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mercoledì 12 marzo 2014

UNA CRITICA A BERTELLI SUL FILM «LA GRANDE BELLEZZA», di Danilo Breschi (con la risposta di Pino Bertelli)


Gent. Massari,
mi permetto di scriverLe due righe in riferimento all'articolo di Pino Bertelli, che ho ricevuto via email stasera:

Così tanto, così troppo, sopra il film che del film finisce per non dire più nulla. Mi riferisco a "La grande bellezza", che ho visto (peraltro prevenuto, anche per la recensione che avevo letto dello stesso Bertelli, oltre che per l'eccesso di riconoscimenti che stava mietendo; mi sono poi ricreduto, abituato a fare i conti con me stesso e con quel che mi si pone di fronte e ad analizzare la relazione, con annessi e connessi, tra me e ciò che mi fronteggia). Non ho invece visto "The Wolf of Wall Street".

Può non piacere lo stile e la linea estetica adottati da Sorrentino, oscillante tra nichilismo ed estetismo (intesi nella tradizione di una letteratura franco-germanofona collocata tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento; da Flaubert a Proust, da Gide a Céline, da Musil a Mann - e sono stati tutti ficcati dentro, eccome se ci sono...! magari filtrati da registi precedenti che li avevano più esplicitamente inseriti). Si può senz'altro elencarne i punti deboli e quel che non convince, dire che è avvilente, ridondante, un po' pretenzioso, zeppo di citazioni poco amalgamate, ecc. ecc., ma come si può dire che "La grande bellezza" non sia un film con forza iconica e narrativa (che si fa anche con pochi dialoghi, visto che parliamo di cinema e non di prosa letteraria...)? Non si può negare l'interesse e l'attenzione che suscita il film, a suo modo ambizioso - e non solo pretenzioso - e vivaddio!! tenuto conto di come vivacchia il 90% della cinematografia italiana.  Tenuto poi conto della scarsità di attori nostrani di alto livello. Sorrentino, a tal proposito, è riuscito a "sfruttarli", anche in senso proprio, e di farlo al meglio... Il film anche di quello e su quello voleva parlare. E ogni bravo regista, o almeno la volta in cui riesce ad esserlo, è sempre un po' "figlio di buona donna" con i suoi attori, anzitutto... A leggere Bertelli sembra che "La grande bellezza" sia proprio una schifezza al pari dei cinepanettoni, con l'aggravante che si prende sul serio e fa il verso al cinema colto.
Così mi sembra che si faccia un torto all'intelligenza propria e altrui. Certo, si può dire tutto e il suo contrario, ma allora perché poi meravigliarsi dell'assenza della vera critica dell'esistente? 
E poi, cosa c'entrano con l'analisi e la valutazione del film di Sorrentino le affermazioni che seguono? 

"Tutta questa allegra brigata di estimatori di La grande bellezza, sembrano non sapere che ogni apologia non è che l’assassinio del vero, del giusto, del bello, per eccessivo uso dell’entusiasmo. È impossibile conciliare l’onnipotenza del mercato (non solo cinematografico) con la libertà, il rispetto, la solidarietà degli ultimi, degli esclusi, degli offesi... l’ossessione del successo impera e quando ogni opera d’arte è esclusivo possedimento delle banche, della politica o dei mercati, c’è un po’ più dolore nel mondo".

Marx metteva in guardia dalla falsa coscienza e dalla mistificazione. Qui si prende in oggetto qualcosa, un film, la cui unica colpa è di risultare vincente (magari anche per una serie di fortuite coincidenze e opportunità od opportunismi, com'è indubbiamente accaduto per l'Oscar a Sorrentino, e come accade sempre o spesso per simili riconoscimenti), per parlare di tutt'altro. Con articoli e critiche così si galleggia sulla sovrastruttura pensando di andare a scalfire la struttura. A me sembra il contrario.  Mi sembra che si parta con il fare il verso a Debord e si finisca con l'alimentare una babele ed una cacofonia indubbiamente imperanti nelle società intasate dai mass media. Tra parentesi, personalmente starei attento a prendere troppo dal surrealismo (e post) e dallo strutturalismo (e post) d'Oltralpe. I francesi sono sovente assai più vacui e fumosi di Sorrentino e Jep Gambardella... E maggiormente grave credo sia alimentare caos scrivendo senza costrutto, anzitutto grammaticale. A rimetterci è anzitutto il pensiero, che resta inarticolato, così che infine annega lo stesso intento critico militante. Insomma, da critiche così non ci si cava un ragno dal buco.

Cordialmente,
Danilo Breschi



Caro Breschi, non posso che ringraziarti per la riflessione che invii e che giro a Bertelli. Mi sembra molto seria e argomentata e sono certo che l'interessato saprà apprezzarla.
Non me ne devi avere, però, se ti dico che anch'io mi colloco tra coloro cui il film non è piaciuto affatto. E questo indipendentemente dalle ragioni per cui non è piaciuto a Bertelli (o alle molte altre critiche drastiche che ho scovato in Internet). Non ho qui il tempo né la necessaria competenza per argomentare il mio punto di vista. Prendila come una mia reazione a fior di pelle. Il film mi è parso noioso, privo di una giustificazione estetica o contenutistica, esageratamente imitatore del peggior Fellini (non tanto quello della Dolce vita, come hanno detto tutti, quanto quello del finale di Roma, come non ha detto nessuno che io sappia - il film Roma che per altro è stupendo a mio avviso in tutta la parte felliniana autentica e un po' meno in quella barocca alla quale sembra essersi ispirato Sorrentino).
Aggiungo che dopo due ore e tante di Tony Servillo (di rifacimento di se stesso monoespressivo e di tutti i Servilli precedenti) starò più attento ad andare a vedere prossimi film in cui ci sia lui come attore principale (ché, mi pare di capire, saranno occhio e croce quasi tutti i prossimi film italiani).
Dico queste cose non per rispondere alla tua bella lettera, ma per comunicarti il mio stato d'animo.
Grazie ancora e a risentirci

Roberto Massari


LA RISPOSTA DI PINO BERTELLI

Caro Danilo,
ho molto apprezzato la tua lettera in risposta alla mia critica su "La grande bellezza" (mi veniva da scrivere la grande schifezza)...
penso però che non sia mai bene andare o non andare a vedere un film, un'opera d'arte, leggere un libro o frequentare puttane dabbene
dietro la critica o il suggerimento di qualcuno (come nel mio caso) che ne ha scritto e inteso sviscerarne i contenuti attraverso un'analisi estetica/etica...
non penso affatto che Sorrentino abbia fabbricato un'opera nichilista (non conosce a fondo la velenosità ereticale di Nietzsche, Turgenev, Villon, Céline, Cioran)...
ha tuttavia alimentato il suo film nell'estetismo mercantile con dovizia di citazioni, nemmeno di grande spessore...
non c'è qui il peggior Fellini (La dolce vita, che non mi è piaciuto  o Roma) e nemmeno la scrittura calligrafica del più grande arredatore del cinema italiano (Luchino Visconti)...
c'è invece tutta la casistica superficiale della commedia italiana di peggior pregio... penso ai Mattoli, Steno, Corbucci... non Ferreri, Scola, Monicelli...
Sorrentino, si vede bene, affastella scenette e cammei da compitino elementare... musiche facili, attori sovra le righe, inquadrature e movimenti di macchina ricercati ma vuoti...
la Roma di "La grande bellezza" è provinciale, mai universale... non si sceglie tra la l'emulazione e l'opportunismo, si condannano entrambi...
l'essenza del cinema è la verità, l'essenza della verità è l'indignazione sociale... 
una sequenza di Buñuel, Vigo, Godard o Cassavetes... vale l'intera filmografia di Sorrentino...
non esistono buoni attori, esistono buoni registi... Servillo fa il verso a se stesso e basta un'alzata di ciglio di Mastroianni in "La dolce vita" e dappertutto
per fare piazza pulita di tutta la teatralità napoletana banalizzata (Totò ne è un fulgido esempio, fatti salvi i film fatti con Rossellini, Pasolini, Lattuada, Monicelli)..., 
la Ferilli poi, nuda come un'anziana Maîtresse su un divano in bella posa per un pubblico cinetelevisivo abituato alla pubblicità dei divani, non so se commuove o fa pena...
i ricchi, i nobili, i "nuovi mostri" buttati sulla scena del film sembrano solo tappezzeria riempitiva, e Sorrentino si guarda bene di non trattarli come meritano... cioè a calci in culo...
Flaubert, Proust, Gide, Céline, Musil, Mann, dici?... ma dove diavolo li hai visti? qui non c'è nemmeno la comicità ridanciana o salace da avanspettacolo!...
Marx poi... ho scritto centinaia di pagine contro Proudhon e Stirner per mostrare che la ragione della storia è sempre dalla parte del plotone di esecuzione...
i regimi comunisti (senza mai avere conosciuto davvero il Comunismo) ne sono la prova...
fare il verso a Debord, caro Breschi non è possibile... Debord si ama fino in fondo o non si capisce cosa ha lasciato in eredità alle giovani generazioni in rivolta...
Debord si plagia, e il plagio caro Breschi è un'arte di vivere, diceva Benjamin, un altro plagiario immortale come Debord...
a memoria di ubriaco e per eccesso di eresia, ho sempre messo i poveri, gli illetterati, i diversi, i ribelli al di sopra degli dèi (non solo quelli di "celluloide")... 
so che non c'è storia che non sia dell'anima...  essere compreso è una vera sfortuna per autore... 
i miti, come i coglioni, muoiono per mancanza di paradossi... e ogni apologia non è che l'assassinio del vero, del bello, del giusto, per entusiasmo...
non si capisce nulla del cinema se si crede che il mercimonio non contenga il servaggio e l'adorazione al padrone...
la civiltà sacerdotale dello spettacolo è il deposito di tutte le verità dominanti e solo la mediocrità e l'impostura dei Vangeli è pari alla nefandezza del cinema-merce...
che è l'ultimo asilo della stupidità... un abbraccio fraterno,

Pino

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