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domenica 23 novembre 2014

LUCIANO FERRARA: SULLA FOTOGRAFIA IN RIVOLTA, di Pino Bertelli

«Oggi nessuna saggezza può pretendere di dare di più. La rivolta cozza instancabilmente contro il male, dal quale non le rimane che prendere un nuovo slancio. L'uomo può signoreggiare in sé tutto ciò che deve essere signoreggiato. Deve riparare nella creazione tutto ciò che può essere riparato. Dopo di che i bambini moriranno sempre ingiustamente, anche in una società perfetta. Nel suo sforzo maggiore l'uomo può soltanto proporsi di diminuire aritmeticamente il dolore del mondo... La coscienza viene alla luce con la rivolta».
(Albert Camus)

I. Sulla filosofia della fotografia eversiva


Prologo dissennato sulla caduta degli oracoli. La fotografia in rivolta o eversiva (fuori dal “verso” corrente) è una scrittura, una filosofia iconografica del margine, per niente marginale, che eredita le fiammate di verità della resistenza antifascista (’43-’45) e la gioia della ribellione libertaria del ’68... è una seminagione di idee sulla libertà, la giustizia, l’accoglienza e la fraternità che in questo inizio di secolo ancora scuotono alla base gli edifici marci delle istituzioni, della politica, della religione... conniventi con la criminalità organizzata e responsabili della miseria secolare nella quale versano grandi pezzi di umanità. La figura cristica del potere mostra tutta la sua ferocia tanto nelle democrazie consumeriste che nei regimi comunisti... sono le medesimi cimici che infettano l’anima del mondo e fanno della propria brutalità il boccascena di terrori di prima qualità... le banche, i partiti, la polizia, i saperi accademici, i mezzi di comunicazione di massa (saldamente in mano ai potentati) erigono profeti, demiurghi, imbecilli di prim’ordine per educare il maggior numero alla rinuncia della ragione. Tutte le aureole sono intrise di sangue innocente e alla fine di tutti i sarcasmi, solo il grido insurrezionale dei popoli infrange rassegnazioni e imposture e senza mezzi termini frantuma l’ideologie dell’assoluto.

In ogni epoca di trasfigurazioni sociali... il ruolo architettonico dei franchi tiratori sull’ordine costituito ha avuto un certo riconoscimento storico e qualche volta sono riusciti anche a portare il fuoco sacro degli uomini in libertà perfino nei palazzi nell’ora del tè... esprimere la natura intima di ogni mutamento storico o utopia felice per trasmetterla alla comunità che viene, significa lavorare per il risveglio, la rinascita, il capovolgimento di valori e morali da operetta. La società prodiga è l’opposto della vita mutilata e il suo debutto o avvento della propria fame di giustizia, bellezza e verità sulle scene del mondo, contiene la vita piena di vita. Se gli uomini e le donne accettano supinamente vessazioni, angherie, genocidi... sono spettatori o complici... e la colpa non è delle stelle se la sofferenza generale si riflette nella notte dell’insincerità istituzionale... solo l’uomo in rivolta è padrone del proprio destino, ma finché viviamo in mezzo alla cattività del buon governo, ci accontentiamo benissimo dello Stato (e dei suoi buffoni di corte), invece di dargli la sorte che merita: l’immondezzaio.
La rivolta segna il salto dalla resistenza alla conquista della dignità... è un modo per spezzare il delitto impunito, la mistica elettorale, l’arroganza dei privilegiati... qualifica gli animi che sono capaci di insorgere alla minima occasione contro gli idolatri del conformismo, dell’aspersorio e del manganello... sempre gli stessi... despoti su larga scala... che attraverso il consenso delle folle hanno fatto del delirio e del sopruso una civiltà di barbarie. Del resto, il profumo del potere — politico, religioso, finanziario o banditesco — attira i falliti di successo come le mosche sulla merda.


L’uomo in rivolta si oppone (con tutti i mezzi necessari) ai miserabili che predicano il fascino della propria mediocrità... destra o sinistra sono la medesima sozzura... rigetta il ribrezzo della politica, della fede, del terrorismo delle banche, dei saperi prezzolati... e si abbandona tutte le ribellioni, anche quelle più estreme, e in lieve eccesso di romanticismo brucia l’insensato statuale. Se vogliamo sapere quel che è stato delle classi dirigenti di una nazione e perché sono state indegne del loro passato, non dobbiamo fare altro che fare una passeggiata ad Auschwitz, a Hiroshima, nei Gulag o alla Fiat... le immagini dei governanti che hanno permesso tutto questo lo dicono a sufficienza... esprimono bene l’odio affilato per i diversi, gli indifesi, gli ultimi e l’istinto di rapina assimilato nell’investitura istituzionale che li contraddistingue... i loro successori hanno la medesima faccia da criminali che si ostinano ad evadere un certo “stile”... e senza un filo di grazia (che avrebbe avuto perfino il boia di Londra per i suoi impiccati) hanno continuato ad affamare i popoli e colpire a morte l’ecosistema del pianeta. Chi cerca il destino dell’umanità lo troverà solamente sulle macerie (o sulle rivolte) dell’ordine costituito.


C’è bellezza solo negli umiliati e negli offesi... qualunque difficoltà presenti l’impresa, non vorrei mai essere infedele né agli uni né agli altri, Albert Camus, diceva. L’uomo in rivolta respinge l’ordine umiliante del primo ministro, presidente, generale o papa insieme alla sua stessa condizione di servo... viola il limite permesso dalla legiferazione discriminante e tratta alla pari il proprio destino di uomo libero. Il balzo in rivolta lo porta oltre la nuda disobbedienza... si riprende la dignità di sé e la proietta sopra a tutto... anche a costo della vita.
La fotografia in rivolta di Luciano Ferrara, sotto diversi tagli, è una catenaria di eventi sociali che disvelano chiese, ideologie, polizie, luoghi comuni... e in certi momenti di raffinatezza plebea, le sue immagini raggiungono vette espressive di notevole bellezza etica ed estetica... penetrano l’insoluto, detergono la volgarità, mettono in guardia dalla felicità e dal successo prostituiti al mercimonio... l’insieme delle sue fotografie architettano una filosofia della storia quotidiana che rigetta l’abitudine alla sofferenza senza fine e senza ragione, e i suoi ritrattati sovente sembrano uscire dai lamenti del coro nella tragedia greca per riversarsi in lotta nelle strade della terra.

Un’annotazione necessaria a comprendere la complessa attività artistica di Luciano Ferrara. Ferrara nasce a Cimitile nel 1950. 1964, inizia a lavorare prima come apprendista fotografo, in seguito come stampatore presso vari studi artigianali di Napoli. 1967, la sua attenzione per la complessa realtà Campana è vivissima. 1970-1978, diventa free-lance. Fa della sua attività professionale un lavoro politico di documentazione e controinformazione sui gruppi di movimento. Promuove e organizza mostre "volanti" nei quartieri e nelle grandi fabbriche meridionali. 1974, comincia il suo lavoro di documentazione sulle lotte dei Disoccupati organizzati, lavoro che sarà pubblicato nel 1997. 1975-1980, collabora col quindicinale La Voce della Campania. 1976, prima collettiva al Maschio Angioino a Napoli dal titolo "Proletariato marginale e sottoproletariato". Si reca nelle zone terremotate del Friuli, con il suo compagno di viaggio Rino La Rocca, insieme realizzano un audiovisivo per i gruppi di controinformazione sul territorio: dal titolo  Terremoto in Friuli. 1978, inizia la collaborazione con l'Espresso. 1979, si inaugura a Roma, presso la libreria "Sapere", la mostra  Tre anni di agit-prop, itinerante in numerose città italiane ed estere.
Inizia la sua analisi fotografica sul fenomeno dei “femminielli” a Napoli. Entra a far parte della segreteria dell' "Airf ", Associazione Italiana reporter fotografi e si occupa dei problemi sindacali dei fotoreporters campani. Nell'‘84 ne diverrà segretario regionale Regionale. 1980, la sua prima personale, "Secondigliano, ai margini della città", è affiancata da un'inchiesta realizzata con un gruppo di sociologi dell'Università di Napoli sul comprensorio 167. 1981, conosce Joseph Koudelka, la cui amicizia ed i cui consigli saranno importantissimi per il suo lavoro. Per quattro anni documenterà l'impegno civile dei Comitati per la Pace a Comiso. 1982, inizia un lavoro sulla legge 180. Dalle sue immagini sui “femminielli” napoletani il regista Nando Balestra realizza il programma per la RAI Napoli, città immaginaria. 1983, dal suo reportage sulla guerra in Libano viene tratto l'audiovisivo Libano, un groviglio di guerre, realizzato da Guido Piccoli. Inizia un reportage sull'isola di Procida. 1984, realizza l'audiovisivo Vite di strada, proiettato in numerosi circuiti nazionali.
Si reca in Israele e nei Territori Occupati per un reportage. Inizia un lavoro sull'aristocrazia napoletana. La Rai gli dedica un programma televisivo con la regia di Mario Franco.
Nasce suo figlio Francesco. Alcune sue foto sui travestiti sono utilizzate da "Antenne Deux" per la realizzazione del documentario Les Castrats a cura di Carlos Allende. 1985, su invito della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici della Campania espone al Museo Pignatelli l'antologica "Luciano Ferrara reporter: Napoli e oltre", sintesi di quindici anni di lavoro. La presentazione al catalogo è di Luciano D'Alessandro. 1986, espone alla galleria Ricerca Aperta di Napoli un lavoro sulla Kalsa di Palermo. 1987, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici , diretto dall'avvocato Gerardo Marotta, il suo libro "Appunti immaginari di un grande teatro lirico. San Carlo”, viene presentato fra gli altri da Massimo Caprara. E' tra i soci fondatori della "Società Napoletana di Poesia"che si propone di ripercorrere "gli antichi sentieri della poesia pensata".
1988, continua la sua ricerca fotografica su Parigi, iniziata tre anni prima. 1989, fonda, con Serena Santoro, l'agenzia fotogiornalistica Nouvellepresse. È uno dei soci fondatori dell'associazione culturale "Voluptaria". Viene invitato a partecipare alla selezione finale del premio Eugene Smith. Inizia un tour fotografico in Europa, teatro, in quegli anni, di importantissime innovazioni storiche e sociali: sua prima tappa è Berlino. 1990, Si reca in Romania. 1991, espone al caffè letterario IntraMoenia, "Ritratti d'autore". È ad Amman durante la guerra del Golfo. Conclusosi il conflitto, si reca in Albania. 1992, torna in Albania. Esporrà le foto di questi due viaggi a Padova nella mostra "Reportage Albania", realizzata con Ugo Panella. 1993, realizza, nel Centro Storico di Napoli, la campagna pubblicitaria per Rocco Barocco. A Procida, nell'ambito del premio “Elsa Morante” espone nella chiesa di Santa Margherita "Ritratto di un'isola". 1994, nell'ambito di “Napoli Porte Aperte” espone nella Chiesa di S.Paolo Maggiore "Procida". Le foto della mostra sono raccolte in un cofanetto edito da Intramoenia.

In occasione del summit internazionale G7, svoltosi a Napoli, espone all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici "L'ultimo villaggio", vent'anni di fotogiornalismo a Napoli. La presentazione al catalogo è di Franco Lefèvre. 1995, è invitato dalla Kodak in Egitto, ad Hurgada, a tenere il seminario "Fotografia e fotogiornalismo". Espone a Napoli, nel chiostro di S.Maria la Nova ed in contemporanea a New York, a Soho, nella galleria Spazio Italia, la mostra "1925-1995: Napoli-Naples fotografia", voluta dal sindaco di Napoli Antonio Bassolino. 1997, pubblica "È qui la festa. 1970-1997 Disoccupati Organizzati a Napoli". Il libro viene presentato nell'Antisala dei Baroni, al Maschio Angioino di Napoli, dallo storico Percy Allum. È eletto consigliere nazionale dell'ordine dei giornalisti. 1998, tiene uno stage nell'ambito dei "I lunedì della fotografia" rassegna promossa dall'associazione "Laboratorio Città Nuova" e "Archivi fotografici napoletani". 1999, è uno dei fondatori-e direttore del nodo-funzione fotografia/memoria- della "Fabbrica dell'immaginario", network per la produzione e lo sviluppo di contenuti nell'industria culturale e nell'entertainment. Collabora al format per www.fotoromanzo.it. Inizia un lavoro sul centro storico di Cosenza. In occasione del decennale della caduta del muro di Berlino espone al Goethe Institut di Napoli "La fine del muro di Berlino. Frammenti di muro", mostra che sarà itinerante in numerose città italiane.
2000, la Soprintendenza di Matera ospita la mostra sulla caduta del muro di Berlino a Palazzo Lanfranchi. Partecipa a numerose collettive. Espone alla Casa delle Culture di Cosenza, "Bella Cosenza", 50 foto sul centro storico della cittadina Calabrese con un volume edito da Federico Motta. Inizia a documentare il lungo cammino del movimento no-global in europa, prima grande manifestazione, Praga. 2000 - 2001, in occasione dell'inaugurazione dell'istituto di Cultura Italo-Tedesco I.C.I.T. - Università di Arcavacata; espone "La fine del Muro di Berlino Frammenti di Muro”. Il Quotidiano di Cosenza diretto da Ennio Simeone dedica uno speciale di 16 pagine alla mostra. Filobus, percorsi nell'arte contemporanea rassegna a cura di Vittorio Cappelli, ospita nel Protoconvento di Castrovillari la mostra "La fine del Muro di Berlino - Frammenti di Muro". L'istituto Abruzzese per Storia della Resistenza e dell'Italia contemporanea gli assegna il premio Atri, premio per La Fotografia per la Pace e la Libertà - mostra a cura di Franco Soldani, consegna il premio Francesco Cito. Nell'occasione espone negli spazi di palazzo Ducale delle cittadina Abruzzese. Cinema Roma Portici. “Frammenti di Muro-La fine del Muro di Berlino. Immagini dell'europa che cambia”. Realizza per Il Centro Studi Umanesimo e Tecnologia “La fabbrica dell'immaginario", il reportage fotografico per il primo fotoromanzo a episodi per internet. Coordina la pubblicazione del volume è la realizzazione della mostra fotografica itinerante "Un altro mondo è possibile"

L'onda della moltidudine in Europa, ed. Intra Moenia. 2002, si reca a Porto Alegre, Brasile, al social forum mondiale per realizzare una pubblicazione sul tema democrazia partecipata ed. Intra-moenia. Continua a documentare le lotte e il cammino del movimento dei movimenti no global. 2003, fonda con Federico Mininni, Samuele Pellecchia, Francesca Marzotto 28 29 “30” 31 mensile dedicato al fotogiornalismo, “La Palla Spaccata”. Coordina con il Collettivo Operaio Nacchere Rosse di Pomigliano d’Arco, la prima mostra documentaria, multimediale del carnevale popolare Pomiglianese, esposta al Palazzo Baronale. Pomigliano D’arco: Rassegna Città globale. Cura la mostra fotografica “Dal Mondo frammenti di vita”, 24 fotogiornalisti internazionali espongono sui palazzi della città. 2004, Ponticelli: Festival Cineuropa dedicato a Truffaut. Installazione di 12 gigantografie sui muri della Città. Si reca a Cuba per un reportage sulle identità storiche “della provincia di Granma” gemellata con il comune di Pomigliano d ‘Arco, il reportage denominato “Miradas” e il titolo della rassegna annuale di “Città globale”. 2005 Realizza la campagna fotografica per “AgriCultura” ( www.lucianoferrara.it ).








Non ci interessa qui dissertare sui risvolti della fotovita di Luciano Ferrara... premi, onori e glorie li lasciamo ai curiosi della storiografia fotografica o ai culi di piombo dell’accademia... c’importa molto invece entrare nelle pieghe del discorso fotografico del napoletano... pensiamo infatti che il lavoro di Ferrara sia tra i più importanti e radicali mai apparsi nella fotografia italiana d’impegno civile. Il suo fare-fotografia ha rappresentato il suo tempo, la sua epoca, la cultura profonda di una città del dispendio e del coraggio, dell’oscuro e dell’oblio, della passionalità e della rivolta, e mostrato Napoli (ma non solo) come anima del mondo. Va detto. Devo ancora incontrare un ignorante, un illetterato, un poeta o un ribelle le cui radici popolari non affondino nel mio cuore. E tutto questo lo ritrovo nelle immagini di Ferrara. Più ancora, la cartografia di Ferrara, nel suo insieme, esprime la speranza intima di un messaggio inesauribile, la figurazione della verità come momento scippato alla storia imperante. Ha scelto la parte contro la quale stare... e nella sua ritrattistica popolare si riconosce il cantico degli esclusi, dei picchiati, degli insorti del desiderio di vivere tra liberi e uguali. Senza l’epifania della fotografia eversiva che la storia delle immagini contiene (quando non è censurata nel silenzio o recuperata come merce), la nostra epoca non sarebbe la stessa.


II. Sulla fotografia in rivolta

Il fotogiornalismo di Ferrara è scevro dalle compiacenze editoriali, dalle affettazioni di cronaca, dal calcolo egoista dei giornali/riviste a grande tiratura, che invece incensano fotografi più adatti agli scaffali dei centri commerciali, gallerie d’arte d’accatto, musei dell’acqua benedetta... tutta roba che serve a vendere le immagini e non a riflettere su come va il mondo. La visione fotografica di Ferrara è austera, quasi “secca”, com un colpo di fucile sparato in bocca a un despota d’altri tempi o a un primo ministro, capo di Stato o papa che pensa di essere dio... sono la medesima cosa... incarnano il privilegio della feccia. Nelle fotografie di Ferrara, la bellezza, la risolutezza, la dignità, sono colti al volo e l’autobiografia, più o meno travestita, è sempre sul bordo della sensibilità o della coscienza di essere testimone della sofferenza e dell’indignazione... le sue fotografie vanno sempre oltre il respiro amoroso che disperdono sui marciapiedi della vita e sembrano avere un appuntamento con l’eternità.



L’atlante geopolitico di Ferrara si compone di immagini della contemporaneità... lotte operaie, feste religiose, Scampia Secondigliano... ritratti di donne, uomini, bambini... disoccupati, “femminielli”, emarginati... reportage d’impianto sociale in Albania, Romania, Brasile, Palestina... e molto altro ancora, e queste sono le fotografie di Ferrara che ci è piaciuto studiare, approfondire, scavare nell’atanor della sua creatività... tutta una catenaria dell’esclusione e della disobbedienza civile che riflette l’istinto, il movente, il desiderio cosciente che un mondo diverso è possibile: “Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei” (Don Andrea Gallo). Non c’è dubbio, l’incrocio fra il santo e l’imbecille è sempre su un palco, un altare o una carica di polizia... ciò che umilia l’intelligenza ci disgusta quanto la caricatura della politica che tratta con la mafia.

Nelle fotografie di Ferrara c’è uno slancio vitale, un pensiero in evoluzione, un’energia creatrice sciolti da vincoli religiosi, istituzionali, ideologici e una fisica della vita libertaria che determina la fecondità dell’emozione con la quale scardina simulacri e pregiudizi, e restituisce all’uomo la sovranità della propria esistenza. Gli operai, i disoccupati, gli emarginati, i no-global, i “femminielli” sono ritagliati in un’aura di accoglienza, figurati in uno stoicismo della condivisione, depositari in un lignaggio quasi regale nel quale la dignità trova il suo posto. I volti, i corpi, gli atteggiamenti dei “femminielli” esprimono una voluttà libertina, la presenza di una realtà denudata ma non giudicata... è l’uso utilitaristico di una morale da bottegai che Ferrara divelte... nelle cose dell’amore come per la fame della libertà tutto è permesso. La morale fa parte del bagagliaio delle menzogne istituite e serve a perpetuare l’etica utilitaristica di ogni potere.
Le immagini degli operai, disoccupati, emarginati, giovani generazioni (no-global) in lotta per mutare la pelle della storia... si portano addosso la potenza di una coscienza interiore che si accompagna alla realizzazione di una società senza crudeltà... a stati di coscienza legati all’essenza stessa dell’esercizio di vivere senza sfruttare né essere sfruttati e indicano la vittoria della vita sul dolore. Le rabbie e le gioie, le passioni e le lacrime, le lotte e le sconfitte degli esclusi della società consumerista sfilano sulle facce, nelle situazioni, negli accidenti che accendono l’immaginario liberato di Ferrara... le sue fotografie sono costruite sull’immediato, il colpo di mano, la vitalità realista che solo il “teatro aperto” della strada può offrire... c’è dentro queste immagini la pietà, la generosità, l’altruismo, l’amore del prossimo, l’elogio del diverso da sé come portatore di un’etica che rigetta ogni forma di repressione e rende conto solo a una morale senza obbligo, quella dell’amore dell’uomo per l’uomo.


L’iconografia di Ferrara non ignora il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso, il buono e il cattivo... va al di là di queste categorie perché solo la bellezza e la giustizia rendono conto al bene comune, che è il sale della terra. A scorrere i suoi reportage si resta abbacinati di tanta semplicità autoriale... sono immagini tattili, evocative, passionali al contempo e sostenute dallo sguardo risoluto del viandante delle stelle che si affranca con l’umanità in cammino verso una felicità possibile. I ritrattati ci guardano, quasi stupiti di tanta attenzione per chi, come loro, vedono ogni giorno i loro diritti calpestati... il fotografo sta loro accanto, quasi addosso, le sue immagini grondano di sudore, di fame, di rabbia, di gioia... si tocca la finitezza della fotografia di strada e il vissuto quotidiano che si porta dietro. Al diritto della forza queste immagini evocano la forza del diritto e sembrano chiedere la liquidazione dei vessatori, degli oppressori, degli scannatori della libertà... testimoniano l’atto di decesso della società consumerista.
La fotografia in rivolta di Ferrara — ma è in buona compagnia di altri briganti del libero pensiero — recide ogni indegnità artistica e aderisce al romanzo popolare che l’accompagna... denuncia le brutture del potere per meglio aiutarlo a crollare... si affianca ai difensori radicali del pianeta blu, ripudia i rapporti dei valori imposti e decostruisce le favole della civiltà dello spettacolo, che è l’attuale organizzazione della società, centralizzata e totalmente dispotica nell’equazione politica-spettacolo, senza mai dimenticare il manganello. L’impertinenza utopica di Ferrara è di quelle forti... ma ferme... radicata nella cultura sovversiva della Napoli millenaria... che disfa abitudini e confessioni, lamenti e derisioni, camorre e crimini... si tiene lontana dalla “letteratura” e dalla moltiplicazione dei simulacri... e ricorda che uccidere un simulacro non è un assassinio, ma un atto di giustizia.

I disingannati della fotografia in rivolta sono reietti, proscritti, briganti per vocazione... poeti dell’eresia... hanno conati di vomito e lucide follie davanti a tutte le ortodossie... si definiscono in rapporto ai valori che ripudiano e si trovano sempre al punto di partenza di qualsiasi insurrezione... sanno che ogni innovazione libertaria porta con sé l’abbattimento di un sistema politico, religioso, economico e mettono le loro vite al centro di tutte le rotture contro la scuola dei tiranni... si fanno interpreti del dissidio e rompono l’equilibro e il torpore velenoso delle istituzioni, minano alle fondamenta degli incurabili della prevaricazione per meglio affrettarne la fine.
La filosofia eversiva di ogni forma d’arte è fatta di impeti e bagliori di verità estreme... molti eretici dell’eresia sostengono, a ragione, che diventare nemico di questa razza di serpi che hanno fatto il covo nei governi e nei parlamenti, è forse la più alta dignità alla quale si possa aspirare, che è il fulgore della sovranità dell’uomo di fronte alla storia e la conquista della felicità per tutti gli uomini. Si tratta, dicono questi contrabbandieri di sogni, di respingere la violenza, la cupidigia, l’atarassia delle istituzioni, dei partiti, dei credi... mostrare che la fine dell’ingenuità fiorisce sulle spoglie di tutti gli imperi... impugnare le armi della critica in rivolte più affinate e far conoscere la paura e il tremore a chi l’hanno sempre inflitti nei secoli... tutti i peccati provengono dalla tirannide... il popolo in rivolta che è in noi è responsabile delle nostre esuberanze e dei nostri eccessi: cosa c’è di più eversivo di un uomo libero? Niente! tutto si può fare! perché niente è sacro!... ma occorre vincere il pudore dei limiti per dare inizio alla caduta della società alienata... chiunque può attribuirsi un destino, chiunque può fare della propria esistenza l’aspirazione incontenibile alla felicità.
Mai censura è stata più perfetta di quella orchestrata dalla società dello spettacolare integrato... mai l’opinione di uomini e donne è stata autorizzata a manifestarsi nelle scelte della vita reale... mai i tradimenti dei governanti (condannati, inquisiti, ladri...) hanno permesso la loro revoca da parte del popolo... le democrazie spettacolari hanno espresso una psicologia di massa della sottomissione e diretto a loro piacimento la domesticazione sociale che ne consegue... i padroni di questo sistema si avvalgono di specialisti (illusionisti, imbonitori, protettori) e affidano ai loro servigi l’alfabetizzazione dei loro elettori... l’informazione manipolata è il cattivo uso della verità, chi la diffonde è complice, chi ci crede, imbecille.


Va detto. Nessuna epoca ha mai conosciuto una tale coscienza di sé... i passatori di confine invitano a cambiare il mondo... chiedono la trasformazione, la più liberante, della società e della vita quotidiana... sanno che tutto questo è possibile con azioni appropriate. Non possiamo ovviamente parlare in tutta libertà... soprattutto dobbiamo stare attenti a non istruire troppo chiunque si appresti ad entrare a viso scoperto nelle nostre costruzioni di situazioni... la critica della società spettacolare è comunque seminata... certi elementi saranno volutamente omessi e altri converrà restino oscuri... il cinismo dei profeti riconcilia dottrine e vittime, umanizza perfino le guerre e porta appeso al collo l’avvenire del terrore. “Là dove domina lo spettacolare concentrato domina anche la polizia... Lo spettacolo non canta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni” (Guy Debord). Indignarsi, insorgere, ribellarsi significa smettere di venerare, significa levarsi contro la dissimulazione della violenza istituita e proclamare il fallimento dei suoi tenutari. L’oppressione del “sublime” deve finire, e attraverso la rigenerazione dello stupore e della meraviglia passare alla demolizione di due secoli di efferate sciocchezze e mettere fine ad una civiltà dissennata.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 4 volte novembre 2014



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