IN DUE LINGUE (Italiano, Spagnolo)
Rosario Murillo e Daniel Ortega © Oswaldo Rivas |
«Un altro aspetto che dovrebbe essere evidenziato è quello che fa riferimento al numero insufficiente di quadri per partecipare a tutti i compiti richiesti per la preparazione del lavoro, non solo in città e in campagna ma anche al di fuori del Paese. La direzione del Frente Sandinista ha tollerato per troppo tempo il settarismo che ha impedito la promozione di un numero sufficiente di nuovi quadri provenienti dal settore operaio politicamente sviluppato e dal settore universitario. Volevamo raggiungere disperatamente obiettivi di dimensioni eccessive, senza trarre sempre vantaggio ogni giorno per l’esecuzione di compiti appropriati».
Queste parole furono scritte da Carlos Fonseca Amador esattamente cinquant’anni fa. Alla fine del 1969, stampato con il ciclostile, cominciò a circolare clandestinamente Nicaragua Hora Cero.
Perché ripetiamo oggi queste parole storiche? Una ragione molto semplice ci porta a farlo, dopo un mese di trambusto in Nicaragua, con molti morti, feriti e incarcerati. Il problema iniziale della riforma dell’Inss (Instituto Nicaragüense de Seguridad Social) fin dai primi giorni non esiste più. È stata la scintilla che ha incendiato il Paese, a partire dagli studenti fino ad arrivare ai cittadini di molte città e paesi, senza distinzione di opinioni politiche. Sino a giungere, negli ultimi giorni, nel quartiere indigeno di Monimbó (Masaya), vera culla dell’insurrezione popolare contro il somozismo.
Esiste una dittatura in Nicaragua? Forse un regime autoritario o dictablanda, come lo descrisse Herbert Marcuse nel suo L’uomo a una dimensione (1964). Fino allo scorso 19 aprile non c’era né un prigioniero politico né una persona scomparsa, la stampa dell’opposizione era libera (giornali e canali televisivi), c’erano proteste contro l’una o l’altra questione… Dalla reazione del Governo nei confronti dei cittadini che manifestavano pacificamente contro la riforma di cui sopra, con la Polizia che sparava per uccidere, l’autoritarismo si è mutato in spudorata dittatura. Senza il minimo travestimento.
«La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa», disse Karl Marx nel 1852 (Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte). Ma la farsa dev’essere il più breve possibile, in modo da non ridiventare una seconda tragedia ancor peggiore della prima.
La domanda di base, la richiesta di migliaia e migliaia di persone, è perciò l’abbandono del potere da parte di Daniel Ortega e di sua moglie Rosario Chayo Murillo, non solo presidente e vicepresidente, ma anche segretario politico e segretaria di organizzazione dell’Fsln. Oltre ai loro sette figli, che occupano alte cariche di Stato. «Che il Nicaragua ritorni ad essere una Repubblica», gridano e scrivono sui cartelli che una folla immensa porta per strada, ripetendo un’idea di Pedro Joaquín Chamorro Cardenal, il Martire delle libertà pubbliche. Sembra che la coppia presidenziale non si renda conto di ciò… o non gli interessa un fico secco, in puro stile nazionale menefreghista.
Per oltre un decennio, l’occupazione delle istituzioni è stata rapida e completa da parte di entrambi, con un accordo di «non belligeranza» accettato nella pratica dagli imprenditori privati, che si sono arricchiti come non mai, e da parte della Conferenza episcopale, che controlla le coscienze della gente. La caratteristica fondamentale del potere autoritario che ha comandato fino alla metà di aprile è la tripartizione: Daniel e la Chayo, attraverso l’Fsln, comandano a livello politico, gli imprenditori del Cosep (Consejo Superior de la Empresa Privada) a livello economico e i vescovi sui cervelli.
Non esiste il socialismo in questo Paese, il governo non controlla nessuna «leva economica», ma soltanto le strutture istituzionali e il partito. Stato e partito sono la stessa cosa, proprio come accadeva nei Paesi dell’Europa orientale fino a un paio di decenni fa. In ogni ufficio pubblico la bandiera nazionale, il «glorioso vessillo bicolore» blu e bianco, è sempre accompagnata da quella dell’Fsln. Non stiamo parlando della storica bandiera rosso-nera del «Generale degli uomini liberi», Augusto Nicolás Calderón Sandino, ma di quella con le lettere cubitali del partito.
Ma anche questa è una bugia più che evidente. Di quale Frente Sandinista stiamo parlando? Dell’organizzazione di guerriglieri che ha combattuto valorosamente contro la dinastia somozista per quasi due decenni? Del partito politico-militare che ha affrontato una guerra «di bassa intensità» per quasi un decennio?
Né l’uno né l’altro, ovviamente. L’attuale Fsln è la stessa famiglia Ortega e i loro collaboratori più stretti. (E un altro lungo capitolo sarebbe quello delle imprese appartenenti alla coppia e ai loro figli, ma con prestanome come proprietari.)
Dopo la sconfitta elettorale del 25 febbraio 1990 e l’opposizione alla destra governativa, a partire dal 1995 iniziò una specie di «epurazione stalinista» nelle file dell’Fsln. La maggior parte degli ex comandanti della guerriglia lasciò il partito - con una posizione politica che potrebbe definirsi socialdemocratica - organizzandosi nel Movimiento Renovador Sandinista (Mrs). Molti altri sono stati espulsi dal partito a calci nel culo, a causa delle loro critiche più o meno forti. Altri si sono allontanati completamente, lasciando la militanza politica.
Il risultato attuale è che la maggior parte della «vecchia leadership» è lontana dal partito, gestito completamente, come detto, a livello famigliare. E lo stesso accade con lo Stato in tutte le sue strutture. Per fare un esempio lampante: esiste un altro paese al mondo in cui vi siano un ministro degli Esteri e un altro ministro per le Politiche e gli Affari Internazionali (ossia con l’incarico di mantenere i rapporti con i partiti e le organizzazioni amici)?
Per quarant’anni, a partire dal 1979, non c’è mai stata alcuna formazione politica di militanti e dirigenti. Se negli anni ‘80 si poteva giustificare con la guerra di aggressione, dal 1990 in poi era già una scelta. A poco a poco Daniel è andato monopolizzando il partito, nonostante fosse il meno preparato politicamente fra i nove comandanti storici. Pertanto, attualmente i quadri del partito sono «quadri» appesi al muro del bunker situato nel quartiere Bolonia - dove gli Ortega vivono protetti da posti di blocco della Polizia - semplici immagini sottovetro e con una cornice da cui non possono tirarsi fuori. Non devono oscurare il segretario-presidente, ma solo ripetere le parole della Chayo Murillo come fossero pappagalli: «¡Sí, señor! ¡A la orden!».
Tuttavia, dal 19 aprile il mondo non è più quello di prima. Forse può essere la data dell’«inizio della fine». Grazie alla repressione indiscriminata e brutale della Polizia, gli oppositori stanno crescendo di giorno in giorno in ogni angolo del Paese. Nessuno si aspettava qualcosa di così diffuso in tutti i settori della società: né il Cosep, né la Chiesa, né l’Ambasciata statunitense… e nemmeno la coppia presidenziale, col suo sogno che si sta trasformando in un incubo.
Al momento non c’è nessun leader della protesta: ve ne sono anzi parecchi. Ogni «gruppo sociale», per così dire, ha il proprio leader. Tra i manifestanti si vedono magliette con il Che o con Sandino, e non sono poche. La destra non è ancora riuscita a egemonizzare il movimento nel suo complesso. Ciò è un vantaggio per la sinistra, ma fino a quando continuerà questa mancanza di controllo? Dall’oppositore 100% Noticias si opera con l’obiettivo di far continuare la lotta civica e gli scontri (e prima era un canale abbastanza equilibrato), come pure La Prensa. Dagli Stati Uniti arrivano già dollari in abbondanza per pagare banditi di strada armati che si infiltrino nelle file dell’opposizione per uccidere o incendiare uffici pubblici.
Attualmente il rischio maggiore è il rifiuto generale non solo della coppia presidenziale, che è già diffuso fino ai militanti sandinisti più coscienti, ma di un’intera storia che non merita di essere cancellata completamente. Quanto più a lungo Daniel e la Chayo rimangono sulle loro poltrone, tanto più è probabile che questo sia il futuro: la sepoltura della storia in un cimitero dove nessuno andrà a mettere fiori né a pregare, nella Chureca [la discarica di Managua (n.d.r.)]. E il sospetto è che sia stato accettato l’ingresso della Cidh (Corte Interamericana de los Derechos Humanos) per indagare in modo indipendente sugli eventi - così come il Diálogo Nacional - solo per «prendere tempo», come si suol dire, e ritardare all’infinito la resa dei conti.
In che modo sarebbe possibile evitare questo disastro? Come sarebbe possibile evitare questo assassinio annunciato dell’autorità morale acquisita negli anni della lotta antisomozista?
Per quello che si sa - ma molte sono voci in un Paese dove raccontare balle è lo sport nazionale - sin dai primi giorni degli scontri di strada, i vecchi capi dell’Esercito hanno parlato con quelli in carica. Iniziando da Humberto, fratello di Daniel, e seguendo con Joaquín Cuadra e Omar Halleslevens. Chiedendo loro di non sparare contro la gente, mantenendo una posizione istituzionale e apartitica. E l’Esercito non ha sparato un solo colpo.
La stessa cosa pare stia accadendo all’interno del Frente. Si dice che personalità storiche riconosciute stiano sostituendo i dirigenti chayistas in varie regioni, così da mettervi persone non compromesse con la coppia presidenziale. Al comando di questa operazione sembra esserci il colonnello in pensione Lenín Cerna, capo della Dirección General de Seguridad del Estado (Dgse) per un decennio negli anni ‘80 e segretario dell’organizzazione di partito fino al 2011, che circa cinque anni fa ebbe una forte discussione con la stessa Chayo, vincendo la disputa. Ma di queste manovre non si sa ancora nulla di certo, né se corrispondano a verità, essendo clandestine.
L’Esercito del Nicaragua non è di destra, non è addestrato alla Scuola delle Americhe e non penserà mai a un colpo di Stato. Piuttosto agirà nel pieno rispetto della Costituzione e delle leggi, come ha affermato un paio di settimane fa il suo comandante in capo, Julio César Avilés. Può essere la garanzia istituzionale per un cambio di potere politico in forma pacifica e democratica. E allo stesso tempo potrebbe essere l’attore che rinnova gli alti gradi della Polizia, responsabile di un numero elevatissimo di morti e feriti in diverse parti del Paese.
Nel frattempo, i nuovi governanti dovrebbero ripulire le istituzioni, a partire dalla magistratura e dal ministero degli Interni, e continuando fino all’ultimo ufficio pubblico.
Ma chi potrebbero essere questi nuovi governanti?
Prima di rispondere a questa domanda è essenziale pensare a quale Frente Sandinista potrebbe emergere dalle ceneri che Daniel e la Chayo ci stanno lasciando? Dovrebbe di certo essere qualcosa di nuovo e gestito davvero in modo collettivo (abbandonando per sempre il motto «¡Dirección Nacional, ordene!», che in questi anni è stato trasformato in «¡Chayo, ordene!»). E i creatori devono essere dirigenti e militanti non compromessi col potere negli ultimi anni. Stabilendo al suo interno - o meglio ristabilendo - il metodo indicato dallo stesso Carlos Fonseca: «Il sandinista deve avere un autentico spirito critico, poiché tale spirito di critica costruttiva dà maggiore consistenza all’unità e contribuisce al suo rafforzamento e continuità» (¿Qué es un Sandinista?, 1975).
La via più corretta sarebbe un governo di transizione, composto da sandinisti onesti e responsabili dell’Fsln e dell’Mrs, e da personaggi pubblici non di destra riconosciuti come moralmente integri. Personalità simili non mancano in questo Paese. Arrivando al massimo fra un anno a nuove elezioni e previo il cambio della legge in vigore, che dà la maggioranza assoluta e schiacciante dei deputati al partito che ottiene il 35% dei voti: qualcosa di impensabile in qualsiasi paese democratico.
Allo stesso modo sarebbe impensabile che la Vicepresidente della Repubblica fosse sposata con il Presidente, stabilendo nella pratica una sorta di «monarchia dinastica» sul modello nordcoreano. Tutto il contrario di quanto si aspettava Carlos Fonseca con la sua concezione della nuova società, con un nuovo regime economico e sociale. «Il governo rivoluzionario detterà le seguenti misure politiche: […] Garantirà a tutti i cittadini il pieno esercizio di tutte le libertà individuali e il rispetto dei diritti umani. Garantirà la libertà di pensiero, che conduca essenzialmente alla vigorosa diffusione dei diritti popolari e dei diritti nazionali. […] Punirà severamente i carnefici colpevoli di perseguitare, denunciare, insultare, torturare o assassinare i rivoluzionari e il popolo», aveva scritto nel Programa histórico del FSLN (1969).
Per rendere fattibile questa possibilità di salvezza dell’Fsln e impedire che la destra troglodita di questo Paese vada al potere, è necessaria la rapida rinuncia di Daniel e della Chayo. E il loro «ritiro a vita privata», prima di perdere molto più di «Managua en minifalda».
È chiaro che i due governanti non hanno alcuna intenzione di andarsene, nonostante abbiano perso il Paese. Un sondaggio Gallup condotto tra 1.200 persone dal 5 al 14 maggio rivela che il 51% degli intervistati non crede che Daniel manterrà le promesse e il 66% ha un’opinione sfavorevole o molto sfavorevole della Chayo, la prima dama che usa quotidianamente un linguaggio cristiano, amorevole e materno, rubando il mestiere ai vescovi. Sarebbe stato un segnale di un cambio di rotta se mercoledì 16 maggio, durante il primo incontro di dialogo al Seminario Nacional Nuestra Señora de Fatima (dopo 29 giorni di crisi), Daniel e Chayo non fossero stati presenti. Poiché la questione centrale è il quadro istituzionale per democratizzare il Paese, la coppia incarna una realtà che è stata chiarita nelle righe precedenti.
Con la loro sola presenza nella sessione di apertura del dialogo, contestata all’esterno e all’interno della sala del Seminario, Daniel e Chayo hanno riaffermato in modo chiaro e netto che non vogliono fare alcun passo indietro, piuttosto intendono afferrarsi con le unghie e con i denti alle loro cariche. Per non parlare della mezz’ora di omelia pronunciata dal presidente, con una distanza siderale dalla contingenza, come se a parlare fosse un essere venuto dal nulla: «Il sangue non ha differenza di colore e in tutti noi scorre lo stesso sangue».
La situazione a Managua nella sera e nella notte del 15, dopo una marcia di studenti di varie scuole, era calma e tranquilla, senza scontri o saccheggi, soltanto perché è piovuto a dirotto per tre ore di seguito.
Il comandante presidente e la poetessa che si vanta di essere una discendente di Sandino e Rubén Darío non possono più attendersi altri miracoli dal Cielo, durante quest’inverno [stagione delle piogge (n.d.r.)] con abbondanti lacrime della Vergine.
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