Con lo scioglimento dell'area
congressuale la "CGIL che vogliamo", diretta da Gianni Rinaldini, una
parte della burocrazia di sinistra della CGIL ha riesumato, alla vigilia
dell'apertura del congresso che si terrà in autunno, la sinistra sindacale Rete
28 Aprile.
La stessa ha tenuto la sua assemblea
nazionale sabato 29 giugno a Roma presso i locali occupati dell'ex Inpdap di
viale delle Province dove ha annunciato la presentazione di un documento
congressuale alternativo.
Ricardo Carpani |
Come di consueto, il dibattito molto
partecipato (malgrado la sala non fosse molto piena) è stato aperto dal
portavoce nazionale della Rete, Giorgio Cremaschi, il quale ha analizzato la
situazione politico sindacale criticando aspramente l'accordo sindacale sulla
rappresentanza recentemente sottoscritto dalla CGIL con CISL, UIL e
Confindustria.
La relazione di Cremaschi è stata
ampia e sostanzialmente condivisibile, ha
analizzato l'operato politico di governo, la situazione internazionale,
il ruolo della CGIL di sostegno all'azione politica del PD e del governo di
unità nazionale presieduto da Letta che, in totale continuità con il precedente
governo Monti, vuole continuare ad attuare le politiche di austerity come
chiesto da Confindustria.
Uno dei limiti della relazione di
Cremaschi è stato di non aver fornito alcun bilancio critico delle esperienze
negli ultimi venti anni delle aree programmatiche o aree congressuali che si
sono avvicendate nella battaglia di opposizione all’interno della CGIL. Sarebbe
bastato rispondere alla seguente domanda: com’è possibile che da Essere
sindacato in poi, fino ad arrivare alla "CGIL che vogliamo", tutte le
aree di sinistra sindacale non siano riuscite a bloccare, ma nemmeno ad
ostacolare il processo degenerativo della direzione nazionale, in anni in cui
si è rivelata sempre più chiaramente la complicità con i progetti della
borghesia italiana da parte della maggioranza dei quadri dirigenti della CGIL?
Com’è possibile che dopo tanti anni
di attività sindacale da parte della burocrazia di sinistra non si è riusciti a
costruire nei posti di lavoro un coordinamento di lavoratori organizzati in
modo intercategoriale che svolgesse il ruolo di traino delle lotte per
fronteggiare l'attacco padronale e governativo ai diritti e al salario dei
lavoratori dipendenti? E' tutto spiegabile nell'azione politica concertativa
del gruppo dirigente della maggioranza che ha bloccato tali possibili processi?
Senza ombra di dubbio, il gruppo
dirigente della CGIL ha pesanti responsabilità politiche sul peggioramento dei
diritti dei lavoratori. Allo stesso tempo, però, penso che questo tipo di
critica, non sia sufficiente per comprendere appieno la deriva imboccata
dall'organizzazione.
La crisi della CGIL è ancora più
profonda, e non investe solo ed esclusivamente il gruppo dirigente che ieri si
riconosceva nella politica concertativa di Cofferati e ora appoggia
incondizionatamente Susanna Camusso, ma coinvolge l'intera struttura politica
dell'organizzazione e la totalità del gruppo dirigente.
Nel corso degli anni, invece di
combattere le pratiche di apparato che consentono ogni tipo di manovra contro
gli interessi dei lavoratori da parte del gruppo dirigente dell'organizzazione,
hanno favorito e sostenuto meccanismi che non sono affatto rappresentativi
della base o dei delegati sindacali più combattivi; meccanismi che continuano a
non consentire ai lavoratori di decidere veramente la composizione democratica
dei gruppi dirigenti, anche nell’opposizione.
Il meccanismo congressuale di
confronto/scontro tra apparati, ha determinato l'istaurarsi di un automatismo classico del gioco delle
parti tra burocrazia di destra e di sinistra, che si riproduce ormai ogni
quattro anni per osmosi sindacale.
La contrattazione tra le varie
frange della burocrazia per occupare i posti di direzione politica
nell'apparato è sempre avvenuta ancora prima dell'apertura delle assemblee
congressuali di base, dove lo scontro politico, che si accendeva al momento
della presentazione delle mozioni congressuali nei posti di lavoro, si spegneva
successivamente man mano che venivano convocati i congressi di categoria e
confederali a livello provinciale, regionale e nazionale.
Questa modalità burocratica di
affrontare sia la composizione dei gruppi dirigenti sia le vertenze sindacali,
ha contribuito a determinare nel corpo attivo dei delegati più combattivi che
compongono le RSA/RSU scoraggiamento e passivizzazione.
La centralità dei delegati
sindacali, come soggetto di direzione politico-sindacale, che nelle istanze
congressuali è sempre stata rivendicata dalle varie esperienze della sinistra
sindacale, nella realtà non è mai stata applicata dagli stessi soggetti che la
rivendicavano. I risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti e mostrano la
scarsa rappresentatività della stessa Rete 28 Aprile, dove la presenza dei
delegati sindacali è pressoché nulla, sia nella direzione della Rete, sia alla
base.
Invece di invertire la tendenza sul
piano della democrazia dando un vero ruolo a quei delegati di posto di lavoro
che rischiano in prima persona nelle aziende per la loro attività sindacale, si
è continuato ad accettare una prassi ormai consolidata in CGIL, per cui a
decidere e dirigere sono i funzionari e non i delegati sindacali o altre
rappresentanze reali della base. Questa metodologia ha accomunato nel tempo le
correnti dell’apparato sindacale di destra (Trentin, Cofferati, Epifani,
Camusso) e, sia pure in misura minore, quelle di sinistra (Bertinotti, Patta,
Danini, Cremaschi).
Nel mio intervento ho descritto
questo iter fallimentare delle varie esperienze di sinistra (Rete 28 Aprile
inclusa) e ho anche detto che non è più procrastinabile, poiché lede principi
fondamentali come l'etica e la morale del fare attività politica e sindacale,
l’apertura di una seria riflessione sul fatto che nei congressi di base i
dirigenti sindacali violano sistematicamente le stesse regole congressuali che
l'organizzazione definisce prima dell'avvio della fase congressuale.
Questo problema cruciale, che nello
scorso congresso è stato più volte sollevato dai gruppi dirigenti di entrambe
le mozioni, che reciprocamente si sono accusate di aver commesso scorrettezze
alterando i dati dei voti, rappresenta il punto più basso della degenerazione
politica ed etica
dell'organizzazione.
In questo contesto mi chiedo e chiedo a ciò che resta
della Rete 28 Aprile (dalla quale comunque mi sono dimesso alcuni mesi fa con
lettera pubblica dopo avervi lavorato per anni con passione e sincerità): che
senso ha fare il congresso?
Non sarebbe meglio smetterla di
rincorrere le scadenze e le logiche della burocrazia nazionale, concentrando le
poche energie rimaste sulla necessità di lavorare seriamente all’organizzazione
di vertenze e lotte dal basso? al loro coordinamento? al conseguimento di
qualche vittoria parziale e minima, ma che consenta ai lavoratori di riprendere
coraggio in vista di scadenze di lotta iù ampie?
Ritengo che sia un errore
partecipare a un congresso in cui i giochi sono già fatti e in cui la Rete 28
Aprile conta solo di ottenere o conservare qualche incarico, qualche posto di
funzionario. Del resto, bastava guardare alla presidenza dell’assemblea per
capire che a dirigere la Rete sono i funzionari e non i delegati dei posti di
lavoro.
Non credo che si debba sottostare al
trucco di un congresso che ha questo tipo di modalità, e soprattutto non credo
che per cambiare la CGIL ci sia bisogno di far entrare nel grosso del gruppo
dirigente altri piccoli aspiranti dirigenti che non sono espressione delle
lotte dei lavoratori, che non sono interni al mondo del lavoro e che si battono
in fondo per mantenere i propri incarichi da funzionari o per conquistarne di nuovi.
Non ho dubbi che se la ripresa del
conflitto sociale nel nostro paese ci sarà, prima o poi, ciò non sarà il frutto
di battaglie burocratiche nella CGIL e nemmeno di una crescita del numero di
funzionari della Rete 28 Aprile in seno all’apparato. Potrà essere invece solo
il frutto della volontà e capacità delle masse dei lavoratori salariati di
determinare processi di autorganizzazione dal basso con pratiche democratiche e
conflittuali finalizzate alla riconquista di diritti e salario persi durante
vent'anni di concertazione sindacale.
Il nocciolo del mio intervento è
stato che senza una rivoluzione etica all’interno della Cgil ma anche
all’interno delle varie sigle politiche che compongono la Rete 28 aprile, il
potere della burocrazia nazionale resterà intatto e anzi si rafforzerà
ulteriormente, come sta accadendo nella stessa Fiom.
Andrea Furlan
RSA Filcams - CGIL
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