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domenica 29 aprile 2018

MONSANTO & CO. ALLA CONQUISTA DELLA TERRA, di Maurizio Fratta

Vandana Shiva
Sono decine di migliaia i contadini indiani che nei primi giorni di marzo si sono mossi alla volta di Mumbai, capitale del Maharashtra, uno degli stati più prosperi dell’Unione indiana, ma anche quello dove si registra il maggior numero di suicidi fra gli agricoltori.
Una protesta pacifica organizzata dal Partito comunista indiano, che ha avuto il merito di riportare l’attenzione sulla gravissima crisi agraria che da quattro anni attanaglia l’immenso Paese. Manifestazione che muove dall’insostenibilità della condizione di milioni di piccoli coltivatori, stretti fra la morsa della caduta di prezzi e redditi e gli indebitamenti contratti con le banche per poter continuare a lavorare la terra.
Dal subcontinente indiano, ancora una volta, si leva un grido di denuncia contro le grandi società dell’agrobusiness, che distruggono la biodiversità, avvelenano milioni di persone e sottraggono terra e lavoro ai contadini, cercando così di controllare globalmente la vita sul pianeta.
A fine gennaio Vandana Shiva, attivista e scienziata indiana, era a Firenze per parlare dell’alternativa alla concezione del mondo portata avanti dalla Monsanto. L’abbiamo incontrata presso lo Spazio InKiostro, durante una conferenza stampa organizzata dall’Associazione perUnaltracittà. Ecco le sue parole:
«Come tutti sapete, stiamo vivendo tempi molto tumultuosi. Non c’è nulla di inevitabile e di naturale in ciò che accade. Negli ultimi vent’anni molteplici regole imposte dalle multinazionali, definite come “libero scambio”, hanno preso il sopravvento sulle nostre norme nazionali.
Noi - Navdanya International ed io - siamo in guerra fin dal primo momento, da quando sono stati promulgati i trattati Gatt e Wto, che hanno avuto un impatto sull’India, quasi una seconda colonizzazione, e soprattutto sulla sua agricoltura.
È dagli anni ‘90 che continuo a dire che i semi non sono un’invenzione delle multinazionali. I semi sono una nostra eredità, sono il nostro patrimonio e sono decisivi per il nostro futuro. Ed è per questo motivo che abbiamo lanciato il Seed Freedom Movement, per salvaguardare a livello internazionale il diritto dei coltivatori a conservare, coltivare e scambiare i semi per permettere ai consumatori di cucinare e mangiare cibo sano e nutriente. I semi non sono proprietà di un’azienda. Le royalties che ricavano dai loro brevetti sono da considerarsi un crimine.
In India ci sono tantissimi casi che coinvolgono la Monsanto ed è per questo che l’abbiamo portata davanti al Tribunale dell’Aia, davanti ai giudici competenti. Ora anche i governi locali si stanno impegnando per far fronte a una situazione che ha caratteristiche emergenziali, con i contadini che si suicidano proprio per le condizioni imposte e con tantissimi altri che si ammalano a causa dei pesticidi venduti nei kit insieme ai semi. Da noi si comincia a parlare di omicidio colposo per quanto riguarda queste pratiche.
Un’altra emergenza è la fusione tra la Bayer e la Monsanto. Il settore agroindustriale e quello farmaceutico si stanno fondendo e insieme costituiscono una minaccia ancor più grande. Una fusione che dovrebbe essere rigettata ma che viene riproposta: stiamo combattendo per smascherare tutte le bugie che vengono propinate per ottenerne l’approvazione.
Ogni singola compagnia ha violato i diritti legali dei cittadini di ogni stato. Ne sono esempi ciò che è successo con il glifosato e quanto la Monsanto sta facendo con il Roundup, l’erbicida che si basa sul principio attivo del glifosato. Non appena la Monsanto è stata indagata per il monopolio sui semi, essa stessa ha subito denunciato l’antitrust indiano. Come fa la Bayer con i neonicotinoidi, i pesticidi che stanno decimando la popolazione delle api: quando l’Unione europea ha confermato i rischi connessi, è passata immediatamente alle vie legali.
Prima della globalizzazione il monopolio era un oligopolio ed era visto nel contesto dei diritti delle persone e del Bene Comune. Dopo la globalizzazione siamo passati all’aritmetica dei numeri: se si ha una quota di mercato inferiore al 50% - si afferma - non se ne possiede il monopolio. Ma poi la Monsanto, tramite i suoi impiegati, ha messo su con duemila dollari una società a essa collegata proprio per aggirare le norme antitrust sul monopolio.
Voglio lanciare un appello tramite la stampa ai cittadini italiani, ai cittadini europei, per ribadire che qui non si tratta di numeri o di quote, ma che ne va della nostra libertà. Libertà di poter scegliere come coltivare, ma anche libertà dei popoli a vivere e ad avere accesso alle risorse naturali.
Di fronte alla manipolazione della post-verità, con una mobilitazione di centinaia di migliaia di contadini noi affermiamo che il cibo e l’agricoltura sono cose troppo importanti per lasciarle nelle mani di multinazionali che promuovono un regime di libero mercato con poche regole - anzi, spesso privo di regole - regole sempre condizionate dagli interessi delle stesse grandi compagnie.
Penso in questo momento al mercato del grano e al controllo esercitato dalla Cargill. I prezzi dei prodotti del lavoro dei contadini non sono mai reali. Prendiamo il caso delle patate, comprate ai contadini a dieci rupie per 50 chili e poi rivendute dalla Pepsi, che le commercializza, in confezioni da 50 grammi al costo di venti rupie. I contadini non guadagnano abbastanza perché c’è chi guadagna troppo. E nel contempo i consumatori che comprano questo cibo trasformato, questo cibo spazzatura, si ammalano.
Questo stato di cose ha causato la distruzione del 75% del suolo, della biodiversità e dell’ambiente in generale, ed è anche responsabile al 50% dei problemi relativi ai cambiamenti climatici. Anche il 75% delle malattie croniche possono essere messe in relazione al cibo industriale.
E ricordiamo poi che il modello di agricoltura industriale è un modello di agricoltura senza agricoltori. Si inizia a parlare di fine dell’era del cibo. Sul mercato si propongono già latte, olio e fagioli sintetici. Immaginano costantemente un mondo con meno lavoro e più profitti, un modello di società in cui il 99% della popolazione non serve. Noi invece continuiamo a pensare che l’economia non possa valere soltanto per l’1% che ha deciso di avvelenarci.
Questo manifesto rappresenta il cartello dei veleni: Monsanto, Bayer, Syngenta, Dupont, Dow e Basf, riunitesi per essere sempre più potenti. Accanto al nome della società abbiamo scritto quello del proprietario. Industria alimentare e farmaceutica in un disegno di dominio globale. Miliardari che mettono i loro soldi nei fondi di investimento privati che a loro volta controllano le grandi corporations. Più ci rinchiudono nel recinto di questa dittatura legata al cibo e ai semi, più fanno profitti.
È venuto il momento per noi tutti di reclamare i nostri diritti. Se non lo facciamo ora, non ci sarà possibile farlo nel futuro. Anzi: non ci sarà nemmeno più futuro».


Pubblicato originariamente in l’altrapagina, aprile 2018, pp. 32-4.

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