CONTENUTI DEL BLOG

lunedì 30 novembre 2015

SALUD MENTAL EN JÓVENES EMBARAZADAS COMO PRODUCTO DE VIOLACIONES: UN PROBLEMA NACIONAL, por Marcelo Colussi

Síntesis
El machismo patriarcal sigue siendo una cruda realidad en nuestro país. Cambiar esos patrones es un arduo trabajo donde deben coincidir diversos esfuerzos: políticas públicas bien definidas, educación, acciones para romper mitos y prejuicios. El abuso y la violación sexual son prácticas aún consideradas como parte de una historia cultural tolerada. En ese marco de cosas, los embarazos de mujeres jóvenes están normalizados. E incluso los embarazos producto de violaciones no son todo lo castigado que deberían. Por ancestrales tabúes que pueblan la sociedad, el embarazo a temprana edad no se ve como un problema. Es allí donde debe empezarse a trabajar, y la Academia juega un muy importante papel al respecto: se necesita investigar a fondo la temática y proponer alternativas claras, superadoras de la actual situación. El embarazo no deseado de una mujer joven es un trauma que deja secuelas psicosociales importantes, tanto en quien lo sufre como en el reforzamiento socio-cultural del patriarcado al que indirectamente contribuye.

Palabras clave
Violación, machismo, patriarcado, violencia, prejuicios.
___________

158 niñas quedan embarazadas todos los días y no tienen ningún mecanismo alternativo de educación.
(Justo Solórzano / UNICEF)

Situando el problema

Así como la salud no es sólo la ausencia de enfermedad, de la misma manera la vida no es sólo la ausencia de la muerte. Esto, que pudiera parecer un juego de palabras, intenta mostrar que la calidad de vida es mucho más que permanecer vivo en términos biológicos. Si tomamos al pie de la letra la ya clásica definición de la salud como estado de bienestar en las esferas física, psicológica y social, vemos que la calidad de vida se liga con fuerza determinante a los factores psicosociales, que son los que, en definitiva, ayudan/permiten el mantenimiento de la vida como hecho físico-químico.
Si pese al monumental desarrollo científico-técnico actual el hambre sigue siendo uno de los principales flagelos de la Humanidad, no caben dudas que los factores no-biológicos tienen una importancia decisiva en todo esto, en la calidad de vida, en el bienestar. Si por instinto comemos, y si hay un 40% más de comida disponible en el mundo, no hay nada natural que explique el flagelo del hambre, a no ser cuestiones netamente socio-políticas. La salud, por tanto, no puede reducirse a un hecho meramente biológico: también es política.
De la misma manera, reproducir la especie no es sólo procrear hijos. Eso último es un hecho eminentemente biológico-natural, de orden “animal” podría decirse. El cómo hacerlo (planificando, teniendo perspectiva de futuro, decidiendo en forma conjunta varón y mujer, por medio de inseminación artificial, haciéndose cargo de la crianza de los nuevos seres la pareja parental en forma responsable, las modalidades culturales en que se enmarca todo ello, etc.) es también una cuestión eminentemente psicosocial. Se presentifican ahí las ideologías dominantes, los prejuicios, los juegos de poder, los valores éticos de una sociedad, las variables personales de cada sujeto.

mercoledì 25 novembre 2015

NON ESSERE CATTIVO (Claudio Caligari, 2015), di Pino Bertelli

La formula per rovesciare il mondo non l'abbiamo cercata nei libri, ma girando. Era una deriva a grandi giornate, in cui niente somigliava al giorno prima; e che non si fermava mai… non ritengo che tutti i mediatici siano degli imbecilli; anche se possiamo presumere che questo sistema abbia fatto molto per aumentare la parte di imbecilli nella società che già non era indifferente.
(Guy Debord)

Il cinema, qualche volta, esprime una cartografia autentica del quotidiano e riesce a mostrare un ambiente, a fissare sullo schermo un dolore inconfessabile o un modo di vita, quale che sia, in maniera incomparabile. I buoni film, come si dice, possono avere come sfondo e come scaturigine solo storie appassionanti ed esprimono l'universalità di una geografia umana come critica tagliente della civiltà mercantile che non elabora lo spettacolo del rifiuto, bensì il rifiuto dello spettacolo (i situazionisti, dicevano). Un cinema dunque che costruisce le situazioni e attraverso derive del margine (ma non marginali) esprime il dissidio contro gli specialisti (servi & padroni) della domesticazione sociale.
Claudio Caligari è un autore "maledetto" del cinema italiano e austero facitore di storie delle periferie invisibili… dopo una lunga malattia, che non gli impedisce di finire Non essere cattivo, muore il 25 maggio 2015, a 67 anni. Caligari è stato un sorta di maestro del cinema degli esclusi e si è sempre mosso in direzione ostinata e contraria. Tutta la crema avariata del cinema industriale (che l'aveva ignorato, bollato come "appestato" ed escluso da sempre) sembra affranta, molti ne parlano, pochi amici lo piangono (come Valerio Mastandrea). Lascia in eredità un pugno di documentari e tre film… alcuni "specialisti" si sono accorti del suo valore poetico quando è andato a far compagnia ai ragazzi di strada che ha incontrato, con i quali ha discusso e filmato il tragico delle loro esistenze ferite o spezzate.
Caligari debutta (con la collaborazione di Daniele Segre) nel documentario Droga che fare (1976), poi seguono Lotte nel Belice (1977) e La follia della rivoluzione (1978). Chiude la sua cinevita con Task Force 45 - Fuoco amico (serie TV, 2015). In mezzo ci sono Amore tossico (1983), il film che raccoglie la realtà emarginata pasoliniana e il dolore di una generazione sfigurata dall'eroina, L'odore della notte (1998), la storia di una banda di rapinatori che semina il terrore nelle case dei ricchi (e fa conoscere loro la paura che hanno sempre esercitato sui poveri) e Non essere cattivo (2015), il suo testamento sull'amicizia stellare e la fine dell'innocenza.

sabato 21 novembre 2015

ISIS E JIHADISMO: DOPO IL 13 NOVEMBRE, di Pier Francesco Zarcone

LA TRAGICITÀ DEL PRESENTE MOMENTO STORICO

Dopo i recenti attentati jihadisti a Parigi - un ulteriore episodio (e nemmeno dei più rilevanti in termini quantitativi) di una lunghissima catena di orrori di cui non si vede la fine - è difficile restare in silenzio. Ma c'è il problema di cosa dire, tanto più che commentatori di professione e tuttologi di varia tendenza stanno intervenendo in massa, in una profusione di banalità e di pseudoricette sul cosa fare.
L'Isis appare ormai come il nemico numero uno non solo per gli occidentali o i non musulmani, ma anche e soprattutto per gli stessi musulmani che, in definitiva, ne sono le prime vittime: non si dimentichi che a combattere sul campo i jihadisti ci sono proprio dei musulmani di ben diverso orientamento. E qui sta un primo problema.
Non da oggi va registrata l'assenza di protagonisti del passato da cui - in qualche modo, e pur con tutti i noti limiti - ci si poteva aspettare una produzione di anticorpi rispetto al radicalismo omicida degli islamisti. Ci si riferisce alle sinistre dei paesi islamici, al "progressismo" laico - per quanto militar-borghese - al nazionalismo arabo e al ruolo teoricamente esercitabile da élite musulmane non reazionarie. Tutto questo non c'è più, e nemmeno ci si può illudere che vi siano elementi "in sonno", nascosti da qualche parte per motivi tattici. Al riguardo è sintomatica la situazione turca, in fase pesantemente involutiva rispetto al periodo del repubblicanesimo kemalista, laicizzante alla sua maniera. Molti sono gli osservatori che indicano, tra i principali fattori che favoriscono la crescita dell'Isis, l'assenza di una vera sinistra: si tratta di una mera e irrilevante constatazione, non potendo indicare alcun effettivo rimedio terapeutico a breve termine che non sia l'ipotetica ricostruzione di una tale sinistra.
L'assenza dei protagonisti del passato fa sì che la partita oggi si giochi (sulla pelle delle vittime) tra imperialismi e jihadismo, peraltro a sua volta e a modo suo intenzionato a svolgere un ruolo imperialistico o subimperialistico. E quindi (riprendendo una considerazione di Roberto Massari che condivido pienamente) la necessaria azione militare capace di portare alla massiccia eliminazione fisica dei militanti dell'Isis può essere realizzata solo da eserciti e polizie dei principali paesi imperialistici (Russia inclusa, ovviamente). E questo rivela l'impotenza storica a cui l'umanità è approdata, poiché gli assassini (dell'Isis) possono essere eliminati solo da altri assassini (imperialisti), sicuramente in grado di farlo, qualora lo volessero realmente. La tragedia della realtà attuale è anche questa.

martedì 17 novembre 2015

CHE, DE STEVEN SODERBERGH, por Luiz Bernardo Pericás

Antes mesmo de ser lançado oficialmente, o filme Che, de Steven Soderbergh, já causava polêmica. Dividido em duas partes, El argentino e El guerrillero, a obra completa, com quatro horas e meia de duração e que custou em torno de US$ 60 milhões, conseguiu provocar um intenso debate, não só sobre a forma como era retratado um dos principais líderes da revolução cubana como também em relação à própria qualidade artística da película. Desde o grande público norte-americano, especialmente o da Flórida, até os críticos cubanos, pôde-se perceber em alguns momentos um tom ácido nos comentários (certamente com diferentes matizes e motivações) sobre a transposição mais recente para as telas da vida do comandante Che Guevara.
Estrelada por Benicio del Toro, esta superprodução, que contou com 360 figurantes, foi apresentada com grande expectativa no 61º Festival de Cannes e na Mostra Internacional do 30º Festival del Nuevo Cine de Cuba, mas recebeu, de forma geral, avaliações moderadas. O fato é que El argentino (a fita que discutiremos aqui) é bastante problemática em diversos aspectos. Soderbergh tentou se escorar em especialistas para assessorá-lo, como o jornalista Jon Lee Anderson e o Centro de Estudos Che Guevara em Havana, para garantir o máximo de fidelidade na condução da narrativa, o que é, sem dúvida, um mérito, mas mesmo assim, não conseguiu criar uma obra transcendente, “definitiva”, sobre o “guerrilheiro heroico”.
Os personagens não têm o carisma nem a profundidade humana necessários para aproximar o público de suas histórias. Del Toro (que nasceu em 1967, mesmo ano do assassinato de Guevara) é competente ao interpretar o Che, certamente, mas lhe falta o brilho natural do argentino e as possíveis dúvidas e reflexões existenciais de um homem que abandona por completo sua vida pregressa, seu passado, para se reconstruir completamente e se engajar em um novo caminho, sem volta. A solidão, as angústias, a distância da esposa e da filha, sua família na Argentina, seus amigos, tudo isso não é mostrado com a devida clareza ou dramaticidade no filme.
Os demais guerrilheiros, por seu lado, se parecem mais como autômatos do que com seres humanos reais. O diretor, neste caso, não desenvolve ou aprofunda outros personagens daquela epopeia.

lunedì 2 novembre 2015

PIER PAOLO PASOLINI: SUL CINEMA CORSARO DI UN POETA DELL'ERESIA, di Pino Bertelli

A Pa', maestro e amico

Colui che arde non ha freddo, e colui che annega non ha sete. Queste anime ardono talmente nella fornace del fuoco d'amore, che sono divenute propriamente fuoco, e così non sentono il fuoco, essendo fuoco in se stesse, per virtù d'Amore che le ha trasformate in fuoco d'amore.
(Margherita Porete, eretica, arsa sul rogo a Parigi nel 1310)

La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni… La società - ogni società - divora sia i figli disobbedienti che i figli né disobbedienti né obbedienti: i figli devono essere obbedienti e basta… È il potere che rende porci (pigs) gli uomini… Io mi considero un rivoluzionario, non un contestatore.
(Pier Paolo Pasolini)

Non sono venuto a portare la pace ma la spada…
(Matteo 10,34)

© Mario Dondero
Il cinema corsaro di Pier Paolo Pasolini trascende il reale, disvelandolo. I vecchi, le puttane, gli accattoni, le baracche della periferia romana o i corpi nudi di giovani amanti emersi dal Boccaccio, nei fiori delle Mille e una notte o nella barbarie quotidiana del fascismo… emergono sulle rive del Tevere, nei deserti del Marocco o nelle ville della borghesia mussoliniana… e nel ritrovamento dell'ethos (carattere) originario del popolo si ri/conoscono come depositari di una cultura profanata, svenduta, calpestata sin dalle origini… fino a dire che siamo tutti complici della lingua che parliamo, dello Stato che sosteniamo, degli dèi e dei miti che consumiamo.
ACCATTONE (1961), MAMMA ROMA (1962), LA RICOTTA (episodio di Ro.Go.Pa.G. - Laviamoci il cervello, 1963), LA RABBIA (1963), COMIZI D'AMORE (1963-64), SOPRALLUOGHI IN PALESTINA (1963-64), IL VANGELO SECONDO MATTEO (1964), UCCELLACCI E UCCELLINI (1966), LA TERRA VISTA DALLA LUNA (episodio di Capriccio all'italiana, 1967)… figurano i percorsi accidentati/libertari del cinema pasoliniano. Una specie di ritorno alla preistoria dell'umanità; «… mentre il mondo borghese - scrive Pasolini - è evidentemente il mondo della storia… i miei sottoproletari vivono ancora nell'antica preistoria, nella vera preistoria, mentre il mondo borghese, il mondo della tecnologia, il mondo neocapitalistico va verso una nuova preistoria e la somiglianza fra le due preistorie è puramente casuale…»1. L'omologazione culturale/politica è dunque un'espropriazione della fantasia, un'impiccagione del desiderio di vivere tra liberi e uguali che si configura nella degenerazione della storiografia al potere. Pasolini aveva capito che l'aroma malefico di ogni autorità è una farsa e ogni consenso (elettorale, dottrinario, culturale…) si regge sull'inclinazione volontaria a servire dell'uomo… I fanatici senza sogni e gli idolatri delle certezze hanno sempre trovato le risposte alle loro miserie nei deserti della s/ragione amministrata. In LA RICOTTA, Stracci doveva morire per accorgersi di vivere… poi, con UCCELLACCI E UCCELLINI, Pasolini celebra (in anticipo di un quarto di secolo) l'elogio funebre del marxismo al potere. La stupidità del comunismo è stata pari alla sua menzogna e i suoi funesti demiurghi continuano a rovistare come ratti affamati di potere nell'immondezzaio della storia.