Mustafa Kemal Atatürk nel 1923 |
Il trattamento delle minoranze etniche e religiose in Turchia e il mantenimento della sua laicità costituiscono a tutt'oggi irrisolti problemi di politica interna ed estera, e sono fonti di difficoltà sia per la normalizzazione della vita democratica di quel paese, sia per i riflessi che hanno in ordine alla sua ipotetica integrazione europea. Tuttavia, fermo restando che ai fini di quest'ultima la vera pietra d'inciampo non è tanto la questione delle minoranze o della difesa della laicità, quanto il trattarsi di un paese musulmano, a prescindere dal fatto che l'impero ottomano fu parte integrante della storia europea per secoli e che la Turchia come paese - quanto meno per via della Tracia - fa parte anche dell'Europa. Indipendentemente da quale sarà l'esito finale del processo di integrazione, peraltro, un miglioramento dello stato di questi due problemi - per non parlare della loro auspicabile soluzione - andrebbe a tutto vantaggio della società turca.
LA QUESTIONE DELLE MINORANZE NELL'IMPERO OTTOMANO
In merito al trattamento delle minoranze nell'impero ottomano bisogna distinguere fra quelle considerate solo sotto il profilo religioso, cioè le non musulmane e le sciite, essendo sunnita l'impero e Califfo il suo Sultano (Padişa), e quelle essenzialmente etniche, quand'anche non scollegate dalle religioni di appartenenza. Fino al secolo XIX il problema delle minoranze di natura prevalentemente etnica in pratica non esisteva, poiché le popolazioni dell'impero erano considerate - politicamente e giuridicamente - in base alla loro appartenenza religiosa. Per esempio, i cristiani ortodossi «europei» (i Rumi) per lunghissimo tempo costituirono una comunità unica - posta sotto l'autorità del Patriarca di Costantinopoli - in cui rientravano greci, bulgari, valacchi, transilvani ecc.