentina, per il Brasile, per il Nicaragua e per il Venezuela. Uno schema buono per tutte le stagioni e tutte le latitudini: dalla Tienanmen alle primavere arabe, all’Ucraina, all’America latina… Come la mettiamo con l’Ecuador, per esempio? Basta dire che Lenín Moreno è al soldo degli Usa e il discorso si chiude lì? Forse la realtà è un po’ più complessa e articolata. E non mi risulta che sia stato tentato qualche inghippo per eliminare Pepe Mujica, di certo non gradito a Washington. Un ex guerrigliero che è riuscito a “riciclarsi” in amministratore di un paese, mosca bianca a tutti gli effetti. E, per quanti danni possa aver fatto (in buona fede), non mi pare che sia ritenuto un inetto dai suoi connazionali, né un corrotto (è arrivato con il suo maggiolino VW e se ne è andato con lo stesso maggiolino VW, senza afferrarsi al potere e mutare la Costituzione per essere rieletto a vita). E il suo successore mi pare che stia proseguendo la sua opera al contrario di ciò che è accaduto a Quito.
Per il Venezuela, certo, la stessa Cnn ha pochi giorni fa raccontato come è stato costruito a tavolino il “fenomeno” Guaidó (nomen omen in italiano: guaidó, do guai). Il perfetto sconosciuto che si autoproclama presidente legittimo e costituzionale. Ma resta un dubbio di fondo: se accetti libere elezioni (borghesi) e la destra diventa maggioritaria in Parlamento, come puoi pensare di risolvere la situazione creando una Asamblea contrapposta? E se consideri che questa sia una azione legittima, in futuro non potrai lamentarti se accade lo stesso nei tuoi confronti. Lo stesso vale, per esempio, con il Nicaragua e la legge antiriciclaggio e antiterrorismo approvata alcuni mesi fa. Una legge che impedisce a chiunque di manifestare pubblicamente il proprio pensiero e di scendere in strada a protestare. Una legge che ti consente di chiudere i mezzi di informazione della opposizione. Una legge che ti fa finire in galera se sventoli la bandiera nazionale, o vendi palloncini bianchi e azzurri, o di processare e arrestare un paraplegico allettato con l’accusa di aver eretto barricate (non sto esagerando: tutto ciò è successo). Una legge assai simile a quelle di al-Sisi e di Erdogan. Una legge che domani potrebbe essere usata dalla destra troglodita di quel paese contro di te. Mancanza di logica e mancanza di preparazione politica unite indissolubilmente, persino ai più alti livelli. E poi, per salvare la faccia, imponi, con un’altra legge, il dialogo per la pacificazione. Dialogo obbligatorio, per parafrasare Gaber.
È evidente che la destra, sia in Venezuela sia in qualunque altro paese latinoamericano, non ha alcuna intenzione di dialogare. Fa il proprio mestiere e lo fa egregiamente, spingendo un paese nella guerra civile. Ma pure la sinistra, per avviare un dialogo serio, dovrebbe quanto meno abbandonare l’atteggiamento arrogante e intransigente che troppo spesso la contraddistingue. E dovrebbe soprattutto essere consapevole che un proprio errore lo paga sempre assai caro, ma persiste nel nasconderlo sotto il tappeto. Spesso tentando di coprirlo con un errore peggiore. Mentre dovrebbe correggerlo il più in fretta possibile, ammettendo senza infingimenti di essersi sbagliata. E rettificare. Troppo difficile essere veramente e fattivamente di sinistra. Molto più semplice il “qui si fa come dico io”. Che, fra l’altro, sono eterno nel potere.
Eppure, nel momento di fare una scelta, la prima domanda che uno di sinistra dovrebbe porsi è: se io faccio la tal cosa, quale risultato ottengo? Quali inconvenienti mi si presenteranno? A quali conseguenze andrò incontro? E, di conseguenza, valutare se il beneficio è maggiore o minore del danno. Se non riconosco il risultato elettorale e chiudo il Parlamento, cosa può accadere? Se pesto troppo i piedi a qualcuno, come reagirà?
Siamo compagni del secolo scorso, è vero, con una formazione politica troppo spesso dogmatica, che in fondo crediamo ancora che il “Piccolo padre” Giugasvili non sbaglia mai. Trasformando il Chávez o l’Ortega di turno in un semidio da venerare. E che tutta la colpa è sempre degli altri. Ma, nonostante gli errori che abbiamo commesso, non abbiamo appreso nulla e siamo noi che non sappiamo fare il nostro mestiere. Nessuno di noi ha “ricette” e oggi più che mai navighiamo a vista, sperando di azzeccarne almeno una. “Caminante no hay camino, el camino se hace al andar”, diceva il poeta. Ma sappiamo veramente dove stiamo andando? O siamo tanti Totò e Peppino in Piazza duomo a Milano? O continuiamo a crederci dei Quijote che combattono contro i mulini a vento che noi stessi creiamo e alimentiamo come paravento per…?
E se la storia non ci ha insegnato nulla, almeno la cronaca dovrebbe sopperire. Senza entrare nei particolari, una situazione critica l’ha vissuta e la sta vivendo quel “sant’uomo” di Macron con i gilet gialli. Ma con un po’ di repressione e alcune concessioni (vere o fasulle) ha sgonfiato il movimento, restando in campo solo gli irriducibili. C’è una bella differenza fra avere mezzo milione di persone che protestano e averne solo 20mila. E nessuno ha parlato di golpe blando per la Francia. Possibile che non siamo capaci di “copiare” e di fare meglio…? Con meno danni collaterali, per giunta?
Se, con le nostre chiusure, siamo noi stessi a dare corda alla destra (o alle destre), mica possiamo sperare che ci si impicchi volontariamente. E non possiamo attendere un qualsiasi XX Congresso e un “rapporto segreto” per renderci conto della nostra stessa miopia.
Pagayo
(8/02/2019)