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© Inti Ocon |
La terza di aprile è stata una vera settimana di Passione per la coppia presidenziale del Nicaragua. E una vera settimana di sangue e lutto per un popolo stanco e ribelle per natura: «que restaña con alegría, todos los días, mi rebelde corazón. Ay, Nicaragua, Nicaragüita…». È un popolo che sopporta, sopporta, sopporta… ma non all’infinito.
Il simbolo più evidente che il popolo del Nicaragua ha notato negli ultimi anni è nel quartiere Bolonia della capitale Managua: il parco El Carmen. Negli anni della guerra, quando la Contra si trovava già all’interno del Paese e si continuava con lo slogan «No pasarán», si poteva tranquillamente passare davanti alla casa degli Ortega. Da un po’ di tempo ci sono posti di blocco che impediscono a chiunque, anche a piedi, di avvicinarsi a meno di due chilometri. No pasarán…
Sabato 21 aprile, noi nicaraguensi abbiamo assistito in televisione al ricco pranzo che Daniel e Chayo [Rosario Murillo, sua moglie (n.d.r.)] hanno offerto agli impresari (taiwanesi, coreani, statunitensi…) delle zone franche - maquilas - con una grande tavolata ricoperta di fiori e assai ricca di piatti di ceramica e bicchieri di cristallo. E probabilmente non hanno mangiato riso e fagioli con formaggio né tortillas senza sale. Nel frattempo per le strade del Paese, soprattutto quelle di Managua, continuava la lotta degli studenti contro la riforma dell’Inss (Instituto Nicaragüense de Seguridad Social), cioè delle pensioni. Con morti, feriti e arrestati da parte della Polizia e degli antisommossa.
Un vero scontro di immagini: il lusso sfacciato di una ricca tavola e la polvere, le pallottole e il sangue versato per le strade. In questo scontro simbolico, più che nella marcia di domenica 22, è racchiusa la fine dell’orteguismo nella mente dei pinoleros (i nicaraguensi). Questa marcia è stata solo la spinta per l’irreversibile crollo di un regime famigliare che ha contribuito a un qualche sviluppo del Paese, ma senza considerare le realtà di fame e miseria ancora profonde. Il mega progetto «Hambre cero» è già defunto ancor prima di fare i suoi primi passi… è servito soltanto per la propaganda elettorale.
Già prima che iniziasse il pranzo del sabato, si sapeva che Daniel avrebbe lanciato un messaggio al Paese in relazione agli avvenimenti dei giorni precedenti. E il messaggio è arrivato: l’Inss ha deciso con un suo decreto di sospendere l’entrata in vigore della riforma. «Vale a dire, l’ha messa da parte… l’ha spostata da un lato…», secondo le parole di Ortega.
Ma non ha neppure parlato degli studenti, né dei morti, feriti e arrestati. Né della censura a vari canali televisivi, con la chiusura completa per ventiquattr’ore; ha solo fatto riferimento ai saccheggi dei mercati e dei supermercati… azioni per le quali non è sicuro si possa incolpare gli studenti. Non ha detto neanche una parola sui due poliziotti uccisi, né sul giornalista della rete televisiva di Stato Canal 6 assassinato a Bluefields (costa atlantica). Per il presidente esistevano solamente le bande giovanili, i saccheggiatori, i distruttori… pagati non si sa bene da chi.
Dalle sue labbra non è uscita una sola parola sulle cosiddette «orde» sandiniste: impiegati dello Stato che hanno provocato scontri e disastri in giro per la città. Qualcosa di molto simile alle «orde» somoziste capeggiate da Nicolasa Sevilla, soprannominata «la Colacha». Si possono comprendere i «partigiani» orteguisti che si scontrano con i «reazionari» in modo volontario e spontaneo, ma quando escono tutti in strada con la stessa maglietta del Frente, si capisce benissimo che si tratta di una cosa organizzata dall’alto.
Corre voce che all’inizio delle proteste Daniel non si trovasse in Nicaragua, bensì a Cuba per delle trasfusioni di sangue. Ma quando è rientrato non ha fermato la repressione né le «orde», di certo scatenate per ordine della Chayo. Piuttosto, ha proseguito in questo atteggiamento suicida. E in cinque giorni vi sono stati più morti di quanti si sono avuti nei sedici anni dei governi «liberali» di Violeta Barrios de Chamorro («la Inútil»), Arnoldo Alemán («el Gordo») ed Enrique Bolaños («el Churuco»).
Questo arrogante atteggiamento del pranzo di sabato, dando prova di vivere in un mondo totalmente estraneo alla realtà, ha convinto migliaia e migliaia di nicaraguensi a unirsi alla marcia di domenica 22 organizzata dalle associazioni imprenditoriali, con il Cosep (Consejo Superior de la Empresa Privada) in testa e la benedizione della Conferenza episcopale. Finora, in nessun’altra parte del pianeta era accaduto che i capitalisti chiamassero i lavoratori a una manifestazione in difesa dei loro stessi diritti (e dei diritti sanciti dalla Costituzione). Questo è il Nicaragua socialista e solidale degli Ortega, in cui gli imprenditori controllano completamente l’economia e i vescovi le coscienze.
È certo che qualche gruppo di studenti, in seguito ai primi morti, abbia agito in modo violento, abbattendo alcuni «alberi della vita», gigantesche stronzate di ferro dipinte con colori vivaci e collocate in vari punti della capitale (e in altre città) per abbellirla. Tutti sanno che è un’idea di Rosario Murillo, vicepresidente del Paese già da alcuni anni. E abbatterli è stato come abbattere simbolicamente la Chayo (e suo figlio Rafael, a capo della compagnia di vigilanza privata «El Goliat» - pagata con i soldi dello Stato - che di notte protegge le lampadine da possibili furti).
Per quanto riguarda la riforma, essa stabilisce:
1. 15 anni di versamenti (ossia 750 settimane);
2. 60 anni di età;
3. aumento della trattenuta per gli imprenditori dal 19 al 22,25%;
4. aumento della trattenuta per i lavoratori dal 6,25 al 7% (con una pensione finale più bassa di quella attuale);
5. un taglio del 5% per le pensioni in essere.
È certo che le casse dell’Inss sono in bancarotta. Per decenni ci sono stati sprechi e ruberie, a cominciare dal prestito che nel 1994 Violeta Barrios ha richiesto per costruire abitazioni: 14 milioni di dollari mai restituiti. E la mala gestione, unita alla corruzione, gli ha dato il colpo di grazia.
Ma non è possibile che siano i lavoratori e i pensionati a dover risolvere questo problema… che è ormai diventato un problemone.
Vedremo cosa accadrà al tavolo di discussione che deve aprirsi in questi giorni. Il «Governo di riconciliazione e unità nazionale» è già morto e forse sarà sepolto nel Cementerio Oriental, di fronte alla casa di sicurezza del Frente da dove Leonel Rugama lanciò il suo «¡qué se rinda tu madre!». Nessuno può sapere ciò che accadrà, ma Daniel ha un’unica opzione: accettare la volontà espressa nella marcia di domenica 22, dato che non ha più il potere di fare e disfare a suo piacimento. E sa che fra i 700 mila che hanno manifestato a Managua (più quelli di altre città) la maggioranza erano suoi elettori, che hanno ripetuto con Sandino: i diritti di un popolo non si discutono, si difendono con le armi in pugno.
Di sicuro a questo tavolo si porrà non soltanto la questione della riforma dell’Inss, quanto la necessità di reali mutamenti nella gestione di tutte le istituzioni dello Stato, in cui il partito comanda (ovvero comandano Ortega e la Chayo, visto che loro due sono il partito). Altrimenti la richiesta potrebbe essere ciò che reclamavano i manifestanti: punto e a capo.
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