Il riaffiorare della memoria ci suggerisce come sia possibile ricominciare sempre
Quarant’anni fa a Villorba nacque il Centro Culturale.
Era il 1972. Sono passati quattro decenni ma ancora è viva
in me quell’esperienza che mi ha allevato politicamente, culturalmente e civilmente, che spinse generosamente molti giovani a darsi alla politica con passione e orgoglio, uniti fraternamente dalla convinzione comune che mettere assieme idee e energie sia necessario per poter cambiare.
L’idea rivoluzionaria arrivava a Villorba in ritardo rispetto al già affermato movimento nato dalle proteste studentesche del ‘68, da Valle Giulia a Roma al maggio francese, legate dal sogno “rivoluzionario” di cambiare lo stato di cose presente a partire dai propri bisogni.
Villorba era cieca e sorda a questi cambiamenti, immutabile nella sua ordinaria e abituale operosità contadina che rispettava le ore del giorno dal sorgere del sole al suo tramonto e i giorni lavorativi della settimana fino al sabato, per ritrovarsi ossequiosa alla messa della domenica. Il paese era ancora agricolo, le previsioni economiche non inficiavano il clima positivo che avvolgeva il tessuto agricolo in cui la natura regalava ancora l’energia dell’estate consegnandola viva nella vendemmia… vicino le fabbriche principali erano Marsoni, Icet e Lanifici del Montello. Era un paese distante dagli avvenimenti tragici e mondani di quel periodo, marginalmente toccato dall’insorgente cementificazione del territorio a scapito dell’agricoltura, delegava i suoi diritti e le sue preoccupazioni all’autorità costituita del prete, del sindaco, del dottore, del maestro (e di pochi altri) come se i diritti e le regole democratiche sancite dalla Costituzione non esistessero.
Questa assenza di pratica e sensibilità democratica, questa delega in bianco al potere e volere di pochi (politicamente comandava la DC) aveva notevoli ripercussioni anche nella famiglia, nella scuola, nella chiesa, nei rapporti sociali e non poteva non scuotere gli animi più sensibili dei giovani di allora, contagiati dall’esplosione di proteste che fiorivano ovunque in tutta Italia: dalla scuola, alla fabbrica, ai quartieri. L’aria dei fumogeni che le lotte producevano, arrivava anche a Villorba e faceva bruciare gli occhi a molti di noi. L’Italia politica invece traballava tra il governo Fanfani e quello Andreotti-Malagodi, investita dalle lotte operaie e sindacali con scontri pesanti tra manifestanti e polizia; le drammatiche morti di Feltrinelli e Calabresi (in una caserma di Pisa morì l’anarchico Franco Serantini) influenzavano il suo procedere democratico e politico già fortemente condizionato dalla strage di piazza Fontana a Milano. Alla presidenza della Repubblica c’era Giovanni Leone e i partiti politici erano: DC - PSI - PRI - PLI - PCI.
Rispetto a quaranta anni fa Villorba oggi è irriconoscibile: un territorio cementificato, una popolazione fortemente cresciuta, l’attività industriale finita (resiste - fortemente ridimensionata - la cartiera Marsoni), l’agricoltura confinata ai margini del territorio comunale, umiliata la generosità della terra di cui si è persa la memoria. Tanto che si fa fatica a immaginarla com’era.
Ma anche in questa periferia della città di Treviso qualcosa accadde, nel 1972.
Traballarono i muri apparentemente solidi dell’autorità, sotto la spinta di un piccolo ma audace gruppo di giovani, uomini e donne che, stanchi di obbedire e tacere, si presero il diritto di parlare e di agire. La scossa l’avvertirono tutti e segnò il futuro di tanti di noi: Francesco, Patrizia, Orlando, Albino, Vigilio, Gildo, Renzo, Toni, Giancarlo, Bepo, Claudio, Emanuele, Mariolina… ma in seguito si aggiunsero altre presenze e la diffidenza iniziale del paese si tramutò in curiosità, allargando gli spazi di fiducia e conoscenza.
Impertinente dire che era la “meglio gioventù” di Villorba? Forse! Sicuramente era la più sensibile e la più disposta a esporsi, a farsi protagonista del suo futuro, disposta anche a pagare di persona per non farsi travolgere dai problemi della società lasciati irrisolti dagli adulti.
Che un gruppo di giovani decidesse liberamente e autonomamente di riunirsi, finanziando le proprie attività, per dare corpo e vita a un Centro Culturale aperto a tutti, che gli stessi prospettassero il futuro “loro” e con gli “altri”, che cercassero punti in comune, senza delega alle autorità o ai partiti, rimane un’esperienza unica di grande valore etico, morale e civile ad oggi irripetibile che andrebbe raccontata e studiata.
Da un piccolo spazio vicino alla piazza, alla chiesa e alla “pisoera”, i fili vennero tirati fuori dalla terra da cui erano sommersi e riallacciati. Tutti mettevano a disposizione tutto quello che avevano: si cantava, si ascoltava musica, si passavano ore e ore a discutere o semplicemente a sfogliare pagine di libri, si faceva sera in un’esplosione di giocosità e invenzione, si facevano programmi, mostre divulgative o di denuncia, volantini d’informazione (da prima nelle piazze, poi davanti le fabbriche); ci si ritirava in “casere” isolate della vicina collina Asolana, in un comune desiderio di avviare un’esperienza di vita nella quale noi e non altri decidevamo del nostro futuro.
Anche se l’obiettivo sembrava pazzesco e impossibile da realizzare, l’idea era eccitante e dava un diverso valore alla vita che conducevamo, un movimento dell’anima piuttosto forte.
Poi con il tempo, la discussione e la pratica di molti di noi ci portò a fare delle scelte politiche e di vita diverse: chi nello sport, chi nei rassicuranti “partiti di sinistra”, chi niente, chi diede vita al movimento Lotta Continua, che ebbe l’ardire di non rassegnarsi alle “fabbricate” leggi dello Stato e del mercato andando, come direbbe De André, “in direzione ostinata e contraria”, con la coerenza di una grande donna e rivoluzionaria, Rosa Luxemburg, che affermava di “credere di più negli errori del movimento reale, che nelle giuste risoluzioni di un comitato centrale” per proseguire una lotta di liberazione che aveva come cardine la libertà, la democrazia e i diritti nella società, nella scuola, nella fabbrica, nei quartieri… ovunque.
L’età però passa inesorabile. Nel dubbio qualcosa sembra rimanere. Non è nostalgia, è recupero di quello che eravamo, che abbiamo tentato onestamente di fare, di essere e di costruire (di quello che siamo stati abbiamo sempre risposto e pagato di persona); che ci ha fatti adulti, che ha nutrito di gioia e anche di tristezza la nostra vita.
Perché oggi, 12 settembre? Perché l’inizio della scuola è un ritornare alla vita consueta, a chi non c’è più, all’amicizia che allora sembrava durare all’infinito ma che invece si è estinta, destinata a sfaldarsi o a morire con il mutamento inesorabile dell’età. Poi si diventa adulti, si diventa padri ma i ricordi finiscono quasi sempre là, a quel settembre, a quei luoghi di tanti anni prima quando c’era un’atmosfera diversa, quando ogni desiderio sembrava essere a portata di mano.
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