«Ehi! Sei a bravo a fare della psicoanalisi!» «Non è psicoanalisi, ma paradigma cognitivo-comportamentale» |
Carissimo,
giorni fa avevo cominciato a scrivere un testo
per ridicolizzare l’impiego così alla moda del termine «paradigma» e
dell’aggettivo «paradigmatico» - che, se possibile, trovo ancor peggiore.
Mi aveva stimolato la recente lettura di alcuni
libri e di articoli pubblicati in alcuni siti dove il vezzo si annida in modo
particolare. Ma in realtà sono state solo gocce che hanno fatto traboccare il
vaso: da un bel po’ di tempo, infatti, non ne potevo più di questa ennesima
ridicolaggine, di questo ennesimo sotterfugio linguistico che ormai
spadroneggia all’interno del sinistrese. La sua funzione di riempitivo
conformistico e di palliativo rassicurante per un mondo di pseudointellettuali
privi di una salda formazione teorica (e linguistica) è molto evidente. E
l’insicurezza di chi impiega il termine è pari al tono intimidatorio con cui
esso viene pronunciato o al tono di ammiccante complicità con cui viene scritto
(«Tu ed io sappiamo cosa intendo dire, vero?»).
Ma sbalordisce, ancora una volta, il fatto che
chi si riempie la bocca col «paradigma» sembra molto fiero di farlo. A volte dà
l’impressione di considerarsi il primo o uno tra gli eletti che sono in grado
di ricorrervi, dimentico di tutti gli altri termini più o meno astrusi arrivati
e passati di moda nel sinistrese, venerati e diffusi a man larga dai precedenti
greggi di pseudointellettuali o aspiranti tali.
Probabilmente dovrò tornarvi sopra, ma per ora
mi son dovuto fermare quando mi sono reso conto che rischiavo di andare oltre
la presa in giro e lo sfogo (le uniche cose che in quel momento mi stavano a
cuore).
In realtà, per proseguire avrei dovuto
distinguere nettamente l’impiego del termine in sinistrese da parte di chi è
affascinato dall’aspetto fonetico - se lo reciti ad alta voce, ti accorgi che
riempie la bocca alla grande e per ben due volte, mentre ancor più
impressionante foneticamente è l’esasillabo «pà-ra-dig-mà-ti-co» - rispetto a
chi invece gli ha attribuito altri significati all’interno della comunità
filosofico-scientifica (Thomas Kuhn in primo luogo e in epoca moderna, ma in
formulazione teorica almeno del 1962 - La
struttura delle rivoluzioni scientifiche - dove s’intende per paradigma
«una costellazione che comprende globalmente leggi, teorie, applicazioni e
strumenti e che fornisce un modello che dà origine a una particolare tradizione
di ricerca scientifica dotata di una sua coerenza»).
Devo dire, però, che anche in tale comunità
faticano a mettersi d’accordo sul significato da attribuirgli in campo
scientifico, a seconda degli autori: prototipo? un certo tipo di modello?
oggetto di confronto, riferimento o esempio? complesso di regole metodologiche?
l’insieme di una tradizione disciplinare (ma in una ben determinata disciplina
scientifica)? un risultato scientifico con premesse e conclusioni
universalmente riconosciute sia pure in via temporanea? (di qui la frequenza
con cui le singole scienze alludono al famigerato «cambio paradigmatico»);
modello sperimentale condiviso e distinto dal metodo scientifico vero e
proprio? e via discorrendo e… complicando molto artificialmente.
Andrebbe aggiunto, poi, un significato
particolare che il paradigma ha nella linguistica.
Non potevo prendermela, quindi, con la
discussione che nella comunità scientifica le idee di Kuhn hanno originato e ho
preferito lasciar perdere la polemica con i lillipuziani di casa italiota. Ciò
non significa, però, che l’uso del termine non continui ad essere ridicolo o
indice di presunzione, giacché per la cara vecchia lingua italiana il paradigma
è solo lo schema di declinazione dei nomi o di coniugazione dei verbi: è questo
l’unico significato e uso linguistico che una persona normale come me è
obbligata ad accettare, anche se nella mia veste di editore sono costretto a
pubblicare libri che invece utilizzano abusivamente il termine, con autori che
strizzano l’occhio a far intendere che loro sì sanno parlare il manzoniano latinorum...
L’impiego del termine in politica, in campo
sindacale, movimentistico ecc. - ma anche marxista o vagamente sociologico - è
totalmente fasullo. Nessuno sa bene di cosa sta parlando quando lo impiega in
simili contesti e tra chi legge o ascolta nessuno è obbligato ad accettarne il
significato che il singolo gli sta dando. Tra coloro che lo usano ci sarà pure
qualcuno familiare con le teorie di Kuhn (ma ciò non lo giustifica per l’uso
arbitrario o la volgarizzazione extrascientifica che ne sta facendo, fosse
anche il fantasma di Kuhn in persona). Ma la verità è che i più non sanno
nemmeno da dove origini il termine e chi sia stato questo Kuhn. L’hanno sentito
in bocca a qualche bonzo sindacale, a capetti di gruppi politici o a
intellettuali molto in - cioè buoni
per tutte le stagioni - e tanto basta.
Con «globalizzazione» era accaduto qualcosa di
simile e anche in quel caso si arrivò a una situazione in cui non se ne poteva
proprio più. Ma la distinzione tra uso comune-volgare e uso «scientifico» era
meno netta perché bene o male s’intuiva che cosa uno volesse dire (anche se per
noi marxisti era solo un sinonimo - di cose dette e ridette da tutti i Padri e
soprattutto dalla più celebre Madre del marxismo - colto ovviamente nel suo
sviluppo… storico-dialettico. Ahi!).
Qui no. Qui c’è di mezzo il salto dalla
semantica lessicale italiana (con uso certo) alle moderne teorie della scienza
(paradossalmente di uso incerto), con un vuoto mentale che non viene riempito
dal cicaleccio presuntuoso dei marxoidi, postmarxoidi, negriani, žižekiani,
poveri diavoli ecc. La verità è che usando il termine fuori luogo si sta
prendendo in giro Kuhn, la filosofia della scienza e il tentativo di intendersi
tra comunità di scienziati operanti in discipline diverse: magari saranno
ridicoli anche tutti costoro (non è da escludere), ma sarai d’accordo che i due
campi del ridicolo sono incommensurabili, in primo luogo sul piano delle
intenzioni, che ci riporta come sempre al piano etico destinato a rivelarsi
fondamentale anche sul piano linguistico.
Un caro saluto àntipàradigmàtico (ottosillabico)
Roberto
[Massari]
(27/9/2014)
Caro Roberto,
quando ero all’università in effetti mi son
dovuto sorbire enormi clisteri di epistemologia, complessità, postmoderno,
catastrofismi ecc. Non so adesso, ma allora l’epistemologia imperava come mai
prima: tentativo di rimediare al crollo della fede, penso. Sono perfettamente
d’accordo con te. Tra l’altro, in un saggio di non ricordo chi, c’è un elenco
di diverse modalità d’impiego del termine «paradigma» da parte dello stesso
Kuhn.
Non mi pare d’aver mai impiegato il termine
anche perché, quali che ne siano i meriti relativamente al falsificazionismo di
Popper, non mi ha convinto. Se proprio dovessi, userei il concetto di
«programma di lavoro» di Imre Lakatos, che trovo più consapevolmente elastico e
aderente alla realtà della ricerca scientifica. E non solo scientifica.
Se proprio si volesse adottare un termine di
paragone a portata di mano, quel che facciamo come Utopia Rossa potrebbe
descriversi in termini lakatosiani: un gruppo di «teorie» di origine differente
che però condivide un nucleo comune da sviluppare. E sarebbe un programma di
ricerca progressivo, perché rende conto di un maggior numero di anomalie.
Però mi viene da sorridere o ridere.
Comunque, per rafforzare la tua critica: chi
parla positivamente di un «nuovo paradigma» forse non si rende conto di quel
che implica. Il paradigma di Kuhn è proprio della «scienza normale» dopo la
«rivoluzione scientifica». Il lavoro della scienza normale sulla base di un
paradigma implica una buona dose di normalizzazione, dogmatismo, fideismo. Ci
si affida al paradigma, insomma, fino al seguente sconquasso. Anche ammettendo
che nelle scienze sociali o in politica esistano i paradigmi nel senso più
rigoroso (di sicuro più paradigmi in concorrenza, non uno), allora bisognerebbe
combattere la mentalità che porta alla fideistica ed entusiastica adesione a un
paradigma.
Esiste un paradigma marxiano o marxista? Non
direi. E con Henri Lefebvre me la sento di dire che nell’ismo di marxismo c’è già il dogmatismo.
Potrei dirti qualcosa di più, ma sono ancora
fuori casa e non ho accesso ai libri pertinenti. Ci vediamo presto,
Michele
[Nobile]
(28.9.2014)
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