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martedì 25 novembre 2014

REGIONALI 2014 IN EMILIA ROMAGNA: CROLLA IL CONSENSO, MA RENZI CANTA VITTORIA, di Michele Nobile


«Vittoria netta, bravissimi Bonaccini e Oliverio. Massimo rispetto per chi vuole chiacchierare. Noi nel frattempo cambiamo l'Italia»; «grande Lega Nord Padania, grande Matteo Salvini, il futuro della nuova politica passa da noi». Così cinguettano Matteo Renzi e Roberto Maroni, due galletti spennati che hanno l’indecenza di elevare chicchirichì di vittoria.

Al contrario, a vincere è di sicuro il disgusto degli elettori: tra astenuti, bianche e nulle, in Emilia Romagna l’astensionismo in senso ampio ha fatto un balzo di 30 punti di percentuale, pari al 64% del corpo elettorale. Un dato impressionante, tanto più che tradizionalmente si tratta di una regione con alta partecipazione elettorale. Sull’eccezionale crescita dell’astensionismo hanno inciso certamente gli scandali locali, ma forse anche più la politica del governo Renzi. Possiamo dire che anche l’Emilia Romagna si allinea, anzi assume una posizione d’avanguardia, nel rifiutare il voto alla casta politica in tutte le sue versioni. Un fatto che consideriamo di buon auspicio per il futuro e la conferma di un’indicazione politica: che se ne vadano tutti!
I fatti bruti sono che nelle regionali emiliane il Partito democratico ha perso 322 mila voti sulle regionali del 2010, 538 mila sulle politiche del 2013, 677 mila sulle europee 2014; la Lega nord ha un risultato più ambiguo, perdendo 55 mila voti sulle regionali precedenti, ma guadagnando in modo notevole sulle politiche del 2013. In questo caso, però, non di sfondamento si tratta ma di un ritorno al livello delle politiche 2008. 
Quanto a Forza Italia, perde 417 mila voti sulle regionali del 2010 e 334 mila sulle politiche del 2013 (allora come Pdl).
In sostanza, tutti i partiti hanno perso voti, i maggiori alla grande: sulle regionali del 2010, il Pd quasi il 40%, FI l’80%, la Lega il 20%. Non se la cava meglio il M5s, che perde 284 mila voti sulle europee e mezzo milione sulle politiche: a conferma che il voto per il M5s è un’alternativa all’astensione ed esprime un atteggiamento di rigetto della casta politica. Che poi il M5s abbia saputo gestirlo è un altro discorso, dato il primitivismo e il centralismo politico della direzione.
Se poi si guarda ai residui della sinistra dei forchettoni rossi, ci si può limitare a constatarne la persistente agonia: Sel guadagna mille voti sul 2010 ma ne perde 39 mila sulle politiche del 2013; rispetto alle precedenti regionali, in cui Rifondazione comunista si presentò come tale, in queste ultime l’area intorno a Rc ha perso 14 mila voti, e 7 mila sulla lista Ingroia del 2013. Gli elettori se ne disfano e oramai anche per il Pd hanno esaurito il loro compito.
Come al solito, le percentuali dei partiti sono fornite solo in rapporto ai voti validi e non anche sull’intero corpo elettorale, fatto che, in presenza di un’astensionismo così elevato, non può che portare a una gravissima deformazione del consenso reale. Nella tabella sottostante presento i risultati dei partiti ricalcolati su tutti i cittadini con diritto di voto in Emilia Romagna, per le regionali del 2014 e del 2010.


REGIONALI 2014
REGIONALI 2010
ADV
3.460.402
3.463.713
VOTANTI
1.304.841
2.357.733
ASTENUTI
2.155.561
1.105.980
BIANCHE
15.327
20.173
NULLE
34.145
37.175
ASTENSIONE, BIANCHE, NULLE
63,72%
33,58%
PD
15,46%
24,75%
SEL
1,12%
1,08%
CENTROSINISTRA TOTALE
17,25%
31,63%
LEGA NORD
6,74%
8,33%
FORZA ITALIA
2,90%
14,95%
Fd'I-AN
0,66%

CENTRODESTRA TOTALE
10,31%
23,33%
M5S
4,6%
4,64%
L'ALTRA EMILIA ROMAGNA
1,29%

PRC

1,7%
Fonte: Ministero dell’interno. Adv = aventi diritto al voto. Adv, bianche e nulle sono in valori assoluti. Non sono stati inclusi alcuni partiti minori.

Insomma, se il risultato dei berlusconiani è una catastrofe che, su scala regionale, ha una dimensione quasi estintiva, quello del partito del premier Renzi è pur sempre un dimezzamento. Se questo accade nella ex Emilia rossa il Pd deve preoccuparsi molto, molto seriamente. In analogia con le elezioni di midterm negli Stati Uniti, si può parlare di un Renzi dimezzato.
Tronfio e arrogante, Renzi può affermare che l’astensione non è un problema: parole che possono avere senso solo in regime postdemocratico, nel quale il partito del premier può pretendere di governare la nazione col 18% dell’intero corpo elettorale, una regione col 15%, valori che di poco salgono qualora si consideri i risultati di coalizione.
La sensazione di chi scrive, invece, è che Renzi probabilmente non arriverà a fine legislatura. Anche Berlusconi sembrava a molti inamovibile, fissato nell’inesistente «regime berlusconiano», alibi per la suicida politica del meno peggio a sostegno del centrosinistra. Ebbene, Renzi sta riuscendo a minare ulteriormente il consenso al suo partito, misurato in termini elettorali ma anche sindacali. Non che la Cgil possa fare vera opposizione sociale, essendo risentita più che altro del metodo renziano. Resta il fatto che la carta vincente del centrosinistra è la capacità di realizzare in modo sostanzialmente indolore, attraverso il controllo del più importante sindacato italiano, quel che al centrodestra non riesce: ed è per questo che ha sempre avuto un più alto indice di gradimento da parte del capitale internazionale. Pare che Renzi voglia atteggiarsi a Tony Blair italiano, ma i contesti sono diversi: per Blair era decisamente più favorevole, non si trovava a governare durante una lunga Grande recessione. Era l’epoca della «terza via» in ascesa. La forza di Renzi non è intrinseca, risiede nella debolezza degli avversari nella casta, nel perdere meno nelle mani del gioco elettorale; e nella debolezza dell’opposizione sociale. Tuttavia, alla lunga, il suo metodo è pericoloso. Potrebbe essere vittima, se non dell’opposizione nella società, di qualche tranello nel suo stesso partito. Intanto, lavoriamo per mandarli tutti a casa attraverso la lotta sociale e negandogli il voto. 


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